Il provvedimento della Corte d’Appello di Trento ha in oggetto l’efficacia nel nostro ordinamento di un provvedimento giudiziario straniero che riconosceva la paternità di due gemelli al marito del padre biologico degli stessi. Si trattava di figli nati a seguito di un progetto di genitorialità condiviso dalla coppia, che era ricorsa alla tecnica della maternità surrogata con utilizzazione del liquido seminale di uno dei due partner.
L’oggetto del giudizio era il riconoscimento dell’efficacia nell’ordinamento italiano, ex art. 67 della legge n. 218/1995, del provvedimento giudiziario straniero, cui avrebbe conseguito la correzione dell’atto di nascita dei minori.
I due genitori hanno adito la Corte d’appello in quanto l’Ufficiale dello Stato civile aveva rifiutato di trascrivere il provvedimento giudiziale straniero con indicazione del secondo padre dei minori, ritenendolo contrario all’ordine pubblico interno, in quanto in base alla normativa vigente i genitori non dovrebbero essere dello stesso sesso.
La Corte d’appello di Trento ha ritenuto pienamente efficace il provvedimento straniero facendo applicazione del concetto di ordine pubblico già sostenuto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 19599/2016, rinvenendo i principi di ordine pubblico solo in quei principi supremi, relativi ai diritti fondamentali della persona umana, contenuti nella nostra costituzione o nelle norme sovranazionali, che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario, escludendo che la contrarietà all’ordine pubblico possa derivare dalla semplice incompatibilità con norme interne anche se imperative ed inderogabili, che rappresentano comunque una delle possibili modalità di espressione della discrezionale del legislatore ordinario in un dato momento storico.
Ha riconosciuto poi come principio di ordine pubblico sovraordinato la tutela dell’interesse superiore del minore, nella fattispecie alla conservazione dello stato di figlio riconosciuto in un atto validamente formato in altro stato.
Il caso affrontato dalla Corte di cassazione (sentenza n. 19599/2016) era relativo alla trascrizione di un atto di nascita spagnolo di un figlio di due madri, nato impiantando l’ovulo di una delle madri nell’utero dell’altra che lo aveva partorito. La Cassazione ha, però, affermato principi applicabili in tutti i casi nei quali venga in discussione il rapporto di filiazione, non più governato dal principio della necessaria verità genetica di tale rapporto (come sottolineato anche dalla Corte di appello di Trento), escludendo che nella nostra legislazione vi sia un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico fra il genitore ed il nato e facendo riferimento al concetto di ordine pubblico internazionale già enucleato da una sentenza della Corte di cassazione n. 19405/2013. Concetto ripreso da una ordinanza della Corte d’appello di Napoli del 30 marzo 2016 che aveva ritenuto avessero efficacia diretta nell’ordinamento italiano due sentenze di adozione piena emesse da un tribunale francese con le quali due donne, unite in matrimonio, avevano adottato rispettivamente il figlio minore della compagna (nello stesso senso, in caso analogo, si era pronunciata la Corte costituzionale con la sentenza n. 76/2016 e diversi giudici di merito: Corte d’appello di Torino, decreto del 29 ottobre 2014, che ha autorizzato la trascrizione dell’atto di nascita spagnolo, oggetto del giudizio di Cassazione sopra citato, Corte d’appello di Milano, decreto del 16 ottobre 2015 che ha dichiarato l’efficacia della sentenza di adozione piena da parte di una donna per la figlia della compagna).
La pronuncia della Corte d’appello non appare in contrasto con la recente decisione della Grande Camera della Cedu del 24.1.2017 nel caso Paradiso e Campanelli contro Italia che, deliberando a maggioranza, ha ribaltato la precedente pronuncia della seconda sezione semplice del 27.11.2015.
Si trattava di un caso nel quale una coppia − che aveva fatto domanda di adozione internazionale ed era stata dichiarata idonea − aveva fatto ricorso in Russia alla maternità surrogata, ma non vi era alcun legame genetico con alcuno dei genitori risultanti dall’atto di nascita russo. Il Consolato italiano aveva trasmesso l’atto di nascita sostenendo che conteneva dati falsi, e contro la coppia era iniziato un procedimento penale per il reato di alterazione di stato, mentre il Tribunale per i minorenni aveva immediatamente sottratto il figlio, di otto mesi, ai genitori trasferendolo in una casa famiglia e dichiarando lo stato di adottabilità.
La Grande Camera ha ritenuto che non vi fosse violazione dell’art. 8 Cedu, non vi fosse cioè lesione della vita privata e familiare dei ricorrenti, a cagione del breve tempo nel quale il minore era stato inserito nella famiglia che avrebbe consentito alle norme imperative nazionali di prevalere nel caso concreto (in un caso simile si era pronunciata la Corte di cassazione italiana, con la sentenza n. 24001/2014, rigettando il ricorso contro la dichiarazione di adottabilità proposto di una coppia che era ricorsa all’estero alla maternità surrogata e non aveva alcun legame biologico con il nato).
In questo caso la pronuncia non è stata determinata dalla rilevanza attribuita alla verità genetica del rapporto di filiazione, quanto dall’aggiramento delle norme italiane sull’adozione e dalla violazione del divieto di maternità surrogata e dalla circostanza che, a cagione della brevità del tempo in cui il minore era stato inserito nella famiglia, non si erano instaurati quei legami familiari di fatto che nel bilanciamento degli interessi in conflitto avrebbero potuto prevalere.
La Grande Camera afferma, quindi, di non essere in contrasto, ma di fare applicazione di quegli stessi principi affermati dalla Cedu in molte altre occasioni nelle quali era intervenuta sul tema della maternità surrogata (v. tra le altre le sentenze gemelle Menesson c. Francia del 26.6.2014 e Labassee c. Francia, in pari data, con le quali la Cedu, facendo applicazione dell’art. 8 Cedu, ha condannato la Francia, ove la maternità surrogata è vietata, che rifiutava di trascrivere gli atti di nascita relativi a dei bambini nati negli Stati Uniti grazie ad un contratto di “maternità surrogata”), affermando che doveva prevalere l’interesse dei minori alla stabilità dei legami familiari concretamente instaurati e consolidati nel tempo.
Già diversi tribunali, tra i quali il Tribunale per i minorenni di Roma, hanno fatto applicazione di molti dei principi affermati dalla Corte d’appello di Trento, consentendo l’adozione del figlio del partner a coppie omosessuali in applicazione della norma di cui all’art. 44 L. 184/1983 (adozione in casi particolari), che la giurisprudenza aveva da tempo ritenuto applicabile non solo alle coppie coniugate, ma anche al caso di coppie conviventi (v. Tribunale per i minorenni di Milano sentenza n. 626/2007, Cda Firenze sentenza n. 1274/2012) e persone singole, nell’interesse del minore a non recidere i legami familiari consolidatisi nel tempo (v. Tribunale per i minorenni di Roma sentenze n. 299/2014 e 291/2015 con le quali è stata accolta la domanda di adozione in casi particolari da parte della compagna dello stesso sesso della madre del minore nell’ambito di coppia di donne unite da vincoli matrimoniali contratti all’estero; in senso contrario Tribunale per i minorenni Piemonte e Valle d’Aosta sentenze n. 258/2015 e 259/2015. La Corte d’appello di Roma con sentenza del 23.12.2015 ha rigettato l’appello proposto da Pm avverso la sentenza Tm Roma del 30.7.2014).
Il caso di una coppia omosessuale composta da due uomini che avevano deciso di portare avanti il proprio progetto di genitorialità ricorrendo alle tecniche di maternità surrogata all’estero, con il gamete di uno dei due componenti la coppia, è stato oggetto di una sentenza del Tribunale per i minorenni di Roma, del 23.12.2015, passata in giudicato in quanto non appellata.
Il Tribunale ha evidenziato come l’ordine pubblico trovasse un limite nella «necessità di salvaguardare il primario interesse del minore a definire la propria identità come essere umano, compreso il proprio status di figlio o di figlia di una coppia di genitori omosessuali». Nel valutare l’interesse del minore si è affermato che il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno. «… ciò che è importante per il benessere psicofisico dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano dello stesso sesso o che abbiano lo stesso orientamento».
Non può ritenersi, pertanto, che vi sia un principio di ordine pubblico internazionale in ordine alla necessaria eterosessualità dei genitori.
Tali principi si vanno affermando anche nella giurisprudenza penale, ove diversi giudici di merito hanno escluso il reato di alterazione di stato nel caso di ricorso alla maternità surrogata in paesi ove era consentita in base alla lex loci (v. Gup Varese dell’8.10.2014, est. Sala, Cass. Pen sent. n. 13525/2016).
Le più importanti recenti pronunce dei giudici interni o europei che si sono trovate a dover dirimere interessi in conflitto relativi al rapporto di filiazione, sono fondate sulla valutazione del dato concreto del legame affettivo familiare ed hanno come punto di riferimento l’interesse del minore (secondo quanto stabilito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia approvata dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata in Italia dalla L. n. 176/91) ed il principio di “autoresponsabilità” che deve sottendere al rapporto genitoriale, che trova il proprio fondamento nell’obbligo di solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione, mettendo, quindi, seriamente in discussione il principio del carattere necessariamente biologico o genetico del rapporto di filiazione (su tale evoluzione del diritto vivente si veda Cass. 2315/99 sul divieto di disconoscimento di paternità da parte del marito che ha dato il consenso alla fecondazione eterologa, poi recepito dalla legge 40, sent. Corte cost. n. 50/2006 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art 274 c.c., sentenza della Corte d’Appello di Bari, del 13.02.2009, in materia di riconoscimento del rapporto di filiazione con la tecnica della maternità surrogata effettuata nel Regno Unito, sentenza Corte cost. n. 31 del 2012 che, rivedendo un precedente orientamento in base al quale aveva rigettato la medesima questione, ha dichiarato la parziale incostituzionalità della pena accessoria al reato di alterazione di stato previsto dall’art. 567 c.p., sent. del Trib di Roma n. 9563/2012, sull’impugnazione del riconoscimento di compiacenza, Tribunale di Roma, ordinanze 8.8.2014 e 22.4.2015 sullo scambio di embrioni).
Pure il legislatore italiano della riforma della filiazione, nel rivedere la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ha previsto un termine tombale di cinque anni per il loro esercizio, anche nei casi di sospensione previsti dalla legge, ha dato prevalenza all’interesse del minore alla stabilità del rapporto di filiazione ed a non recidere i legami familiari e di affetti che ne fondano l’identità, sulla verità genetica o biologica del rapporto di filiazione, lasciando il figlio arbitro del proprio status, essendo per lui entrambe le azioni imprescrittibili; ed ha messo l’accento sul principio di autoresponsabilità nel rapporto genitoriale, come consapevole decisione di portare avanti un progetto genitoriale e di assumersi la responsabilità di accogliere un figlio (da “potestà” a “responsabilità” genitoriale).
Va, insomma, sempre più affermandosi un concetto di ordine pubblico che fa riferimento ai diritti fondamentali così come definiti dalle norme nazionali e sovranazionali (in applicazione anche dell’art. 117 della Costituzione), e non alle norme imperative ed inderogabili vigenti nei singoli paesi in un dato momento storico, ed un modello di famiglia, come tale tutelato dall’ordinamento, che pone attenzione ai rapporti ed ai legami familiari concretamente instauratisi ed impone di dare rilievo giuridico ad ogni modello di famiglia – nel quale i genitori possono, quindi, essere anche dello stesso sesso – che si accerti sia luogo di sviluppo e promozione della personalità del minore, il cui interesse deve sempre prevalere.
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