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La Corte Edu condanna l’Italia per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica nei giudizi civili e minorili

di Daniela Cardamone
giudice del Tribunale di Milano

Con la sentenza I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022, la Corte di Strasburgo, nell’affermare che la sicurezza del genitore non violento e dei figli deve essere un elemento centrale nella valutazione dell'interesse superiore del minore in materia di affidamento, fa propri i rilievi del GREVIO nel rapporto sull’Italia del 14 giugno 2022 e ne condivide la preoccupazione per la prassi diffusa nei tribunali civili di considerare come genitori «non collaborativi» e «madri inadatte» le donne che invocano la violenza domestica come motivo per rifiutarsi di partecipare agli incontri dei figli con l'ex coniuge e per opporsi all'affidamento condiviso.

1. La fattispecie concreta

Con la sentenza I.M. e altri c. Italia del 10 novembre 2022[1], l’Italia è stata ancora una volta condannata in un caso di violenza di genere (dopo Talpis c. Italia,2.3.2017; Landi c. Italia, 7.4.2022; M.S. c. Italia, 7.7.2022; De Giorgi c. Italia, 16.7.2022). 

Questa volta, ad essere censurato è l’operato delle autorità giudiziarie minorili per la mancata tutela delle vittime di violenza domestica.

La vicenda riguarda tre ricorrenti, due minori e la loro madre. La madre, a causa del comportamento violento del convivente, alcolista e tossicodipendente, ha abbandonato la casa familiare il 19 luglio 2014, dopo aver subito maltrattamenti per i quali ha sporto denuncia.

A seguito della denuncia, la situazione è stata segnalata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma e, l’11 agosto 2014, è stata sospesa la potestà genitoriale del padre e i minori, insieme alla madre, sono stati collocati in un luogo protetto.

Trascorso un periodo senza incontri, con l’accordo dei servizi sociali territoriali e del centro antiviolenza, è stato consentito che il padre incontrasse i minori una volta a settimana, in condizioni protette.

Alla fine del 2015, gli incontri sono stati interrotti temporaneamente a causa dell’assenza di adeguate forme di protezione dei figli minori, segnalate dai servizi sociali territoriali e dalla madre, che chiedevano all’autorità giudiziaria minorile di intervenire con la massima tempestività.

Nessun intervento, però, è stato predisposto dai giudici minorili e la ricorrente, ritenendo che non vi fossero le condizioni per garantire lo svolgimento in sicurezza degli incontri tra il padre e i figli minori, ha interrotto unilateralmente le visite, fino a quando, il 18 maggio 2016, il Tribunale per i minorenni di Roma ha sospeso la potestà genitoriale di entrambi i genitori.

Dopo il provvedimento sospensivo, il 7 giugno 2016, nel procedimento penale attivato su impulso della madre, il padre è stato rinviato a giudizio per il reato di maltrattamenti in famiglia; il 14 giugno 2016, il Tribunale di Tivoli ha disposto l’affidamento esclusivo dei figli minori alla madre.

Gli incontri tra il padre e i figli, quindi, sono ripresi all’inizio del 2017, svolgendosi con modalità protette, sotto la vigilanza del personale dei servizi sociali territoriali; l’andamento di tali visite si è rivelato problematico per l’atteggiamento intemperante del padre, che è stato segnalato con apposite relazioni dagli assistenti sociali, tra il giugno del 2017 e il marzo del 2018.

Gli incontri sono stati nuovamente sospesi fino all’inizio del 2019, quando il padre è stato sottoposto a carcerazione per scontare una pena detentiva, per violazioni del testo unico sugli stupefacenti commesse tra il 1994 e il 2018.

La potestà genitoriale della madre ricorrente è stata definitivamente ripristinata, con provvedimento della Corte di appello di Roma del 19 dicembre 2019.

 

2. La decisione della Corte di Strasburgo

I minori hanno fatto ricorso alla Corte Edu affermando di essere stati vittime di violenza domestica e lamentando che le autorità competenti non hanno adottato le misure necessarie e appropriate per proteggerli, nonostante fossero state informate della mancanza di sicurezza degli incontri con il padre violento, dedito all’uso di droghe e di alcol. In particolare, gli incontri non si sono svolti nelle condizioni di «rigorosa protezione» prescritte dal tribunale, così esponendoli a ulteriori violenze.

La madre, invece, ha fatto ricorso affermando di essere stata qualificata come «genitore poco collaborativo» e di essere stata sospesa dalla sua potestà genitoriale per il solo motivo di aver voluto proteggere i suoi figli, sottolineando la mancanza di sicurezza degli incontri.

La Corte di Strasburgo ha riconosciuto la violazione dell’art. 8 della Convenzione nei confronti di tutti i ricorrenti.

Da un lato, infatti, i minori sono stati costretti a incontrare il padre in condizioni poco sicure, nonostante il tribunale fosse stato informato del comportamento aggressivo di quest’ultimo, senza quindi effettuare un’adeguata valutazione del rischio di tali incontri; dall’altro, la sospensione della potestà genitoriale della madre, a causa del fatto che la stessa si era opposta a tali incontri, era stata decisa senza tenere conto della violenza da questa subita e del procedimento penale per maltrattamenti che era in corso contro l’ex convivente, con la conseguente vittimizzazione secondaria sia della madre che dei minori.

Per quanto riguarda il ricorso dei minori, la Corte EDU ha ribadito che esiste un ampio consenso sul principio che, in tutte le decisioni riguardanti questi ultimi, il loro interesse superiore debba avere la precedenza (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, par. 207, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, par. 135, X c. Lettonia, n. 27853/09, par. 96).

Nei casi in cui gli interessi del minore e quelli dei suoi genitori sono in conflitto, l'articolo 8 Cedu impone alle autorità nazionali di trovare un giusto equilibrio tra gli stessi; dovendosi attribuire particolare rilevanza all'interesse superiore del minore, quest’ultimo, tenuto conto della sua natura e gravità, può prevalere su quello dei genitori (Sommerfeld c. Germania [GC], n. 31871/96, par. 64).

In generale, l'interesse superiore del minore esige che i legami tra lui e la sua famiglia siano mantenuti e solo circostanze del tutto eccezionali possono portare alla rottura del vincolo familiare, il quale comunque, appena possibile, dovrà essere ricostituito (Gnahoré c. Francia n. 40031/98, par. 59). In ogni caso, garantire lo sviluppo del bambino in un ambiente sano rientra nell’interesse superiore del minore e l'articolo 8 Cedu non può autorizzare il genitore a prendere provvedimenti pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo del figlio (Elsholz c. Germania [GC], n. 25735/94, par. 50, e Maršálek c. Repubblica Ceca, n. 8153/04, par. 71).

Nel caso in esame la Corte Edu ha dovuto valutare se, nell’ambito dell’ampio margine di apprezzamento di cui dispone, lo Stato convenuto abbia raggiunto un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, fermo restando che l'interesse superiore del minore deve essere sempre preminente. 

In particolare, la Corte ha ricordato che il margine di apprezzamento varia a seconda della natura delle questioni e della gravità degli interessi in gioco, quali, da un lato, l'importanza di tutelare un minore in una situazione che si ritiene possa  minacciare gravemente la sua salute o il suo sviluppo (Wunderlich c. Germania, n. 18925/15, par. 47) e, dall'altro, l'obiettivo di riunire la famiglia non appena le circostanze lo consentano (K. e T. c. Finlandia [GC], n. 25702/94, par. 155, Mohamed Hasan c. Norvegia, n. 27496/15, par. 145).

Per quanto riguarda la tutela dell'integrità fisica e morale delle persone, la Corte Edu ha affermato che gli obblighi positivi incombenti sulle autorità, in taluni casi ai sensi degli artt. 2 o 3 Cedu, e in altri casi ai sensi dell'art. 8, presi singolarmente o in combinato disposto con l'art. 3, possono comportare l'obbligo di istituire e applicare un quadro giuridico adeguato che offra protezione contro gli atti di violenza (Söderman c. Svezia [GC], n.5786/08, par. 80).

Per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, i meccanismi creati dallo Stato per proteggerli dagli atti di violenza, che rientrano nell'ambito di applicazione degli articoli 3 e 8 Cedu, devono essere efficaci e includere misure volte a prevenire i maltrattamenti (Söderman, cit., par. 81; Hajduová c. Slovacchia, n. 2660/03, par. 49) ed a garantire il rispetto della dignità umana e la tutela dell'interesse superiore del minore (C.A.S. e C.S. c. Romania, n. 26692/05, par. 82).

Applicando questi principi al caso concreto, la Corte Edu ha evidenziato che gli incontri tra e il padre e i figli non si sono svolti nel rispetto delle esigenze di tutela dei minori, per l’inadeguatezza logistica dei luoghi e l’impreparazione del personale preposto alla vigilanza; i minori sono stati costretti a incontrare il padre in condizioni inidonee ad assicurare loro un’adeguata protezione fisica e morale, tanto più dopo l’instaurazione del procedimento penale a carico del genitore per il reato di maltrattamenti in famiglia. 

Le inadeguatezze sono state dovute anche ai ritardi delle autorità giudiziarie minorili, le quali non hanno dato seguito alle segnalazioni effettuate dai servizi sociali territoriali (nel mese di novembre del 2015; nei mesi di febbraio, giugno e luglio del 2017; nei mesi di gennaio e marzo del 2018), che hanno evidenziato i pericoli ai quali erano esposti i minori, tanto è vero che gli incontri, nonostante l’atteggiamento aggressivo e diseducativo del padre, sono proseguiti  per tre anni, fino all’aprile del 2018. 

Inoltre, dalle decisioni dei tribunali non si evince un adeguato bilanciamento degli interessi contrapposti, nel caso di specie rappresentati dalle esigenze «prioritarie» di protezione dei minori e dalle istanze di riavvicinamento familiare del genitore, che aveva dato ripetutamente prova di non volersi adeguare alle prescrizioni che gli venivano imposte nell’interesse dei figli, manifestando un atteggiamento fortemente oppositivo. 

Sulla base di questa ricostruzione dei fatti, la Corte Edu ha ritenuto che, nei confronti dei figli minori della ricorrente, a partire dal 2015, si è concretizzata una violazione dell’art. 8 della Convezione. 

Per quanto riguarda il ricorso della madre, la decisione di sospendere la sua responsabilità genitoriale ha integrato un'ingerenza nell'esercizio del suo diritto al rispetto della vita familiare. Essendo pacifico che tale ingerenza ha una base legale  (articoli 330 e seguenti del codice civile) e che ha perseguito le legittime finalità di «tutela della salute» e «dei diritti e delle libertà» dei minori, la valutazione della Corte si è concentrata sull’altro requisito, vale a dire se l'ingerenza fosse «necessaria in una società democratica»; si è trattato, quindi, di valutare se i giudici abbiano fondato su motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni dell'autorità genitoriale della ricorrente, tenendo conto dell'interesse superiore dei bambini, e se sia stato garantito un giusto equilibrio tra i vari interessi coinvolti.

Nel caso concreto, la Corte Edu ha affermato che vi è stata violazione dell'art. 8 Cedu perché il Tribunale per i minorenni e la Corte d'appello non hanno fornito motivi sufficienti e pertinenti per giustificare la loro decisione di sospendere l'autorità genitoriale della ricorrente, per il periodo compreso tra maggio 2016 e maggio 2019.

Infatti, il Tribunale e la Corte d'appello hanno motivato la loro decisione sulla base del presunto comportamento ostile della ricorrente nei confronti dell'esercizio della co-genitorialità da parte dell’ex convivente, senza tenere conto delle difficoltà emerse durante gli incontri tra i figli e il padre e delle gravi vessazioni alle quali era stato sottoposto il nucleo familiare, che avevano dato origine al procedimento penale per maltrattamenti in famiglia. 

I giudici di Strasburgo, inoltre, non hanno ritenuto sufficiente, per giustificare la decisione della sospensione genitoriale della ricorrente, neppure il suo presunto comportamento «ostile» e «poco collaborativo» nei confronti del padre dei figli minori.

 

3. Portata innovativa della sentenza 

La sentenza I.M. e altri c. Italia rappresenta un’evoluzione della giurisprudenza europea sul tema della bigenitorialità e del diritto di visita del genitore non affidatario.

Nell’ambito della tematica del diritto di visita da parte del genitore non affidatario dei figli, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo viene tutelato il diritto a mantenere i contatti con il minore, da contemperarsi con il preminente interesse del minore stesso e, quindi, tenendo conto del suo benessere psico-fisico.

Nella copiosa produzione giurisprudenziale sul tema, è possibile individuare alcune linee direttrici costanti; la Corte Edu, in linea di principio, non entra nel merito delle decisioni delle autorità nazionali sull’affidamento ritenendo che queste siano meglio attrezzate nel gestire e valutare le situazioni di conflitto familiare ed accorda loro un ampio margine di apprezzamento (Sahin c. Germania, 8.7.2003, n. 30943/96, par. 64); la Corte Edu valuta piuttosto gli aspetti procedurali, pretendendo che le decisioni prese dalle autorità interne siano celeri e pienamente rispettose del principio del contraddittorio e della parità delle armi tra i contendenti (C. c. Finlandia, 9.5.2006,  n. 18249/02, par. 52; Z.J. c. Lituania, 29.4.2014, n. 60092/12, par. 96; Petrov e X c. Russia, 23.4.2018, n. 23608/16).

Un altro aspetto rilevante sul quale la Corte Edu svolge il suo controllo di compatibilità con la Convenzione è quello dell’adeguatezza delle misure attuate al fine di garantire efficacemente i contatti tra il genitore non affidatario e i figli (Glaser c. Regno Unito, 19.9.2000, n. 32346/96; Bondavalli c. Italia, 17.11.2015, n. 35532/12; Cincimino c. Italia, 28.4.2016, ric. n. 68884/13; Strumia c. Italia, 23.6.2016, n. 53377/13; Giorgioni c. Italia, 15.9.2016, n. 43299/12).

La Corte Edu, infatti, delinea con chiarezza gli obblighi positivi che gravano sui singoli Stati a tutela dei diritti della persona rispetto ai legami affettivi e familiari, specificando che si tratta di obblighi di carattere non solo negativo e di non ingerenza, ma anche, e soprattutto, di natura positiva, di rimozione degli ostacoli alla effettiva realizzazione dei medesimi diritti.

In tale ottica, è stato costantemente affermato l’obbligo da parte delle autorità nazionali di adottare misure per facilitare il diritto di visita del genitore non affidatario, sempre però contemperando tali misure con il diritto del minore di vivere in un ambiente sereno (Konos c. Italia, 30.12.2008, n. 68183/01; Buscemi c. Italia, 16.9.1999, n. 29569/95).

Nell’ambito delle plurime condanne dell’Italia per non aver adeguatamente tutelato il diritto di visita del genitore non affidatario, le denunzie di violenza di genere (si veda ad es. Giorgioni c. Italia, 15.9.2016, n. 43299/12) e quelle di violenze o abusi sui minori (ad es. Piazzi c. Italia, 2.11.2010, n. 36168/09; Bove c. Italia, 30.6.2005, n. 30595/02[2]; Solarino c. Italia, 9.2.2017, n. 76171/13; R.B. e M. c. Italia, 22.4.2021, n. 41382/19), effettuate dalle madri “malevole”, sono sempre rimaste sullo sfondo, senza che le allegazioni della violenza siano state valutate, così come le ragioni per le quali le stesse si sono opposte alle visite o le hanno ostacolate.

L’archiviazione dei procedimenti penali o l’assoluzione dalle accuse di violenze e maltrattamenti sono sempre segnalate in tali sentenze (tra le tante ad es. Strumia c. Italia, 23.6.2016, n. 53377/13; Giorgioni c. Italia, cit.; R.B. e M. c. Italia, cit.), evocando, di fatto, in mancanza di un’analisi delle ragioni ad esse sottese, l’idea della falsità e strumentalità delle denunce stesse, a sostegno della tesi della madre inadatta e colpevole.

Con questa nuova pronuncia, la Corte di Strasburgo, facendo propri i rilievi del GREVIO (Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence[3])  nel rapporto sull’Italia del 14 giugno 2022 (par. 137 e 138 della sentenza), afferma che la sicurezza del genitore non violento e dei bambini deve essere un elemento centrale nella valutazione dell'interesse superiore del minore in materia di custodia e diritti di visita, come previsto dall’art. 31 della Convenzione di Istanbul.

La Corte Edu, in particolare, afferma di condividere le preoccupazioni del GREVIO circa l'esistenza di una pratica, diffusa nei tribunali civili, di ritenere che le donne che invocano atti di violenza domestica, che si rifiutino di partecipare agli incontri dei propri figli con l'ex coniuge e che si oppongano alla condivisione dell'affidamento con lui, siano dei genitori “non collaborativi” e delle “madri inadatte” e meritevoli di sanzione.

 

4. Il rapporto del GREVIO sull’Italia

Un contributo decisivo al riconoscimento della problematica della violenza di genere nell’ambito dei giudizi civili e minorili proviene dai rapporti del GREVIO del 2020 e del 2022, ai quali i giudici europei fanno ampio rinvio nella sentenza. 

Il punto di partenza dell’analisi è la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, nota come Convenzione di Istanbul, la quale ha dettato specifiche disposizioni per il contrasto ad ogni forma di violenza domestica, imponendo agli Stati che abbiano ratificato e dato esecuzione alla Convenzione, di dotarsi di una legislazione efficace e di verificarne, in modo costante, l’effettiva attuazione da parte di tutti gli operatori, in particolare quelli appartenenti al sistema giudiziario.

In primo luogo, viene in rilevo l’art. 18 della Convenzione di Istanbul, il quale obbliga gli Stati che abbiano ratificato e dato esecuzione alla convenzione a contrastare la vittimizzazione secondaria e ad adottare le misure necessarie, legislative o di altro tipo, per proteggere tutte le vittime da nuovi atti di violenza.

Nel rapporto del GREVIO si sottolinea che una delle forme più ricorrenti e gravi di vittimizzazione secondaria può realizzarsi nei procedimenti di affidamento dei figli, in conseguenza della mancata applicazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, il quale prevede che «al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione». 

Il mancato accertamento delle condotte violente e la conseguente mancata valutazione di tali comportamenti nell’adozione di provvedimenti di affidamento dei figli hanno come conseguenza l’emanazione di provvedimenti stereotipati che dispongono l’affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, senza distinguere tra il genitore violento e quello vittima di violenza. 

La necessità di approfondire il tema della vittimizzazione secondaria delle donne e dei minori vittime di violenza domestica nell’ambito dei procedimenti civili e minorili è stata evidenziata dal rapporto del GREVIO per l'Italia del 13 gennaio 2020 (GREVIO’s-Baseline-Evaluation Report, Italy).

Per quanto riguarda l’articolo 31 della Convenzione di Istanbul, l’analisi del GREVIO parte dalla valutazione della legge n. 54 del 2006, che ha introdotto l’affidamento condiviso come scelta prioritaria da adottare nella disciplina delle modalità di affidamento dei figli ai genitori, e degli articoli (330, 333, 337- quater del codice civile) che prevedono le condizioni per derogare al regime dell’affidamento condiviso disponendo l’affidamento esclusivo. 

Al riguardo, il GREVIO ha rilevato che: «Le leggi in vigore non prevedono un obbligo esplicito per gli enti istituzionali di garantire che, nel definire i diritti di affidamento e di visita, si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della Convenzione, come richiesto invece dall’Articolo 31, paragrafo 1 della Convenzione» (par. 180). 

La mancanza di specifici ed espressi rinvii alla Convenzione di Istanbul nei casi di violenza ha come effetto la presenza di leggi che teoricamente possono garantire la protezione delle donne ma che, in sostanza, non riescono ad essere incisive: «[...]il meccanismo in vigore, piuttosto che permettere la protezione delle vittime e dei loro bambini, "si ritorce contro" le madri che tentano di proteggere i loro bambini denunciando la violenza e le espone ad una vittimizzazione secondaria» (par. 181). 

Un altro aspetto rilevante del rapporto del GREVIO è la tematica delle consulenze tecniche d’ufficio effettuate nell’ambito dei procedimenti civili in materia di affidamento dei minori e di diritto di visita e il ricorso, nell’ambito di queste consulenze, a teorie non scientificamente fondate, quali “la sindrome da alienazione parentale” (Parental Alienation Syndrome: PAS).

Il rapporto evidenzia, infatti, che «I magistrati di diritto civile tendono ad affidarsi alle conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio (CTU) e/o dei servizi sociali, che spesso assimilano gli episodi di violenza a situazioni di conflitto e dissociano le considerazioni relative al rapporto tra la vittima e l’autore di violenza da quelle riguardanti il rapporto tra il genitore violento e il bambino. Inoltre, le denunce delle vittime di abuso da parte del partner sono spesso rigettate sulla base di motivazioni dubbie come "la sindrome da alienazione parentale" e si incolpano le madri per la riluttanza dei figli ad incontrare il padre violento. I test di personalità, che non sono predisposti per le situazioni di violenza, fanno sì che molte vittime vengano ritenute incapaci di fare da genitore» (par. 182).

Il GREVIO sottolinea peraltro l’elevato rischio relativo all'utilizzo della nozione di alienazione parentale o di nozioni analoghe in quanto l’evocazione di queste “sindromi”, non avente base scientifica riconosciuta dalla comunità internazionale, impedisce di approfondire la reale origine del rifiuto del minore di incontrare uno dei genitori, rifiuto che potrebbe avere la sua radice nella esposizione alla violenza domestica (paragrafo 182).

Si sottolinea, in particolare, «come sia necessario che i tribunali civili e minorili indaghino su tutte le denunce di violenza e abuso, assieme ai tribunali penali qualora vi siano procedimenti penali in corso contro il padre del bambino della vittima, o cercando attivamente informazioni da altre fonti, come le forze dell’ordine, le autorità locali, i servizi sanitari, educativi e di supporto specializzato per le donne» (par. 185) e che «la sicurezza del genitore non violento e del bambino debbano essere un elemento centrale nel decidere nel miglior interesse del minore per quanto riguarda gli accordi sull'affidamento e le visite» (par. 186). 

Infine, il GREVIO sollecita le autorità italiane «affinché adottino le misure necessarie, comprese eventuali modifiche legislative, per garantire che i tribunali competenti abbiano il dovere di esaminare tutte le problematiche legate alla violenza contro le donne al momento di stabilire l'affidamento ed i diritti di visita, nonché di valutare se tale violenza legittimi una richiesta di limitazione dei diritti di affidamento e di visita» (paragrafo 188). 

Un ulteriore rischio di vittimizzazione secondaria è individuato nel reiterato invito - percepito come imperativo dalle donne che hanno subito violenza - formulato da giudici, consulenti e operatori dei servizi socio assistenziali, alla mediazione ed alla conciliazione, al fine di raggiungere accordi che prevedano l’esercizio condiviso della genitorialità, in contrasto con quanto previsto dall’articolo 48 della Convenzione di Istanbul, che invece vieta il ricorso obbligatorio a procedimenti di soluzione alternativa delle controversie, incluse la mediazione e la conciliazione, in relazione a tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione stessa (par. 184).

La Corte EDU richiama poi anche il terzo rapporto generale del GREVIO del 14 giugno 2022, avente ad oggetto la custodia dei minori, il diritto di visita e la violenza domestica, redatto sulla base delle valutazioni effettuate in diversi Stati. Descrivendo i punti di forza e di debolezza degli Stati per quanto riguarda l'attuazione degli articoli 26, 31 e 45 della Convenzione di Istanbul, per quanto riguarda le vittime di violenza domestica e le decisioni relative alla custodia e alla visita dei minori, il rapporto sottolinea che, sebbene tutti gli Stati parti hanno adottato misure soddisfacenti, «c'è ancora molta strada da fare». 

Secondo il GREVIO, permangono carenze nella mancata considerazione degli atti di violenza domestica nei procedimenti in materia di affidamento dei minori e di diritto di visita e nella mancanza di garanzia di visite sorvegliate e sicure.

In particolare, in Albania, Belgio, Italia, Monaco, Polonia, San Marino, Slovenia e Turchia, il GREVIO ha riscontrato l'assenza di un riferimento esplicito alla violenza domestica tra i criteri legali da prendere in considerazione per determinare i diritti di custodia e/o di visita, evidenziando che i tribunali nazionali non conoscono l’art. 31 della Convenzione di Istanbul.

 

5. Il richiamo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione ed alla legge delega n. 206 del 26 novembre 2021

Molto significativo è il richiamo che, nella sentenza I.M. ed altri, la Corte di Strasburgo fa, nella parte relativa al diritto interno, a due ordinanze della Corte di Cassazione (la n. 13217 del 2021 e la n. 9691 del 2022) (par. 68 e 69) e all’art. 1 comma 23 della legge delega n. 206 del 26 novembre 2021 (par. 70), in quanto sembra voler indicare che, in ambito interno, la problematica evidenziata dalla sentenza è già oggetto di adeguata attenzione.

In particolare, nell’ordinanza n. 13217 del 2021, la Corte di cassazione ha affermato che i giudici sono tenuti a verificare le accuse di comportamenti dannosi per i minori e che non possono limitarsi a fare affidamento sugli esiti delle perizie. In tema di affidamento dei figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che, tra i requisiti di idoneità genitoriale, rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena. Per quanto riguarda, in particolare, la sindrome d’alienazione parentale, la Corte di cassazione afferma che il giudice di merito, nell'aderire alle conclusioni dell'accertamento peritale, non può, qualora all'elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente ma è tenuto a verificare il fondamento sul piano scientifico di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare. 

Nell’ordinanza n. 9691 del 2022, la Corte di cassazione, richiamando l’ordinanza n. 13217/2021, ha ribadito che i provvedimenti relativi alla potestà genitoriale non possono fondarsi su teorie prive di fondamento scientifico come la “sindrome d’alienazione parentale”: «Come affermato più volte da questa Corte, il richiamo alla sindrome di alienazione parentale e a ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori in ordine alla decadenza della responsabilità genitoriale della madre».

La Corte di Strasburgo, nella parte relativa al diritto interno, richiama, come già detto, anche la legge n.  206 del 26 novembre 2021 che, all'articolo 1 comma 23, delega il Governo ad introdurre disposizioni specifiche che prevedano che, in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere, siano assicurate: adeguate  misure   di   salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all'articolo 342-bis del codice civile; le necessarie modalità di  coordinamento  con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti; l'abbreviazione dei termini processuali nonché specifiche disposizioni processuali e sostanziali per evitare la vittimizzazione secondaria. 

Le nuove norme dovranno, inoltre, assicurare l’applicazione dell'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, che impone di prendere in dovuta considerazione gli episodi di violenza vissuti dai figli minori al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli e che le visite si svolgano in condizioni di sicurezza. 

Si afferma, inoltre, il principio che, in caso di allegazioni di violenza, deve essere intrapresa una adeguata istruttoria che preveda anche l’ascolto e la valutazione del minore e che, nei procedimenti civili e minorili, nei casi di violenza domestica, tale ascolto è un compito del giudice non delegabile. Si contrasta infine il ricorso, negli accertamenti tecnici, a teorie non riconosciute ed accettate dalla comunità scientifica, come quella della “sindrome d’alienazione parentale”.

 

6. Considerazioni conclusive

La sentenza I.M. e altri si segnala per la condanna delle forme più ricorrenti di vittimizzazione secondaria nei procedimenti che disciplinano l'affidamento dei minori e la responsabilità genitoriale, dovute al mancato riconoscimento della violenza domestica nei procedimenti civili e minorili.

Inoltre, la sentenza ribadisce che il superiore interesse del minore, come concepito nella normativa costituzionale, nazionale e internazionale, può comportare l’allontanamento dei figli minori nei casi di violenza domestica, in quanto tale interesse è preminente rispetto alle istanze di riunione familiare e ai diritti di visita dei genitori non conviventi. 

Infine, la pronunzia stigmatizza il ricorso da parte di giudici e consulenti tecnici di teorie non riconosciute ed accettate dalla comunità scientifica, quali quella della “sindrome d’alienazione parentale”.

La sentenza I.M. e altri si inserisce in un percorso di sensibilizzazione nei confronti della violenza di genere già presente nella giurisprudenza interna e nelle recenti riforme del processo civile e si fa portavoce di criticità, le quali sono state già evidenziate in ambito nazionale.

In particolare, si tratta di aspetti segnalati dal Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria, elaborato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere (relazione approvata dalla Commissione nella seduta del 17 giugno 2021).

Per quanto riguarda il settore giudiziario, la mancata valutazione della violenza domestica nell’ambito dei giudizi civili e minorili, aventi ad oggetto domande di affidamento dei figli o domande attinenti alla titolarità o le limitazioni all’esercizio della responsabilità genitoriale, è stata oggetto di specifiche attività di monitoraggio da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. 

Con le delibere del 9 maggio 2018, del 4 giugno 2020 e del 3 novembre 2021, il Csm, al fine di rendere più efficace la risposta giurisdizionale nei procedimenti relativi a reati di violenza di genere, ha evidenziato, tra l’altro, la necessità di una adeguata formazione e specializzazione per la trattazione di questi procedimenti. Tra i vari aspetti evidenziati dal Csm, vi è quello della esigenza di coordinamento tra magistratura civile e penale in quanto «costituisce un’evenienza frequente che al procedimento o processo penale relativo a reati di maltrattamenti, atti persecutori, ovvero abusi sessuali, sia parallelo un procedimento, tra le stesse parti, di separazione o divorzio. Spesso gli atti relativi al processo penale sono sconosciuti ai giudici civili e tale difetto di conoscenza può verificarsi persino nei casi in cui, in sede penale, siano state adottate misure cautelari a carico del coniuge violento anche a tutela dei figli, con la conseguenza che il giudice civile può pervenire ad assumere provvedimenti di affido condiviso del minore, in tal modo incolpevolmente vanificando le cautele adottate in sede penale» (risoluzione del 9 maggio 2018).

La sentenza I.M. e altri si inserisce in questo percorso di sensibilizzazione nei confronti della violenza di genere e, in attesa dell’applicazione delle nuove norme, impone un obbligo internazionale di riconoscere la violenza domestica nei giudizi civili e minorili.


 
[1] Sentenza non ancora definitiva nel momento in cui si scrive il presente commento.

[2] Situazione di presunti abusi sessuali valorizzata, invece, nella opinione dissenziente del giudice Myjer.

[3] Il GREVIO è l'organismo di esperti indipendente responsabile del monitoraggio dell'attuazione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) da parte degli Stati membri.

22/12/2022
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