Sommario
1.Vaccinazione progressiva di massa. Chi decide le priorità? E con quali strumenti?
2.Il Piano, la Circolare, il Decreto del Ministro della Salute
3.Decideranno le autorità sanitarie?
4.La dimensione politica e istituzionale delle scelte da compiere
5.Alla ricerca dell’interesse generale
6. Una legge non è sinonimo di rigidità
1. Vaccinazione progressiva di massa. Chi decide le priorità? E con quali strumenti?
Tutte le più alte autorità del Paese hanno –comprensibilmente, opportunamente - insistito sul dovere morale di vaccinarsi contro il Covid e sul senso di responsabilità verso se stessi e gli altri che sta alla base di questo imperativo etico posto all’ordine del giorno dalla pandemia.
Al tempo stesso è intensa la discussione sulla possibilità di rendere obbligatoria la vaccinazione. Tema destinato ad avere molteplici ricadute nel mondo del lavoro, sul versante dei rapporti contrattuali e della vita pubblica.
E però, ad oggi ed al di fuori della sfera relativamente ristretta del personale sanitario, la questione della obbligatorietà o meno della vaccinazione sembra assai meno urgente rispetto ad altri, più cruciali e ben più pressanti interrogativi.
Il primo di questi interrogativi .
Quali saranno i criteri – predeterminati, precisi, impegnativi - da adottare per distribuire i vaccini disponibili tra le fasce di popolazione alle quali non interessa nulla delle idee o delle ubbie dei no-vax e dei timori di una minoranza riottosa e che desiderano invece accedere alla vaccinazione “secondo giustizia” e cioè seguendo un ordine ragionevole, comprensibile, auspicabilmente condiviso?
La seconda domanda.
Quali autorità e con quali strumenti regolatori decideranno i criteri di allocazione delle risorse vaccinali inizialmente scarse, criteri dalla cui concreta applicazione potrebbe dipendere - letteralmente - la vita o la morte di molte persone?
Domanda, quest’ultima, importante per i giuristi, ma, in un regime democratico, fondamentale anche per la generalità dei cittadini.
Garantire in tempi ragionevoli e in un quadro di altrettanto ragionevoli certezze il «diritto di vaccinarsi» non sarà solo, come ha avvertito Le Monde, una «immensa sfida logistica»[1] ma anche una prova istituzionale di prima grandezza.
2. Il Piano, la Circolare, il Decreto del Ministro della Salute
Sino ad ora, le uniche risposte di fonte istituzionale a questi interrogativi sono quelle contenute in un atto - il Piano Strategico per la vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 - presentato dal Ministro della Salute al Parlamento il 2 Dicembre 2020 e del quale è stata fornita informativa, alla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato, Le Regioni e le Provincie Autonome di Trento e Bolzano.
Il Piano contiene elementi di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale e reca sul frontespizio i loghi dei soggetti istituzionali che hanno concorso a redigerlo: il Ministero della Salute, il Commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica presso la Presidenza del Consiglio, l’Istituto Superiore di Sanità, Age.na.s ( Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco).
Nel Piano sono esposti dati e informazioni e vengono svolte osservazioni di estrema importanza. [2]
Eccoli in estrema sintesi.
a) La stima della potenziale quantità di dosi di vaccino disponibili ( in milioni) in Italia nel 2021 per trimestre e per azienda produttrice in base agli accordi preliminari di acquisto sottoscritti dalla Commissione europea.
b) Il richiamo dei valori e dei principi ispiratori delle raccomandazioni sui gruppi “target” cui offrire la vaccinazione: equità, reciprocità, legittimità, protezione, promozione della salute e del benessere.
c) L’indicazione di criteri di priorità nella distribuzione dei vaccini che contemplano , in prima battuta, gli operatori sanitari e socio sanitari, i residenti e il personale dei presidi residenziali per anziani, le persone di età avanzata.
Quest’ultima indicazione è corredata da una tabella di stima della numerosità delle categorie prioritarie elaborata sulla base di dati provenienti da più fonti qualificate (ISTAT, Ministero della Salute, Regioni e Commissario Straordinario) secondo cui il totale degli operatori sanitari, di chi vive e lavora nelle residenze anziani e degli over 80 è di 6.416.372 unità mentre le persone dai 60 ai 79 anni sono 13.432.005 e la popolazione con almeno una comorbidità cronica è di 7.403.578.
In una successiva terza fascia sono poi collocati coloro che svolgono servizi essenziali come gli insegnanti e il personale scolastico, gli appartenenti alle forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi in cui vivono comunità.
Anche qui una tabella illustra il rapporto tra volumi di potenziali dosi disponibili e la percentuale di progressiva copertura vaccinale della popolazione.
La circolare del Ministero della Salute –Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, del 24 dicembre 2020, che regola la governance del piano vaccinale e gli aspetti operativi delle vaccinazioni, rinvia poi al Piano per l’individuazione delle categorie target delle vaccinazioni.[3]
La recentissima legge finanziaria del 30 dicembre 2020, n. 178 stabilisce infine che il Ministro della Salute adotta con proprio decreto «avente natura non regolamentare» il piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale.[4]
3. Decideranno le autorità sanitarie?
La prima osservazione sul Piano, sin qui unico atto di enunciazione delle priorità, è che si tratta di un documento elaborato da soggetti dotati di competenze ed operanti in ambito sanitario.
La sua impostazione, pur ispirata ai principi generali prima ricordati, ha dunque di mira l’obiettivo ritenuto fondamentale e preminente dalle autorità sanitarie : la protezione, nella fase iniziale delle risorse scarse, dei soggetti più fragili e maggiormente esposti alle conseguenze letali o invalidanti dell’infezione epidemiologica in atto per poi passare ad altre categorie privilegiate in ragione delle funzioni essenziali svolte.
Sospendiamo per un attimo ogni giudizio di valore su queste opzioni del Piano e sulla loro intrinseca ragionevolezza per domandarci se esse saranno spontaneamente e universalmente condivise dalla miriade di associazioni ed organizzazioni di interessi che compongono, animano e danno voce al “popolo” destinatario delle scelte in campo vaccinale.
Esperienza e realismo suggeriscono che – non appena il problema si porrà in termini di più stretta attualità - la concordanza sui criteri del Piano potrebbe non essere né unanime né spontanea.
Con ogni probabilità entreranno in campo non solo diverse idee e proposte sulle persone da vaccinare per prime (peraltro già emerse nel dibattito pubblico[5]) ma anche prese di posizione e azioni legittimamente dirette a influenzare i decisori politici per privilegiare nella distribuzione del vaccini gruppi di popolazione e operatori dei più diversi settori .
Di qui alcune questioni aperte e ad oggi irrisolte.
Un’operazione complessa e necessariamente progressiva come una vaccinazione di massa potrà trovare nel Piano e negli atti amministrativi che lo richiamano e lo recepiscono una fonte idonea a garantire la piena legittimazione delle priorità adottate, indispensabile per la loro accettazione sociale?
In altri termini: basteranno le previsioni del Piano a disciplinare, con la trasparenza ed il rigore necessari, l’ordine temporale delle vaccinazioni, determinando criteri chiari, precisi e cogenti, non derogabili ad libitum per effetto di iniziative estemporanee variamente motivate (ad es. l’utile esemplarità del gesto di vaccinarsi) o sotto la spinta di pressioni particolari ?
Vi sono più ragioni per dare una risposta negativa , o quanto meno scettica, a tali domande, come si tenterà qui di argomentare.
Ma la prima di queste ragioni è offerta dalla cronaca, se si ha presente il singolare caso di un Presidente di Regione vaccinato tra i primi, in palese difformità dai criteri di priorità enunciati nel Piano senza alcuna conseguenza giuridicamente apprezzabile.
In realtà scostamenti dal Piano e veri e propri strappi saranno possibili perché esso (mentre nei contenuti è più un atto di ragione che di imperio, contenente indicazioni e non comandi) rappresenterà, come mero atto amministrativo, un argine estremamente labile alle improvvisazioni, agli sconfinamenti o a veri e propri abusi e favoritismi.
4. La dimensione politica e istituzionale delle scelte da compiere
Su questa Rivista il tema dei criteri di distribuzione dei vaccini è stato tempestivamente affrontato con ampiezza di sguardo e attenzione al catalogo dei valori costituzionali da Giuseppe Battarino in un articolo intitolato Prime riflessioni su un criterio di distribuzione dei vaccini anti-Sars-Cov-2 costituzionalmente fondato.[6]
Nello scritto si avverte che «se la costruzione…di un catalogo di priorità costituzionalmente fondato può assumere come primo riferimento l’articolo 32 della Costituzione»[7], tale riferimento va inteso in tutta la sua latitudine e complessità.
Se infatti la salute è «fondamentale diritto dell’individuo» e «interesse della collettività», la sua effettiva tutela non implica solo la diretta protezione dei soggetti più deboli e la salvaguardia di un sistema sanitario dotato di personale non contagiato ma reclama una serie di ulteriori condizioni.
Il mantenimento per la generalità dei cittadini della fruizione di beni e servizi essenziali; la garanzia di un efficace sistema di trasporti (dei vaccini e degli altri beni indispensabili) e del flusso di informazioni relative a tali attività; la tutela degli operatori della sicurezza pubblica in grado di assicurare il rispetto delle misure di prevenzione del contagio e l’ordinato afflusso alle vaccinazioni: ecco solo alcuni degli obiettivi da perseguire prioritariamente nel quadro di una strategia mirata alla difesa dall’infezione virale e, insieme, alla salvaguardia della tenuta sociale, economica ed istituzionale che sola può consentire la concreta attuazione del piano delle vaccinazioni contro il virus.
Nella realtà effettuale, poi, come si è già accennato, questi obiettivi verranno assunti, il più delle volte unilateralmente, da rappresentanze professionali, associazioni, partiti, che, anche nel corso dell’epidemia come in ogni altro ambito della vita collettiva, vorranno rappresentare – lo si ripete , del tutto legittimamente – gli interessi di gruppi sociali e di settori del mondo produttivo o dell’amministrazione pubblica.
5. Alla ricerca dell’interesse generale
In un tale contesto la ricerca del “bene comune” da tutti invocata e il perseguimento dell’interesse generale che ognuno auspica non tardano a rivelare tutta la loro problematicità.
Ad avviso di chi scrive la tendenza ad “amministrativizzare” le questioni poste dall’epidemia non può trovare in questo campo applicazioni utili e corrette.
Da un lato il Piano strategico anticovid, sia pure trasfuso in un Decreto del Ministro della Salute, appare inidoneo a regolare e garantire una efficace realizzazione delle priorità nell’accesso ai vaccini .
Dall’altro lato le circolari del Ministro competente, possono utilmente specificare e dettagliare le modalità di attuazione di una vaccinazione di massa ma non deciderne impegnativamente le direttrici di fondo.
E lo stesso vale per uno strumento come il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, l’ormai famoso DPCM.
Sulle pagine di questa Rivista è stata più volte riconosciuta l’opportunità e l’efficacia di questo tipo di atto, rivelatosi indispensabile nelle fasi più acute e mutevoli dell’emergenza sanitaria.
Oggi però non si tratta di “reagire” con tempestività ad eventi imprevisti e imprevedibili ma di “programmare” con il dovuto anticipo un percorso lungo ed arduo che impegnerà soggetti istituzionali diversi e coinvolgerà la generalità dei cittadini.
La complessità delle scelte da compiere, la loro potenziale “tragicità”, i fisiologici conflitti tra interessi e tra istituzioni che su di esse possono innestarsi, ci dicono che non possono essere atti delle autorità sanitarie o provvedimenti amministrativi a sciogliere i nodi aggrovigliati della più vasta campagna di vaccinazione mai realizzata nel Paese.
Tornano alla mente, al riguardo, le parole di un pensatore politico animato da una genuina ispirazione democratica ma anche da un forte senso della realtà come Hans Kelsen: «l’ideale di un interesse generale superiore e trascendente gli interessi dei gruppi…l’ideale di una solidarietà di interessi di tutti i membri della collettività…è una illusione metafisica; più esattamente parlando, questo ideale è una illusione...metapolitica» mentre «data l’opposizione degli interessi…la volontà generale…non può che essere la risultante, il compromesso tra interessi opposti». [8]
Corollario di questa impostazione (che ha influenzato profondamente l’impianto della Costituzione divenendo una sorta di senso comune della nostra democrazia) è che solo al Parlamento può essere affidato il compito di stabilire linee e criteri di soluzione dei contrasti di interesse, dando vita alla “risultante” della volontà generale.
Il «tormento dell’eteronomia»[9] può essere accettato dai cittadini solo se le indispensabili mediazioni sono ricercate e compiute nell’organo che rappresenta le diverse parti del popolo (i partiti) ed è il luogo naturale della dialettica e del compromesso tra interessi differenti o contrapposti da cui scaturisce l’unica volontà generale “possibile” in regime democratico.
6. La legge non è sinonimo di rigidità
E’ alla legge, dunque, che compete, nella morsa dell’epidemia, di «elaborare una strategia, trovare il punto di equilibrio di lungo periodo, decidere le attività da privilegiare e quelle da posporre, garantire le libertà costituzionali».[10]
Conclusione naturale se si considerano gli interessi fondamentali in gioco e ci si ricorda che dalla tempistica delle vaccinazioni possono derivare le sorti di vite umane, il grado delle libertà effettivamente fruibili, la protezione del lavoro, il più o meno rapido rilancio dell’economia e la tenuta complessiva della compagine sociale.
Ed è ancora alla legge che spetta di realizzare un’utile actio finium regundorum nei rapporti tra Stato e Regioni in un ambito nel quale non sono mancate finora tensioni e contraddizioni.
Nella permanente e pressante emergenza dell’epidemia e nei suoi tempi stretti è poi il continuum Governo-Parlamento a doversi attivare facendo ricorso – per una volta in termini pienamente rispondenti al dettato costituzionale - al decreto legge.
Il pericolo che per questa via si irrigidisca, rendendola meno efficace, la strategia delle vaccinazioni può essere scongiurato dall’azione di un legislatore accorto, capace di prevedere, unitamente ad alcuni criteri di fondo, ampi spazi di flessibilità e discrezionalità operativa per i soggetti preposti alle operazioni di attuazione del programma di vaccinazione[11].
Se appare indiscutibile l’esigenza di un percorso step by step, che segua attentamente l’evoluzione delle conoscenze scientifiche sul virus e sulle funzionalità (potenzialmente differenti) dei vaccini via via autorizzati, ad un meditato intervento legislativo spetta di individuare i titolari dei poteri discrezionali e garantirne l’esercizio, evitando la possibile sovrapposizione di interventi e la confusione istituzionale derivanti da un regime di regolamentazione debole.
Del resto la ragionevolezza delle indicazioni di principio e delle direttive generali formulate dalle autorità sanitarie ha già tracciato una strada che il legislatore può imboccare agevolmente, colmando alcune lacune, specificando ulteriormente le priorità, e soprattutto definendo le competenze e sorreggendo, con l’autorità del comando legislativo, un impianto che altrimenti rischia di non reggere all’urto di pressioni particolaristiche.
Il carattere proprio di questo primo intervento sul «diritto di vaccinarsi» e sulle forme della sua attuazione impone di fermarsi qui rinunciando ad ulteriori , pur necessari, approfondimenti.
Al tema del diritto - e in alcuni casi del dovere - di vaccinarsi, questa Rivista si ripromette però di dedicare una costante attenzione nel prossimo futuro dando spazio a più contributi di riflessione destinati ad esplorare il vasto campo di problemi posti dai presidi vaccinali contro l’epidemia: i rapporti tra Stato e Regioni, gli obblighi del datore e gli oneri del lavoratore nel contesto dei rapporti di lavoro, le possibilità di rivolgersi al giudice per far valere diritti e doveri connessi alla vaccinazione e così via.[12]
Un impegno di lunga lena da adempiere mobilitando le competenze specialistiche di magistrati e giuristi raccolti intorno alla Rivista e mettendo a frutto la sensibilità politica ed istituzionale dei diversi autori.
[1] Joséfa Lopez, Covid-19 : pourquoi la livraison des vaccines est un immense défi logistique, Le Monde, 27 novembre – aggiornato il 4 dicembre 2020
[2] Nell’articolo verranno più volti richiamati i contenuti del Piano e le tabelle che lo corredano. Si è perciò preferito pubblicare in allegato l’intero testo del Piano piuttosto che citarne di volta in volta i singoli passaggi. Sotto più profili il Piano nazionale ricalca il percorso tracciato dalla Commissione europea che, in una comunicazione al Parlamento e al Consiglio, ha da tempo fornito agli Stati membri importanti suggerimenti sui gruppi da vaccinare per primi, indicando: i lavoratori del settore sanitario e delle strutture residenziali, che svolgono un ruolo fondamentale nella lotta al virus e sono particolarmente esposti al rischio di infezione; gli ultrasessantenni, specialmente se vivono in RSA; i malati cronici e i pazienti con più malattie (obesi, ipertesi, asmatici, pazienti cardiovascolari, donne in gravidanza); i lavoratori dei servizi essenziali (insegnanti, impiegati del settore agroalimentare o dei trasporti, le forze dell’ordine); le persone che vivono o lavorano in luoghi in cui non è possibile mantenere il distanziamento fisico (carceri o campi profughi, fabbriche, mattatoi); i gruppi più vulnerabili da un punto di vista socio-economico.
[3] La governance del piano vaccinale – si legge nella Circolare - «è assicurata dal coordinamento costante tra il Ministro della Salute, la struttura del Commissario Straordinario, AIFA, ISS, AGENAS, le Regioni e Province Autonome per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, procedurali e di monitoraggio della campagna vaccinale. Al fine di garantire un’azione uniforme su tutto il territorio nazionale, viene attivato un gruppo di lavoro permanente costituito dai referenti regionali e coordinato dalla Direzione Generale Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute. Il coordinamento delle attività relative alla campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2/COVID-19 a livello territoriale è affidato ai Servizi preposti al coordinamento delle attività vaccinali regionali (es. Dipartimenti di Prevenzione). Tali Servizi, oltre ad avere istituzionalmente il compito di coordinare a livello territoriale le azioni di sanità pubblica per il contrasto alla diffusione delle malattie infettive, presentano al proprio interno le competenze e la professionalità per svolgere tale attività».
[4] In questi termini l’art. 1, comma 457 della citata legge finanziaria n. 178 del 2020, Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale per il triennio 2021-2023. Il successivo comma 457 stabilisce poi che il Piano «è attuato dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano che vi provvedono nel rispetto dei princìpi e dei criteri ivi indicati e di quelli di cui ai commi da 457 a 467 (relativi alle attività del personale sanitario ed alle coperture economiche, n.d.r) adottando le misure e le azioni previste, nei tempi stabiliti dal medesimo piano. In caso di mancata attuazione del piano o di ritardo, vi provvede, ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione e previa diffida, il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19, nell’esercizio dei poteri di cui all’articolo 122 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n.27, previa delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie».
[5] Nell’articolo Vaccino & Coronavirus, Criterio etico per la distribuzione cercasi, pubblicato su Avvenire del 14 ottobre 2020, Andrea Lavazza elenca i soggetti - aventi strategie diverse e anche potenzialmente conflittuali in termini di obiettivi, profitti e interessi- che oggi operano sul versante dei vaccini antiCovid: l’iniziativa Covax, che promuove l’accesso al futuro vaccino, capeggiata da Oms, Gavi Alliance e Cepi, due organizzazioni non profit promosse tra gli altri dalla Fondazione Gates; le aziende farmaceutiche; i governi nazionali. Nell’articolo vengono poi esposti i contenuti e la logica di alcune delle principali proposte di distribuzione del vaccino anti-Covid. La prima – scrive l’autore dell’articolo – «è quella dell’Oms, sottoscritta anche da Covax, che prevede in avvio di dare a ciascun Paese dosi in proporzione alla popolazione fino al raggiungimento di una copertura del 3% e di proseguire in questo modo finché si raggiunga il 20% dei cittadini di ogni Stato. In questo modo, si vuole attribuire la stessa considerazione morale a tutti, tuttavia trattare Paesi diversi in modo uguale può non essere equo né efficiente. La seconda proposta basa invece il criterio di distribuzione sul numero di medici e infermieri in prima linea, sulla percentuale di popolazione over 65 e sul numero di persone con gravi patologie. L’idea è proteggere i più fragili e di evitare il tracollo del sistema sanitario, non vi è però garanzia che si salvino più vite né si impedisca il tracollo economico (letale quasi quanto la pandemia). Alla luce delle critiche ai modelli citati, 19 epidemiologi, filosofi e giuristi hanno pubblicato qualche settimana fa sulla rivista Science un’alternativa più complessa, definita "Fair Priority Model". La "priorità equa" verrebbe perseguita individuando tre fasi- obiettivo (1. ridurre le morti premature; 2. ridurre le conseguenze economiche e sociali gravi; 3. ritornare alla situazione ante-virus). La metrica impiegata più importante è quella degli anni attesi di vita persi, ovvero, brutalmente, la tutela di un giovane viene anteposta a quella di un anziano, perché il primo ha più tempo da vivere. La priorità nei vaccini andrebbe dunque ai Paesi capaci di ridurre più “anni persi” per dose di vaccino. E ciò sarebbe in linea con i valori che prescrivono di evitare gravi danni e di aiutare prima i più deboli dando uguale valore a una vita salvata alla stessa età senza distinzione di Stati. E così via per le altre fasi-obiettivo. Obiezioni rilevanti si possono muovere anche contro questo modello, non ultima la difficoltà di calcolare sul campo le metriche. La discussione però è utilissima e, in attesa del vaccino, stimola la ricerca di una ricetta che sia davvero etica e praticabile».
[6] G. Battarino, Prime riflessioni su un criterio di distribuzione dei vaccini anti-Sars-Cov-2 costituzionalmente fondato, in questa Rivista on line, 24.11.2020 . All’articolo si rinvia anche per le citazioni di precedenti articoli sul tema dell’emergenza Covid.
[8] H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, Bologna, Il Mulino, 1998, Nuova edizione italiana a cura di M. Barberis, pp. 68-69.
[9] L’espressione è ancora di H. Kelsen, op. cit., p. 45.
[10] Così sia pure in un diverso contesto , M. Bignami, Le fonti del diritto tra legalità e legittimità nell’emergenza sanitaria, in Questione Giustizia Trimestrale 2/2020.
[11] Come ricorda Giulia Cavalcanti in un articolo su Sanità Informazione del 15 ottobre 2020, Vaccino Covid -19, a chi saranno somministrate le prime dosi? Le indicazioni della Commissione Europea, la Commissione potrà fornire agli Stati membri informazioni ulteriori rispetto a quelle già fornite «quando saranno note le specificità del vaccino che sarà autorizzato. Se infatti sarà efficace contro il peggioramento della malattia, dovrà essere somministrato in via prioritaria ai gruppi più vulnerabili; ma se sarà invece in grado di interrompere la trasmissibilità del virus, dovrà essere dato prima ai gruppi che più probabilmente diffondono la malattia. Altri elementi che gli Stati dovranno tenere in considerazione sono la situazione epidemiologica specifica del Paese al momento della distribuzione del vaccino, la demografia, l’organizzazione e la capacità sanitaria messe in campo, eccetera. E se all’inizio l’obiettivo della vaccinazione dovrà essere la riduzione del tasso di mortalità e dell’impatto della pandemia sui servizi essenziali, in un secondo momento dovrà servire a ridurre le restrizioni e l’impatto economico e sociale».
[12] Sulle molteplici questioni poste dalla pandemia cfr. il fascicolo 2/2020 di Questione Giustizia Trimestrale intitolato Il diritto nell’emergenza interamente dedicato a tale problematica.