Il libro Giovani e anziani nella crisi. Generazioni diverse che possono ancora parlarsi e darsi la mano, a cura di Luca Fè D’Ostiani (Aracne editrice, 2021), affronta il tema del dialogo intergenerazionale, questione che finora ha suscitato scarso interesse nella letteratura specialistica. Scritto a più mani da autori che provengono da vari settori disciplinari, dalla filosofia alla storia, dall’ingegneria alla medicina, il filo rosso che lega i contributi del volume si dipana attraverso l’analisi del rapporto fra generazioni. Esso viene esaminato a partire da una preliminare distinzione fra i cosiddetti millennial, ovvero coloro che sono nati a cavallo fra la fine del 900 e l’inizio del nuovo secolo e i baby boomer, corrispondenti alle generazioni degli anni Cinquanta e Sessanta. Da un lato, vi sono i contributi di giovani fra i venti e i trent’anni, in gran parte appartenenti ai nativi digitali e, dall’altro, di autori avanti negli anni.
I millennial testimoniano, come peraltro emerge da molti studi e ricerche effettuate in Italia in quest’ultimo decennio, un profondo senso di incertezza circa il proprio futuro, minato da ciò che Zigmunt Bauman definisce nei termini di insicurezza esperienziale, ovvero la difficoltà di ricapitolare entro un progetto coerente la propria identità e immagine di sé. Così un dottorando in astrofisica riferisce del senso di precarietà che permea la sua esistenza, sollecitandogli un continuo atteggiamento di adattamento alle circostanze, mentre una laureata in scienze sociali ricorda che molti giovani preferiscono trovare altrove la loro realizzazione perché in Italia vivere è troppo difficile, per non dire, infine, della loro consapevolezza di aspettarsi un futuro peggiore rispetto alla generazione che li ha preceduti. Eppure, assieme a tutto ciò, emerge anche un altro atteggiamento: la mancanza di sicurezze viene vissuta come un ampliamento di opportunità. La percezione di precarietà vissuta dai millennial dà luogo a due risposte sensibilmente diverse, tanto che potremmo parlare di due “tipi” psicologici: gli uni resistono ai cambiamenti e aspirano a maggiori certezze, mentre gli altri, al contrario, vanno incontro alla loro condizione di precarietà interpretandola come un’occasione di ampliamento delle loro opportunità.
I baby boomer, con maggiore sguardo analitico facilitato dal vivere una situazione professionale e familiare sensibilmente diverse, esaminano le differenze fra le due generazioni. Per un verso, la maggiore capacità di adattamento ed elasticità richiesta a chi si affaccia al mondo del lavoro predispone le giovani generazioni al lavoro di squadra più di quanto non avvenisse in passato. Nel passaggio da una gestione verticale delle aziende ad una “orizzontale”, dove il dirigente assume più le caratteristiche di coordinatore che di capo di tipo tradizionale, i giovani possono trovare un ambiente di lavoro consono alla loro intraprendenza e spirito di adattamento. Per l’altro, restano tuttavia aperti problemi di più ampio respiro, come ad esempio l’assenza di efficaci politiche volte a facilitare l’ingresso delle giovani generazioni nel mondo del lavoro, consentendo loro autonomia economica dalla famiglia di origine. Non per caso, l’Italia è il paese nel quale in giovani restano all’interno dell’originario alveo familiare più a lungo di altri paesi europei: nonni e genitori anziani forniscono un aiuto economico indispensabile a nipoti e figli in attesa che questi trovino una collocazione professionale adeguata alle loro aspettative professionali, stabilendo così, di fatto, una implicita alleanza intergenerazionale fra giovani e anziani.
Il volume termina con alcune proposte articolate su più piani, tutte indirizzate a stabilire nuove forme di comunicazione intergenerazionale. Sul piano locale, vengono proposti programmi di alfabetizzazione digitale degli anziani da parte dei nativi digitali da svolgersi all’interno di associazioni di volontariato e di quartiere, mentre sul piano politico-istituzionale viene prospettata la necessità di stabilire “quote giovani” nei diversi ambiti decisionali, si tratti delle elezioni politiche che dei consigli di amministrazione di società quotate in borsa, analogamente a quanto già avviene per le “quote rosa”.