Come osservava qualche anno fa Maurizio Ambrosini, «[o]ccorre un certo coraggio per proporre una “sociologia dell’accoglienza” nell’Italia di oggi»[1]. Salvo che per quella parte di immigrazione motivata da ragioni lavorative e proveniente da paesi tendenzialmente ricchi (sviluppati o in via di sviluppo), come tale nemmeno inclusa nel dibattito pubblico (e nella retorica) generale[2], la questione della gestione dei flussi di migranti in ingresso, delle politiche di accoglienza e del necessario bilanciamento tra esigenze, da un lato, di solidarietà, rispetto dei diritti fondamentali e di valori costituzionali condivisi a livello europeo e internazionale, dall’altro, di sicurezza pubblica e di sostenibilità (sociale, economica, lavorativa), è tra le più complesse, divisive, incerte, (ma anche ineludibili) tematiche che lo Stato italiano e l’Europa intera si trovano ad affrontare nella contemporaneità[3].
L’interesse comune alla costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’ambito dell’Unione europea, cui presiede un’amministrazione ordinata e condivisa del fenomeno migratorio, avrebbe presupposto il pervenire ad un avvicinamento delle discipline vigenti a livello statale, nonché il coordinamento tra i diversi piani normativi e applicativi coinvolti. Diversamente, si è assistito negli anni ad una copiosa stratificazione di regole internazionali, sovranazionali e nazionali poco armonizzate e definite, ben lontane dalla possibilità di essere inquadrate in una visione europea complessiva e dunque poco resistenti alle inflessioni politiche e mediatiche richiamate dalla materia a livello locale.
Distinguere le diverse categorie di immigrati, definirne numeri, specificità, necessità e percorsi di integrazione è divenuto sempre più difficile; e non solo per le crescenti difficoltà legate al fenomeno e al quadro normativo frammentato e confuso, ma per le strumentalizzazioni (complice la presentazione di dati statistici spesso gonfiati e non veritieri[4]) che della questione migratoria sono state fatte, e che hanno contribuito a diffondere l’idea, ad esempio, che impedire gli sbarchi o gli arrivi irregolari significhi fermare l’immigrazione[5]. Avere dunque una visione di insieme, esaustiva e corretta della questione e dei suoi molteplici risvolti è alquanto difficile, ma al tempo stesso necessario per approntare politiche efficaci e di lungo periodo.
Soprattutto nell’ultimo decennio, il legislatore italiano si è limitato ad intervenire in modo settoriale (e finanche “chirurgico”) su singoli e specifici aspetti del problema, spesso in risposta a precisi adempimenti europei e in senso tendenzialmente restrittivo dell’accesso e della possibilità di accoglienza dei migranti in arrivo al confine italiano.
Il presente contributo non ha la pretesa di ricostruire il quadro giuridico italiano in materia, bensì di esaminare un singolo e specifico aspetto, ovvero quello relativo all’ingresso di stranieri irregolari; la sua disciplina, infatti, è divenuta negli anni più stringente e attenta ai profili di sicurezza pubblica e di lotta al traffico illecito di migranti, anche oltre gli standard imposti dalla normativa internazionale ed europea e a discapito di contrapposte esigenze di solidarietà. Al contempo, essa è stata oggetto di una recente pronuncia della Corte costituzionale italiana che sembra porsi in linea con quanto affermato nel 2018 dal Conseil constitutionnel francese in merito all’ingresso irregolare di stranieri e, più in generale, alla necessità per il legislatore di pervenire, in ossequio ai principi fondamentali di solidarietà, ragionevolezza e proporzionalità, ad un più attento bilanciamento degli interessi coinvolti[6].
Nella decisione n. 2018-717/718 QPC del 6 luglio 2018, più precisamente, il Conseil constitutionnel aveva inteso circoscrivere il c.d. délit de solidarité, contemplato nell’allora vigente art. L. 622-1 del Code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (CESEDA), alla sola ipotesi di aiuto all’ingresso in Francia dello straniero irregolare, ritenendo invece contrario a Costituzione il reato di aiuto alla circolazione (oltreché al soggiorno) dello stesso, se motivato da ragioni esclusivamente umanitarie. Dal concetto di fraternité, per la prima volta espressamente richiamato quale «principe à valeur constitutionnelle», il Conseil deduceva infatti quella «liberté d’aider autrui», implicita nel fine solidaristico, che non può tener conto della regolarità o meno della circolazione dello straniero e deve essere attentamente considerata dal legislatore nel bilanciamento con esigenze di ordine pubblico. Sanzionando penalmente ogni forma di aiuto alla circolazione, compresa quella mossa da fini solidaristici, secondo il Conseil, il legislatore non avrebbe garantito un giusto contemperamento dei diversi interessi in gioco. La non punibilità limitata all’aiuto al soggiorno (e non anche alla circolazione) è da ritenersi eccessivamente restrittiva e, pertanto, contraria alla Costituzione perché in contrasto con il principio di fraternità. Quest’ultimo, d’altro canto, non comporta il riconoscimento allo straniero di un diritto assoluto di soggiorno e circolazione sul territorio francese (che rimane comunque bilanciabile) e non giustifica il comportamento di chi, pur motivato da intenti umanitari, agevola l’ingresso irregolare in Francia: la differenza di disvalore tra il contribuire a «creare» e il contribuire a «mantenere» una situazione di illegalità giustifica il mero ridimensionamento del délit de solidarité, e non anche la sua definitiva cancellazione. Inoltre, quel riferimento allo scopo «esclusivamente» umanitario, come tradotto poi dalla successiva legge su asilo e immigrazione del 2020, ha di fatto aperto la porta alla possibilità di condannare persone che agiscono per finalità «anche» politiche o militanti.
Ad ogni buon conto, malgrado la decisione non si spinga al punto di censurare il delitto di favoreggiamento all’ingresso clandestino, il richiamo esplicito a valori fondamentali e tradizionali come la fraternità ha inteso ribadire l’opportunità di interventi legislativi equilibrati e non «disproportionnés» rispetto ai fini perseguiti. Nella medesima direzione tracciata dal Conseil constitutionnel è sembrata più recentemente porsi anche la Corte costituzionale italiana che, con la sentenza n. 63 del 10 marzo 2022, ha aperto una breccia nella disciplina penale sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, introdotta in Italia ad opera della legge n. 39 del 1990 (c.d. legge Martelli) e oggi contenuta essenzialmente nell’art. 12 del d.lgs. n. 286/1998 (Testo Unico immigrazione, più volte modificato, da ultimo con la legge n. 94 del 2009 contenente «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»).
Tale disciplina costituisce in parte attuazione di obblighi internazionali e sovranazionali e persegue il comune obiettivo di lotta all’immigrazione clandestina, sotteso al Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria (c.d. Protocollo di Palermo), ma anche al c.d. Facilitators Package dell’Unione europea (combinato disposto della decisione quadro 2002/946/GAI e della direttiva 2002/90/CE, entrambe del Consiglio). L’adempimento di tali obblighi da parte del legislatore italiano si è tuttavia spinto ben oltre quanto richiesto a livello internazionale ed europeo. La stessa direttiva 2002/90/CE impone a ciascun Stato membro l’adozione di sanzioni «appropriate» nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti uno straniero ad entrare o transitare nel territorio in violazione della legislazione statale; tuttavia, essa consente allo Stato di decidere di non adottare sanzioni riguardo a comportamenti che abbiamo il solo scopo di prestare assistenza umanitaria alla persona interessata.
Il comma 1 dell’art. 12 t.u. immigrazione così recita: «[s]alvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona». In linea con la disciplina francese, il comma 2 del t.u. aggiunge che «non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizione di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato». Tuttavia, il comma 3 prevedeva (fino alla pronuncia in esame) un significativo inasprimento della cornice edittale al ricorrere di cinque circostanze aggravanti; in aggiunta alla multa, già prevista per il delitto base, la reclusione veniva infatti portata da cinque a quindici anni (quintuplicando il minimo e triplicando il massimo) nelle seguenti ipotesi:
«a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone;
b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;
c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale;
d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti;
e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti».
Le pene sono poi ulteriormente aumentate nel caso in cui concorrano due o più delle ipotesi considerate (comma 3-bis), emergano finalità di prostituzione, sfruttamento sessuale o lavorativo, l’ingresso riguardi minori da impiegare in attività illecite ovvero qualora i fatti siano stati commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto (comma 3-ter).
La pronuncia della Corte costituzionale n. 63/2022 prende in esame, in particolare, due sottoipotesi di aggravante speciale: quelle contemplate nella lett. d) del comma 3 dell’art. 12 t.u. immigrazione, relative all’utilizzo di servizi internazionali di trasporto ovvero di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. La questione era stata infatti portata all’attenzione del giudice costituzionale dal Tribunale di Bologna in riferimento al caso di una donna di origine congolese, giunta all’aeroporto di Bologna nel 2019 insieme alla figlia e alla nipote, entrambe minorenni, esibendo passaporti falsi. La donna era stata subito arrestata con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, aggravato dall’utilizzo di un servizio di trasporto internazionale e di documenti contraffatti.
La Corte muove il suo ragionamento rilevando, innanzitutto, l’oggetto di tutela comune all’intera gamma delle ipotesi delittuose descritte dall’art. 12 t.u. immigrazione: la gestione ordinata dei flussi migratori. Quest’ultima costituisce, secondo una consolidata giurisprudenza costituzionale (v. sent. n. 250/2010), un «bene giuridico strumentale» alla salvaguardia di svariati beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettibili di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata, ovvero, in particolare, gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica (considerato in diritto n. 4.2). In tal senso, la previsione di una sanzione penale di carattere detentivo (reclusione da uno a cinque anni) per il reato base di favoreggiamento all’ingresso irregolare può dirsi proporzionata rispetto al fine perseguito, nonché perfettamente in linea con le misure imposte dalla normativa europea.
Risulta invece «manifestamente irragionevole» (e anche «un’assoluta anomalia “intrasistematica” rispetto alle scelte sanzionatorie del codice penale e della legislazione di settore» - considerato in diritto n. 4.4) il drastico innalzamento della cornice edittale (da cinque a quindici anni) previsto per le ipotesi aggravate attribuite nel caso in questione (utilizzo di servizi internazionali di trasporto e di documenti falsi), poiché né l’una né l’altra condotta implicano necessariamente il coinvolgimento dell’agente in attività di traffico internazionale di migranti. Occorre infatti distinguere, e dunque differenziare nel trattamento sanzionatorio, l’illecito commesso “una tantum” da singoli individui o gruppi di individui che, in ragione del particolare legame con il migrante agevolato, prestano aiuto per finalità diverse, comunque altruistiche e senza scopo di lucro: trattasi di fenomeno radicalmente diverso da quello realizzato con l’attività di trasporto illegale di migranti posta in essere a scopo di lucro da organizzazioni criminali.
Tale differenza si riflette, infatti, sul piano criminologico, nel trattamento ben più severo previsto dalle circostanze aggravanti di cui ai commi 3, 3-bis e 3-ter dell’art. 12 t.u. immigrazione[7]. Come la Corte aveva già avuto modo di affermare nella sentenza n. 331/2011, la figura delittuosa in considerazione «viene (…) a ricomprendere fattispecie concrete marcatamente differenziate tra loro», che possono assumere «le più disparate connotazioni». È ragionevole, dunque, distinguere «il fatto ascrivibile ad un sodalizio internazionale, rigidamente strutturato e dotato di ingenti mezzi, che specula abitualmente sulle condizioni di bisogno dei migranti, senza farsi scrupolo di esporli a pericolo di vita», dall’azione (pur illecita) di aiuto solidale commessa dal singolo o da gruppi senza finalità di lucro: in ragione della eterogeneità delle fattispecie rinvenibili in concreto, la Corte dichiara quindi illegittima la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere.
In caso di favoreggiamento individuale o altruistico, peraltro, lo straniero risulta essere “beneficiario” della condotta illecita, e non “vittima” della stessa, come invece accade quando esposto, per fini criminali e di profitto, a pericolo per la propria vita o incolumità, a trattamenti inumani e degradanti o al rischio di sfruttamento sessuale o lavorativo. La maggiore severità punitiva trova infatti ragione nella volontà di proteggere anche i diritti fondamentali delle persone trasportate o illegalmente introdotte nel territorio dello Stato, e non solo l’ordine pubblico e la sicurezza dei confini (sent. n. 142/2017). Anche per questo motivo, l’aggravante censurata risulta affetta da manifesta irragionevolezza: le modalità di condotta selezionate sono «radicalmente prive di surplus di disvalore rispetto alla fattispecie base» (nel caso di utilizzo di servizi internazionali di trasporto) o risultano già adeguatamente sanzionate (nel caso di utilizzo di documenti contraffatti, alterati o illegalmente ottenuti) nell’ambito dei reati di falso. Inoltre, vista la dimensione transnazionale del fenomeno dell’immigrazione irregolare, tali modalità di condotta sono da ritenersi assolutamente ordinarie e persino «fisiologiche»[8].
In definitiva, la Corte costituzionale (come il Conseil constitutionnel aveva già fatto) ribadisce (certamente) la rilevanza e meritevolezza del bene giuridico sotteso alla disciplina - la gestione ordinata dei flussi migratori -, e riconosce al legislatore discrezionalità nel regolare gli ingressi sul territorio italiano e nel contemperare, con esigenze di solidarietà, interessi ugualmente protetti dall’ordinamento, quali la sicurezza e l’ordine pubblico. Al tempo stesso, il giudice costituzionale sembra voler attenuare l’eccessivo rigore della disciplina italiana, non giustificabile a motivo dell’attuazione di obblighi internazionali e dell’Unione europea (ben più contenuti nelle misure richieste), e nemmeno a confronto con altri paesi europei; compresa la Francia, ove il ricorso a servizi internazionali di trasporto è irrilevante ai fini delle aggravanti previste dall’art. 622-5 del CESEDA, mentre l’uso di documenti falsi è punibile ai sensi dell’art. 441-1 del Code pénal (con una pena detentiva fino a tre anni e 45 mila euro di amende).
La Corte inoltre richiama il legislatore ad una più attenta considerazione e specificazione delle fattispecie rinvenibili in concreto, cui deve conseguire una diversa modulazione nell’esercizio del potere punitivo. Sulla base di considerazioni analoghe, non è escluso, allora, che la censura delle due sottoipotesi esaminate possa aprire la strada ad una incostituzionalità più ampia ed estesa ad altri profili della disciplina.
Infine, la decisione della Corte costituzionale italiana segue di poco e con argomentazioni senz’altro vicine la traccia segnata dal Conseil constitutionnel francese, lasciando supporre, con cauto ottimismo, la possibilità di intraprendere una strada comune, cui potrebbero aggiungersi altre corti europee. Il richiamo argomentativo a principi e valori condivisi, quali la solidarietà, l’uguaglianza, la ragionevolezza e proporzionalità della sanzione penale, potrebbe persino impartire una nuova direzione in Europa, ridefinendo, e con segno marcatamente più garantistico, i contorni di una materia tra le più complesse e problematiche nel contesto europeo.
[1] M. Ambrosini, Prefazione, in M. Omizzolo, Essere migranti in Italia. Per una sociologia dell’accoglienza, Maltemi editore, Milano, 2019, p. 9; v. anche Id., Sociologia delle migrazioni, il Mulino, Bologna, 2005.
[2] Lo stesso M. Ambrosini parla di una vera e propria «sindrome da stato d’assedio», in L’invasione immaginaria. L’immigrazione oltre i luoghi comuni, Laterza, Milano, 2020, spec. p. 9.
[3] Si consenta un riferimento a S. Benvenuti, W. Chiaromonte, Ingresso, lavoro e integrazione degli stranieri in Francia. Politiche in atto per una immigration choisie, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2021, p. 381 ss.
[4] Si veda il report di ISPI, Le migrazioni del 2021, presentato nel luglio 2021.
[5] Vedi, per approfondimenti, M. Omizzolo, Essere migranti in Italia. Per una sociologia dell’accoglienza, Maltemi editore, Milano, 2019.
[6] Si consenta il riferimento a S. Benvenuti, Il Conseil constitutionnel cancella il délit de solidarité… o no? L’aiuto all’ingresso, al soggiorno e alla circolazione di stranieri irregolari nel territorio francese in una recente decisione del Conseil constitutionnel, in Questione Giustizia, 7 settembre 2018, https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-conseil-constitutionnel-cancella-il-delit-de-so_07-09-2018.php
[7] Sul punto, v. S. Zirulia, La Corte costituzionale sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: illegittima l’aggravante che parifica il trattamento sanzionatorio dei trafficanti a quello di coloro che prestano un aiuto per finalità solidaristiche, in Sistema penale, 23 marzo 2022.
[8] Si veda in proposito l’opinione scritta presentata in veste di amicus curiae dall’Accademia di Diritto e Migrazioni (ADiM).