Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

Il parere n. 23(2020) del CCJE (Consiglio consultivo dei giudici europei) sulle associazioni dei giudici e l'esperienza italiana

di Edmondo Bruti Liberati
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

Il Consiglio Consultivo dei Giudici Europei - CCJE ha dedicato il suo parere annuale all’associazionismo giudiziario e al suo ruolo nell’autogoverno e nell’attuazione dello stato di diritto. Un commento di Edmondo Bruti Liberati lo illustra e lo contestualizza nelle vicende dell’associazionismo italiano. Raffaele Sabato ci ricorda il ruolo del Consiglio d’Europa e dei suoi organi nella costruzione degli standard europei in materia di giustizia

1. Associazioni di giudici e procuratori

L’associazionismo dei magistrati non solo si fonda su un diritto fondamentale di libertà dei magistrati, ma è stato anche incoraggiato come elemento di crescita della coscienza professionale già in un testo adottato a livello Onu nel 1985[1].

Nella stessa direzione si sono mosse diverse iniziative, tra le quali si segnalano in particolare quelle adottate nell’ambito del Consiglio d’Europa. Nella Magna carta dei giudici approvata nel 2010 dal Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE) il tema è affrontato al §12: «I giudici hanno diritto di aderire ad associazioni di magistrati, nazionali o internazionali, con il compito di difendere la missione della magistratura nella società».

La Raccomandazione (2012) 12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su Giudici: Indipendenza, efficienza e responsabilità che al § 25 detta: «i giudici devono essere liberi di formare o aderire a organizzazioni professionali che abbiano come obbiettivo di difendere la loro indipendenza, proteggere i loro interessi e promuovere lo Stato di diritto», ha segnato un passaggio fondamentale. 

Il tema delle associazioni dei giudici è trattato nel capitolo III dedicato all’indipendenza interna; l’associazionismo è visto come fattore per la democratizzazione e contrappeso alla organizzazione gerarchica: «Il principio dell’indipendenza del potere giudiziario comporta l’’indipendenza di ogni singolo giudice nel momento in cui esercita le sue funzioni. Nel momento decisionale i giudici devono essere indipendenti ed imparziali e in condizioni di operare al di fuori di ogni restrizione, indebita influenza, pressione, minaccia o interferenza., diretta o indirettta da parte di ogni autorità, comprese quelle interne al sistema giudiziario. L’organizzazione gerarchica non deve limitare la indipendenza del singolo giudice» (§ 22). 

Agli obbiettivi delle associazioni indicati nei testi precedenti: difesa dell’indipendenza e protezione degli interessi professionali, si aggiunge quello della promozione dello Stato di diritto. In questo modo, pur rimanendo ovviamente l’obbiettivo di base della tutela degli interessi professionali, quello della difesa dell’indipendenza, una volta connesso alla promozione dello Stato di diritto, indica il superamento di una concezione corporativa dell’indipendenza.

L’articolato parere n.23(2020) del CCJE Consiglio Consultivo dei Giudici Europei sulle associazioni dei giudici approvato il 6 novembre 2020 (di qui innanzi semplicemente il Parere) costituisce il punto di approdo di questa elaborazione.

Si parla di “associazioni di giudici”, come è naturale dato l’organismo che ha formulato il parere e la grande differenza che si registra tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa in relazione al ruolo e allo status del pubblico ministero. Ma a dispetto di queste differenze in diversi strumenti europei sono segnalati principi comuni per giudici e pubblici ministeri: «Le qualità richieste ai procuratori sono simili a quelle richieste ai giudici»[2].

Fondamentale al riguardo la Dichiarazione di Bordeaux adottata congiuntamente dai due Comitati Consultivi dei Giudici e dei Procuratori Europei (CCJE Opinion no.12 (2009) and CCPE Opinion No.4 (2009) su Giudici e procuratori in una società democratica[3]:

«3. Il ruolo distinto, ma complementare dei giudici e dei procuratori è una garanzia necessaria per una giustizia equa, imparziale ed efficace.  Giudici e procuratori devono essere entrambi indipendenti nell’esercizio delle loro funzioni; devono inoltre essere ed apparire indipendenti gli uni di fronte agli altri.

«10. La condivisione di principi giuridici e di valori etici comuni da parte di tutti i ruoli professionali coinvolti nel processo è essenziale per una buona amministrazione della giustizia […]».

Nella Nota esplicativa della Dichiarazione di Bordeaux in questo quadro è affrontato il tema delle associazioni professionali:

«Il rispetto dei principi sopra menzionati implica che lo status dei procuratori sia garantito dalla legge al più alto livello possibile in maniera analoga a quello dei giudici. La contiguità e la complementarietà delle missioni dei giudici e dei procuratori determina simili presupposti e garanzie per quanto riguarda reclutamento, formazione, sviluppo della carriera, disciplina, trasferimenti (che devono essere disposti solo secondo le previsioni di legge o con il consenso dell’interessato), remunerazione, messa a riposo e libertà di  fondare associazioni professionali» (§37)[4]

Il terzo rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati del 24 giugno 2019 riguarda l’esercizio della libertà di espressione, di associazione e di pacifica riunione da parte dei giudici e dei pubblici ministeri[5]. Nel presentare il Rapporto il Relatore speciale Diego García-Sayán ne sintetizza lo spirito:

«Gli standards internazionali  riconoscono che, come tutti gli altri cittadini, giudici e procuratori hanno il diritto di libertà di espressione, opinione, associazione e riunione  su una base di parità con gli altri».

«Il completo isolamento di un giudice o di un procuratore dalla comunità in cui vive non né possibile, né auspicabile[…]»[6].

In questo quadro il Parere dà atto che «possono essere membri dell’associazione dei giudici anche i pubblici ministeri, in particolare ove vi è un carriera comune per giudici e pubblici ministeri» (§11 in fine).

 

2. Un secolo di associazionismo giudiziario in Italia. Anm: una associazione di associazioni

Nel corso della sua storia l’associazionismo giudiziario in Italia si è confrontato con molte delle questioni trattate nel Parere.

Essendo nella Italia unita giudici e pubblici ministeri parte di un’unica carriera (pur se con statuto e garanzie non poco differenziate) è naturale che l’AGMI Associazione Generale fra i Magistrati d’Italia, fondata nel 1909, comprenda pacificamente giudici e pubblici ministeri. Si tratta di una associazione su base volontaria, che grazie al rapido incremento degli aderenti, appartenenti a diversi livelli di giurisdizione, acquisisce sin dagli esordi una rilevante rappresentatività (Parere § 6 e7).

Un’ associazione fondata su ordinamento interno democratico (Parere §62), su una base di eguaglianza tra tutti i suoi membri, indipendentemente dal livello di carriera, mette in crisi la organizzazione gerarchica. Il “pericolo” è immediatamente colto dall’ “alta“ magistratura e dal governo. Luigi Lucchini, presidente di sezione della corte di Cassazione di Roma, professore universitario e deputato, sulla Rivista penale da lui diretta assume un atteggiamento fortemente critico.

Netta è l’ostilità mostrata dal ministro Guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando, il quale in una intervista al Corriere d'Italia del 23 agosto 1909 a proposito della fon­da­zione dell'Agmi, dopo aver espresso «dubbi gravissimi sulla pos­si­bilità che l'iniziativa produca frutti utili e degni», affron­ta senza infingimenti un nodo centrale: «la magistratura ita­liana ha una costituzione rigorosamente gerarchica ...  la gerar­chia ne costituisce l'essenza»[7]. Il ministro Orlando coglie con grande puntua­lità (e se ne allarma) i caratteri essenziali del fenomeno associativo: la rottura della separatezza della casta, l’apertura alla società, la messa in crisi del principio gerarchico; ma non adotta provvedimenti restrittivi.

La situazione cambia con il consolidamento del regime fascista. Non sono tollerate libere associazioni a meno che si trasformino in associazioni di regime. A seguito del rifiuto dei dirigenti di trasformare l'associazione in sindacato fascista, l'assemblea generale tenuta il 21 dicembre 1925 delibera lo scioglimento dell'Agmi; i suoi dirigenti sono destituiti dalla magistratura[8].

Il tema delle ingerenze dei governi, fino alla soluzione estrema dello scioglimento, a distanza di un secolo e nonostante le affermazioni di principio è tanto attuale e vivo in diversi Stati membri del Consiglio d’Europa che il Parere si esprime nettamente sul punto nelle Conclusioni al n. 3:

«Gli Stati membri devono stabilire il quadro nel quale i giudici possono effettivamente esercitare il loro diritto alla libertà di associazione e alla libertà di espressione e devono astenersi da ogni intervento che rischi di limitare l’indipendenza delle associazioni dei giudici».

Nel Parere si sottolinea che «pressioni ed influenze possono essere esercitate indirettamente sui giudici e sul potere giudiziario ove una influenza sia esercitata sulle associazioni dei giudici» (§55); dettagliate sono le indicazioni volte a precludere tali ingerenze (§48 c),48 e),80, 82).

Il libero associazionismo dei magistrati italiano con l ’Anm ricostituita alla caduta del fascismo nel 1945 si è immediatamente confrontato con quanto indicato nel Parere alla Conclusione n.6 :

«Per il loro ruolo e la loro attività le associazioni di giudici possono apportare un contributo decisivo al funzionamento del sistema giudiziario e allo Stato di diritto».

Il contributo dell’Anm all’elaborazione della Costituzione per la parte sull'ordinamento giudiziario presenta una ambivalenza: l'affermazione del principio di indipendenza rispetto all'esecutivo è unita alla difesa dell'organizzazione gerarchica con la Corte di cassazione al vertice, in un’ottica di chiusura corporativa. Nelle proposte dell'Anm si attribuisce alla Cassazione il controllo di costituzionalità delle leggi e, quanto al Csm, lo si vorrebbe formato di soli magistrati, con esclusione di ogni presenza di laici. Due poli convivono da sempre nell’Anm: rivendicazione di indipendenza che pone l'associazione in consonanza con i settori più avvertiti della cultura giuridico-istituzionale, ma insieme pesanti tributi ad una ideologia cor­­porativa che tendono a tagliar fuori la magistratura dal vivo del dibattito nella società.  

Al vertice della ricostituita Anm sono i magistrati dirigenti dell’Agmi, che nel 1925 erano stati destituiti dal regime. Ma la cultura della magistratura è molto più arretrata di quella dei costituenti che  resistono a queste sollecitazioni: infatti all'esito di un difficile confronto, il titolo IV della Costituzione dedicato alla magistratura risulta fortemente innovativo.

Il principio di indipendenza della magistratura in quanto corpo, la cosiddetta indipendenza esterna, è posto in termini tradizionali. La novità radicale, la «rivoluzione»[9] è rappresentata dal Csm. il quale, per la composizione e le attribuzioni, è posto come garante non solo della indipendenza esterna, ma anche dell’indipendenza interna. La indipendenza interna è assicurata dall'art. 101 co. 2 («I giudici sono soggetti soltanto alla legge»), che, ponendo in primo piano la posizione del singolo giudice, segna una rottura rispetto alla tradizionale organizzazione gerarchica.

 L'accentuazione del "soltanto" costituirà la base dell'impegno per l'indipendenza interna e per una più puntuale attuazione del principio del giudice naturale previsto dall’art.25. Il potere giudiziario, strutturato come potere “diffuso”, è “affidato, nella sua interezza a ciascun organo giurisdizionale, il quale, nel momento in cui si pronuncia è il potere”[10].

Il carattere di potere “diffuso” è ribadito dall’art 1 della Legge Costituzionale n.1/1948: «La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel  corso del giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata è rimessa alla Corte Costituzionale per la sua decisione».

L’omaggio dell’Anm alla Costituzione rimane a lungo formale e chiuso nei confini di una rigida chiusura corporativa; ne è indice l’atteggiamento di rifiuto verso ogni critica delle sentenze e dei provvedimenti giudiziari. I vertici dell’Anm sono tutti magistrati di Cassazione e, come noto, nessuna significativa epurazione si era verificata per la magistratura dopo la caduta del regime fascista.

Eppure ineluttabilmente operano le dinamiche proprie di una libera associazione verso la democratizzazione interna e l’apertura della corporazione, che il ministro Vittorio Emanuele Orlando aveva colto e paventato già nel 1909.

A dieci anni dalla Liberazione si cominciano a vedere i risultati dei processi evocati nel Parere:

«Uno degli evidenti obbiettivi di una associazione di giudici consiste nel creare una rete tra i suoi membri.[…] Il fatto di offrire ai giudici possibilità di dialogo e di critica reciproca contribuisce a migliorare l’indipendenza attraverso l’autocritica interna e a sviluppare un sistema giudiziario forte e fondato su valori.[…] Infine, ed è molto importante, queste associazioni permettono ai giudici di sviluppare un sentire comune sull’indipendenza del potere giudiziario, i diritti dell’uomo e lo Stato di diritto» (§21).

In una prima fase l’impegno dell’Anm è anzitutto rivolto alla attuazione del Csm. Ma non appena l’attenzione dalla “indipendenza esterna” si estende alla “indipendenza interna” mettendo in crisi la adesione, fino a quel momento indiscussa, all’assetto gerarchico tradizionale, si apre all’interno dell’Anm un dibattito molto vivace. Al congresso di Napoli del 1957 la mozione che esordisce con la proclamazione della “assoluta parità” di tutti i magistrati, essendo l'attività giurisdizionale “espressione immediata dello stesso potere sovrano”, viene approvata, ponendo in mino­ranza il documento presentato dai dirigenti dell'associazione.

Nell'Anm, che già nelle elezioni interne del 1958 aveva visto per la prima volta due liste contrapposte­, è viva una dialettica tra gruppi che si confrontano sui temi generali della giustizia e nel 1964, accanto alle correnti Terzo Potere e Magistratura Indipen­dente, si forma Magistratura democratica, un nuovo raggruppamento fortemente innovativo per l'accento posto sulla apertura alla società. Le “correnti” dell’Anm sono nient’altro che libere, trasparenti associazioni di magistrati, strutturate con organismi direttivi, quote di adesione e strumenti di comunicazione, che si formano sulla condivisione di una concezione del sistema di giustizia e delle riforme da proporre. Da questo momento, con la formale costituzione delle “correnti” l’Anm si caratterizza come una associazione di associazioni o, se si vuole, una federazione di associazioni.

 Prendendo atto di questa realtà, l'Anm, per le elezioni del Comitato direttivo centrale del 1964, adotta il sistema proporzionale, e ciò avrà riflessi anche sulla riforma del sistema elettorale del Csm del 1975.

Il Congresso di Gardone dell’Anm del 1965, che segna l’adesione matura della magistratura italiana alla nuova tavola di valori della Costituzione repubblicana, da tutti i commentatori successivi viene valutato come uno dei momenti più alti della esperienza dell’associazionismo italiano. Ebbene Gardone è il congresso delle “correnti”, del confronto vivace, della dialettica tra le “correnti” che trova una sintesi nella mozione principale approvata all’unanimità.

Oggi nella maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa vi è più di una associazione. Nel Parere ciò è visto non come un problema, ma come un arricchimento ove il confronto operi come stimolo per una posizione comune più avanzata.

«Se vi è più di una associazione di giudici nell’ambito del sistema giudiziario, ciascuna può avere una posizione differente riguardo ad alcuni problemi comuni. Se il pluralismo arricchisce il dibattito democratico sulla giustizia, il CCJE valuta positivamente la ricerca di una posizione comune sulle questioni di rilievo al fine di avere un significativo impatto sugli altri attori all’interno e all’esterno del sistema giudiziario» (§53).

La storia successiva dell’Anm, questa associazione di associazioni, è segnata da momenti di contrasto radicale[11], in certe fasi prevale la chiusura corporativa ma il permanere di un luogo di confronto consente, ove visto sul lungo periodo, di misurarsi con riforme significative, di sostenere le iniziative del Csm e contrastare con una posizione unitaria i momenti di più duro attacco da parte dell’esecutivo.

 

3. Tutela degli interessi professionali e promozione dello Stato di diritto

Il Parere, nella indicazione degli obbiettivi dell’associazionismo, riprende e consolida la novità proposta, come sopra sottolineato, della Raccomandazione (2012)12 del Comitato dei ministri del consiglio d’Europa. Anche l’Anm si misura con quelli che nel Parere vengono indicati gli obbiettivi dell’associazionismo: 

«[…] promuovere e difendere l’indipendenza dei giudici e lo Stato di diritto e  proteggere statuto e condizioni adeguate di lavoro dei giudici […]» (§9).

Nei momenti “alti” l’aspetto corporativo si misura con la “promozione dello Stato di diritto”[12], con alterne vicende.  In Italia il riferimento per l’Anm è l’attuazione dei principi della Costituzione. Nel processo di attuazione del principio di indipendenza si collocano due vicende centrali, quella della carriera a ruoli aperti e quella del sistema tabellare, che incidono sull’organizzazione del corpo, ma hanno un riflesso diretto sul sistema delle garanzie: soggezione alla legge e non alla gerarchia, attuazione effettiva del principio del giudice naturale.

Nell'arco di un decennio, tra il 1963 ed il 1973, il sistema di carriera è radicalmente modificato realizzandosi il distacco della categoria (grado) dalla funzione, con un sistema di progressione cosiddetta a ruoli aperti, che consente di conseguire la categoria e lo stipendio della funzione superiore pur continuando a svolgere le funzioni svolte in precedenza[13].

Il vecchio modello di carriera cade per la sua irrazionalità interna e per la verificata inidoneità ad operare quale stimolo per un accrescimento della professionalità in una situazione generale completamente mutata.  E per questo che le rivendicazioni "sindacali" dell'Anm, non prive di riflessi corporativi, hanno ricevuto il sostegno dei settori più avvertiti della cultura giuridica.

 L’abolizione della carriera, intesa come percorso verso l'alto, ha prodotto magistrati pieni di tensione morale e di passione civile, si trattasse di magistrati nel pieno della loro vita professionale o di " giudici ragazzini". Una volta terminata la corsa necessitata alle funzioni di appello e di cassazione, magistrati di esperienza sono rimasti nelle funzioni e negli uffici di prima linea: sono i magistrati che, come giudici o come pubblici ministeri, per primi vengono in contatto con i cittadini ed i problemi della società. Funzioni fino ad allora poco ambite, come quella di magistrato di sorveglianza, per i problemi penitenziari, o di giudice minorile hanno visto nuove vocazioni.

Questa magistratura “senza carriera” affronta le grandi riforme degli anni ’70 e poi si misura con criminalità organizzata, mafia, terrorismo e corruzione.

Ma in attesa di una riforma organica dell’ordinamento giudiziario di fatto non opera quella che avrebbe dovuto essere la “selezione negativa” e il Csm si adatta ad una gestione lassista allineata alle istanze corporative.

Nell’Anm, continua a prevalere un atteggiamento di chiusura corporativa: nel 1996 un equilibrato progetto di valutazioni periodiche proposto dal Ministro della Giustizia  viene sbrigativamente liquidato come "pagelle Flick"[14].

Qualche anno dopo l’Anm riesce a fare un passo avanti avanzando  una proposta organica, elaborata all’esito di un ciclo di seminari locali, in un confronto con l’avvocatura e la cultura giuridica, presentata nel convegno conclusivo a Roma il 20 marzo 2003 e trasmessa al Governo e alle forze politiche[15]. Con la “riforma Mastella” (art. 2 legge n.111/2007), che sostituisce integralmente, sul punto, la “riforma Castelli”, viene introdotto il sistema delle valutazioni quadriennali di professionalità. E’ valutazione condivisa che il Csm non abbia dato piena attuazione allo spirito della riforma e sia tuttora ispirato al lassismo corporativo, prevalente nell’Anm.

In questa vicenda l’attuazione del principio costituzionale dell’indipendenza interna è stata pesantemente condizionata dal prevalere di una malintesa “tutela degli interessi professionali”, tanto più deprecabile perché ha offerto e offre argomenti a critici superficiali per liquidare tutto come “carriera facile”. 

Non altrettanto è accaduto per l’attuazione del principio costituzionale del giudice naturale. Nonostante la diversa opinione della Cassazione e le oscillazioni della Corte Costituzionale, il Csm, già a partire dalla fine degli anni '60, si indirizza verso una attuazione rigorosa del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 comma 1 Cost.), riferendolo non solo all'organo giudiziario, ma anche alle persone fisiche dei giudici.  La questione era stata posta sin dal 1963 da Gaetano Foschini:

«Impedire che un dato processo possa essere giudicato dal Tribunale di Catania invece che da quello di Ragusa non vale niente, se non resta impedito anche che si costituisca il tribunale di Ragusa, applicando ad esso i giudici del tribunale di Catania»[16]

Il Csm rivendica il suo sindacato sui provvedimenti di applicazione e supplenza e costruisce progressivamente il "sistema tabellare" con le circolari per la formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari ed i criteri di assegnazione degli affari[17], che  rappresentano uno dei più rilevanti esempi dell’attività “paranormativa” del Consiglio.

A livello di normativa primaria con la legge 6 agosto 1982 n. 532 istitutiva del Tribunale della libertà viene prevista per la prima volta la precostituzione del giudice, non solo come ufficio, ma anche come persona fisica, con un esplicito riferimento alla formazione delle tabelle da parte del Csm.  Per altro verso il sistema tabellare negli anni successivi si svilupperà nel senso di progetto organizzativo degli uffici giudiziari.

Il Parlamento dà riconoscimento al sistema tabellare: in questa materia si è istituito tra Csm e Parlamento un “circolo virtuoso”.  Ma prima ancora ha operato in modo “virtuoso” l’influenza delle “correnti” dell’Anm sul Csm. La limitazione del potere arbitrario dei capi degli uffici che nasce come richiesta “corporativa”, che peraltro si fonda sul principio dell’indipendenza interna, approda a rendere effettiva la garanzia del giudice naturale.

 

4. Associazionismo e organo di governo della magistratura

Il modello italiano di Csm “forte” è stato punto di riferimento per i paesi mediterranei che hanno riconquistato la democrazia, come la Spagna e il Portogallo, e altrettanto lo è stato successivamente per i paesi dell’Europa centrale e dell’est dopo la caduta del muro di Berlino.

Di questo modello di Csm, generalmente designato in Europa come “Consiglio di Giustizia”  elemento essenziale è, con la composizione mista, la elettività, in diverse forme e misura, della componente magistrati[18]. Se in Italia la spinta dell’Anm è stata decisiva per l’attuazione, sia pure con dieci anni di ritardo, del Csm, ovunque la evoluzione del fenomeno associativo si è misurata con gli organi di governo della magistratura.  Così il Parere:

«Nella maggioranza degli Stati membri le decisioni relative alla carriera dei giudici e /o l’amministrazione dei tribunali sono attribuite a Consigli di Giustizia» (§29).

«Il CCJE ha rilevato che in numerosi Stati membri, l’associazione dei giudici esercita una certa influenza  sulla selezione dei membri del Consiglio di Giustizia in diversi modi:  facoltà di emettere un parere sui candidati, sostenere i candidati per i quali è richiesto che un certo numero di colleghi proponga la nomina, possibilità di presentare dei giudici ovvero obbligo di presentare candidati, assumere un ruolo formale e previsto dalla legge nella selezione, ovvero eleggere direttamente i membri» (§31).

«A condizione che non leda l’indipendenza dei lavori del Consiglio di Giustizia, questa partecipazione alla selezione dei membri può essere auspicabile» (§32).

Tenuto conto della situazione di fatto che vede operare, come abbiamo ricordato, una pluralità di associazioni nella maggioranza degli Stati membri del Consiglio d’Europa,  i Consigli di giustizia “vivono” dell’apporto dell’associazionismo giudiziario. L’irrigidimento autoritario che, in diversa misura, ha caratterizzato alcuni paesi, da Polonia a Ungheria a Turchia, ha immediatamente provocato un ridislocamento dei poteri di governo della magistratura da organi del tipo Consiglio Superiore o Consiglio di Giustizia al Ministro della Giustizia e al Governo, direttamente o per il tramite di nuovi organismi strettamente controllati dall’esecutivo. Ed insieme pesanti interferenze sulle associazioni di magistrati, fino alla vicenda turca dello scioglimento di una libera associazione con l’incarcerazione di alcuni dirigenti.

Liquidate le provinciali  polemiche di casa nostra sul Csm come “Parlamentino delle correnti”,  rimane indubbiamente aperto  il tema, del corretto rapporto tra associazioni di magistrati e Consigli di Giustizia.

«[…] le associazioni dei giudici debbono pertanto interloquire con queste istanze» (§25).

«Questi contatti debbono essere fondati sull’apertura, il rispetto dei rispettivi ruoli e competenze e la volontà di confrontarsi con gli argomenti degli altri. Le associazioni dei giudici non devono intervenire nelle decisioni sulla carriera, ma possono controllare se gli organi competenti seguono corrette procedure e corretti criteri» (§26).

«L’adesione ad una associazione non deve avere alcuna influenza sulla carriera dei giudici e non deve presentare né vantaggi né svantaggi […]» (§57).

Si tratta di questioni che nascono ben  prima e vanno ben oltre il nostro “caso Palamara”.

 

5. Imparzialità e apparenza di imparzialità

Il Parere dopo aver richiamato che, alla stregua della normativa internazionale ed europea, i giudici, come tutti gli individui, godono dei  fondamentali diritti di espressione, riunione ed associazione aggiunge che i giudici nell’esercizio di questi diritti: «[…]debbono tenere a mente  le loro responsabilità ed evitare le situazioni che potrebbero essere considerate incompatibili con l’autorità della loro istituzione o con il dovere di essere indipendenti ed imparziali e di essere percepiti come tali» (§13).

E’ il tema della apparenza di imparzialità, che coglie un problema reale, ma spesso è affrontato con polemiche semplificazioni, tali minare in radice anche la legittimità dell’associazionismo giudiziario. 

 Il Consiglio canadese della magistratura nel 1998 ha pubblicato, e poi più volte aggiornato, una importante raccolta di principi deontologici intitolata nella versione francese Principes de déontologie judiciaire e nella versione inglese Ethical principles for judges ove si richiama l’ordine di priorità tra realtà ed apparenza: “per imparzialità si intende non solo l’assenza apparente, ma, cosa ancor più fondamentale, l’assenza reale di pregiudizio e di partito preso» [19].

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2003, dichiarando irricevibile il ricorso in un caso che riguarda l’Italia, ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione se costituisca violazione del principio di imparzialità, di cui all’art. 6 comma 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la partecipazione al collegio giudicante di magistrati che hanno manifestato convinzioni politiche diverse da quelle dell’imputato o che aderiscono ad una associazione di magistrati ideologicamente caratterizzata. La Corte si è posta la domanda «se, indipendentemente dalla condotta del giudice, alcuni fatti verificabili autorizzino a sospettare della sua imparzialità. In questa materia anche l’apparenza può essere rilevante. Ne va della fiducia che i tribunali di una società democratica debbono ispirare alle persone sottoposte al giudizio» per concludere che «la circostanza che un giudice abbia convinzioni politiche differenti da quelle dell’accusato non può, di per sé, dar luogo ad un conflitto di interessi di natura tale da imporre l’astensione del giudice in questione» [20].

La questione è stata riproposta da Cesare Previti, nel procedimento che lo ha visto definitivamente condannato per la vicenda IMI/SIR con sentenza 4 maggio 2006 della Corte di Cassazione per corruzione in atti giudiziari. Nel 2009 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella dichiarazione di inammissibilità di tutti i motivi di ricorso[21], ha affrontato in particolare il tema dell’associazionismo giudiziario:

«La Corte ha preso conoscenza delle dichiarazioni fatte da diversi magistrati alla stampa e degli articoli, prodotti dal ricorrente, pubblicati nella rivista Questione Giustizia, ed inoltre del documento dell’Anm del 13 luglio 2002 (vedi §139-144). Nel loro insieme questi testi contengono critiche del clima politico nel quale il processo si svolge, delle riforme legislative proposte dal governo e della strategia difensiva del ricorrente. Tuttavia essi non sostengono affatto la responsabilità di quest’ultimo. Sempre senza entrare nel merito della questione se l’interessato avesse o meno commesso il fatto di cui era accusato, l’Anm ha dichiarato la sua opposizione alla possibilità, per un accusato di avere accesso alla lista dei magistrati aderenti ad una corrente di magistrati. Ritiene la Corte che la circostanza che, in applicazione dei principi della democrazia e del pluralismo, alcuni magistrati o gruppi di magistrati possano, nella loro qualità di esperti in materia giuridica, esprimere riserve o critiche nei confronti di progetti di legge del governo non possa nuocere all’equità delle procedure giudiziarie ai quali questi progetti potrebbero applicarsi. […] D’altronde era lecito per giudici diversi da quelli investiti del processo formulare commenti sulla strategia difensiva, largamente riportata e discussa sui media, di un personaggio eminente» (§253).

«Alla luce di quanto precede la Corte non può concludere che i commenti emessi nel quadro della procedura IMI/SIR abbiano ridotto le possibilità del ricorrente di beneficiare di un equo processo […]» (§254).

«La Corte […] ha ritenuto che il fatto che un giudice abbia convinzioni politiche differenti da quelle dell’accusato non può, di per sé, dare luogo a un conflitto di interessi di natura tale da giustificare l’astensione del giudice in questione (M.D.U contro Italia)» (§258).

Sulla questione della riservatezza della adesione ad una associazione di magistrati il Parere afferma:

«I membri non devono mai essere costretti a dichiarare la loro affiliazione ad una associazione poiché ciò potrebbe ledere il diritto al rispetto della vita privata con riguardo a questi dati sensibili» (§57).

L’Anm, nel documento cui si fa riferimento, prendeva le mosse dalla richiesta avanzata dall’imputato Previti al Segretario di Magistratura democratica di fornire l’elenco degli iscritti al gruppo, per affrontare il tema più generale.

«L’Anm guarda con vivissima preoccupazione alla reiterazione di iniziative (proposte di legge e istanze processuali adottate od annunziate) che appaiono mettere in discussione la legittima e trasparente adesione dei magistrati alle correnti e alla stessa Anm e la partecipazione dei magistrati e dei gruppi associativi al dibattito sui temi della giustizia. L’associazionismo giudiziario in Italia ha una forte e radicata tradizione che risale agli inizi del secolo scorso. Nell’ultimo mezzo secolo esso si è articolato con la formazione di “correnti” all’interno dell’unica Associazione nazionale magistrati, che da tale situazione trae indiscutibile rappresentatività e particolare autorevolezza per il fatto di esprimere il risultato del dibattito pluralistico, ricco ed articolato, dei gruppi associativi. L’associazionismo giudiziario costituisce ad un tempo: l’esercizio da parte dei magistrati delle libertà costituzionali di pensiero e associazione; lo strumento per la crescita della consapevolezza nei magistrati della specificità della funzione e della essenzialità dell’indipendenza per il suo esercizio, il contributo dei magistrati al dibattito sul ruolo della magistratura nella società e nelle istituzioni. In tutti questi anni, la molteplicità delle esperienze associative non si è mai posta in contrasto con l’imparzialità, l’apparenza di imparzialità e la terzietà rispetto alle parti del processo, che sono sempre stati considerati valori irrinunciabili di riferimento per tutti i magistrati italiani, per l’attuazione del principio cardine di ogni sistema di giustizia, la eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge (art. 3 Cost.). In virtù della condivisione del comune patrimonio associativo, se ci chiedono chi sono gli iscritti a Magistratura democratica, rispondiamo che tutti i magistrati dell’Anm sono iscritti a Magistratura democratica, se ci chiedono chi sono gli iscritti al Movimento per la giustizia, rispondiamo che tutti i magistrati dell’Anm sono iscritti al Movimento per la giustizia, se ci chiedono chi sono gli iscritti a Unità per la Costituzione, rispondiamo che tutti i magistrati dell’Anm sono iscritti a Unità per la Costituzione, se ci chiedono chi sono gli iscritti a Magistratura indipendente, rispondiamo che tutti i magistrati dell’Anm sono iscritti a Magistratura indipendente.»[22]

Come emerge anche dalla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul ricorso Previti, il riferimento è al periodo nel quale la magistratura italiana contrasta energicamente il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario proposto dal Ministro della Giustizia On. Castelli e respinge reiterati attacchi alla magistratura e a singoli magistrati provenienti da esponenti delle forze politiche di governo e dallo stesso Presidente del Consiglio.

 
6.Associazioni di magistrati e gli altri poteri dello Stato

Il Parere prospetta un modello di associazionismo che, proprio in quanto superi la dimensione meramente corporativa e sia impegnato nella “promozione dello Stato di diritto”, non solo può, ma “deve” interloquire con gli altri poteri dello Stato, con le diverse istituzioni ed anche con i partiti politici

Di qui una serie di paragrafi dedicati al ruolo che le associazioni di magistrati sono chiamate a svolgere, in un rapporto di interlocuzione costante con le altre istituzioni, per le riforme dell’organizzazione giudiziaria e la costruzione di un sistema sempre efficace di protezione dei diritti delle persone.

«Le associazioni di giudici rappresentano l’esperienza e l’opinione dei giudici e debbono trovare il modo di trasmettere le loro riflessioni e proposte agli altri poteri dello Stato» (§38).

«Il potere esecutivo a tutti i livelli dovrebbe chiedere il parere delle associazioni dei giudici – e tenerne conto – sui progetti e le riforme in materia di giustizia, ivi comprese le questioni di bilancio e l’allocazione delle risorse, le condizioni di lavoro e tutti gli aspetti dello statuto dei giudici» (§41).

«Il CCJE ritiene che una delle missioni essenziali delle associazioni di giudici è quella di impegnarsi responsabilmente per sfruttare ogni possibilità di migliorare il sistema giudiziario e rafforzare lo Stato di diritto» (§43).

Il tema dei rapporti con i partiti politici è affrontato con grande chiarezza[23].  No ad ogni tipo di collateralismo :

«Il CCJE ritiene che le associazioni di giudici debbano evitare di orientare le loro attività in funzione degli interessi di partiti politici o di candidati a funzioni politiche e inoltre che non debbano coinvolgersi in temi politici estranei ai loro obbiettivi» (§37).

«Le associazioni dei giudici e i loro dirigenti non devono fare parte né essere vicini ad un partito politico. I tentativi dei partiti o di gruppi politici di influenzare la politica dell’associazione o l’elezione dei dirigenti devono essere nettamente rigettati» (§64).

ma interlocuzione e confronto con i partiti sono necessari:

«Per far conoscere e operare per le esigenze e le riforme necessarie al sistema giudiziario, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti dell’uomo». (§64).

In questo quadro di apertura dell’associazionismo dei giudici alla società, il Parere affronta  anche il tema della comunicazione sulla giustizia.

«Il CCJE nota con soddisfazione che numerose associazioni di giudici contribuiscono in maniera significativa ed efficace alle misure dirette a favorire le relazioni e la conoscenza tra il potere giudiziario e il grande pubblico, come programmi educativi sul funzionamento dei tribunali, supporti pedagogici, giornate porte aperte nei tribunali, dibattiti pubblici, presentazioni ed altri programmi di sensibilizzazione, etc.. Queste misure sono più efficaci se sono attuate da coloro che lavorano nel cuore del sistema».(§45)

 

7. Cosa ci chiede l’Europa

Il tema  “cosa ci chiede l’Europa” è stato variamente declinato, in ambiti diversi, negli ultimi anni.

Il Parere, come si è visto, tratta in dettaglio molti dei temi con i quali si è confrontata  e si confronta anche l’esperienza dell’associazionismo giudiziario italiano.  

Tre punti sembrano essenziali da richiamare in conclusione sulle questioni oggi più vive nel dibattito del nostro Paese.

Primo. Pluralismo e ricerca di una posizione unitaria. Nella maggior parte degli Stati membri del Consiglio d’Europa operano diverse associazioni. Lo stesso accade in Italia a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, con la costituzione di quelle che allora furono chiamate “correnti”, riprendendo il gergo della politica (ricordiamo le correnti interne della Dc). Il termine viene adottato per sottolineare che si tratta di gruppi trasparentemente organizzati, che tuttavia rimangono all’interno dell’unica associazione di magistrati. Dopo oltre mezzo secolo sarebbe giunta l’ora di abbandonare questa terminologia, che tanti equivoci continua a determinare,  per chiamare “associazioni” quelle che associazioni sono e per dare atto che Anm è una associazione di associazioni. Il pluralismo nel Parere è visto non come un problema, ma come un arricchimento ove il confronto operi come stimolo per una posizione comune più avanzata ( §53). E’ questione più che mai attuale per la nostra Anm.

Secondo. Nella maggioranza degli Stati membri il governo della magistratura è attribuito ad organi del tipo Consiglio Superiore o Consiglio di Giustizia a composizione mista (§29). Le associazioni dei giudici partecipano, in diversi modi, alla designazione dei componenti togati (§31). Il Parere non contrasta tale partecipazione, anzi la ritiene auspicabile (§32), ma detta alcune cautele affinché l’indipendenza del Consiglio di Giustizia sia salvaguardata e le associazioni non esercitino una indebita influenza nelle decisioni sulla carriera.

Terzo. I diversi obbiettivi indicati come propri delle associazioni di magistrati: promuovere e difendere l’indipendenza dei giudici e lo Stato di diritto e proteggere statuto e condizioni adeguate di lavoro dei giudici (§9) devono stare insieme. E’ un filo rosso che percorre tutto il Parere, mostrando come la stessa tutela degli interessi professionali della categoria acquista legittimazione ed efficacia in quanto la difesa dell’indipendenza superi la dimensione corporativa per connettersi alla “promozione dello Stato di diritto”.


 
[1] Vedi i punti 8 e 9 dei Principi fondamentali sulla indipendenza della magistratura adottati dal Congresso Onu di Milano 26 agosto / 6 settembre 1985 e confermati dalla Assembla generale il 29 novembre e il 13 dicembre 1985.

[2] Venice Commission 85th plenary session Venice 17-18 December 2010 Report on European standards as regard the independence of the judicial system: Part II The prosecution service, principle 18. Traduzione di chi scrive.

[3] Per il testo originale, si veda https://rm.coe.int/1680747391 

[4] Traduzione di chi scrive.

[5] https://www.ohchr.org/EN/Issues/Judiciary/Pages/ExpressionAndAssociation.aspx

[6] Traduzione di chi scrive.

[7] Per più ampie indicazioni E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari-Roma 2018, pp. 12-13.

[8] Ivi, p.13-14.

[9] Il concetto di “rivoluzione” è utilizzato a questo riguardo da G. Silvestri, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Giappichelli, Torino 1997, p. 76, 139.

[10] G. Silvestri, Giustizia e giudici, cit., p.71. Il corsivo si trova nel testo.

[11] Per qualche anno è in atto la scissione dei magistrati di Cassazione con la costituzione di una loro associazione Umi.

[12] Rule of law nel testo inglese, État de droit in quello francese.

[13] Sulla riforma della “carriera” E. Bruti Liberati, Magistratura e società, cit. p. 79 sgg.

[14] Si veda la documentazione pubblicata in Questione giustizia, n. 3-4, 1996, pp. 831 sgg.

[15]  Vedi il documento conclusivo, unitamente ai contributi preparatori, in E. Bruti Liberati (a cura di), I magistrati e la sfida della professionalità, Ipsoa, Milano 2003, pp. 91-92.

[16] G. Foschini, Giudici in nome del popolo, non già commissari del capo della corte, in Foro Italiano, 1963, II, c.168 sgg. Sul tema R. Romboli, Il giudice naturale, Giuffrè, Milano 1981.

[17] Cfr. G. Gilardi, Tabelle di composizione degli uffici giudiziari, in Norme e prassi in tema di direzione degli uffici giudiziari con particolare riferimento ai procedimenti tabellari, ai pareri per la progressione in carriera, ai poteri di vigilanza, in Quaderni del Consiglio Superiore della magistratura, n. 24, Roma, 1989, pp. 38 sgg.; R. Romboli, Teoria e prassi del principio di precostituzione del giudice, in Il principio di precostituzione del giudice, in Quaderni del Consiglio superiore della magistratura, n. 66, Roma,1993, pp.28 sgg.

[18] Quando, come è avvenuto in Spagna per il Consejo General del Poder Judicial, la designazione della componente magistrati è stata rimessa al Parlamento, è entrato in crisi l’equilibrio dell’organo.

[19] Principio n. 6, Imparzialità, Commentario A.3 Il testo completo è reperibile in www.cjc-ccm.gc.ca

[20] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, M.D.U. contro Italia, n. 58540/00, 28 gennaio 2003. La traduzione dal testo ufficiale francese è di chi scrive. Il ricorrente è Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva ad anni 7 di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa con sentenza 9 maggio 2004 della Corte di Cassazione.

[21] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Previti contro Italia, n.45291/06, 8 dicembre 2009.

[22] Documento approvato all’unanimità dal Comitato direttivo centrale dell’Anm il 13 luglio 2002.

[23] Si  noti  peraltro che il tema della iscrizione dei magistrati ai partiti politici non è affrontato; infatti in numerosi paesi non vi è alcuna limitazione al riguardo.

27/11/2020
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Appunti comparatistici sulla (apparenza della) imparzialità giudiziaria

E' diffusa presso ogni sistema giuridico la preoccupazione che sia sempre rispettato il canone dell'imparzialità dell'opera giudiziale affinché ai cittadini che vi si rivolgono la Giustizia -oltre ad essere rettamente amministrata -appaia circondata da garanzie sostanziali e processuali tali da sottarla al rischio di impropri condizionamenti legati alla persona ed ai comportamenti dei Giudici. L'esperienza giuridica inglese è particolarmente ricca di un pensiero, sviluppatosi sia in dottrina sia in giurisprudenza, modellato nel senso di creare come presupposto della violazione del canone stesso circostanze che ispirino nel cittadino anche il semplice, seppur ragionevole, timore che l'attività giudiziale non sia l'espressione della scienza e coscienza di chi la pone in essere. In particolare, tale presupposto si ritiene realizzato allorché risalti un nesso diretto tra le condizioni soggettive del Giudice e la decisione adottata nel singolo caso, escludendo l'automatica presunzione che il modo di esprimere la propria personalità mediante le libertà riconosciute dall'ordinamento sia di per sé indice sintomatico dell'allontanamento dalla via dell'imparzialità effettiva o anche semplicemente percepita. In altri termini, il diritto di common law europeo pretende sempre la severa dimostrazione, ai fini di una pronuncia caducatoria di provvedimenti giurisdizionali impugnati per la ricorrenza di un “bias” inteso come assenza nell'animo del giudicante di pregiudizi in contrasto con i suoi doveri funzionali, dell'immediata e provata incidenza sull'atto del suo stato soggettivo quale si ricava da comportamenti concreti e da specifici interessi in relazione alla questione oggetto del processo. Importanti e decisive indicazioni provengono dal grado più elevato della giurisprudenza del Regno Unito. La lezione che se ne ricava ben può orientare anche il dibattito nell'ordinamento italiano e consentire di ritenere, in perfetta sintonia con le regole codicistiche in materia di astensione e ricusazione, che solo la concreta riferibilità alla singola fattispecie da esaminare di circostanze riguardanti la persona del Giudice che inequivocabilmente disvelino un atteggiamento contrario ai doveri di imparzialità univocamente desumibile dal contenuto intrinseco del provvedimento possa giustificare la seguente conclusione. Da un canto, che sia rimasto inosservato l'obbligo di astensione e, d'altro canto, che la decisione possa dirsi affetta da un pregiudizio in misura tale da esporla al rischio della successiva caducazione in quanto immediato prodotto di tale improprio atteggiamento mentale.
Soltanto il rigorosamente verificato difetto di questi requisiti, e non altri sintomi esteriori quali le convinzioni personali rimaste ai margini del provvedimento, si rivela indice affidabile e consentito dell'avvenuta delusione dell'aspettativa collettiva di un'amministrazione imparziale della Giustizia, anche sotto l'aspetto dell'apparenza.

12/10/2023