Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Il senso del magistrato per la responsabilità

di Enrico Scoditti
consigliere della Corte di cassazione

L’indipendenza responsabile è il valore costituzionale che regge l’ordine della magistratura nel contesto pluralistico della democrazia liberale contemporanea. Essa dovrebbe oggi costituire l’identità del magistrato e contribuire all’elaborazione di una visione con cui affrontare le sfide del nostro tempo.

La responsabilità del magistrato è un valore costituzionale o è materia soltanto di legislazione ordinaria, rispetto alla quale è l’indipendenza il valore costituzionale che viene in rilievo e che funge da limite della disciplina ordinaria? 

Se il nostro approccio alla Costituzione è originalista e testualista, la risposta deve essere nel secondo senso. La Costituzione si limita ad affermare che «la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» e che, in funzione di garanzia dell’autonomia e indipendenza, «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». Si comprende perché i Padri Costituenti concentrarono sull’indipendenza la dimensione costituzionale della magistratura: dopo un’epoca contrassegnata dalla dittatura e dal totalitarismo, bisognava costruire la democrazia. Il passaggio a un sistema democratico non sarebbe stato completo senza una magistratura indipendente da ogni potere. Una democrazia che non rispetti il rule of law non è una democrazia costituzionale, ma è una democrazia totalitaria, che si affida al dominio totale e incontrastato delle maggioranze e dei loro leader. Garante del rispetto del rule of law è una magistratura indipendente da ogni potere. Nel contesto di una democrazia totalitaria, la responsabilità del magistrato diventa uno strumento di controllo e di svuotamento dell’autonomia dell’ordine giudiziario in funzione di preservazione delle maggioranze politiche. È quello che sta accadendo nei Paesi di cd. “democrazia illiberale”, i quali possiedono del sistema democratico solo il principio della rappresentanza elettiva, ma obliterano il lato liberale della democrazia, e cioè il rule of law e l’autonomia delle istituzioni preposte alla sua garanzia.

In una compiuta democrazia costituzionale e liberale la responsabilità del magistrato ha, però, un valore costituzionale. Possiamo cogliere quest’ultimo solo se superiamo la lettura originalista del testo costituzionale e immettiamo la Costituzione nel circuito della storia. Il cd. riformismo costituzionale, l’idea che le costituzioni vadano periodicamente cambiate, è l’altra faccia dell’originalismo costituzionale, cioè dell’attribuzione alla Costituzione del significato che aveva all’epoca della sua redazione. La circolarità di Costituzione e storia, invece, previene il riformismo costituzionale perché affida alla costituzione materiale, al complesso di prassi costituzionali che si dispiegano ai diversi livelli istituzionali, il compito del costante aggiornamento del documento costituzionale. Guardiamo allora ai processi istituzionali e sociali, e cerchiamo di capire come viva attraverso di essi la Costituzione. Partiamo dal processo istituzionale.

La democrazia costituzionale contemporanea è una costruzione ben più complessa di un assetto democratico allo stato nascente. Nel ’48 bisognava far nascere una democrazia. Quando il costituente scrisse la Costituzione aveva in mente perciò, un modello centrato sull’assemblea legislativa quale espressione della sovranità popolare, con alla base un’idea monistica del potere. Il potere era il potere politico democratico. La presenza delle istituzioni di garanzia nella Carta del ’48 impediva l’appiattimento di quell’idea monistica al modello della Rivoluzione del 1789. E, tuttavia, il baricentro dell’intero sistema istituzionale restava la legge democratica. La concezione monistica del potere è stata definitivamente superata dalla democrazia costituzionale contemporanea, la cui caratteristica è quella del pluralismo istituzionale. Il potere contemporaneo non è solo democratico, è anche plurale. È il pluralismo istituzionale il vero nemico delle democrazie illiberali, non il potere democratico, perché il potere versus l’altro potere, il gioco dei poteri e contropoteri rappresenta oggi la cifra costituzionale della democrazia, ciò che garantisce la conciliazione di democrazia e rule of law. La democrazia illiberale è invece massima e tendenzialmente esclusiva concentrazione di potere nell’istituzione rappresentativa. 

La democrazia costituzionale contemporanea non è solo pluralismo dei poteri e delle istituzioni, è anche uno straordinario allargamento dell’esperienza giuridica. Il comando normativo non si esaurisce più con il mero dato positivo della legge democratica. È il tema non solo dell’interpretazione conforme del diritto ai parametri costituzionali, sovranazionali e convenzionali, ma anche quello della stessa produzione del diritto affidata a una pluralità di fonti normative e a una rete di autorità di regolazione.

Ebbene, nella democrazia costituzionale contemporanea l’indipendenza della magistratura non è più al servizio della costruzione della democrazia, non è più la garanzia di un potere neutrale al cospetto della democrazia dei partiti politici che si va organizzando, ma è la caratteristica di un soggetto istituzionale che è parte di un pluralismo di istituzioni equi-ordinate e il cui criterio di legittimazione riposa non sulla rappresentanza elettiva ma sul rule of law. Nella cornice del potere non più solo democratico ma anche plurale, la responsabilità, ossia l’accountability quale dovere di rendere conto, è il corollario costituzionale inevitabile di «un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere». Tutto questo fa sì che per la magistratura non si possa non parlare di “indipendenza responsabile”. 

La responsabilità è il segno dell’indipendenza: si è responsabili perché si è indipendenti; se non si è responsabili non si è per davvero indipendenti, perché vuol dire che c’è qualcun altro che risponde per noi e che è responsabile per noi, qualcuno da cui noi quindi dipendiamo in ultima istanza. Indipendenza e responsabilità procedono, pertanto, di pari passo. La responsabilità non è il limite dell’indipendenza, un principio concorrente con quest’ultima, da contenere a garanzia dell’indipendenza. Il gioco non è a somma zero, come avviene per i bilanciamenti, perché l’una cresce unitamente all’altra. Ciò che bisogna mantenere è la proporzione nella crescita concorrente, nel senso che l’indipendenza potenziata oltre una certa soglia diventa indipendenza irresponsabile, e la responsabilità potenziata oltra una certa misura diventa depotenziamento dell’indipendenza.  Se riusciamo a mantenere la proporzione, si può allora dire che l’una sia il rovescio dell’altra. Si tratta dei due volti del medesimo principio costituzionale. Nell’attuale contesto di pluralizzazione del potere non è pensabile un’indipendenza irresponsabile, l’indipendenza è tale perché responsabile. La proporzione è il punto più delicato. Sono necessari meccanismi di responsabilità su più livelli per avere una magistratura per davvero indipendente, ma questi meccanismi devono rispettare la regola della proporzionalità, pena la perdita della stessa indipendenza.

Quello che abbiamo descritto è il processo istituzionale. Volgiamo ora lo sguardo al processo sociale, che in qualche modo è collegato a quello istituzionale. Il congresso dell’Associazione nazionale magistrati di Gardone, nel 1965, fu per davvero una rottura rispetto al passato. Il modello prevalente di magistrato operante fino ad allora era quello, riprendendo il titolo della celebre opera di Robert Musil, del magistrato senza qualità, un passivo e burocratico esecutore della legge. Gardone mobilita la soggettività interpretativa del giudice, e ciò avviene nel quadro di un processo più vasto di attivazione della soggettività che caratterizza le società europee a partire dagli anni sessanta. Sono gli anni in cui nella società prende forma il processo della secolarizzazione: cadono antichi steccati, viene messo in discussione il valore della tradizione e a tutti i livelli sociali si afferma un principio di autodeterminazione. L’espansione della soggettività significa, innanzitutto, possibilità di progettare nuovi ordini sociali: è in questo quadro che le costituzioni democratiche si propongono come progetti di trasformazione sociale e tutti i soggetti, istituzionali e sociali, si danno il compito dell’implementazione di quei progetti. Non è questa la sede per esaminare gli sviluppi e gli esiti di processi storico-sociali così complessi, ma cerchiamo di capire cosa ha significato per la magistratura il processo di espansione della soggettività che, a partire da Gardone, si è avviato sempre più prepotentemente.

Nell’applicazione della legge, il momento interpretativo diventa centrale. Qual è il limite dell’interpretazione? Se guardiamo all’interpretazione conforme, che è la forma più invasiva d’interpretazione, si afferma che il limite è l’enunciato linguistico: oltre il testo non è consentito andare. Nella scienza ermeneutica si dice, però, qualcosa di più: c’è una soglia oltre la quale l’interprete non va ed è il complesso di valori di cui egli è portatore, il contesto di appartenenza in cui egli è collocato. Caratteristica dell’interpretazione, dice una parte importante della scienza ermeneutica, non è perciò l’oggettività, ma la trasparenza, la necessità che l’interprete sia consapevole delle proprie assunzioni di valore. Dei due limiti evidenziati è sicuramente vero il primo: i confini di senso linguistico della disposizione sono la barriera insuperabile dell’interpretazione. Non è vero invece il secondo, e ciò alla luce proprio del principio costituzionale di indipendenza declinato come indipendenza responsabile.

Il giudice interprete del diritto deve assumere un dovere di indipendenza da se stesso. Proprio perché la soggettività dell’interprete si è espansa, è necessario un impegno di responsabilità nel senso dell’assunzione di un dovere di indipendenza dalle proprie convinzioni di valore. Si tratta di un dovere che non interviene solo nel momento dell’interpretazione del diritto. È la complessiva professionalità di un magistrato, nelle diverse manifestazioni della sua attività (giurisdizionale, investigativa, organizzativa dell’ufficio), che va misurata sulla base della capacità di assunzione di un parametro ideale e dello sforzo di emancipazione dalla propria soggettività. L’indipendenza responsabile comporta che dobbiamo esigere l’indipendenza da noi stessi ancor prima che da ogni potere. 

Il potenziamento della soggettività del magistrato è il lato sociale e antropologico del processo istituzionale di pluralizzazione del potere che ho cercato di delineare. Non è mia intenzione qui discutere le regole della responsabilità; quello su cui voglio richiamare l’attenzione è la necessità che il valore dell’indipendenza responsabile sia introiettato nel corpo profondo della magistratura, diventi un suo tratto, per così dire, antropologico-identitario. L’organo di autogoverno, la Scuola superiore della magistratura, la rete associativa devono lavorare in questa direzione. La responsabilità, al pari dell’indipendenza, deve essere l’ethos del moderno magistrato. Un magistrato deve avvertire la propria responsabilità non meno della propria indipendenza. Fare dell’indipendenza responsabile il carattere distintivo del magistrato moderno ha due conseguenze importanti.

La prima è che se nella discussione politica e istituzionale è la responsabilità dei magistrati a essere in questione, allora la voce più autorevole, che tutti hanno il dovere di ascoltare e considerare, è proprio quella dei magistrati, e questo perché la responsabilità, al pari dell’indipendenza, è ciò che definisce la loro identità. Se saremo in grado di proporci come quel potere diffuso che fa della responsabilità il proprio criterio di legittimazione, nessuno sarà più autorevole di noi quando si tratta di scrivere le regole della nostra responsabilità. L’Associazione nazionale magistrati ha bisogno di recuperare autorevolezza su questo terreno, e ciò è possibile se essa sarà in grado di incastonare nel corpo diffuso e profondo della magistratura l’idea dell’indipendenza responsabile. Noi saremo chiamati a contribuire alla scrittura e riscrittura delle regole della responsabilità, a tutti i livelli ordinamentali in cui questa si manifesta, se faremo della responsabilità il valore fondante del nostro essere magistrati. Nessuno potrà dubitare della nostra autorevolezza perché noi in questo campo mettiamo in gioco la nostra identità. Di questa consapevolezza abbiamo bisogno soprattutto in un contesto di dibattito pubblico nel quale la giusta proporzione di indipendenza e responsabilità possa essere messa in discussione. La forza e il vigore della nostra Costituzione ci dicono che siamo e che rimarremo in una democrazia liberale: non dobbiamo perciò avere timore di essere noi stessi gli alfieri del principio di responsabilità. La migliore risposta ai tentativi di fare della responsabilità l’arma per colpire l’indipendenza è fare della responsabilità, al pari dell’indipendenza, il nostro tratto identitario. 

La seconda conseguenza è questa. La magistratura italiana è stata grande quando ha avuto una visione. Il magistrato senza qualità, secondo il modello pre-Gardone, non si distingueva in definitiva dal modello del funzionario pubblico. Non è un caso che Max Weber, nel suo grande affresco sociologico d’inizio Novecento, quando guarda all’Europa continentale è al diritto che presta la sua attenzione e non al corpo dei giudici, mentre quando esamina il mondo anglosassone è il giudice l’oggetto della sua indagine. Fino alla metà del secolo scorso, la magistratura dell’Europa continentale non era antropologicamente differente dalla burocrazia e dalle concezioni e ideologie di ceto che presiedono al lavoro del burocrate. Gardone inaugura l’epoca delle visioni. Abbiamo avuto gli anni della giurisprudenza sul lavoro, gli anni del terrorismo, gli anni della lotta alla mafia, gli anni dell’apertura al diritto sovranazionale. Queste epoche sono state sempre accompagnate da visioni e orizzonti in cui collocavamo il nostro lavoro. Si trattava di visioni che si inquadravano negli orizzonti più generali del tempo in cui sorgevano e che quindi rispecchiavano epoche. La responsabilità è il grande tema antropologico del nostro tempo: siamo entrati in un’epoca in cui la soggettività si è espansa a tal punto che può essere manipolata non solo la struttura sociale, ma anche la struttura dello stesso umano. Nei nuovi scenari istituzionali, politici e sociali il valore dell’indipendenza responsabile può contribuire alla definizione di nuove visioni e orizzonti in cui collocare il nostro lavoro quotidiano. Se dobbiamo pensare a una nuova Gardone, non possiamo farlo che a partire da qui. 

11/10/2022
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