Il processo civile telematico è parzialmente obbligatorio da poco più di un anno, eppure, e sin da epoca precedente la sua entrata in vigore, forma oggetto di aspre critiche e orientamenti apertamente ostili, che denunciano i suoi limiti in termini talvolta paradossali, apodittici o addirittura apocalittici.
Viene accusato di rallentare il lavoro del magistrato in modo inaccettabile, di essere inadeguato dal punto di vista tecnico e strutturale, e persino di arrecare danni alla vista per via della lettura degli atti a video.
Da più parti si levano voci che, pur non formalmente ripudiandolo, chiedono a gran voce un sostanziale ritorno al passato, con la reintroduzione delle copie cartacee di tutti gli atti telematici.
La mia esperienza lavorativa è invece di segno totalmente opposto, e ritengo opportuno, al fine di fornire al dibattito un differente punto di vista, raccontare la mia esperienza.
Premetto che svolgo le funzioni di giudice del lavoro presso il tribunale di Oristano; il mio ruolo consta attualmente di circa 1200 cause, più altre 500 circa seriali affidate a un giudice onorario come ruolo aggiuntivo; tengo in media due udienze a settimana, di durata normalmente non inferiore alle sei ore, scrivo mediamente 450 sentenze all’anno, solitamente con motivazione contestuale, definisco la maggior parte delle cause entro tre anni, non deposito provvedimenti in ritardo da oltre due anni. Dal 2007 al 2015 sono stato il referente informatico dell’ufficio.
Sono appassionato di scienza, fantascienza e tecnologia, con cui ho un rapporto idilliaco: la mia abitazione, la mia autovettura, persino gli oggetti che indosso sono ad alto contenuto tecnologico. Per me la tecnologia rappresenta il potere della mente umana sul mondo, la capacità di organizzare la propria vita eliminando le azioni ripetitive e trovando le migliori soluzioni ai problemi.
Con queste premesse è facile capire che il mio atteggiamento nei confronti del processo civile telematico è stato, sin dall’inizio, di aperta ed entusiastica adesione.
Devo dire di non aver atteso l’avvento del processo telematico per introdurre nel mio lavoro quotidiano un alto livello di organizzazione tecnologica; sin dal 1998, anno in cui presi servizio, utilizzo abitualmente il computer nella redazione dei provvedimenti e nella gestione delle udienze; sin dai primi anni 2000, grazie ad una proficua collaborazione con la cancelleria, ho adottato soluzioni innovative per una gestione più intelligente ed evoluta dell’attività giudiziaria, dai biglietti di cancelleria inviati per posta elettronica agli avvocati che avevano manifestato il consenso all’uso di tale forma di comunicazione, con allegato l’intero provvedimento in formato PDF nativo, alla gestione dei ruoli mediante tabelle Excel su cartelle condivise nella rete interna del palazzo di giustizia, consultabili e modificabili sia dal giudice che dal cancelliere. Soluzioni che, in epoca ben anteriore all’avvento, anche sperimentale, del processo telematico, consentivano un notevole risparmio di tempo e materiale consumabile (carta, toner), un minore afflusso degli avvocati alla cancelleria, una più agevole ed intelligente gestione del ruolo.
Dal 2008 ho iniziato a usare sistematicamente, e a mie spese, un software di dettatura vocale. L’incremento di produttività è stato notevolissimo, i tempi di redazione dei provvedimenti si sono notevolmente ridotti, e dopo una adeguata sperimentazione ho iniziato a utilizzarlo abitualmente anche in udienza, sia per la verbalizzazione che per il controllo del computer, avvalendomi di un auricolare senza fili: ricordo divertito le espressioni sbigottite degli avvocati che osservavano il mio computer cercare files in rete, aprire programmi e files, eseguire calcoli, salvare e stampare documenti a seguito di comandi vocali!
Chiedevo inoltre ai consulenti tecnici di cui mi avvalevo di inviare una copia delle relazioni di CTU per posta elettronica, in formato Word, e agli avvocati di trasmettermi parimenti per posta elettronica le versioni in Word degli atti processuali depositati (una sorta di copie di cortesia di tenore opposto a quelle oggi in voga). Tali atti venivano immagazzinati in apposite cartelle della rete del palazzo di giustizia, indicizzati con appositi software di ricerca (Google Desktop), e potevano essere facilmente rintracciati, anche nel corso di un’udienza, mediante semplici comandi vocali.
L’avvento del processo civile telematico ha mandato in soffitta buona parte di queste soluzioni organizzative, che pure per tanti anni mi avevano consentito una elevata produttività, una riduzione dei tempi di redazione e deposito dei provvedimenti, un generale clima di soddisfazione nei rapporti con gli avvocati e le cancellerie per via della maggiore efficienza che tali soluzioni comportavano, con benefici per tutti.
Il processo civile telematico ha, infatti, sostituito la maggior parte di questi espedienti con soluzioni più standardizzate, per certi versi più efficienti, superando la principale criticità della gestione artigianale descritta: il dipendere in maniera eccessiva da capacità e entusiasmi personali, non necessariamente condivisi da tutti.
Il processo civile telematico ha, invece, creato una infrastruttura che rende indipendenti le soluzioni prescelte da scelte organizzative locali, e conferisce loro quel grado di standardizzazione e certezza giuridica di cui l’organizzazione del lavoro giudiziario ha certamente bisogno, sebbene in tanti anni nessun avvocato abbia mai eccepito alcunché rispetto alla validità o alla autenticità delle comunicazioni per posta elettronica con allegate le versioni PDF dei miei provvedimenti.
Dal febbraio 2014 io e i colleghi del mio ufficio siamo stati finalmente posti in grado di utilizzare la Consolle del magistrato. Diciamo subito che non si tratta certamente di un programma nemmeno lontanamente perfetto, anzi ampiamente perfettibile, frutto di scelte tecniche discutibili, su cui non è opportuno indugiare in questa sede. Può essere scaricato e installato soltanto in ufficio, operazione spesso necessaria per risolvere i frequenti blocchi del software; le procedure per il recupero dei dati in caso di blocco non sono certo ottimali, e in caso di malfunzionamento della procedura di ripristino standard occorre un certo livello di competenza informatica per accedere ai dati salvati. L’utilizzo da casa, inoltre, è particolarmente disagevole, per via della maggiore lentezza e farraginosità del collegamento con i server ministeriali, nonché per la già segnalata impossibilità di ripristinare il programma in caso di blocco. L’interazione con il pacchetto Office non è sempre ottimale, e la funzione di visualizzazione dei files PDF decisamente mediocre, tanto da rendere indispensabile l’utilizzo di un software esterno.
Eppure, nonostante questi innegabili limiti, Consolle offre grandi possibilità per migliorare e velocizzare il lavoro del magistrato, sia in termini di gestione del proprio ruolo che di redazione dei provvedimenti e tenuta delle udienze. Dopo pochi giorni dall’installazione ero già in grado di usarla con sufficiente disinvoltura, e ben presto oltre il 90% degli provvedimenti sono divenuti telematici; attualmente sono oltre il 99%.
Una volta acquisita la necessaria dimestichezza ho iniziato a utilizzare Consolle anche per la tenuta dell’udienza, e anche in questo caso i benefici sono stati tangibili; i verbali di udienza penso siano l’incubo di tutti i giudici, in particolare quelli scritti a mano con grafia impossibile, che costringe a lente e faticose sessioni di decifrazione. I verbali telematici, per contro, sono facilmente leggibili e consultabili, e il loro contenuto può essere esportato e riutilizzato nei provvedimenti con le note operazioni di copia e incolla. La difficoltà principale è rappresentata dall’inserimento a verbale di deduzioni articolate e complesse da parte dei difensori, problema che ho personalmente risolto consentendo l’invio di bozze di verbali per posta elettronica, in modo da importare facilmente il contenuto nel verbale vero e proprio, e installando nell’aula di udienza uno scanner (acquistato a poco prezzo su eBay), che mi consente l’acquisizione immediata di bozze cartacee, il cui contenuto può peraltro essere anche convertito in testo digitale con l’uso di un software OCR.
Dall’aprile 2014 tratto in via totalmente telematica tutte le cause di ogni udienza, preciso che in una udienza di previdenza porto 70-80 fascicoli, in una di lavoro tra i 10 e i 20. Grazie all’utilizzo di modelli di verbali dedicati alle specifiche attività di udienza (prima comparizione delle parti, decisione, riserva su ammissione prove, riserva su provvedimenti di sospensione, assunzione di prove ecc.) gran parte del verbale viene compilato in automatico dal programma, che provvede all’inserimento dei nominativi dei difensori, delle parti, nonché delle componenti ripetitive (del tipo Nell’interesse di Tizio compare l’avvocato Caio, il quale dichiara di confermare il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio e insiste per l’accoglimento delle conclusioni formulate, contestando quanto avversamente dedotto, oppure Viene introdotto il testimone Sempronio, il quale dice chiamarsi ****, nato a **** il ***, residente in ***, via ***, non avente rapporti di parentela o affinità con le parti dell’odierno giudizio, ovvero motivi di rancore o contrasto con le medesime o controversie pendenti, né altri motivi di incompatibilità con l’ufficio di testimone noti all’ufficio, il quale, ammonito dal giudice sull’obbligo di rispondere secondo verità, si impegna secondo la formula di rito e così rispondere alle domande formulate) di cui solitamente sono composti la maggior parte dei verbali di udienza. Il resto del verbale viene completato con le eventuali bozze trasmesse dalle parti secondo le modalità viste, e da me mediante dettatura vocale. I tempi di redazione dei verbali di udienza secondo questa metodologia organizzativa sono nettamente inferiori a quelli dei verbali tradizionali, e la qualità di lettura, ovviamente, incomparabilmente superiore. Alcuni mesi fa, nel corso di un’udienza, una prolungata interruzione dell’energia elettrica mi costrinse a verbalizzare una deposizione testimoniale in cartaceo: mi sentivo lento, goffo, avevo l’insopportabile sensazione di perdere tempo, la mano mi doleva per la prolungata scrittura manuale, trovo francamente incredibile che qualcuno preferisca questa obsoleta e medievale modalità di lavoro a quella che consente il processo telematico!
Se Consolle è estremamente preziosa nella gestione dell’udienza, è nella redazione dei provvedimenti che offre il meglio di sé, con particolare riguardo agli atti seriali, o comunque aventi contenuto in tutto o in parte predeterminato: i decreti di fissazione di udienza, le assegnazione dei termini per la contestazione della c.t.u. in sede di ATP ex art. 445 bis CPC, le omologhe degli ATP, le liquidazioni delle spese ai consulenti, i decreti ingiuntivi, le assegnazioni delle cause al GOT e numerosi altri provvedimenti possono essere redatti in via in tutto o in parte automatica, con l’utilizzo di appositi modelli, e inviati direttamente in coda di firma, senza alcuna necessità di visualizzarli. L’utilizzo combinato dei placeholder, dei punti di motivazione e di elementi preimpostati rende la redazione dei provvedimenti estremamente più spedita, liberando il giudice dall’onere di inserire parti ripetitive, trascrivere nominativi, importi e altri elementi, per tacere del fatto che in un fascicolo totalmente telematico (e ormai ne ho qualche centinaio) tutti gli atti e i provvedimenti sono disponibili in digitale, con conseguente possibilità di inserire, mediante copia e incolla, le parti rilevanti nella redazione dei provvedimenti (conclusioni delle parti, deposizioni dei testimoni, porzioni di documenti, informazioni relative alla lavorazione del fascicolo).
Ma se il processo telematico consente simili benefici, perché incontra tanti ostili oppositori, che ne denunciano mille limiti, strepitano per soverchianti difficoltà, lo accusano persino di essere dannoso per la vista, reclamando la reintroduzione degli atti cartacei?
Una prima riflessione riguarda il bagaglio culturale del magistrato medio, che ha una formazione prevalentemente umanistica, nella quale la scienza e la tecnologia trovano scarso spazio e considerazione, e vengono viste, non di rado, con sospetto e diffidenza.
Nel mondo del diritto qualunque opinione ha sostanzialmente pari dignità, non è infrequente argomentare interpretazioni diametralmente contrapposte, affermare che una legge sostenga in realtà il contrario del suo tenore letterale, rinnegare indirizzi interpretativi precedenti a favore di nuovi di segno opposto.
Il mondo della tecnologia, invece, é molto meno “tollerante”: quali che siano le opinioni, la formazione culturale, le convinzioni personali dell’utente, un dispositivo tecnologico funziona soltanto se utilizzato in un certo modo, e i risultati che produce sono fortemente influenzati dalle competenze dell’utente. La tecnologia non è affatto una forma di magia moderna, nella quale la pronuncia di espressioni sacramentali, o la pressione di un pulsante - come a volte semplicisticamente si ritiene - conduce, secondo un percorso imperscrutabile, al risultato desiderato. In realtà un dispositivo tecnologico è assai più simile a uno strumento musicale, che viene progettato e realizzato sulla base di regole tecniche e scientifiche ben precise, e può produrre cacofonie, o soavi melodie, a seconda dell’abilità dell’utilizzatore.
È pertanto ragionevole ritenere che le difficoltà che tanti magistrati lamentano nell’approccio al processo civile telematico siano in realtà il risultato di competenze informatiche approssimative e insufficienti; il programma Consolle, per come è strutturato, si rivolge a un utente dotato di competenze informatiche di livello medio-alto, che attualmente sono possedute soltanto da una frazione minoritaria di giudici. Come ho avuto modo di osservare in altre occasioni, la maggiore criticità di Consolle è l’utente. Avete dei dubbi in proposito? Oggi chiunque può valutare il proprio livello di competenza informatica mediante test di autovalutazione facilmente reperibili su Internet; il primo passo che il magistrato PCT-fobico dovrebbe compiere consiste nel valutare il proprio grado di conoscenza dell’utilizzo del mezzo informatico. E cercare di elevarlo.
Come risolvere questo problema? Naturalmente non è possibile contare soltanto su inclinazioni, passioni ed entusiasmi personali, per quanto occorra ricordare che il computer è ormai il principale strumento di lavoro di ogni professione non manuale, e un suo utilizzo adeguato può essere ragionevolmente preteso da parte di chi è chiamato ad assumere decisioni di grande importanza sulla vita delle persone, e percepisce una retribuzione di migliaia di euro al mese. È accettabile che un magistrato dello Stato italiano non sappia eseguire procedure informatiche ormai banali per qualsiasi adolescente? È sconcertante leggere affermazioni del tipo che l’essere un magistrato dovrebbe esentare dall’acquisire competenze in campo informatico; come ogni altro lavoro, anche quello del magistrato è soggetto al necessario aggiornamento professionale, anche quello connesso al progresso tecnologico. Secondo questa bizzarra logica, soltanto gli esperti di informatica sarebbero tenuti a utilizzare un computer!
La formazione informatica deve diventare parte integrante del bagaglio culturale del magistrato, sin dagli anni dell’università, e proseguire per l’intero arco della vita lavorativa; attualmente, invece, tale formazione, peraltro estremamente frammentaria e ridotta, si limita all’utilizzo del software Consolle: è come pretendere di imparare a guidare un’auto limitandosi ad apprendere soltanto i comandi del climatizzatore!
La seconda doglianza elevata al processo civile telematico è costituita dalla lettura degli atti a video, che sarebbe scomoda e dannosa per la vista, con conseguente richiesta di reintroduzione delle copie cartacee.
La carta, come è noto, è un supporto lento e costoso: produrla, trasportarla, stamparla, copiarla, conservarla, consultarla sono attività che richiedono molto tempo, molto denaro, il lavoro di tante persone; i documenti cartacei si deteriorano facilmente, sono alterabili e facili da occultare, smarrire o distruggere. Custodia e conservazione sono complessi e dispendiosi. Effettuare ricerche su documenti cartacei richiede molto tempo, tanta fatica, ed esportarne i risultati in modo fedele e completo non è semplice. L’abbandono del supporto cartaceo, con l’enorme riduzione dei costi conseguenti, rappresenta uno degli obiettivi dell’informatizzazione della pubblica amministrazione, e del servizio giustizia. In questa prospettiva la pretesa, da più parti avanzata, di stampare tutti gli atti telematici, in modo da porre a disposizione dei magistrati le copie cartacee degli stessi, costituisce un ritorno al passato: a cosa serve il processo telematico se tutto viene stampato? Tanto varrebbe - e probabilmente a questo mirano i detrattori del PCT, affermazioni di principio a parte - abbandonare totalmente il processo telematico e tornare ai vecchi metodi di lavoro. La giustizia sarebbe così l’unico settore non digitale, o digitale per finta, in un mondo sempre più digitale, sempre più connesso, sempre più veloce, richiedente competenze sempre più diversificate ed interdisciplinari. Il magistrato resterebbe chiuso nella torre d’avorio del diritto, a scrivere i suoi provvedimenti con penna e calamaio, aborrendo le contaminazioni tecnologiche e rifiutandosi pervicacemente di comprendere il significato di espressioni oscene come java, driver, buffer, megabyte, pixel, drive, cloud. Quanto ciò possa conciliarsi con le moderne esigenze di celerità, connettività, smaterializzazione e risparmio economico non è dato comprendere. E’ invece semplice comprendere quanto irragionevole sia questa pretesa.
Il processo civile telematico richiede, per la sua piena operatività, e per usufruire dei suoi benefici, allo stato in buona parte solamente potenziali, la totale scomparsa della carta. Senza vie di mezzo. Senza regimi transitori, che in Italia durante decenni e non conducono da nessuna parte. Finché un magistrato lavorerà con un foglio di carta in mano, non cambierà mai il suo modo di organizzare il lavoro in chiave più efficiente, più tecnologica, più trasparente, più fruibile, più aperta al mondo e alla società. Il progresso tecnologico, piaccia o no, non può essere ignorato. Ogni concessione al cartaceo è un passo indietro nel progresso verso il digitale.
La lettura degli atti a video richiede soltanto un monitor di dimensioni accettabili, non meno di 24 pollici (ma oggi è possibile acquistare a poco prezzo monitor di dimensioni ben maggiori), e un software di visualizzazione e gestione dei file PDF più efficiente del visualizzatore di Consolle, lento e inadeguato, o di Adobe Reader, che non consente l’apertura di più file PDF contemporaneamente su schede separate, funzione estremamente preziosa nello studio di un fascicolo telematico. Su Internet è possibile reperire facilmente programmi gratuiti che offrono tali funzioni, io ad esempio utilizzo Foxit Reader, ma ve ne sono tanti altri.
Che la lettura degli atti a video sia dannosa per la salute è un argomento chiaramente pretestuoso: negli ultimi vent’anni ogni giudice ha avuto sulla scrivania un monitor, probabilmente sempre acceso; nella vita di ogni giorno i nostri occhi si posano continuamente su tanti display, dal cellulare al televisore al tablet, al navigatore satellitare, al cruscotto dell’autovettura, agli elettrodomestici. Stare in spiaggia a prendere il sole espone la vista a uno stress luminoso maggiore, ma non credo che per questo motivo incontri analoghe contestazioni!
Io sono miope, astigmatico e presbite, e trovo assai più agevole la lettura su schermo, che consente di variare le dimensioni dei caratteri, la luminosità del monitor, lo scorrimento del testo e altri parametri che accrescono il comfort. D’altra parte la lettura su carta é forse riposante? Verbali illeggibili, fotocopie sbiadite, atti stampati con toner quasi esauriti non affaticano forse la vista? Certo, sono necessarie le pause, anche con la lettura degli atti cartacei; e sono necessarie periodiche visite di controllo dello stato di salute, da quando ho iniziato a lavorare non sono mai stato sottoposto a una visita medica. Se il processo telematico portasse l’attenzione del legislatore (e non solo) sulla tutela della salute del magistrato, problema sinora ignobilmente ignorato, non potremo che esserne lieti!
Ed ecco un altro punto delicato: serve a poco accrescere le competenze informatiche del magistrato, se questo si trova impossibilitato a configurare il computer secondo le sue esigenze. Il computer è uno strumento estremamente duttile, che consente di risolvere problemi secondo modalità differenti, e ciascun utente lo usa in modo personalizzato, preferendo alcuni programmi ad altri. Eppure in diversi distretti è stato stabilito che il giudice utilizzi il computer come semplice utente, senza i privilegi di amministratore, dovendosi rivolgere all’assistenza per qualunque intervento di installazione di software, che deve essere preventivamente autorizzato, anche quando si tratta di software acquistato a spese del magistrato, oppure reperibile gratuitamente e perfettamente sicuro. Se l’assistenza informatica dei nostri uffici fosse rapida, competente e risolutiva, tale scelta sarebbe forse accettabile, ma la situazione in cui quotidianamente operiamo é ben lontana da questa utopistica condizione. Gli interventi di assistenza vengono spesso eseguiti con notevole lentezza, spesso in modo non risolutivo, con intuibili conseguenze sul piano della produttività del magistrato. Ecco perché è assurdo demandare esclusivamente all’assistenza tecnica ogni intervento migliorativo, ogni soluzione di problematiche che un giudice dotato delle opportune conoscenze potrebbe adottare in autonomia. Ogni giudice deve essere dotato dei privilegi di amministratore sulla propria macchina, deve essere in grado di configurare la propria postazione di lavoro secondo le proprie personali e specifiche esigenze, anche in relazione alle funzioni esercitate, con l’unico limite della responsabilità e dell’utilizzo lecito.
Il rallentamento del lavoro e la lettura degli atti su schermo sono le principali obiezioni mosse al processo civile telematico, e a mio avviso non risolutive, come ho esposto in precedenza. Altre critiche davvero non riesco davvero a capirle: si sostiene, ad esempio, che il processo telematico avrebbe onerato i giudici di competenze proprie dei cancellieri; questa obiezione mi sembra incomprensibile, io ho continuato a fare il mio lavoro di giudice e la cancelleria il suo, se il problema è costituito dalla assistenza in udienza il processo telematico non c’entra nulla, dato che l’assistenza del cancelliere non veniva prestata nemmeno in epoca anteriore.
Cosa sarebbe necessario per fare prendere seriamente quota al processo civile telematico? In primo luogo, come ho già osservato, la totale scomparsa della carta. Soltanto così le criticità tecniche e organizzative potranno essere seriamente esaminate e risolte, mentre l’esistenza di un doppio binario rinvierà all’infinito le soluzioni. Il formato digitale deve essere l’unico ammesso per gli atti processuali, senza eccezioni non specificamente motivate. Diverse pronunce giurisprudenziali hanno ritenuto perfettamente valido, nonostante il divieto di legge, il deposito di atti e documenti in formato cartaceo, ritenendo che il vizio di forma non sia tale da determinare l’inesistenza dell’atto, e che il “raggiungimento dello scopo” sani ogni vizio. Appare evidente che questa interpretazione costituisca una vera e propria pietra tombale sul processo telematico, dato che consente a giudici e avvocati di depositare atti in formato cartaceo senza incorrere in alcuna sanzione processuale, rendendo così meramente facoltativo il ricorso all’unica forma prevista dalla legge. Il legislatore deve prendere posizione su questa questione senza incertezze, stabilendo la nullità assoluta e insanabile del formato cartaceo in tutti i casi in cui è richiesto quello telematico; salvo che non voglia, in tempi di spending review, giustificare la spesa di milioni di euro per il PCT in termini di semplice passatempo per giudici e avvocati geek, e continuare a spendere altrettanti milioni di euro in carta, toner, fotocopiatori.
Devono conseguentemente sparire le copie di cortesia, che spesso di cortesia hanno soltanto il nome: è impensabile trasferire sugli avvocati, e quindi sulle parti, i costi derivanti dalla indebita stampa degli atti processuali digitali; così come è iniquo, oltre che contra jus, adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti degli avvocati che non ottemperano alla richiesta di fornire le copie. E chi ci dice che la copia di cortesia sia effettivamente corrispondente all’atto digitale originale?
Devono inoltre sparire i variegati protocolli con cui ciascun ufficio giudiziario d’Italia ha ritenuto di disciplinare, in solitudine, le modalità di attuazione del processo civile telematico, instaurando una sorta di feudalesimo protocollare non legittimato da alcuna norma di diritto positivo. Nelle aule dove amministriamo la giustizia c’è scritto che la legge è uguale per tutti, e questo deve valere anche per il processo telematico, che deve essere attuato in modo uniforme in ogni angolo della Repubblica.
E, dulcis in fundo, il problema dei problemi: tanti giudici sono allarmati dall’influenza che il processo telematico inizia a esercitare sull’interpretazione delle norme del codice di procedura civile. Preoccupazione entro certi limiti condivisibile, se non fosse per il fatto che il vigente codice di procedura civile è ormai un rudere del passato, nato nel 1940 e rattoppato una infinità di volte, del tutto inadeguato alle esigenze della giustizia moderna. Ogni due o tre anni viene varata una riforma immancabilmente preannunciata come epocale, che si riduce a riscrivere qualche decina di articoli, aggiungendo commi bis e ter e quater spesso prolissi e di ardua interpretazione. Come possiamo pretendere che Consolle si adegui fedelmente a un codice incomprensibile persino per gli esseri umani? Inutile tirarla per le lunghe, serve un nuovo codice di procedura civile adeguato al 21º secolo, con un solo rito ordinario, possibilmente mutuato da quello del lavoro, con chiare preclusioni e decadenze, poco spazio per scambi di memorie, contromemorie, repliche e repliche di repliche, pochissimi riti speciali, limiti ragionevoli di lunghezza degli atti processuali. Strutturato in articoli brevi, sintetici, con non più di 5 - 6 commi. Scritto da individui competenti. Chiedo troppo?