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I giudici del lavoro, l’udienza da remoto e la conciliazione giudiziale

di Anna Luisa Terzi
Consigliere Corte di appello di Trento

L’udienza da remoto e il tentativo di conciliazione nelle cause di lavoro: la compatibilità con una interlocuzione reale che preservi il ruolo del giudice e la possibilità di realizzare un atto coerente con l’art. 88 disp. att. c.p.c. 

1. Una questione che si è posta all’attenzione dei giudici, e in particolare dei giudici del lavoro, nell’organizzazione delle nuove modalità di trattazione dei procedimenti stabilite per il periodo di emergenza e che ha occupato molto le mailing lists e i dibattiti webinar, anche degli incontri organizzati dalla Scuola superiore della magistratura è stata quella della conciliazione giudiziale nell’udienza da remoto, sia sotto il profilo della compatibilità del mezzo con una interlocuzione reale che preservi il ruolo del giudice sia, più in generale, sotto il profilo della possibilità di realizzare un atto compatibile con le forme richieste dalle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.  

Il problema è stato risolto con la modifica dell’art. 88 comma 2 disp. att. cpc introdotta con la legge n. 70/2020 di conversione del dl n. 28/2020, nel quale è stato inserito un secondo comma  così formulato: «Quando il verbale d’udienza, contenente gli accordi di cui al primo comma ovvero un verbale di conciliazione ai sensi degli articoli 185 e 420 del codice, è redatto con strumenti informatici, alla sottoscrizione delle parti, del cancelliere e dei difensori tiene luogo apposita dichiarazione del giudice che tali soggetti, resi pienamente edotti del contenuto degli accordi, li hanno accettati. Il verbale di conciliazione recante tale dichiarazione ha valore di titolo esecutivo e gli stessi effetti della conciliazione sottoscritta in udienza». 

Il legislatore ha quindi posto un evidente accento sulla necessità di una interlocuzione effettiva con le parti e i difensori nello svolgimento, durante l’udienza da remoto, dell’attività di promozione di una conciliazione della controversia, che nel contempo è però individuata come modalità idonea in coerenza con l’inciso introdotto, sempre in sede di conversione, al comma 7 lett. h bis) art. 83 dl n. 18/2020: «il luogo posto nell’ufficio giudiziario da cui il magistrato si collega con gli avvocati, le parti e il personale addetto è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti di legge». Tralasciando gli aspetti critici di questa definizione, poiché in molti uffici giudiziari la composizione collegiale del giudice necessita, per motivi di sicurezza sanitaria o tecnici, di collegamenti dei singoli magistrati da stanze diverse[1], è di immediata evidenza la finalità di identificare il luogo del processo non solo sotto il profilo temporale ma anche spaziale nello sforzo di giungere a una completa equiparazione con l’udienza in presenza.

L’accertamento della effettiva volontà delle parti di transigere la controversia da un punto di vista contenutistico/sostanziale, nell’udienza da remoto non pone, in realtà, particolari problemi, se non quelli generali sulla attività di promozione e controllo della volontà transattiva, di chiarimento degli effetti dell’atto, che soprattutto quando si tratta di diritti dei lavoratori, in particolare se indisponibili, dovrebbe svolgersi con la dovuta sensibilità ed attenzione. 

La posizione diseguale delle parti rispetto alla capacità di resistenza economica alla lite, quale ordinariamente si presenta nel contenzioso del lavoro dovrebbe sempre imporre una verifica della rispondenza del contenuto della transazione a criteri di equità sostanziale indipendentemente dal contesto in cui si svolge l’attività del giudice.

Si può mettere in conto un certo impaccio iniziale nell’uso di questa modalità, l’udienza da remoto, e dare anche per certo che il mezzo implica una relazione nella comunicazione non così immediata come quella che si realizza nel rapporto in presenza, nel quale istintivamente si attivano modalità di lettura e comprensione di un linguaggio non verbale che, su una base che appartiene a tutti gli esseri umani, vede innestate per l’attività del giudice modalità specifiche sedimentate attraverso l’esperienza professionale. Per quella che è stata però, fino ad ora, l’esperienza di chi scrive, nell’udienza da remoto il giudice può realizzare condizioni di comunicazione piena e svolgere pienamente la sua funzione di proposta, controllo, sollecitazione, verifica della rispondenza delle condizioni di transazione al contesto del contenzioso secondo le ordinarie modalità e utilizzando le potenzialità specifiche dello strumento ad iniziare dalla condivisione a video del verbale e del testo dell’accordo.

La disposizione ha risolto anche il problema più strettamente formale della raccolta del consenso delle parti alla transazione, che pure ha occupato grandemente i giudici del lavoro per la palese impossibilità di rendere coerente l’art. 88 disp. att. cpc nel testo antecedente alla modifica con l’udienza da remoto. La questione rimane però interessante sotto un profilo particolare ossia quello delle vie di soluzione percorse e delle soluzioni proposte, nel periodo intermedio dall’emanazione del decreto legge n. 18 alla conversione in legge del decreto legge n. 28, che esprimono un diverso approccio rispetto alla definizione concettuale dell’estensione e dei compiti dell’attività giudiziaria nella costruzione dell’ordinamento giuridico. A una soluzione imperniata sulla interpretazione giurisprudenziale delle norme vigenti, ordinarie ed emergenziali, già fatta propria da una parte dei magistrati, si è giustapposta la ricerca di soluzioni interne al sistema di PCT, condivisa da altra parte, capi degli uffici compresi. 

  

2. Il problema si era posto nei seguenti termini.

La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 cpc, non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, si caratterizza per il necessario intervento del giudice e per la forma prevista dall'art. 88 disp. att. cpc; può avere per oggetto, nei procedimenti di lavoro, anche diritti indisponibili del lavoratore ed è un atto che, osservata la forma imposta, determina da un lato l'effetto processuale di chiusura del procedimento, dall'altro la formazione di un titolo esecutivo.  

L’art. 88 dip. att. cpc nel testo originario stabiliva però requisiti formali precisi: la conciliazione doveva essere « raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere»; in assenza delle parti, se la conciliazione avveniva «tra i procuratori non autorizzati a conciliare, il giudice ne prende atto nel processo verbale di udienza e fissa un'udienza per la comparizione delle parti e per la formazione del verbale separato»; se le parti non risiedevano nella circoscrizione del giudice, la “ratifica” poteva avvenire “ma” con «dichiarazione ricevuta dal cancelliere del luogo di residenza o … da un notaio» «unita al processo verbale di udienza contenente la convenzione».  La possibilità di ratificare l’atto formato in udienza in un momento successivo e dunque una possibile non contestualità documentale e temporale era quindi consentita, ma “solo” con specifiche formalità e “solo” se la parte non era presente all’udienza in cui veniva formato il separato processo verbale.

Si trattava quindi di trovare la via per formalizzare la conciliazione come conciliazione giudiziale ossia come conciliazione le cui condizioni sono definite in udienza (sia in senso stretto, sia nel senso di recepimento in udienza di condizioni già negoziate dalle parti che si vogliono formalizzare in sede giudiziale con controllo del giudice), in un’udienza da remoto, tenendo presente che la giurisprudenza (vedi ad es. Cass.sez. lav. n. 25472/2017) distingue chiaramente tra la conciliazione giudiziale, come appena delineata, prevista dagli artt. 185 e 420 cpc e una ordinaria transazione conclusa (art. 1326 cc) nel contesto di un procedimento contenzioso, (che non richiede la forma scritta per la sua validità, art. 1967 cc) da ritenere raggiunta e provata quando dagli atti di causa risulti (prova per iscritto) che le parti hanno raggiunto un accordo. E tenendo anche presente che, benché vi sia giurisprudenza risalente di contrario avviso, la Corte di cassazione ha più volte ribadito (con riferimento ovviamente al sistema anteriore all’art. 83 d.l. n. 18/2020), che la sottoscrizione del verbale è requisito imprescindibile per la formazione dell’atto di conciliazione giudiziale.

Il problema nasceva perché nell’udienza da remoto: a) vi è una contestualità temporale, quella dell’udienza virtuale, nello scambio del consenso, b) ma senza una contestualità spaziale, c) e non essendovi una contestualità spaziale non vi è ovviamente contestualità materiale perché l’atto cartaceo su cui redigere la transazione e apporre la firma non è materialmente condivisibile da giudice e parti. E questo in un sistema di PCT, ed è il primo nodo e va sottolineato, nel quale né le parti né i loro procuratori possono sottoscrivere il verbale firmato dal giudice (o dal cancelliere). 

 La situazione ante art. 83 dl n. 18/2020 era questa: con la normativa per l’attuazione del PCT, dl n. 90/2014 conv. nella l n. 114/2014, si sono riformati gli artt. 126 e 207 cpc eliminando l’obbligo della sottoscrizione dei verbali in cui sono raccolte le dichiarazioni di testi e parti, eliminazione necessaria e connessa  all’impossibilità, come appena detto, per soggetti diversi da giudice e dal cancelliere di sottoscrivere il verbale telematico formato in udienza, ma si è omesso un intervento normativo sull’art. 88 disp att. cpc, rimasto immutato dal 1941  (il RD è del dicembre 1941 entrato in vigore l’8 gennaio1942)  alla legge n. 70 di conversione del dl 28/2020, e questo era stato letto come scelta normativa di “non dematerializzare il processo verbale di conciliazione”. Di conseguenza nella pratica giudiziaria, nell’attività d’udienza con il PCT, si è ritenuto necessario procedere a formare su foglio cartaceo il verbale di conciliazione al fine di raccogliere le sottoscrizioni delle parti (atteso anche lo stato della giurisprudenza di cassazione).

La conciliazione giudiziale, e questo è il secondo nodo e va sottolineato, non è infatti prevista come atto del processo dal PCT e passa attraverso una attività, l’attività di udienza, che non è regolata dal PCT ma dal codice di procedura. L’attività d’udienza comunica con il PCT “o” con la formazione di verbale telematico “o” con la formazione di verbale cartaceo che viene poi immesso nel PCT.  Utilizzando però l’udienza da remoto non si può realizzare quella “ibridazione” che è consentita invece dall’attività d’udienza in presenza, con redazione di verbale telematico che si può accompagnare con la redazione “anche” di un verbale cartaceo, che tale rimane. 

 

3.  Le proposte che erano state avanzate per risolvere il problema hanno espresso un approccio  diverso  movendosi alternativamente o da una prospettiva di interpretazione conservativa delle norme del 1942 da un punto di vista formale o da una prospettiva di interpretazione evolutiva, che innestando su queste norme le disposizioni successive, ed in particolare quelle emergenziali che prevedono l’udienza da remoto, si ponesse nell’ottica di dare continuità al sistema visto nel suo complesso, rivisitando le norme del 1942 e quelle del 2014 per applicarle a fattispecie nuove. 

Nessuna delle proposte riusciva a mantenere tutte le condizioni contenute nell’art. 88 disp. att. cpc, ognuna aveva dei limiti.

 

4. Tutte le modalità che prevedevano lo scambio di atti di parte prima dell’udienza o dopo l’udienza, con deposito telematico, di due atti o di un unico atto, si scontravano con il fatto che nel PCT questi atti sono inseriti come atti di parte (memorie, istanze o documenti) e non come atti formati dal giudice.  Con il solo deposito di atti con uguale contenuto o di un unico atto sottoscritti con firma digitale (dai procuratoti con procura o se fosse mai stato possibile dalle parti) si determinava quindi la conclusione di una transazione con una cessazione della materia del contendere e non una conciliazione giudiziale. Lo scoglio non era superabile ipotizzando un verbale con una proposta del giudice, perché le successive adesioni, che devono necessariamente assumere le forme degli atti attualmente previsti e consentiti dal PCT, dovevano essere depositate come atto di parte con firma digitale e non si sarebbe in ogni caso creato un atto unico come delineato dall’art. 88 disp. att. e nemmeno un qualcosa di assimilabile alla «dichiarazione di ratifica…unita al processo verbale di udienza contenente la convenzione» con le forme previste dall’art. 88.  Sarebbero rimasti atti separati che non si possono unire, perché nel PCT l’atto del giudice non può essere firmato dalle parti e non pare esserci una modalità che consenta di creare un atto composito.    

A risultati non molto differenti portava la ricerca di un luogo dove le parti, eventualmente i procuratori delle parti con procura a transigere, e il giudice potessero formare un atto ponendo congiuntamente la firma digitale, con l’uso di apposite cartelle in appositi programmi (e anche con i programmi di condivisione di Teams). Questa modalità non teneva conto che questa attività temporalmente contestuale all’udienza virtuale si sarebbe svolta in un “luogo” diverso dall’udienza da remoto, così come prevista dall’art. 83 dl, in altri programmi/applicativi e che si sarebbe trattato di una attività che non è disciplinata dal codice di procedura come attività d’udienza. Non solo, ma l’esito di questo lavoro in altro “luogo” sarebbe stato un documento unico non modificabile, “nativo digitale”, inserito dal giudice nel PCT senza che fosse previsto come atto di PCT e non si sa con quale forma. Come atto del giudice? E quale atto del giudice? Come verbale d’udienza? Ma non sarebbe stato un verbale di conciliazione ex art. 88 disp. att. cpc formato in udienza, sarebbe stato solo un verbale con inserita una immagine/una copia informatica della transazione, che sarebbe rimasta atto separato e un verbale che sarebbe stato firmato nuovamente solo dal giudice.

Questa modalità inoltre, se pure fosse stata fattibile, avrebbe escluso dalla possibilità di fare una conciliazione giudiziale tutte le parti che non avessero dato o non avessero voluto dare una procura a transigere al proprio difensore e non avessero avuto personalmente una firma digitale. Postulava inoltre competenze e abilità che non risulta appartengano ad oggi alla media di cancellieri, magistrati e avvocati. Si poteva quindi dubitare che fosse questa una via praticabile per fare funzionare il processo civile nella situazione di emergenza, che era la finalità perseguita.

 

5. L’altro approccio[2], a più largo spettro sistematico, partiva da una prospettiva diversa, quella di scomporre l’atto cartaceo nelle sue componenti per vedere quali di queste componenti erano davvero essenziali per l’art.88 disp. att. cpc e per vedere se l’art. 88 disp. att. cpc potesse essere letto diversamente in relazione alle nuove norme e in particolare in relazione all’art. 83 dl n. 18, mettendo così in comunicazione l’art. 88 disp. att. cpc con una modalità di svolgimento dell’udienza diversa da quella del codice.  

E così quanto alla sottoscrizione delle parti sul verbale, che era l’ostacolo di tutte le ipotesi fin qui esaminate, ne veniva (correttamente) identificata la funzione di strumento formale con il quale si realizza l’attribuzione di una dichiarazione a un soggetto: la sottoscrizione è servente all’assunzione di responsabilità, sia che si tratti di una dichiarazione di scienza, con le conseguenze previste dall’ordinamento in caso di falsità per quelle rese quale testimone o sotto giuramento, sia che si tratti di dichiarazioni negoziali, con le quali il soggetto acquista i diritti e si assume gli obblighi, quindi sottostà agli effetti, che derivano dal negozio giuridico concluso. Rilievo questo che vale anche per i contratti per i quali la forma scritta è richiesta per la validità: lo scritto del contenuto dà certezza al regolamento degli interessi voluto con il negozio, la sottoscrizione dà certezza all’assunzione/attribuzione dei relativi obblighi e diritti, tanto è vero che anche i soggetti impossibilitati a sottoscrivere possono concludere contratti sia pure con determinate altre formalità[3]

Alla sottoscrizione è culturalmente annessa la solennità del gesto che richiama all’importanza dell’atto, ma la sua funzione è quella detta. 

Partendo da queste considerazioni, al quesito se la sottoscrizione materiale del verbale di conciliazione nel nuovo contesto potesse essere sostituita da una attestazione del consenso fatta dal giudice veniva quindi data risposta affermativa. Del resto, un orientamento giurisprudenziale verso questa direzione era già stato espresso, nel vigore delle formulazioni degli artt. 126 e 207 cpc anteriori alla novella del 2014, da alcuni giudici che avevano ritenuto che l’impossibilità di sottoscrivere il verbale prevista dall’art. 126, comma 2 cpc testo originario potesse essere estesa all’impossibilità di sottoscrizione del verbale telematico ad opera delle parti e del teste.   

Il contesto normativo era quindi stato  riletto alla luce della legislazione emergenziale considerato che: 1) la previsione dello svolgimento delle udienze civili «che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante collegamenti da remoto» è stata introdotta dall’art. 83 dl 18/2020 al fine di «contrastare l'emergenza epidemiologica da COVID-1» ma, al tempo stesso, di «contenerne gli effetti negativi sullo svolgimento dell'attività giudiziaria», con la conseguenza che l’attività giudiziaria doveva essere garantita nella sua pienezza ove compatibile con modalità che evitassero l’accesso ed il sovraffollamento delle aule di giustizia; 2) che la presenza delle parti, a cui fa riferimento la disposizione, è specificamente richiesta in udienza nelle cause di lavoro ex art. 420 cpc per  l’interrogatorio libero e per la conciliazione della lite, dal che si poteva desumere che l’udienza da remoto fosse stata concepita dal legislatore come strumento idoneo anche per l’attività di conciliazione;  3)  nell’udienza da remoto il giudice deve dare «atto a verbale delle  modalità  con  cui  si  accerta dell'identità dei soggetti partecipanti e, ove  trattasi  di  parti, della loro libera volontà», formulazione singolare se riferita all’accertamento che le parti non siano state coartate in qualche modo a partecipare all’udienza da remoto, mentre appare più ragionevole ritenere che si tratti di un riferimento ampio alla comprensione e libera determinazione per la partecipazione all’attività d’udienza, compresa quella conciliativa; 4) l’espressione «dare atto a verbale» dell’art. 83 dl ripetuta due volte («dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta», «Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale») riferita al giudice autorizzava ad affermare che nell’ambito dell’udienza da remoto ben potesse essere espressa la libera volontà negoziale delle parti di concludere la conciliazione giudiziale e che di questa attività potesse dare atto a verbale il giudice; 5) vi era un precedente normativo a contenuto analogo ovvero  l’art. 11 comma 3 d.lgs. n. 28 del 2010 con il quale era stata attribuita al mediatore la possibilità di certificare la firma del verbale di conciliazione ovvero l’«impossibilità di sottoscrivere».  

 

6. Si sono quindi delineati due diversi approcci allo stesso problema dell’impossibilità di una sottoscrizione delle parti del verbale di conciliazione:  l’uno “tecnico” volto a una sorta di “forzatura” degli applicativi del PCT per inglobare un atto dal PCT non previsto ma che si sarebbe voluto formalmente realizzare secondo consuetudine, con una evidenza di apposizione di firma delle parti su un atto; l’altro volto verso una interpretazione giurisprudenziale del contesto normativo posto in relazione a una nuova realtà, che inquadrava giuridicamente la partecipazione all’udienza da remoto in una ipotesi di impossibilità di sottoscrivere materialmente il verbale, superata con l’intervento rimediale dell’attestazione del giudice.

 In questa seconda ipotesi il verbale di conciliazione sarebbe stato un atto del processo, un atto unico consistente in un verbale steso separatamente o di seguito al verbale d’udienza, la cui natura anche ai fini dell’apposizione della formula esecutiva sarebbe stata attestata dal giudice.  Un risultato peraltro non diverso, sotto il profilo di stretta corrispondenza con l’art. 88 disp. att. cpc, dal verbale in cui viene inserita una immagine/una copia informatica della transazione con firma digitale, che pure è un verbale che risulta firmato solo dal giudice, ma un risultato supportato da un percorso di interpretazione delle norme in coesistenza: l’art. 88 disp. att. cpc e l’art. 83 dl 18/2020.

E’ stato sollevato il problema della trascrivibilità di un verbale non sottoscritto dalle parti. La questione attiene però a un profilo diverso da quello della validità della transazione in sede giudiziale ex artt. 185, 420 cpc e 88 disp. att. cpc ed è una questione rimessa alla interpretazione del conservatore dei registri immobiliari, relativa alla regolarità formale del provvedimento, che si proporrebbe anche in relazione alle altre modalità esaminate non essendovi corrispondenza con l’art. 88 disp. att. cpc. E in ogni caso l’ordinamento conosce atti in forma scritta validi e non trascrivibili. [4] 

In conclusione: nessuna delle soluzioni proposte riusciva a mantenere tutte le condizioni contenute nell’art. 88 disp. att. cpc e il problema è stato risolto, anche quanto agli effetti del titolo esecutivo così formato, dal legislatore che ha recepito l’approccio “giurisprudenziale”. L’intervento, sicuramente opportuno e sollecitato dalla confusione che si stava creando, con rischio di sicurezza dei rapporti giuridici, ha avuto più una portata interpretativa di sistema che non innovativa e non in relazione alla conciliazione nell’udienza da remoto, ma in relazione alla omessa/dimenticata modificazione dell’art. 88 disp. att. cpc con la riforma del 2014, forse troppo frettolosamente interpretata, nel dubbio, in senso conservativo, essendo possibile, nell’udienza in presenza, l’ibridazione di cui si è detto.   

In ogni caso, senza qualificare la natura di questa modificazione dell’art. 88 disp. att. cpc, partendo dal rilievo che l’obiettivo perseguito dalle norme del codice di procedura è quello di avere un atto a formazione giudiziale ovvero un atto qualificato dalla presenza e dall’attività del giudice, che sono il perno di una contrattazione autorizzata anche per diritti indisponibili e che sono anche la ragione della formazione di un titolo esecutivo, i due approcci illustrati hanno espresso una apprezzabile differenza nella concezione del ruolo da attribuire all’attività del giudice come attività di integrazione tra ordinamento giuridico e realtà sociale.    

 
[1] Non sempre sono disponibili aule di dimensioni tali da consentire con il distanziamento sociale la presenza ad es. di cinque giudici come nella sezione minorenni d’appello ognuno con il proprio portatile.

[2] In questo senso Tribunale di Milano, verbale 28 aprile 2020, RG n. 11700/2019, pres. Cassia., rel. Cappelli.

[3] V. legge notarile, artt. 48 e 51, testo originale e attuale.

[4] E’ da notare che verbale del mediatore, che può attestare l’impossibilità a sottoscrivere, quando le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, e l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati è atto idoneo alla iscrizione dell’ipoteca giudiziale, quindi anche questo potrebbe essere un problema superabile in via interpretativa.

07/07/2020
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