«Alle 16.30 del 12 dicembre 1969 un ordigno esplodeva nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano, uccidendo 16 persone e ferendone 88. Un secondo ordigno, inesploso, veniva rinvenuto nella sede della Banca Commerciale di Piazza della Scala tra le 16.25 e le 16.30. Si trattava di un cassetta portavalori… chiusa a chiave e contenuta in una borsa in skai di colore nero. Gli inquirenti ne decidevano la immediata distruzione e così, la sera stessa la cassetta veniva fatta brillare nel cortile interno della Banca Commerciale senza verificarne il contenuto. Quasi contemporaneamente nell’arco di un’ora, altri tre ordigni esplodevano in Roma, dove rimanevano ferite 18 persone in totale».
Sono le righe iniziali della requisitoria del 6 febbraio 1974 con la quale il pm Emilio Alessandrini chiedeva al giudice istruttore il rinvio a giudizio di Freda, Ventura ed altri per associazione sovversiva e strage in relazione alle bombe di Milano e Roma del 12 dicembre 1969.
Come vedremo, Emilio Alessandrini e Guido Galli, sotto profili diversi, sono intervenuti nella vicenda delle indagini sulla strage di Piazza Fontana.
Gli esordi. Il Procuratore della Repubblica Enrico De Peppo emargina il sostituto di turno Ugo Paolillo, che aveva mostrato di non voler assumere acriticamente la tesi preconcetta della pista anarchica e assume direttamente la gestione delle indagini, dopo aver dato la disposizione di far brillare la bomba inesplosa rinvenuta alla Banca Commerciale: alla affrettata decisione di distruggere un corpo di reato si aggiunge la mancata campionatura e conservazione dei pochi reperti rimasti.
La Procura della Repubblica di Roma si appropria delle indagini ordinando la cattura di Pietro Valpreda. Il procuratore di Milano si affretta a trasmettere tutti gli atti a Roma e non solleva conflitto di competenza.
Eppure il fondamento della competenza romana è così inconsistente che, quando il processo giunge al dibattimento pubblico, la Corte di assise di Roma il 6 marzo 1972 si dichiara incompetente e ritrasmette gli atti a Milano. Il caso è assegnato al sostituto procuratore Emilio Alessandrini, che si trova immediatamente di fronte ai nuovi elementi sulla pista neofascista padovana aperta dalle indagini condotte da Giancarlo Stiz e Pietro Calogero.
Ma il processo a Milano non si ha da fare: il 30 agosto 1972 il Procuratore della Repubblica De Peppo sollecita il procuratore generale di Milano a richiedere alla Cassazione la rimessione ad altra sede; il sostituto procuratore generale Mauro Gresti, che regge provvisoriamente l'ufficio quale sostituto più anziano, trasmette il giorno successivo la richiesta, con parere favorevole, a Roma. Queste iniziative adottate con celerità inusuale in due giorni di fine agosto, sono prese immediatamente dopo la morte per malattia (26 giugno 1972) del procuratore generale di Milano Luigi Bianchi d'Espinosa, personalità di ben altra tempra. Nel frattempo, i difensori di Valpreda hanno depositato una istanza di scarcerazione per mancanza di indizi, ma la Cassazione provvede anch’essa con eccezionale celerità e il 13 ottobre 1972 il processo viene trasferito a Catanzaro[1]. L’ultimo torto della giustizia è il titolo dell’articolo di prima pagina de La Stampa del 14 ottobre a firma di Giovanni Conso; il giorno precedente era stato pubblicato su Il Giorno con il titolo Il giudice naturale a Milano un articolo di Giuliano Vassalli di severa censura alle richieste di rimessione.
La vicenda desta indignazione nella magistratura milanese. L’assemblea della sezione milanese dell'Anm, con oltre duecento presenti riuniti in quest’aula, il 18 ottobre approva, con un solo voto contrario, un documento di critica serrata del provvedimento della Cassazione e prima ancora delle motivazioni addotte nella richiesta del Procuratore e del Pg di Milano. Su iniziativa della Procura generale della Cassazione si procede disciplinarmente nei confronti di Guido Galli, segretario della sezione milanese dell'Anm, Eduardo Greco e Domenico Pulitanò, componenti della giunta esecutiva locale per avere elaborato ed approvato l'ordine del giorno. La lettura del testo dell'odg[2], non bastasse la personalità dei proponenti, mostra quanto argomentata e meditata sia stata quella presa di posizione. Il Csm, con sentenza del 3 dicembre 1974, proscioglierà gli incolpati «per mancanza dell'elemento psicologico».
La decisione della Cassazione provoca polemiche vivissime, tanto che il Parlamento nell'arco di soli due mesi con la L. 15 dicembre 1972 n. 773 modifica l'istituto della rimessione, limitando drasticamente i margini di discrezionalità nella scelta del giudice cui trasferire il procedimento. Il tentativo di «rianimare» l’istituto con l’art. 1 della legge 7 novembre 2002 n. 248 (ancora una volta con riferimento ad un processo milanese) fu reso vano dalla rigorosa interpretazione della Cassazione. La storia si ripete due volte, prima come tragedia e poi in farsa.
Quelle che ho riportato in esordio, come ho già ricordato, sono le righe iniziali della requisitoria del 6 febbraio 1974 con la quale il pm Emilio Alessandrini chiedeva al giudice istruttore il rinvio a giudizio di Freda, Ventura ed altri per associazione sovversiva e strage in relazione alle bombe di Milano e Roma del 12 dicembre 1969; richiesta accolta dal giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio che il 18 marzo 1974 disponeva il rinvio a giudizio dinanzi alla Corte di assise di Milano.
Ma il processo di Piazza Fontana, a Milano non si deve fare. Inutilizzabile la rimessione, lo strumento alternativo viene trovato nell'istituto della connessione e il 12 dicembre 1974 la Cassazione assegna a Catanzaro, per connessione, il procedimento milanese nei confronti di Franco Freda e Giovanni Ventura. Il lavoro di D’Ambrosio e Alessandrini (e prima ancora di Stiz e Calogero) era reso vano. Si noti che la richiesta risulta firmata dal solo Alessandrini, il quale peraltro era stato affiancato nella indagine dal collega Gigi Fiasconaro; ma la solerzia dei due sostituti non era apprezzata dai vertici della procura milanese e nella fase finale Fiasconaro fu destinato ad altri «più urgenti» procedimenti e Alessandrini si trovò ad affrontare da solo il peso della redazione finale del provvedimento.
Nonostante l'impegno dei giudici che a Catanzaro e poi a Bari e ancora a Milano si occuperanno del caso, la strage di Piazza Fontana è tuttora impunita: vi sono state deviazioni e interferenze esterne, ma anche nella magistratura non tutti hanno tenuto la schiena diritta.
La requisitoria di Emilio Alessandrini, subito pubblicata in volume[3], fu ripubblicata integralmente nel 1979 dalla rivista Giustizia e Costituzione nel numero dedicato alla memoria di Alessandrini assassinato il 29 gennaio 1979 da un gruppo di Prima Linea.
«Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8,30 il gruppo di fuoco Romano Tognini “Valerio” dell'organizzazione comunista Prima Linea, ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Era una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva».
Rileggere quella rivendicazione dopo aver rievocato l’impegno professionale di Alessandrini indica la misura dell’abisso cui erano approdate quelle formazioni terroristiche.
Ho ricordato il procedimento disciplinare cui fu sottoposto Guido Galli quale segretario della sezione milanese dell’Anm nel 1972. Emilio Alessandrini ricopriva la stessa carica il 29 gennaio 1979 quando venne assassinato: ancora un punto di collegamento tra i due magistrati nell’impegno a livello dell’associazionismo giudiziario.
Poco più di un anno dopo, il 19 marzo 1980, è ancora un gruppo di Prima Linea ad assassinare Guido Galli.
Giovanni Conso, nel convegno tenuto a Trieste nell’ottobre del 1980 e dedicato a Guido Galli, ne ricorda gli scritti ed in particolare: «In uno di questi, di fronte alla legislazione dell’emergenza ed alle innovazioni apportate dalla legge Reale sotto il profilo della libertà personale, quello che più gli stava a cuore, c’è un giudizio drastico: “Questo contraddittorio operare del legislatore è il riflesso di un costume tanto lontano dal recepire il significato della presunzione costituzionale di non colpevolezza ed i conseguenti suoi riflessi sulla carcerazione preventiva, quanto facile alle emozioni e alle improvvisazioni, esasperate da un ordinamento che mostra ogni giorno di più di non saper reggere alla prova[4]”».
Guido Galli concludeva così la premessa, datata aprile 1978, al testo che raccoglieva le sue lezioni del corso di Criminologia: «Viviamo, certo, tempi scuri: ma gli strumenti per uscirne non devono essere totalmente inidonei alla difesa delle istituzioni e della vita dell’individuo; od indiscriminatamente compressivi della libertà individuale, in nome di ‘ragioni di emergenza’ il cui sbocco frequente ci è purtroppo ben noto[5]».
Comunicato di Prima Linea:
«Oggi 19 marzo 1980, alle ore 16 e 50 un gruppo di fuoco della organizzazione comunista Prima Linea ha giustiziato con tre colpi calibro 38 SPL il giudice Guido Galli dell'ufficio istruzione del tribunale di Milano... Galli appartiene alla frazione riformista e garantista della magistratura, impegnato in prima persona nella battaglia per ricostruire l'ufficio istruzione di Milano come un centro di lavoro giudiziario efficiente, adeguato alle necessità di ristrutturazione, di nuova divisione del lavoro dell'apparato giudiziario, alla necessità di far fronte alle contraddizioni crescenti del lavoro dei magistrati di fronte all'allargamento dei terreni d'intervento, di fronte alla contemporanea crescente paralisi del lavoro di produzione legislativa delle camere...»
Galli colpito perché giudice «garantista». Ma non solo sul terreno del processo penale. Meno conosciuti, ma altrettanto significativi, i suoi contributi sul terreno dell’ordinamento giudiziario. Già nel 1972/73 egli interviene in modo netto sul tema del «giudice naturale precostituito» come riferito non solo all’ufficio ma alle persone dei giudici, non esitando a criticare le incertezze della Corte costituzionale nello scritto intitolato Ancora sui rapporti tra dirigente della pretura e magistrati ‘in sottordine’: una sentenza eludente e deludente[6]. Guido Galli si inserisce autorevolmente nella tendenza che porterà il Csm ad intervenire in modo sempre più incisivo su sistema delle tabelle di composizione degli uffici, in un “circolo virtuoso” tra Csm e parlamento che condurrà al primo intervento legislativo con la legge n. 532/1982 istitutiva del Tribunale della libertà.
Il contributo sull’ordinamento giudiziario e sull’assetto organizzativo della magistratura (nel linguaggio di Prima Linea alla «nuova divisione del lavoro dell'apparato giudiziario») è testimoniato ulteriormente dal percorso professionale di Guido Galli, pretore, poi pubblico ministero e ancora giudice del dibattimento, presidente di una Sezione penale del Tribunale. Ovunque il suo stile, il suo impegno, la sollecitazione alla innovazione. Ricordo che nel periodo in cui presiedeva la VI sezione penale giravano tra di noi in tribunale le copie di alcune sue sentenze redatte con un innovativo stile di motivazione particolarmente conciso. Da Presidente di sezione si “autoretrocede” passando all’Ufficio istruzione come semplice giudice, in spirito di servizio quando quell’ufficio era in difficoltà per la gestione burocratica dell’allora dirigente; inoltre il Csm aveva stabilito che i giudici di prima nomina non fossero destinati al delicato posto di giudice istruttore e quindi occorrevano magistrati più anziani che si dichiarassero disponibili. Guido Galli fu tra questi e il suo esempio fu raccolto, dopo il 19 maggio 1980, da un giudice civile della sezione fallimentare che passò all’Ufficio istruzione e proseguì l’indagine che stava conducendo Guido Galli.
Mi sono prefisso di richiamare solo alcuni aspetti della figura di Guido Galli e mi limito solo a citare il suo ruolo nella Commissione per il nuovo codice di procedura penale, il contributo alle ricerche del Centro nazionale di difesa e prevenzione sociale, la partecipazione ad un gruppo di lavoro della Commissione per la criminalità e i problemi carcerari istituita nel 1978 dalla Regione Lombardia. Nel pomeriggio del 18 marzo, aveva partecipato in Consiglio regionale ad una riunione di questa Commissione, di cui io ero il segretario: è stato il nostro ultimo incontro e ci siamo lasciati ricordando il collega e comune amico Girolamo Minervini che quella mattina, a Roma, era stato ucciso dalle Brigate Rosse.
Questa aula è intitolata ad Emilio Alessandrini e Guido Galli. È l’aula dove si sono sempre tenute le assemblee della sezione milanese dell’Associazione nazionale magistrati, che ha avuto come segretari dapprima Galli e poi Alessandrini. È l’aula dove i magistrati milanesi per due volte in poco più di un anno si sono riuniti dopo l’assassinio dei loro colleghi per piangere insieme, per confrontarsi, per discutere con passione sulle riforme e gli interventi organizzativi necessari alla giustizia, ma soprattutto per rinnovare l’impegno ad andare avanti ciascuno nel proprio ruolo, rispondendo all’attacco terroristico con la forza della legalità. Per questo l’aula è intitolata ai due magistrati. Ma in apertura di un corso sulla criminalità economica è doveroso ricordare che a pochi passi da qui un’altra sala è intitolata all’avvocato Giorgio Ambrosoli, l’eroe borghese assassinato la notte dell’11 luglio 1979 per la sua inflessibile difesa della legalità.
Nell'ordinanza di rinvio a giudizio di Sindona per l'omicidio Ambrosoli ed i reati connessi, i giudici istruttori di Milano Giuliano Turone e Gherardo Colombo sottolineano che «Ambrosoli e Sarcinelli hanno saputo dire un secco “no” a Sindona e ai suoi “portavoce” e segnalano gli “inquietanti interrogativi” che emergono dalla “disavventura giudiziaria” capitata a Sarcinelli, unitamente a Paolo Baffi, governatore della Banca d'Italia. Baffi tiene un diario della vicenda (pubblicato dopo la sua morte sul settimanale Panorama), che egli titola asetticamente Cronaca breve di una vicenda giudiziaria, ma accompagna con una amara considerazione: “Ho dovuto accorgermi della potenza del complesso politico-affaristico-giudiziario che mi ha battuto[7]”».
Corrado Stajano nel libro La città degli untori ha scritto: «Un incrociarsi di destini, quello di Giorgio Ambrosoli e di Guido Galli, che si conobbero… in occasione della bancarotta della Società Finanziaria Italiana; il magistrato fu pubblico ministero al processo che iniziò nel 1969». Il sostituto procuratore Guido Galli nel settembre del 1969 sostenne l’accusa in udienza per la bancarotta Sfi, ma qualche mese prima, nel luglio, era stato in aula come pm per la bancarotta del Cotonificio Valle Susa, una vicenda quest’ultima che aveva suscitato forti polemiche per la timidezza iniziale della magistratura milanese. Il 13 marzo 1969 il Csm, con una iniziativa all’epoca inconsueta, segnalò ai titolari dell’azione disciplinare il comportamento dei magistrati milanesi che non avevano emesso a carico di Felice Riva l’ordine di cattura che era obbligatorio.
Nel 2011 la giustizia milanese rese omaggio a Giorgio Ambrosoli, Emilio Alessandrini e Guido Galli con le loro fotografie riprodotte in grandi pannelli affissi sulla fronte principale di questo Palazzo, come simbolo del comune impegno di avvocati e magistrati per la legalità.
*L'intervento è stato tenuto il 15 marzo 2017 alla Scuola Superiore della Magistratura (Struttura territoriale di formazione decentrata del Distretto di Milano) all'interno del corso “Tecniche di indagini e poteri istruttori nel contrasto alla criminalità economica”. Il corso è intitolato ai due magistrati uccisi
[1] Per il testo integrale delle richieste della A.g. milanese e della decisione della Corte di Cassazione si veda Quale Giustizia, n. 20, marzo-aprile 1973. pp. 214 e ss. Su tutta la vicenda rimane fondamentale la sintetica puntualissima cronaca di I. Paolucci, Il processo infame. Da Piazza Fontana a Catanzaro. Una storia che ha sconvolto l’Italia, Feltrinelli, Milano, 1977.
[2] Poiché il testo completo del documento non risulta essere stato pubblicato lo si trascrive di seguito da copia dell’originale dattiloscritto:
Associazione nazionale magistrati - Sezione distrettuale di Milano
I magistrati associati del distretto della Corte di Appello di Milano riuniti in assemblea il 18 ottobre 1972 assolvendo il preciso dovere di tutelare gli interessi morali della magistratura imposto dall’art. 2 n.3 del loro Statuto, preso atto del provvedimento definitivo della Corte di Cassazione che – in accoglimento della iniziativa del Procuratore della Repubblica di Milano – ha disposto la rimessione del processo contro Valpreda e altri alla Corte di Assise di Catanzaro:
I. in relazione alle motivazioni addotte a sostegno della suddetta iniziativa osserva:
a) non può essere assolutamente condiviso il concetto secondo il quale l’uso delle libertà costituzionali di riunione e di manifestazione di opinione su casi giudiziari, specie se di rilevanza politica, costituisca fattore di turbamento dell’ordine pubblico ed ostacolo all’indipendenza dell’esercizio della funzione giudiziaria;
b) le tensioni politiche e sociali che caratterizzano l’attuale momento storico si manifestano nelle stesse forme e con la stessa intensità in ogni parte del Paese;
c) l’iniziativa potrebbe avere come scopo finale la discriminazione della magistratura milanese mediante la sistematica sottrazione dei più delicati processi penali in oggettiva consonanza con le sollecitazioni di una determinata parte politica;
d) il dubbio sollevato sulla serenità ed imparzialità di alcuni colleghi che a Milano hanno già giudicato in primo grado fatti di rilevanza politica potrebbe risolversi in un ammonimento rivolto ai giudici ai quali toccherà di pronunziarsi in secondo grado.
II. In relazione al provvedimento della Corte di Cassazione che applica un istituto di dubbia legittimità costituzionale, rileva:
a) la scelta della sede dove sarà celebrato il processo contro Valpreda ed altri è sorprendentemente caduta su un distretto nel cui territorio non solo si sono verificati alcuni episodi di violenza come in Milano ed in altri distretti, ma addirittura una sommossa armata contro le istituzioni democratiche;
b) tale decisione parrebbe rappresentare, per i motivi fatti presenti dagli stessi magistrati calabresi, un distorto esercizio di un potere discrezionale, in quanto comporta una compressione del diritto di difesa, senza riguardo alcuno agli interessi di imputati e parti lese ed una limitazione alla effettiva pubblicità del dibattimento;
c) detta rimessione, anche per la scelta della sede, prolungando una ormai triennale carcerazione preventiva costituisce un ulteriore violazione della norma contenuta nell’art. 5 della Carta dei diritti dell’uomo, legge dello Stato, che garantisce ad ogni imputato un sollecito processo, nonché causa di sempre minore credibilità della giustizia amministrata in Italia
[3] Fiasconaro e Alessandrini accusano. La requisitoria su la strage di Piazza Fontana e le bombe del ’69, a cura di Roberto Pesenti e Marco Sassano, Marsilio editori, Padova, 1974.
[4] Giovanni Conso, Ricordo di Guido Galli, in Giustizia e Costituzione, n. 2-3, 1980, p. 17.
[5] Guido Galli, La politica criminale in Italia negli anni 1974-1977, Ed. Libreria Cortina, Milano, 1978, p.3.
[6] Guido Galli, Ancora sui rapporti tra dirigente della pretura e magistrati ‘in sottordine’: una sentenza eludente e deludente, in Giur. Cost, 1973, 2260; Guido Galli, In tema di ‘Giudice naturale precostituito per legge’, in Giustizia e Costituzione, n. 9-10, 1972, p. 35.
[7] Panorama, 11 febbraio 1990, pp. 121 e ss.