In ogni occasione in cui un’inchiesta giudiziaria getta una luce su quel sottobosco di malaffare, di connivenze e di collusioni nella gestione di pubbliche funzioni, che purtroppo sembra essere una costante della nostra società, puntualmente si riaccende il dibattito politico sulla riforma delle intercettazioni e sulla necessità di garantire il diritto alla riservatezza dei cittadini.
E ogni volta sembra che il problema non sia la corruzione, con tutto quello che si porta dietro in termini di alterazione delle regole della libera concorrenza, lievitazione dei costi delle opere pubbliche, scarsa qualità dei servizi resi ai cittadini. Il problema sono le intercettazioni.
Il dramma del nostro Paese non è il degrado etico della pubblica funzione, ma sono le indagini che lo disvelano. Insomma il problema non è la malattia, ma è il medico che fa la diagnosi (o lo strumento tecnico che consente di farla).
I diversi disegni di legge discussi in questi anni in Parlamento dimostrano come l’esigenza di tutelare la privacy sia sempre stata in realtà solo un pretesto per incidere, limitandolo, sullo strumento investigativo delle intercettazioni.
E non si sottrae a questo rischio nemmeno il disegno di legge governativo attualmente in discussione in Senato, che pubblichiamo di seguito (IL DDL), il quale per la eccessiva genericità dei criteri direttivi si presta ad essere utilizzato, in sede di attuazione della delega, anche per interventi di limitazione nell’uso dello strumento investigativo.
Eppure non sarebbe stato difficile, per un legislatore che avesse davvero avuto a cuore la privacy dei cittadini coinvolti nelle intercettazioni, intervenire sul tema della diffusione delle intercettazioni non rilevanti per il processo secondo le indicazioni più volte offerte dalla Associazione Nazionale Magistrati.
Prova ne è che quelle indicazioni sono state, nei limiti del possibile a legislazione invariata, recepite dai procuratori della repubblica delle principali sedi italiane, che hanno emanato precise disposizioni ai magistrati dell’ufficio e alla polizia giudiziaria, dirette ad evitare la diffusione di materiale non rilevante per il processo e potenzialmente lesivo della privacy dei soggetti coinvolti.
Di seguito pubblichiamo le circolari emanate dal procuratore di Roma (una in tema di intercettazioni con i difensori e una in tema di tutela della privacy), dal procuratore di Torino e dal procuratore di Napoli.
Si tratta di testi differenti per stile e impostazione, ma che sostanzialmente offrono soluzioni analoghe, ed efficaci, per evitare la diffusione di conversazioni non rilevanti per il processo e potenzialmente lesive del diritto alla riservatezza delle persone.
Solo su un punto, peraltro non secondario, la soluzione di Napoli e Roma differisce parzialmente da quella di Torino.
Sulle intercettazioni non rilevanti per le indagini, infatti, le circolari di Napoli e Roma contengono una precisa direttiva alla polizia giudiziaria, la quale non dovrà inserirle nei verbali delle operazioni (i cd. brogliacci) né nelle annotazioni di polizia giudiziaria. In caso di dubbio in merito alla rilevanza la polizia giudiziaria dovrà riferirne, con nota autonoma, al pubblico ministero, che darà disposizioni al riguardo. La circolare di Torino non contiene, invece, direttive per la polizia giudiziaria, e prevede che le intercettazioni ritenute non rilevanti per le indagini (e lesive della privacy) siano distrutte, su iniziativa del pubblico ministero, con la procedura di cui all’art.269 c.p.p..
La prima soluzione, intervenendo, per così dire, a monte, ha il pregio di evitare che il contenuto di conversazioni non rilevanti per il processo sia inserito negli atti del procedimento e quindi riduce maggiormente il rischio di una loro diffusione. Ma paga il prezzo (in parte sempre inevitabile in questo campo) di affidare la selezione del materiale non rilevante alla polizia giudiziaria, con il rischio di pregiudicare la acquisizione di conversazioni utili alle indagini (o che si rivelino tali ex post).
La soluzione torinese, al contrario, ha il pregio di garantire un maggiore controllo dell’ufficio di procura sul contenuto delle intercettazioni, ma paga il prezzo, oltre che di una procedura un po’ macchinosa, di non evitare l’inserimento nei brogliacci e nelle annotazioni di materiale non rilevante e potenzialmente lesivo della privacy.
Ecco, un legislatore che fosse davvero interessato a garantire la riservatezza dei cittadini senza indebolire l’azione di contrasto all’illegalità diffusa, dovrebbe partire da qui, recependo le soluzioni adottate dalle procure, e inserendo le disposizioni normative utili a rafforzarne l’efficacia.