La procedura tabellare per l’adozione del documento organizzativo delle Procure della Repubblica: un ritorno al passato o un ponte verso il futuro?
Sin dall’avvio del regime repubblicano, il percorso legislativo sul posizionamento del pubblico ministero nell’ordinamento e sulle prerogative del Procuratore della Repubblica, nelle sue funzioni apicali, si è rivelato non privo d’ambiguità. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con i suoi poteri di normazione secondaria, nel tentativo di ricucire talune contraddizioni del tessuto legislativo, ha provato a valorizzare, in particolare nella fase successiva alle riforme del 2006, letture coerenti ai principi della Costituzione. Ne sono derivati segnali ritenuti meritevoli d’attenzione nelle recenti scelte compiute dal legislatore. Con la legge n. 134 del 27 settembre 2021 il governo è stato, infatti, delegato ad “allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti”. Nel disegno di legge delega AC-2681 vengono almeno in parte riprese alcune soluzioni elaborate dal CSM (accentuazione del principio di collaborazione tra gli uffici, contenuto minimo del progetto organizzativo). Dietro tali consegne al legislatore delegato, si delinea la possibilità di raccordare in termini più pregnanti gli assetti organizzativi di uffici inquirenti e giudicanti nei settori di comune interesse, di declinare le funzioni dei dirigenti in armonia con il percorso tracciato in sede di elaborazione normativa del CSM, in termini conformi alla Costituzione. L’elaborazione normativa in corso, tuttavia, appare poco lineare, probabilmente disturbata da pregiudizi “ideologici” sul ruolo del pubblico ministero, cosicché i suggerimenti proposti spesso si rivelano tra loro contraddittori. Se, ad esempio, la verifica del progetto organizzativo rimessa al CSM, induce a ritenere che più facilmente si possa conseguire il risultato di indirizzare il dinamismo operativo delle Procure della Repubblica al recupero in chiave moderna del senso del diritto e del processo penale, l’intromissione del Ministro di Giustizia, cui si vuol attribuire la facoltà di osservazioni al progetto organizzativo, i conseguenti potenziali conflitti con l’autorità giudiziaria, l’accentuazione di percorsi professionali definitivamente differenziati tra pm e giudici potrebbero, almeno in astratto, vanificare (se non porsi in contraddizione con) tale spunto di modernità con l’inganno di risolvere la problematicità dell’assetto ordinamentale del pubblico ministero nella sua separazione dal giudice.
Obiettivo del presente contributo è fornire una lettura socio-giuridica sulle riflessioni emerse dalla ricerca in merito ad alcuni aspetti della riforma dell’ordinamento giudiziario. Il dibattito attorno alla riforma, oltre a riscuotere ampia risonanza mediatica, è un tema particolarmente rilevante per i magistrati stessi, sia per via delle ricadute sulla quotidianità lavorativa, sia, più in generale, per l’impatto sulla rappresentazione sociale di tale ruolo. Il processo di riforma tocca infatti alcune questioni sostanziali in tema di organizzazione giudiziaria, con effetti sulla separazione dei poteri, sull’autonomia del magistrato stesso e, in termini più generali, sul rapporto tra magistrati e politica.
Insieme all'articolo di Riccardo Sorrentino, pubblichiamo il documento 1/2022 dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia in tema di libertà d'informazione
Sin dall’avvio del regime repubblicano, il percorso legislativo sul posizionamento del pubblico ministero nell’ordinamento e sulle prerogative del Procuratore della Repubblica, nelle sue funzioni apicali, si è rivelato non privo d’ambiguità. Il Consiglio Superiore della Magistratura, con i suoi poteri di normazione secondaria, nel tentativo di ricucire talune contraddizioni del tessuto legislativo, ha provato a valorizzare, in particolare nella fase successiva alle riforme del 2006, letture coerenti ai principi della Costituzione. Ne sono derivati segnali ritenuti meritevoli d’attenzione nelle recenti scelte compiute dal legislatore. Con la legge n. 134 del 27 settembre 2021 il governo è stato, infatti, delegato ad “allineare la procedura di approvazione dei progetti organizzativi delle procure della Repubblica a quella delle tabelle degli uffici giudicanti”. Nel disegno di legge delega AC-2681 vengono almeno in parte riprese alcune soluzioni elaborate dal CSM (accentuazione del principio di collaborazione tra gli uffici, contenuto minimo del progetto organizzativo). Dietro tali consegne al legislatore delegato, si delinea la possibilità di raccordare in termini più pregnanti gli assetti organizzativi di uffici inquirenti e giudicanti nei settori di comune interesse, di declinare le funzioni dei dirigenti in armonia con il percorso tracciato in sede di elaborazione normativa del CSM, in termini conformi alla Costituzione. L’elaborazione normativa in corso, tuttavia, appare poco lineare, probabilmente disturbata da pregiudizi “ideologici” sul ruolo del pubblico ministero, cosicché i suggerimenti proposti spesso si rivelano tra loro contraddittori. Se, ad esempio, la verifica del progetto organizzativo rimessa al CSM, induce a ritenere che più facilmente si possa conseguire il risultato di indirizzare il dinamismo operativo delle Procure della Repubblica al recupero in chiave moderna del senso del diritto e del processo penale, l’intromissione del Ministro di Giustizia, cui si vuol attribuire la facoltà di osservazioni al progetto organizzativo, i conseguenti potenziali conflitti con l’autorità giudiziaria, l’accentuazione di percorsi professionali definitivamente differenziati tra pm e giudici potrebbero, almeno in astratto, vanificare (se non porsi in contraddizione con) tale spunto di modernità con l’inganno di risolvere la problematicità dell’assetto ordinamentale del pubblico ministero nella sua separazione dal giudice.