Presentazione
Le vittime dei crimini di guerra commessi da uno Stato sovrano non ricevono tutela giurisdizionale nello Stato di cui sono cittadini; quest’ultima è, in definitiva, rimessa alla buona volontà del primo, ovvero all’esito di eventuali trattative tra soggetti paritari di diritto internazionale.
La conclusione è imposta dalla lettura data dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, organo dell’ONU, circa l’insussistenza di norme di jus cogens che fondino una responsabilità di uno Stato per crimini contro l’umanità in occasione di eventi bellici o ad essi equiparati: lettura che è divenuta oggi legge dell’ordinamento italiano, in virtù della trasposizione del principio, ribadito dalla sentenza 3.2.12 di quella Corte, ad opera della legge 14 gennaio 2013, n. 5.
La Corte Suprema di Cassazione si è alla fine indotta a prestare ossequio sic et simplicitera tale norma (Cass. sez. un., 21 gennaio 2014, n. 1136), rilevando che lo Statuto della Corte internazionale è norma (derivata) di diritto internazionale e che pertanto l’art. 3 della legge n. 5 del 2013 costituisce una norma di adeguamento dell’ordinamento interno a quello internazionale, tanto da dare attuazione all’art. 11, secondo periodo, Cost. e da imporre al giudice nazionale di adeguarsi al dettato normativo e da dichiarare il difetto di giurisdizione sulla pretesa risarcitoria rivolta dagli eredi della vittima contro la Repubblica Federale di Germania.
Singolarmente, lo stesso giorno il tribunale di Firenze ha depositato quattro ordinaze di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, dubitando della conformità alla Carta fondamentale della Repubblica della normativa che nega la giurisdizione di cognizione nelle azioni risarcitorie per danni da crimini di guerra commessi, almeno in parte nello Stato del giudice adito, iure imperii dal Terzo Reich; identificando le norme sospette:
a) in quella prodotta nel nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma Cost., della consuetudine internazionale accertata dalla Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza 3.2.2012;
b) nell’art. 1 della legge 848 del 17 agosto 1957, nella parte in cui, recependo l’art. 94 dello Statuto dell’Onu, obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia;
c) nell’art. 1 della legge 5/2013 nella parte in cui obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia.
L’ultima parola spetta pertanto alla Consulta.
1. La normativa interna sul difetto di giurisdizione accertato dalla Corte Internazionale.
All’articolo 3 (rubricato “esecuzione delle sentenze della Corte internazionale di giustizia”), la l. 14 gennaio 2013, n. 5, ha statuito:
- al primo comma, che, ai fini di cui all’articolo 94, paragrafo 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 e reso esecutivo dalla legge 17 agosto 1957, n. 848, quando la Corte internazionale di giustizia, con sentenza che ha definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano, ha escluso l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile, il giudice davanti al quale pende controversia relativa alle stesse condotte rileva, d’ufficio e anche quando ha già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione, il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo;
- al suo secondo comma, che le sentenze passate in giudicato in contrasto con la sentenza della Corte internazionale di giustizia di cui al comma 1, anche se successivamente emessa, possono essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’articolo 395 del codice di procedura civile, anche per difetto di giurisdizione civile e in tale caso non si applica l’articolo 396 del citato codice di procedura civile.
Il riferimento normativo è operato, pertanto, all’art. 94 dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945 e reso esecutivo in Italia dalla l. 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945); norma che prevede:
- al primo comma, che ciascuno Stato Membro delle Nazioni Unite si impegna a rispettare le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia in cui esso sia coinvolto;
- al secondo comma, che, se una delle parti coinvolte in una controversia - non adempie gli obblighi previsti da una sentenza emessa dalla Corte, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza il quale avrà la facoltà, ove lo ritenga necessario, di fare raccomandazioni o decidere di assumere provvedimenti affinché la sentenza abbia esecuzione.
L’innovazione normativa trova la sua ratio nella sentenza 3 febbraio 2012 della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja - costituita in seno all’O.N.U., della quale costituisce il principale organo giudiziario - nella nota controversia tra Repubblica Federale di Germania ed Italia in ordine alle azioni civili ed esecutive civili ammesse da quest’ultima nei confronti della prima (in qualche caso, anche previa delibazione favorevole di sentenze di condanna pronunciate dalla Corte Suprema della Repubblica Ellenica) in favore di soggetti internati nei campi di concentramento - lavoro o sterminio - gestiti dal Terzo Reich tedesco nella seconda guerra mondiale, tendenti a conseguire la condanna al risarcimento dei danni ed il coattivosoddisfacimento dei crediti derivanti.
In precedenza - e con carattere strumentale a tale decisione - era già stata disposta la sospensione dell’efficacia dei titoli esecutivi - e dei relativi procedimenti esecutivi - nei confronti di uno Stato estero che avesse presentato ricorso dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia (d.l. 28 aprile 2010, n. 63, conv. con modif. in l. 23 giugno 2010, n. 98: i cui termini di efficacia sono stati via via prorogati fino al 31 dicembre 2012, ex d.l. 28 dicembre 2011, conv. con modif. in l. 24 febbraio 2012, n. 14).
2. Il contesto in cui matura la sentenza della Corte Internazionale.
Al riguardo, fin dal 2004 (Cass., sez. un., 11 marzo 2004, n. 5044), la nostra Corte di cassazione aveva escluso il carattere illimitato dell’immunità della giurisdizione civile degli Stati esteri operanti nell’esercizio della loro sovranità, qualora le condotte concretino crimini contro l’umanità.
Il ragionamento seguito all’epoca dalla Corte si era sviluppato, ampiamente analizzate le tendenze della giurisprudenza internazionale, lungo questi snodi motivazionali:
- nelle decisioni di quella è ricorrente l’affermazione che i crimini internazioni “minacciano l’umanità intera e minano le fondamenta stesse della coesistenza internazionale”, trattandosi di violazioni particolarmente gravi, per intensità e sistematicità, dei diritti fondamentali della persona umana;
- la tutela dei diritti fondamentali “è affidata a norme, inderogabili, al vertice dell’ordinamento internazionale, che prevalgono su ogni altra disposizione, anche di carattere consuetudinario”; ed è per questo che sarebbe sancita l’imprescrittibilità di questi diritti ed affermato il carattere universale della giurisdizione, che deve allora necessariamente valere anche per i processi civili che traggono origine da tali reati;
- il riconoscimento dell’immunità dalla giurisdizione degli Stati, in tali ipotesi, allora, si porrebbe in contrasto con le norme a tutela dei diritti fondamentali, la cui protezione è talmente “essenziale per la Comunità internazionale” … “da imporre, nei casi più gravi, forme di reazione obbligatoria”;
- l’antinomia, tuttavia, non può che comporsi “dando prevalenza alle norme di rango più elevato”, dovendo escludersi, in tali frangenti, che lo Stato possa avvalersi dell’immunità dalla giurisdizione civile straniera;
- è irrilevante l’assenza di una espressa deroga al principio dell’immunità: il valore, da qualificarsi come ormai riconosciuto, di principio fondamentale dell’ordinamento internazionale al rispetto dei diritti inviolabili della persona umana ha inevitabili riflessi sugli altri principi ivi operanti, tra cui quello del riconoscimento dell’immunità statale dalla giurisdizione civile straniera, secondo i principi generali dell’interpretazione delle norme, che non vanno considerate separatamente ma in quanto facenti parti del medesimo sistema, completandosi ed integrandosi a vicenda.
La nostra Corte di Cassazione, in definitiva, aveva ritenuto che nell’ordinamento internazionale dovesse ritenersi vigente un principio, sovraordinato agli altri, di preminenza dei valori fondamentali della libertà e della dignità della persona, la cui lesione non è consentita neppure agli Stati nell’esercizio della loro sovranità.
Era l’applicazione della teoria del c.d. jus cogens, ossia di un insieme di norme, inteso in chiave positivistica, dotate di una forza superiore al diritto nascente dai trattati e dalle “ordinarie” norme consuetudinari.
Si tratterebbe, allora, di una norma internazionale consuetudinaria, anch’essa ed alla pari di quella in tema di immunità giurisdizionale civile per gli atti compiuti iure imperii dallo Stato estero, ma appunto - siccome collegata alla tutela di valori della persona assolutamente predominanti, quali la repressione di crimini di guerra o contro l’umanità, caratterizzati da un’intollerabile efferatezza - imperativa e limitativa di ogni altra norma consuetudinaria internazionale, prima fra tutte - appunto - quella già richiamata in tema di immunità (e quest’ultima dovendo confinarsi al differente e ben più limitato ambito delle regole funzionali ad assicurare il buon funzionamento delle relazioni interstatuali).
La stessa Corte di cassazione aveva poi, nel 2008, con un cospicuo gruppo di ordinanze ed una sentenza (tra cui Cass., sez. un., ordd. 29 maggio 2008, nn. 14201 e 14202; Cass., sez. un., 29 maggio 2008, n. 14199: quest’ultima in tema di legittimità del riconoscimento di una decisione della Corte di cassazione della Repubblica Ellenica di condanna della Repubblica Federale di Germania relativa ad un indennizzo a favore degli eredi delle vittime di un eccidio di civili compiuto dalle forze armate tedesche durante la seconda guerra mondiale), consolidato un simile orientamento.
E nel 2011 (Cass., 20 maggio 2011, n. 11163) aveva argomentato, ad ulteriore rafforzamento della conclusione già raggiunta, riconsiderando compiutamente l’istituto del c.d.jus cogens e delimitando i suoi rapporti con l’istituto dell’immunità giurisdizionale degli Stati; per concludere nel senso che, alla luce dei principi costituzionali italiani, espressi dagli artt. 10, co. 1 e 11 Cost., come pure dei principi generali del diritto internazionale, in particolare in tema di conformazione dell’immunità giurisdizionale al nuovo ordine internazionale ed europeo, prevale su ogni altra norma, sia di carattere convenzionale che consuetudinario - e, quindi, anche su quella dell’immunità - l’esigenza di tutela (se non altro, risarcitoria) di diritti personali inviolabili, come quello alla vita ed alla dignità umana, violati in modo efferato dai gravissimi crimini di guerra, se non perfino contro l’umanità.
3. La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
A seguito delle decisioni della Corte di cassazione italiana la Repubblica Federale di Germania adì - nel dicembre 2008 - la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, chiedendo di accertare che la condotta della Repubblica italiana costituiva illecito internazionale, per avere i suoi giudici: da un lato, negato alla Germania l’immunità giurisdizionale rispetto alle azioni di cittadini italiani che chiedevano il risarcimento dei danni per i crimini di guerra commessi dalle forze naziste tra il 1943 ed il 1945; dall’altro, concesso l’exequatur alla sentenza greca di condanna della Germania per l’eccidio di Distomo, poi consentendo l’iscrizione di ipoteca giudiziale sull’immobile di proprietà dello Stato tedesco, denominato Villa Vigoni. Contestualmente, la Repubblica Federale di Germania chiese la condanna della Repubblica Italiana a porre nel nulla tutte le decisioni assunte nei suoi confronti e ad impedire, per il futuro, ai giudici italiani di occuparsi di queste controversie.
Nel procedimento così instaurato, la Repubblica Italiana dispiegò domanda riconvenzionale (counterclaim) per fare accertare come illecito il rifiuto tedesco di pagare i risarcimenti alle vittime dei crimini nazisti: ma tale domanda fu dichiarata inammissibile (per tutti: Atterritano, Crimini internazionali, immunità degli Stati, giurisdizione italiana: il contenzioso italo-tedesco dinanzi alla Corte internazionale di giustizia, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 5, n. 2, 2011, 282-283), in relazione ai presupposti di diritto in concreto addotti (la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo, entrata in vigore il 18 aprile 1961 e quindi dopo l’intervenuta rinuncia in sede di trattato di Pace, ma non anche di accordi bilaterali successivi, ad ogni pretesa dell’Italia verso la Germania).
Con la sentenza 3 febbraio 2012, infine, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja:
- con dodici voti contro tre, ha accolto il ricorso proposto dalla Germania contro l’Italia, dichiarando che quest’ultima “ha mancato di riconoscere l’immunità, riconosciuta dal diritto internazionale, ad un altro stato sovrano come la Germania” per aver accolto “in sede civile le pretese vantate nei confronti della Germania per violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dal Reich tedesco tra il 1943 ed il 1945”; ed ha pure dichiarato l’illegittimità dei provvedimenti giudiziari con cui si era dichiarata l’esecutività di sentenze straniere e si erano disposte misure coercitive-esecutive nei confronti della Germania;
- ha poi, con quattordici voti contro uno, statuito che “la Repubblica italiana, promulgando l’opportuna legislazione o facendo ricorso ad altro metodo a sua scelta, dovrà fare in modo che le decisioni dei suoi giudici e quelle di altre autorità giudiziarie che violano l’immunità riconosciuta alla Repubblica Federale di Germania dal diritto internazionale siano rese inefficaci”.
Tale sentenza ha destato non poche perplessità tra gli internazionalsti.
Questo l’iter argomentativo della Corte internazionale:
- non esiste alcuna norma convenzionale di espressa limitazione dell’immunità normalmente riconosciuta ad ogni Stato, quanto ad atti che causino morte, lesioni personali o danni ai beni posti in essere sul territorio dello Stato convenuto dalle forze armate di uno Stato straniero ovvero da altri organi dello Stato che con quelle collaboravano, nel corso di un conflitto armato;
- neppure dipende l’immunità dalla gravità degli atti o condotte dello Stato estero o dal preteso carattere imperativo della norma violata, tanto non costituendo oggetto di alcuna consuetudine internazionale;
- del resto, il c.d. jus cogens e la norma sull’immunità giurisdizionale operano su piani diversi, il primo in ordine alla natura illecita della condotta e la seconda sul piano meramente procedurale: e nemmeno può condizionarsi l’immunità all’apprestamento di mezzi idonei a far conseguire alle vittime il risarcimento;
- infine, quanto all’exequatur, vanno applicate le stesse regole per il giudizio di merito eventualmente intentato dinanzi al giudice che dovrebbe concederlo: sicché il difetto di giurisdizione su quest’ultimo comporta anche l’illegittimità della concessione del primo.
A tale sentenza si era già immediatamente conformata la Corte di Cassazione; dapprima in sede penale (Cass. pen., sez. 1, 30 maggio 2012 - 9 agosto 2012, n. 32139, Baumann ed altri) e poi nel suo massimo consesso civile, cioè le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 21 febbraio 2013, n. 4284): in entrambi i casi, in particolare e pur manifestandosi perplessità sulle argomentazioni adottate dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza ricordata, si è rilevato che la tesi inaugurata dalla ricordata Cass. n. 5044 del 2004 (secondo cui, come visto, il principio del jus cogens deroga all’immunità giurisdizionale degli Stati) è rimasta isolata e non è stata “convalidata dalla comunità internazionale”, di cui la Corte internazionale di giustizia è massima espressione, sicché il principio dello jus cogens “non può essere portato ad ulteriori applicazioni”.
4. La nuova ipotesi di revocazione per contrasto con sentenze della Corte Internazionale.
Ora, l’art. 3 della legge 5 del 2013 può applicarsi ai processi ancora in corso.
Il tenore testuale della disposizione impone di dichiarare di ufficio il difetto di giurisdizione in relazione a condotte per le quali la detta Corte lo ha riconosciuto in sede internazionale; e tale obbligo va rispettato in ogni stato e grado del procedimento, purché ancora in corso, ma anche ove sia stata già emessa sentenza non definitiva, passata in giudicato, che ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione.
Il giudicato sulla giurisdizione, integrante una classica ipotesi di giudicato interno (Cass., sez. un., 17 luglio 2008, n. 19600), deve pertanto cedere alla chiara previsione legislativa, con vanificazione di ogni eventuale contraria pregressa statuizione espressa.
Qualora la sentenza - che la giurisdizione ha riconosciuto o che quella ha presupposto - sia divenuta invece definitiva, ovvero passata in cosa giudicata formale, è prevista un’ipotesi di revocazione, quando il tenore della decisione sia in contrasto con una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che abbia definito un procedimento, di cui sia stato parte lo Stato italiano, escludendo l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile (italiana).
Una tale ipotesi di revocazione, siccome rivolta per definizione contro una sentenza già passata in giudicato, va qualificata senza dubbio come impugnazione straordinaria, atta com’è ad elidere od infrangere il giudicato stesso; inoltre, l’esclusione dell’applicazione dell’art. 396 c.p.c., pure prevista espressamente dalla richiamata norma, comporta l’esenzione da qualunque termine di proposizione della revocazione.
Questa sarà allora ammissibile, dinanzi al medesimo giudice di merito che ha pronunciato la sentenza in contrasto con il precedente della Corte di Giustizia, senza alcun termine perentorio: benché, da un punto di vista pratico, pare logico ipotizzare che, per travolgere in radice il titolo esecutivo che quella sentenza integrava e che sia stato posto a base di eventuali processi esecutivi, onere del soccombente Stato estero sia quello di agire al più presto.
A differenza, poi, dall’originaria ipotesi codicistica di contrasto con precedente giudicato (che presenta solo in apparenza elementi di similitudine con la nuova fattispecie), che costituisce una fattispecie di revocazione ordinaria, non è richiesto che sulla questione non si sia già motivato: potendo, anzi, il difetto di giurisdizione essere dichiarato perfino ove sul punto vi sia stato un giudicato interno formale.
5. I dubbi di costituzionalità della norma che impone la prevalenza del difetto di giurisdizione anche sul giudicato.
È da notare che l’assoggettamento pieno e totale ad ogni decisione della Corte di Giustizia Internazionale, così stabilito con prevalenza anche sul canone interno dell’intangibilità del giudicato, può suscitare dubbi di conformità alla Costituzione della norma interna di incondizionato adeguamento a decisioni che, se non altro in astratto, potrebbero porsi in contrasto con i valori fondamentali dell’ordinamento nazionale.
Infatti, si potrebbe sostenere che l’art. 10, co. 1, Cost., nel disporre che l’ordinamento interno si conforma al diritto internazionale generalmente riconosciuto, richiede che ogni fonte interna sia non incompatibile con le norme consuetudinarie internazionali, con la conseguenza che la consuetudine internazionale assumerebbe valore di fonte primaria - e, dunque, resta subordinata alla Costituzione (e ad essa sola) - ma le relative norme assumerebbero la funzione di “norme interposte” nel giudizio di legittimità costituzionale, e le norme ordinarie sarebbe suscettibili di sindacato secondo il modello applicato con riferimento all’art. 117 Cost. (Guastini, Le fonti del diritto: fondamenti teorici, in Tratt. Dir. Civ. Comm. Cicu-Messineo, 2010, cap. XXXVIII, p. 460). Pertanto (come già rilevava Corte cost., 18 giugno 1979, n. 48), “per quanto attiene alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute che venissero ad esistenza dopo l’entrata in vigore della Costituzione, … il meccanismo di adeguamento automatico previsto dall’art. 10 Cost. non potrà in alcun modo consentire la violazione dei principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, operando in un sistema costituzionale che ha i suoi cardini nella sovranità popolare e nella rigidità della Costituzione” (in tal senso, v. pure Cass., sez. un. 3 agosto 2000, n. 530).
Insomma, può dirsi che l’art. 10, comma 1, Cost. contempla una clausola implicita di salvaguardia dei valori fondamentali della Costituzione, che esclude la possibilità di una esecuzione del diritto consuetudinario all’interno dello Stato spinta fino al limite di rottura di tali valori; in tali condizioni la norma consuetudinaria resterà inoperante (Conforti, Diritto internazionale, VII ed., 2010, p. 321).
E si potrebbe forse pure sostenere che i caratteri delle norme consuetudinarie, in sé non riconducibili sul piano formale ad atti aventi forza di legge ex art. 134 Cost., indurrebbero all’esercizio di un controllo legittimità costituzionale in forma diffusa da parte dei giudici, ai quali spetterebbe, in relazione al caso concreto, la valutazione sull’applicabilità della norma. In tale direzione, la considerazione dell’art. 24 Cost., che garantisce la tutela giurisdizionale dei diritti, quale principio fondamentale della Costituzione può condurre non tanto ad una declaratoria di illegittimità ma, piuttosto, alla non applicazione della norma consuetudinaria sull’immunità dalla giurisdizione.
Sul punto, sia pure in un obiter dictum, il Giudice delle leggi ha rivendicato a sé il potere-dovere di verificare, sotto il profilo del rispetto dei “diritti inalienabili della persona”, la compatibilità costituzionale persino delle “norme internazionali generalmente riconosciute, alle quali l’ordinamento giuridico italiano ‘si conforma’ secondo l’articolo 10, primo comma, della Costituzione” (v. Conforti, op. ult. cit., il quale precisa che tale soluzione è possibile a condizione che l’art. 24 Cost., nel caso concreto, non sia soddisfatto per equivalenti, ossia accertando che non esistano, nello Stato straniero che beneficia dell’immunità, procedure di soluzione delle controversie azionabili da colui che è danneggiato).
Vi è solo da dire che la nuova ipotesi di revocazione, per quanto prevista in via generale, pare piuttosto destinata a trovare applicazione esclusivamente per le fattispecie già compiute al momento della sua entrata in vigore: per il futuro, infatti, sarà agevole prevedere che alla sentenza in contrasto con una decisione della Corte internazionale non potrà proprio pervenirsi, visto che il giudice avrà l’obbligo di declinare la giurisdizione in pendenza di processo.
Anche in tal caso, quindi, si ha l’impressione di una vera e propria norma-provvedimento, con ogni ulteriore conseguenza in ordine alla conformità della disposizione alla Carta fondamentale (per le condizioni di legittimità delle cosiddette norme-provvedimento, v., tra le ultime, Corte cost., 9 maggio 2013, n. 75, ovvero Corte cost., 22 luglio 2010, n. 270, ove ulteriori riferimenti; in particolare, potendo una disposizione essere qualificata come “norma-provvedimento” quando incide su un numero determinato e molto limitato di destinatari ed ha contenuto particolare e concreto, anche in quanto ispirata da particolari esigenze; ma essendo allora soggetta all’osservanza di limiti generali - tra cui il principio di ragionevolezza e non arbitrarietà - e ad uno scrutinio stretto di costituzionalità).
In generale, poi, l’ipotesi di revocazione straordinaria così di bel nuovo introdotta non ha proprio nessun tratto in comune con le altre fattispecie regolate dall’art. 395 c.p.c., se non quello di infrangere il giudicato già formatosi, eventualmente in consapevole e meditata disamina di ogni aspetto delle relative questioni di diritto, in tema di giurisdizione del giudice italiano; e comporta ben più ampi - e, per ciò stesso, preclusi in questa sede - approfondimenti in tema di interazione dei giudicati sovranazionali, soprattutto se successivi, su quello interno.
6. I dubbi di costituzionalità del riconoscimento di norme di derivazione internazionale sul difetto di giurisdizione che coinvolgono crimini contro l’umanità o di guerra.
Analoghi dubbi si nutrono in generale quanto agli effetti sui processi futuri: al riguardo, l’impianto motivazionale dell’ordinanza di rimessione alla Consulta del giudice mediceo (Rancan, Immunità dello Stato estero per crimini internazionali e diritto di accesso al giudice: la parola alla Corte Costituzionale, in Questione Giustizia, 2012, reperibile qui) è certo condivisibile.
Se la consuetudine di negare la giurisdizione nei confronti di uno Stato estero per crimini di guerra compiuti iure imperii si assicurasse sic et simpliciter cittadinanza all’interno dell’ordinamento nazionale, sarebbe evidente la sproporzione nel bilanciamento tra l’esigenza di tutela della sovranità dello Stato ed il dovere di assicurare tutela giurisdizionale alle vittime di crimini internazionali rispettando il loro diritto, riconosciuto anche a livello internazionale e comunque espressamente a livello di Carta fondamentale italiana, di ottenere riparazione per i danni subiti e di avere accesso alla giustizia.
Indubbia la strutturazione dell’ordinamento su impianti normativi in sistemi multilivello, va allora riconosciuto:
a) che l’autolimitazione di sovranità di quello italiano verso quello sovranazionale e soprattutto verso le consuetudini internazionali (anche se anteriori alla Costituzione: Corte cost. n. 73/2001) non può essere assoluta, incontrando comunque i limiti dei diritti inviolabili posti dalla nostra Costituzione;
b) che nella prassi internazionale è in atto un trend interpretativo di sempre maggiore tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, lentamente spostando l’obiettivo dalla mera relazione tra soggetti di diritto internazionale a quella dei beni della vita di cui sono titolari coloro che questi pur sempre compongono: sicché pare inaccettabile che, sull’altare del principio di uguaglianza sovrana degli Stati possa sacrificarsi una effettiva tutela dei singoli verso i crimini contro l’umanità.
Il giudice fiorentino si limita però, conscio delle conseguenze che l’Italia potrebbe subire in dipendenza del mancato ossequio alla sentenza della Corte di Giustizia dell’ONU, a prospettare l’incostituzionalità della normativa che elide in radice la sola giurisdizione cognitiva, postulando la persistente operatività del difetto di giurisdizione solo in sede esecutiva.
Ma tanto si risolve nella stessa premessa da cui egli prende le mosse: cioè l’insufficienza, a fini di effettività della tutela del diritto inviolabile, di ogni ipotesi che non renda giustiziabile almeno la pretesa risarcitoria; nessuno potendo dubitare (per tutte, basti un richiamo a Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850, ove riferimenti anche alla giurisprudenza sovranazionale) sull’assoluta indispensabilità della tutela esecutiva come complemento indefettibile di quella cognitiva.
7. Il carattere generale dei dubbi di conformità alla Costituzione della consuetudine internazionale. Conclusioni.
Entrambe le premesse di diritto del giudice fiorentino vanno condivise e difese con decisione:un’ipotesi di revocazione, quando il tenore della decisione sia in contrasto con una sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che abbia definito un procedimento, di cui sia stato parte lo Stato italiano, escludendo l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile (italiana); nessun diritto fondamentale è adeguatamente protetto, infatti, se al suo titolare non venga assicurata quanto meno una tutela a posteriori, in termini di risarcimento non meramente simbolico.
La conclusione non muta, però, in nessuna altra ipotesi di crimini di guerra commessi almeno in parte sul territorio nazionale da uno Stato straniero iure imperii, non legata cioè alle tristi e deprecate vicende dell’ultimo conflitto mondiale.
In primo luogo, la vicenda della controversia tra Repubblica Federale di Germania e Repubblica Italiana, che si è vista sfavorevolmente conclusa per i cittadini di quest’ultima, è connotata da una sua relatività storica e, soprattutto, dalla consecuzione temporale dei fatti per cui è causa rispetto ad altri atti giuridici internazionali rilevanti, come il trattato di pace tra le due Repubbliche o la stessa adozione dello Statuto dell’ONU o la Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo. Così, nulla pare impedire:
a) la riproposizione della controversia su basi e per fatti analoghi, ma con differenti argomentazioni di diritto, tra le stesse Parti, sia pure per fatti anteriori al Trattato di Pace ed alla stessa fondazione dell’ONU;
b) la proposizione di nuove controversie, anche tra parti diverse, per fatti successivi all’adozione dello Statuto dell’ONU.
In secondo luogo, neppure ha più senso alcuna limitazione legata al luogo in cui il fatto lesivo si sia verificato, purché vi sia un criterio di collegamento territoriale con la nostra giurisdizione della lesione del diritto inviolabile in concreto leso: e quindi anche per i crimini di guerra o contro l’umanità commessi totalmente all’estero, ma in danno di individui che possano fare valere una loro pretesa risarcitoria dinanzi ai nostri giudici, in applicazione dei canoni ermeneutici nazionali in tema di risarcimento del danno a diritti fondamentali.
In terzo luogo, l’argomento – espresso chiaramente e responsabilmente anche dal giudice fiorentino – delle conseguenze, proprie del diritto internazionale classico, per l’Italia di un’eventuale inottemperanza alla condanna della Corte Internazionale dell’Aja, può infine condurre ad una triplice opzione:
a) una – peraltro obiettivamente del tutto irrealistica – denunzia unilaterale del trattato ONU, nella parte in cui consente ai suoi massimi organi consultivi o giurisdizionali di dare continuità a consuetudini internazionali ormai avvertite come contrarie al sentimento comune dei popoli;
b) un’azione (meno irrealistica, ma francamente improbabile, anche in relazione al peso diplomatico relativo, in seno ad essa, di Potenze verosimilmente interessata alla massima salvaguardia possibile della teoria tradizionale della sostanziale intangibilità degli atti che siano estrinsecazione dello ius imperii) in seno alla medesima Organizzazione, di modernizzazione dei canoni di interpretazione della teoria generale della sovranità degli Stati;
c) un’operazione di diritto interno, di contemperamento concreto tra le esigenze insopprimibili di tutela dei diritti fondamentali della persona e gli obblighi liberamente assunti in sede internazionale: riconoscendo cioè il risarcimento della lesioni dei primi come oggetto di un’obbligazione dello Stato italiano, dipendente da ciò, che lo stesso, aderendo ad organismi internazionali che ne vietano la tutela diretta contro gli Stati diretti responsabili, impedisce l’accesso ai suoi organi giurisdizionali direttamente nei confronti di questi ultimi.
È inutile dire che l’ultima opzione, l’unica rispettosa tanto dell’impegno di tutelare in ogni modo quei diritti fondamentali e degli altri assunti a livello internazionale, comporta l’accollo delle conseguenze patrimoniali negative da parte dello Stato italiano, incolpevole rispetto ai crimini di guerra perseguiti; ma è un accollo che potrebbe essere il prezzo o la contropartita della generosissima previsione della nostra Carta fondamentale, di tutela minimale di ogni diritto fondamentale, nel momento in cui si scontra o si confronta con la realtà della necessaria interazione in un contesto internazionale, ancora dominato dal vecchio sistema delloius imperii.
Di questo occorre essere consapevoli: perché questa generosità – che implica l’apprestamento di una tutela eccezionale per quei diritti, quale manifestazione di una sensibilità obiettivamente fuori del comune o comunque avanzata rispetto allo stato generale dell’opinione pubblica internazionale – ha un prezzo, anche in termini economici e politici, oltre che giuridici. Essa avrebbe certo l’indiscutibile vantaggio che il nostro ordinamento potrebbe apprestare, primo fra molti, questa tutela per equivalente dinanzi a quanto di più odioso possa accadere contro la persona umana; ma occorre valutare se sia un lusso e, se sì, se davvero un lusso che il nostro Paese vuole e si può permettere.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
sulla teoria dello ius cogens:
Cannizzaro, Corso di diritto internazionale, 2011, parte 3, p. 235;
Nigro, Lo jus cogens nella prassi internazionale, in In.Law Journal, 2007, pp. 23 e ss, ove un’ampia disamina delle differenti teorizzazioni;
Picone, La distinzione tra norme internazionali di jus cogens e norme che producono obblighi erga omnes, in Riv. dir. int., 2008, par. 2
Sulla sentenza della CIG:
Ronzitti, L’Italia nel sottoporre a giudizio la Germania ha violato l’immunità giurisdizionale degli Stati, inGuida al diritto - Il sole 24 ore, 10 marzo 2012, pp. 89 ss.;
tutti sul fasc. 2-2012 di Diritti umani e diritto internazionale:
Bianchi, Il tempio e i suoi sacerdoti. Considerazioni su retorica e diritto a margine del caso Germania c. Italia;
Mazzeschi Pisillo, Il rapporto fra norme di ius cogens e la regola sull’immunità degli Stati: alcune osservazioni critiche sulla sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012;
Cosenza, Immunità dello Stato e ius cogens nella sentenza del 3 febbraio 2012 della Corte internazionale di giustizia;
Marongiu Buonaiuti, La sentenza della Corte internazionale di giustizia relativa al caso Germania c. Italia: profili di diritto intertemporale;
Salerno, Gli effetti della sentenza internazionale nell’ordinamento italiano: il caso Germania c. Italia