Dedicato a Giuseppina/Josefina
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Sono andata a Riace nel mese di agosto.
I luoghi bisogna respirarli e poi si può provare a raccontarli. Questo racconto, però, non risponde soltanto a un dovere di informazione quanto al bisogno di restituire – ammesso che sia possibile – il senso di Riace per l’accoglienza; il sentimento di appartenenza a una comunità multietnica fondata su solidarietà, uguaglianza, rispetto della dignità; il desiderio di stare insieme e di crescere, forti di quei valori. Qui si respira la cittadinanza costituzionale. In definitiva, qui si respira il futuro. O il desiderio di un futuro così.
Di questo piccolo borgo della Locride, costruito a 500 metri sopra il mare per difendersi dagli attacchi dei corsari saraceni e circondato da morbide colline d’argilla, si sa ormai quasi tutto. La Rete è fonte preziosa di notizie, anche se i media italiani per anni hanno snobbato questo incredibile laboratorio di integrazione multiculturale e il suo sindaco “visionario” Mimmo Lucano. All’estero, invece, se ne sono accorti, eccome. Tanto che nel 2016 la rivista americana Fortune ha inserito Lucano nell’elenco dei 50 personaggi più influenti del mondo e nel 2009 il regista tedesco Wim Wenders ha dichiarato che la vera rivoluzione di fine secolo non era stata il crollo del muro di Berlino ma Riace, dove due anni prima aveva girato il docu-film Il volo: lì, in quel piccolo paese della Locride, aveva visto “l’utopia”.
Secondo un antico proverbio magrebino, «Nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia ma solo le utopie fanno andare le carovane». Si racconta che Mimmo Lucano – sindaco di Riace dal 2004 – sia stato stregato dall’utopia dell’accoglienza e dell’integrazione quando, nel 1998, vide arrivare dal mare – lo stesso mare da cui erano arrivati i suoi antenati greci e poi i magnifici Bronzi – una barca con 200 esuli curdi. Non era un’invasione né un assedio. Era “una restituzione”. «Come se il mare stesse restituendo quello che alla costa jonica aveva tolto con decenni di emigrazione oltreoceano», ha ben spiegato Ida Dominijanni interpretando il sentimento diffuso dei comuni della costa (Soverato, Badolato, Monasterace) dove già l’anno precedente erano sbarcate le prime navi di esuli curdi, trovando un’inaspettata accoglienza.
Mimmo Lucano, però, va oltre e si tuffa nell’utopia di far crescere una città nella terra desertificata della rassegnazione, nell’ambito di un progetto di rinascita, ripopolamento e riorganizzazione economica di Riace. E così “la carovana” comincia a muoversi. Viene creata l’associazione “Città futura”, ancora oggi cuore organizzativo dell’esperienza riacese, e a poco a poco nascono le cooperative che si occupano direttamente della gestione dell’accoglienza. Riace, che ormai conosceva solo partenze e non ritorni, riprende la forma della città.
Italo Calvino scrive che «Ogni città riceve la sua forma dal deserto cui si oppone» (Le città invisibili). Oggi la forma di Riace è quella di una città multietnica operosa, dove convivono 30 nazionalità diverse, con gli stessi diritti e gli stessi doveri: 1700 riacesi e 400 stranieri (200 rifugiati, tra cui 50 bambini e 200 migranti al di fuori di ogni progetto di “protezione” perché ormai integrati, che vivono e lavorano da anni a Riace). Un luogo che ha arginato la minaccia mafiosa, spazzato via la paura dello straniero, e che attraverso l’accoglienza ha prodotto vantaggi per la comunità ospitante. Una città invisibile eppure vera, dove solidarietà, uguaglianza, dignità sono declinate quotidianamente nella vita reale. Qui, la Costituzione scorre come il sangue nelle vene degli abitanti. La respiri, la tocchi. C’è.
Altrove, però, la Costituzione sembra diventata eversiva. E così Riace. Che da dicembre del 2016 è nel mirino del Ministero dell’interno e della Prefettura di Reggio Calabria. Da allora, infatti, parte una raffica di ispezioni che rilevano “criticità” evidentemente non compensate dai “punti di forza” (pur segnalati dagli stessi ispettori) visto che a Roma decidono di chiudere i rubinetti dei finanziamenti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Cas (Centri di accoglienza straordinaria), lasciando Riace senza un euro (salvo, come vedremo, lo sblocco dei fondi relativi agli ultimi tre mesi del 2016: notizia di fine agosto). Eppure, alcune ispezioni hanno dato esiti molto positivi. Come quella di gennaio 2017, che riabilita completamente il sistema-Riace, definito «un modello di accoglienza», «auspica un’azione sinergica di supporto che possa permettere di mantenere e di migliorare gli standard di efficienza, sicurezza e legalità che la normativa di settore richiede» e conclude per l’erogazione dei finanziamenti bloccati.
Niente da fare. Anzi. Le “criticità” denunciate dagli ispettori nel 2016 finiscono alla Procura di Locri, che apre un’inchiesta, ancora in corso, per abuso d’ufficio, concussione e truffa.
La sopravvivenza di Riace finisce così in mano alla magistratura, nella migliore tradizione italica. Ma al di là delle decisioni della Giustizia, questo modello di integrazione che ha fatto scuola in Europa, da Bruxelles a Cambridge, ottenendo numerosi riconoscimenti internazionali, è diventato un problema politico. Non da oggi, a dire il vero, anche se oggi il Ministro dell’interno attacca pubblicamente e in modo sprezzante il sindaco (definito uno «zero») e continua a bloccare i fondi Cas e Sprar (35 euro giornalieri per migrante) necessari per attivare gli strumenti (borse lavoro e bonus) su cui si fonda la rinascita anche economica del paese. Il credito di Riace è ormai di circa 4 milioni di euro.
Mentre sto scrivendo, arriva la notizia (pubblicata su La Repubblica) che la Prefettura ha sbloccato i fondi degli ultimi tre mesi del 2016, il che induce Lucano a ritenere che anche i crediti degli anni successivi saranno saldati presto visto che le ispezioni del 2017 sono state tutte positive e quella negativa del 2018 si focalizzava su un presunto degrado degli immobili, contestato dal sindaco nelle sue controdeduzioni, anche perché la mancanza di fondi per due anni non ha consentito, tra l’altro, i necessari interventi di manutenzione degli immobili. Da Roma, però, non arriva nessuna comunicazione ufficiale sullo sblocco dei finanziamenti.
Intanto si susseguono le manifestazioni di solidarietà, e, a fine agosto (in meno di un mese), la raccolta di fondi promossa da Recosol, la Rete dei comuni solidali, era già arrivata a quota 215mila euro (le donazioni sono aperte fino a dicembre). Ossigeno per i polmoni di Riace, anche se Lucano rivendica il diritto della comunità ad avere dal Governo quanto le spetta. Riace è scomoda. È lì, appollaiata sulla cima della collina argillosa, a smentire i luoghi comuni sui migranti “sporchi, brutti e cattivi”, che fomentano i sentimenti di odio e di paura cavalcati da dissennate e miopi politiche per guadagnare consensi. Certo, non manca chi, tra i vecchi riacesi seduti al bar, storce comunque il naso, ma la stragrande maggioranza della popolazione locale benedice la “restituzione” venuta dal mare, che ha regalato una diversa prospettiva di vita. Questo racconta Riace. Racconta il futuro.
Gabriel viene dal Ghana. È qui da due anni e fa(ceva) il pittore grazie a una borsa lavoro. Abita con la moglie e la figlia Giuseppina di pochi mesi in una casa pulita e ordinata di due stanze, con divano, televisione, computer, letto matrimoniale e culla. In cucina ci sono addirittura due frigoriferi, la lavatrice, e dal balconcino si guarda il mare. Nel video girato da un gruppo di 30 “ispettori popolari” a maggio di quest’anno (dieci giorni dopo l’ultima ispezione ministeriale negativa) e pubblicato su Youtube, se ne vedono tante di case così, abitate da pakistani, nigeriani, palestinesi, siriani, iracheni, afghani…
«Voglio restare a Riace ma se ci tolgono la possibilità di lavorare dovremo andar via» dice Gabriel seduto sul muretto della piazza, con lo sguardo triste, mentre culla la ricciutissima Giuseppina che non vuole saperne di dormire e continua a guardarmi con occhi vispi.
I bimbi sono complessivamente 80 (solo quest’anno ne sono nati 20). Giocano insieme per le strade del borgo, oppure a calcio e a pallavolo, parlando lingue diverse, spesso con una cadenza calabrese. Per loro c’è il nido e la scuola. Anzi: è grazie a loro che la scuola (elementare e media) si è rimessa in moto, e, con la scuola, la vita: alcuni riacesi “esuli” sono tornati, altri hanno donato o venduto a prezzi simbolici le proprie abitazioni, ristrutturate da volontari e migranti e utilizzate in gran parte per ospitare gli stranieri, per il doposcuola, per svolgere attività lavorative.
Nel 2010, Lucano si inventa la “moneta locale”, con tagli da 1, 2, 5, 10 e 20 euro. Lo scopo è duplice: dare autonomia agli ospiti nelle spese di prima necessità e ovviare ai lunghi tempi morti tra una tranche di finanziamenti e l’altra. La “moneta locale” rimette in moto l’economia del posto poiché tutti gli esercenti sanno che poi ne otterranno il controvalore in euro. Però “è vietatissima” dicono al Ministero. Salvo accettarla “nei fatti”, osserva Emilio Sirianni, magistrato calabrese, perché «i finanziamenti che coprono anche questa voce continuano ad essere erogati ininterrottamente dal 2010 al 2016».
L’elenco delle contestazioni conteneva anche il mancato espletamento di gare pubbliche per l’affidamento dei servizi di accoglienza. «Contestazione singolare, visto che Riace ha operato quasi sempre in regime di emergenza in occasione di sbarchi, accogliendo, su richiesta della Prefettura e del Ministero, centinaia di persone che non si sapeva dove collocare, per cui non c’erano i tempi tecnici per le gare pubbliche», obietta Sirianni. Che ammette invece la parziale fondatezza della contestazione sulle carenze documentali, spiegando però che «l’esperienza riacese, per lungo tempo, è stata caratterizzata da una sorta di spontaneismo e di “caos organizzativo”, che ha privilegiato la vicinanza umana ed emotiva verso i nuovi riacesi rispetto all’ordine burocratico». Non a caso, Mimmo Lucano continua a ripetere che «prima delle carte vengono le persone» (ma negli ultimi anni è stata prestata più attenzione a quest’aspetto, che infatti non rientra nelle contestazioni di maggio 2018).
Non avendo i soldi per i documenti, poi, Lucano spesso li ha dati gratis ai migranti e, per par condicio, li ha resi gratuiti per tutti, spiega sempre Sirianni a proposito di quest’altra contestazione. Ma quella che forse brucia di più al sindaco riguarda i cosiddetti “lungo-permanenti”: secondo i protocolli ministeriali, i migranti non possono rimanere presso le strutture di accoglienza per più di 6 mesi: una sorta di “presunzione assoluta” dell’avvenuta integrazione nel tessuto sociale entro questo breve lasso di tempo, visto che le strutture finanziate sono finalizzate all’accoglienza e all’inserimento sociale. Mimmo Lucano si è sempre rifiutato di mandare via le persone: chi voleva rimanere a Riace, rimaneva. E infatti, alcuni sono qui da anni. C’è chi fa il mediatore culturale per il Ministero dell’interno e per l’Autorità giudiziaria, chi lavora nelle associazioni e nelle cooperative come cuoco, inserviente o sempre mediatore culturale ecc. E poi ci sono gli orti terrazzati, le botteghe artigiane della tessitura della ginestra, della lavorazione della ceramica e del vetro; la raccolta differenziata dei rifiuti fatta porta a porta con gli asinelli per inerpicarsi meglio nei vicoli e risparmiare il costo della benzina; le imprese di agricoltura biologica, la cioccolateria (frutto della donazione di un biellese), la bigiotteria, il ristorante (spesso oggetti e pasti sono ceduti gratuitamente). Tutte attività che si sono rimesse in moto, per tutti, grazie a “loro”.
L’ambulatorio popolare è un altro fiore all’occhiello di Riace, con macchinari di eccellenza donati o acquistati a un prezzo stracciato, che offre assistenza gratuita a chiunque ne abbia bisogno, stranieri e non. Ogni giorno c’è il medico generico e, periodicamente, ginecologa e pediatra.
«Signore, io ti dico grazie, ti dico grazie, ti dico grazie» canta in francese un ragazzo del Camerun, in giro per le strade affrescate di Riace. Dove si incontra il mondo. «È come fare un viaggio restando in Calabria, un viaggio bellissimo perché il paesaggio migliore è l’essere umano», osserva Lucano. E questo pensiero gli illumina il viso. Ma non basta a distendere la ruga piantata sulla fronte da due anni, profonda come una ferita.
Da calabrese – osserva Sirianni – sono ancora sopraffatto ogni volta che vado a Riace, vedo Mimmo e i suoi bellissimi riacesi, o semplicemente ne parlo a qualcuno. Scoprire che qui si è realizzata l’utopia è stata e continua ad essere un’esperienza travolgente». Calabrese o no, chiunque passi per questo borgo finisce col provare lo stesso sentimento.
Del resto, è verso questo futuro che ci spingono «i venti propizi». E come nel caso della Zenobia di Calvino, è inutile stabilire se Riace sia tra le città felici o tra quelle infelici. «Non è in queste due specie che ha senso dividere le città – spiega Calvino –, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri, e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati». Riace appartiene alla prima specie, perciò è il futuro. Chiunque vada, capirà perché.
Donatella Stasio