Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

La Banca dati nazionale del Dna e la salvaguardia del diritto al rispetto della vita privata del singolo

di Emilio Gatti
procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Torino
La raccolta a fini investigativi e la conservazione dei profili genetici pone delicati problemi di compatibilità delle esigenze investigative con il diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Cedu soprattutto nei confronti di individui indagati ma poi assolti con sentenza definitiva. Il contributo ripercorre la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’obbligo di creare una banca dati nazionale del Dna stabilito dal Trattato di Prüm e le soluzioni adottate dal legislatore italiano che paiono rispettose dei principi convenzionali e costituzionali, in attesa di verificare la correttezza delle prassi applicative

1. L’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu) [1] prevede il diritto al rispetto della vita privata e familiare [2].

Come ricorda la Corte europea dei diritti dell’uomo, la nozione di vita privata è ampia e non suscettibile di definizione esaustiva [3], include aspetti dell’identità fisica e sociale di un individuo, come l’identificazione sessuale, il nome, l’orientamento sessuale [4], strumenti di identificazione personale e di collegamento ad un gruppo familiare [5], la sua salute [6] e la sua identità etnica, il diritto allo sviluppo personale e quello di stringere e sviluppare relazioni con gli altri ed il mondo esterno [7], alcuni profili riconducibili al diritto all’immagine [8].

La norma ha lo scopo di difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri.

L’arbitrarietà è esclusa quando l’ingerenza è prevista dalla legge oppure è motivata da una delle esigenze imperative di carattere generale di cui al secondo comma dell’art. 8 [9].

2. Nel caso di S. e Marper v. Regno Unito, sentenza del 4 dicembre 2008 [10], la Corte riconosce la violazione di tale diritto nel caso della legislazione di Stato [11] che preveda la conservazione a tempo indeterminato di impronte digitali, campioni biologici contenenti cellule e profili genetici (digital fingerprints, cellular samples, Dna profiles [12] [13]) nei confronti di persone già accusate o sospettate di aver commesso un reato ma poi successivamente assolte o nei cui confronti era stato disposto il non luogo a procedere.

Il caso riguarda due cittadini inglesi, uno minorenne S. accusato di tentata rapina e l’altro maggiorenne Marper accusato di molestie ai danni della compagna.

I due erano stati arrestati e a loro erano stati prelevati campioni biologici (cellular samples) da cui era stato tipizzato il relativo Dna conservato poi nel database nazionale [14].

S. era poi stato assolto mentre la compagna di Marper aveva ritirato la denuncia così che all’udienza preliminare il giudice aveva dichiarato non doversi procedere («the criminal proceedings had been discontinued»).

I due cittadini avevano ripetutamente chiesto la cancellazione dei propri dati dal database nazionale e, non avendola ottenuta, avevano agito dapprima davanti alla giurisdizione inglese [15] e poi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

La Corte esamina i fatti sulla base dell’art. 8 della Convenzione che tutela la vita privata e familiare e della Convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale [16] [17].

In particolare ricorda come «la semplice conservazione dei dati riguardanti la vita privata di una persona costituisce ex se una ingerenza ai sensi dell’art. 8 [18]… A tal fine, è privo di rilevanza il fatto se le informazioni conservate siano poi effettivamente utilizzate o meno» [19].

Quindi esamina l’eccezione al divieto di interferenza, prevista dal secondo comma dell’art. 8, collegata al rispetto di criteri [20] specifici quali il principio di legalità, la finalità dell’atto e la necessità della misura in una società democratica.

La Corte adotta un concetto molto ampio di “legge” [21], specificando come questa debba indicare espressamente la finalità perseguita [22], e riconosce che le finalità perseguite dalla sezione 64 del Police and criminal evidence Act [23] appaiono legittime perché connesse all’accertamento di uno specifico reato ed alla celebrazione di un singolo processo (il prelievo iniziale) ed al fine più ampio dell’identificazione di futuri delinquenti ed alla celebrazione di futuri processi (la conservazione delle informazioni riguardanti le impronte digitali e i dati genetici).

Peraltro, nel caso di specie viene ritenuto assorbente rispetto al problema della “qualità” della legge l’esame del rispetto del principio della necessità della misura “in una società democratica” che rende necessario trovare un punto di equilibrio tra gli interessi in gioco, una “proporzionalità” tra mezzi adottati e fine perseguito [24].

Proporzionalità che va esaminata in base a criteri da un lato di tipo oggettivo, come la tipologia e la natura del reato commesso ed il tempo trascorso dai fatti e dall’altro di tipo soggettivo, come l’esito del processo nei confronti di chi è stato sospettato e sottoposto a prelievo di campioni biologici [25].

Il risultato dello scrutinio della norma inglese, calato nella realtà del caso concreto [26] è la condanna dello Stato inglese la cui legislazione, nella parte in cui ammette la conservazione a tempo illimitato di dati personali anche di soggetti poi assolti o comunque non condannati, si dimostra lesiva del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti e non rispettosa dello standard di proporzionalità [27] richiesto, superando così il margine di apprezzamento statale consentito.

3. Il 27 giugno 2005 Belgio, Germania, Spagna, Francia, Paesi Bassi ed Austria hanno dato vita al Trattato di Prüm riguardante l’approfondimento della cooperazione transfrontaliera allo scopo in particolare di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione legale.

Il Trattato prevede, «al fine di perseguire le violazioni penali», la creazione in ciascun Paese contraente di «schedari nazionali di analisi Dna» contenenti i profili Dna (art. 2), di cui sia possibile la consultazione automatizzata [28] ad opera dei punti di contatto nazionali delle altre parti contraenti (art. 3).

Analoghe previsioni riguardano anche i dati dattiloscopici (articoli 8 e 9) nonché la consultazione automatizzata di banche dati nazionali inerenti dati non personali e la registrazione di veicoli.

Particolari garanzie vengono riconosciute in merito al livello di protezione dei dati personali (art. 34) che deve essere «corrispondente almeno a quello che risulta dalla Convenzione del Consiglio d’Europa del 28 gennaio 1981», del protocollo aggiuntivo dell’8 novembre 2001 tenuto conto della raccomandazione n. R (87) 15 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa all’utilizzo di dati personali nel settore di polizia del 17 settembre 1987.

A fini di garanzia vengono specificate le finalità di utilizzo (art. 35) [29], le autorità competenti al trattamento (art. 36) ed anche l’esattezza, l’aggiornamento e la durata della memorizzazione dei dati (art. 37) con la previsione di un «periodo massimo» per la loro conservazione [30].

4. Con la legge 30 giugno 2009 n. 85 [31] l’Italia ha aderito al Trattato di Prüm ed ha istituito la Banca dati nazionale del Dna (BDN-DNA) istituita presso il Ministero dell’interno [32] ed il Laboratorio centrale per la Banca dati nazionale del Dna istituito presso il Ministero della giustizia [33].

Il fine è quello di «facilitare l’identificazione degli autori dei delitti» (art. 5).

La Banca dati provvede alla raccolta dei profili del Dna [34] ed al loro raffronto ai fini di identificazione (art. 7), il laboratorio centrale provvede alla tipizzazione [35] dei profili ed alla conservazione dei campioni biologici dai quali sono tipizzati i profili del Dna (art. 8).

I successivi articoli delimitano i casi ed i soggetti ai quali prelevare campioni biologici a fini di tipizzazione del profilo del Dna.

In primo luogo [art. 7, comma 1 lett. a) e art. 9 comma 1] vengono in rilievo persone sottoposte ad indagine, imputati o condannati in casi nei quali è previsto lo scrutinio del giudice.

Così la norma riguarda i soggetti ai quali sia applicata la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari [lett. a)], quelli arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di delitto [lett. b), in questo caso il prelievo è effettuato «dopo la convalida da parte del giudice», comma 3], i detenuti o internati a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo [lett. c)], quelli a cui è stata applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di sentenza irrevocabile per delitto non colposo e quelli a cui è stata applicata in via provvisoria o definitiva una misura di sicurezza detentiva.

Nei casi previsti dal primo comma dell’art. 9 il prelievo può essere effettuato «esclusivamente» (comma 2) se si procede per delitti non colposi per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza e non può essere compiuto per una serie di reati specificamente indicati, ritenuti evidentemente meno gravi [36].

I successivi commi dell’art. 9 indicano le modalità del prelievo di campioni biologici (mediante prelievo di mucosa dal cavo orale), i soggetti preposti a questo (personale specificamente addestrato delle Forze di polizia o personale sanitario ausiliario di Polizia giudiziaria) e le cautele da osservarsi (nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto), nonché la redazione di specifico verbale delle operazioni svolte (commi 4 e 5).

Il campione deve essere «immediatamente» inviato al laboratorio centrale per la tipizzazione del profilo del Dna.

Un secondo caso di raccolta dei profili del Dna [art. 7, comma 1, lett. b) e 10] è quello relativo a materiale proveniente da reperti biologici [37], tipizzati a cura dei laboratori delle Forze di polizia o di altre istituzioni di elevata specializzazione nel corso di procedimenti penali, per i quali l’autorità giudiziaria procedente deve ordinare la trasmissione alla Banca dati nazionale Dna per la raccolta ed i confronti.

Un ultimo caso di raccolta dei profili del Dna è quello [art. 7, comma 1 lett. c)] relativo a persone scomparse o loro consanguinei e a cadaveri o resti cadaverici non identificati.

La legge poi indica le metodologie di analisi ai fini della tipizzazione del profilo da inserire nella Banca dati nazionale del Dna (art. 11) e le cautele per il trattamento [38] e l’accesso [39] ai dati e la tracciabilità dei campioni (art. 12).

L’analisi può essere espletata solo su «sequenze del Dna che non consentono la identificazione delle patologie da cui può essere affetto l’interessato» (art. 11, comma 3) [40].

Posto che il trattamento e l’accesso ai dati contenuti nella Banca dati nazionale e nel Laboratorio centrale sono riservati a personale espressamente autorizzato (art. 12, comma 4), tenuto al segreto (comma 5) e che trattamento ed accesso sono effettuati con modalità tali da assicurare l’identificazione dell’operatore e la registrazione di ogni attività (comma 4) [41], l’accesso è consentito alla Polizia giudiziaria ed all’Autorità giudiziaria esclusivamente per fini di identificazione personale o di collaborazione internazionale di polizia (comma 2).

Inoltre «i profili del Dna e i relativi campioni non contengono le informazioni che consentono l’identificazione diretta del soggetto cui sono riferiti» (art. 12, comma 1) [42] [43].

L’art. 13 individua i casi di cancellazione d’ufficio dei dati e distruzione dei profili del Dna e dei relativi campioni biologici.

Tra questi rilevano innanzitutto (comma 1) l’assoluzione dell’interessato con sentenza definitiva perché il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, quindi (comma 2) l’identificazione del cadavere o dei resti cadaverici o il ritrovamento della persona scomparsa, (comma 3) quando le operazioni di prelievo sono state compiute in violazione delle disposizioni dell’art. 9 e infine (comma 4) il profilo del Dna resta inserito nella Banca dati nazionale del Dna per i tempi stabiliti dal regolamento d’attuazione «e comunque non oltre quaranta anni» dall’ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento, mentre il campione biologico è conservato per i tempi stabiliti dal regolamento d’attuazione «e comunque non oltre venti anni» dall’ultima circostanza che ne ha determinato il prelievo.

L’art. 14 prevede sanzioni penali per il pubblico ufficiale che, in violazione delle disposizioni del presente capo o al di fuori dei fini previsti, per dolo o colpa comunichi o faccia uso di dati ed informazioni così raccolti.

L’art. 15 dispone che il controllo sulla Banca dati nazionale del Dna sia esercitato dal Garante per la protezione dei dati personali (comma 1) e che «l’osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale per la Banca dati nazionale del Dna» sia garantita dal Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV) [44].

Infine, l’art. 19 stabilisce un’informativa annuale al Parlamento da parte dei Ministri dell’interno e della giustizia rispettivamente in merito alla Banca dati nazionale del Dna ed al Laboratorio centrale.

5. Le norme della legge 30 giugno 2009, n. 85 appaiono specifiche, determinate e precise nell’individuare i casi ed i soggetti ai quali è consentito prelevare campioni biologici, le finalità e le cautele del trattamento e dell’accesso ai dati così ottenuti, nonché l’obbligo di distruzione di profili di Dna e dei relativi campioni biologici una volta che la loro conservazione non sia più giustificata.

In questo paiono rispondere adeguatamente ai requisiti di riserva di legge e di proporzionalità dell’ingerenza pubblica nella vita privata degli individui tutelati dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo così come interpretata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza S. e Marper c. Regno Unito di cui ai paragrafi precedenti.

Le finalità di prelievo, trattamento e conservazione di questi dati personali sono indicate specificamente nel «facilitare l’identificazione degli autori dei delitti» e ciò, per usare la definizione della Corte di Strasburgo nella sentenza di cui sopra (§ 95) pare essere «sufficientemente accessibile e prevedibile … da consentire alla persona interessata di regolare la propria condotta conformemente».

Si tratta dell’identificazione degli autori di «delitti» e non generalmente di reati, restando così escluso l’uso di campioni biologici e profili del Dna per identificare gli autori di contravvenzioni.

In particolare, la proporzionalità dell’intervento e quindi la rispondenza al criterio di «necessità in una società democratica» pare assicurata dalla minuziosa casistica indicata nell’art. 9, casistica che si deve ritenere tassativa, legata com’è alla sanzione della distruzione dei campioni ed alla cancellazione dei dati quando il prelevamento è stato compiuto «in violazione delle disposizioni previste dall’art. 9» (art. 13, comma 3).

In tutti i casi, si tratta di soggetti indagati, imputati o condannati per delitti non colposi di una certa gravità dato che devono prevedere come misura almeno facoltativa l’arresto in flagranza [45].

In secondo luogo, si tratta di casi nei quali, prima del prelievo dei campioni e del loro trattamento e tipizzazione del Dna, vi è stato l’intervento di un giudice che ha confermato quantomeno la gravità del quadro indiziario (applicando una misura cautelare detentiva o convalidando l’arresto in flagranza o il fermo) o ha pronunciato sentenza di condanna divenuta irrevocabile a cui è seguita l’esecuzione in carcere o con misura alternativa o comunque ha valutato la gravità del quadro indiziario e la pericolosità sociale del soggetto applicandogli in modo provvisorio o definitivo una misura di sicurezza detentiva.

In terzo luogo, il legislatore ha escluso la possibilità di prelevamento e trattamento di campioni biologici in molti casi di delitti ritenuti evidentemente non così gravi da giustificare l’ingerenza nella vita privata dell’individuo.

Anche gli altri casi relativi alla raccolta ed alla conservazione di reperti biologici prelevati con modalità tecniche garantite durante un procedimento penale e quelli raccolti al fine di rintracciare persone scomparse o identificare cadaveri [46] appaiono precisi nel circoscrivere il potere pubblico rispetto alla tutela della sfera privata.

Nella prima ipotesi vi è sempre l’intervento di un giudice che valuterà la ricorrenza nel caso concreto della proporzionalità dell’intervento richiesta dalla Cedu, i rimanenti casi paiono invece rispondere alla tutela della sicurezza pubblica ed alla protezione dei diritti e delle libertà degli altri riconosciuti espressamente dall’art. 82 della Cedu come motivo sufficiente a giustificare l’interferenza di un’autorità pubblica nella vita privata di un individuo.

La legge italiana prevede infine la cancellazione dei profili del Dna e la distruzione dei campioni biologici dai quali tali profili sono stati tratti, attività legate in primo luogo all’assoluzione del soggetto i cui dati genetici sono stati prelevati ed analizzati, a significare il venir meno di esigenze investigative future nei confronti di chi è stato assolto e a garantire così anche il rispetto della presunzione di innocenza di cui all’art. 6, comma 2 Cedu ed all’art. 27, comma 22 della Costituzione italiana.

La cancellazione e la distruzione sono previste in secondo luogo quando vengono meno le esigenze sottese al prelievo ed al trattamento, come quando il cadavere viene identificato o la persona scomparsa ritrovata.

L’art. 13 prevede la distruzione anche nei casi in cui il prelevamento è avvenuto illegittimamente in violazione dell’art. 9 (e quindi fuori dai casi tassativamente previsti dallo stesso), così da garantire, unitamente alle norme di cautela di cui all’art. 12 ed alle sanzioni penali di cui all’art. 14, che il sacrificio della privacy dell’individuo sia mantenuto nei limiti strettamente indispensabili alle finalità di facilitare l’identificazione degli autori dei delitti.

Un ultimo caso di cancellazione dei profili del Dna e distruzione dei campioni biologici è legato al trascorrere dei termini indicati dal regolamento (vedi paragrafo successivo) o comunque di lunghi periodi di tempo [47].

Si tratta di norma di chiusura che garantisce il rispetto del principio di proporzionalità come configurato dall’art. 8 Cedu e inteso dalla giurisprudenza costante della corte di Strasburgo.

Il sistema di controlli sul funzionamento e la gestione della Banca dati e sul Laboratorio centrale, nonché l’informativa annuale al Parlamento offrono garanzie ulteriori della corretta applicazione di questi innovativi strumenti.

6. Il regolamento approvato con dPR 7 aprile 2016 n. 87 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 122 del 26 maggio 2016) contiene la normativa di dettaglio per il funzionamento della Banca dati nazionale del Dna e del Laboratorio centrale [48] [49].

Per la gestione dei profili del Dna il software della banca dati è organizzato su due livelli, il primo dei quali impiegato a fini investigativi in ambito nazionale [50], il secondo con finalità identificativa anche per le finalità di collaborazione internazionale (art. 3) [51].

Il primo livello contiene tutti i profili del Dna costituiti a partire da un numero di “loci” [52] pari a 7 e non necessariamente ottenuti da laboratori accreditati a noma UNI CEI EN ISO/IEC 17025.

Il secondo livello contiene profili del Dna costituiti a partire da un numero di loci uguale o superiore a 10 e ottenuti da laboratori accreditati a norma UNI CEI EN ISO/IEC 17015 [53].

Il laboratorio centrale è dotato di strutture robotizzate in grado di compiere le fasi di tipizzazione del Dna relative all’accettazione, catalogazione e conservazione del campione biologico, di suo set-up, di estrazione, quantificazione, amplificazione del Dna, nonché la lettura e l’interpretazione del profilo del Dna mediante sequenziatore automatico.

Per la gestione complessiva del flusso del lavoro e dei dati di laboratorio il laboratorio centrale si avvale di un LIMS (Laboratory Information Management System), che assicura il tracciato del campione biologico a partire dall’accettazione e conservazione fino alla tipizzazione del Dna seguendo le operazioni effettuate dal personale addetto e di un «sistema informativo per la gestione della conservazione dei campioni biologici e degli elettroferogrammi» [54].

Gli articoli 24 e 25 fissano i tempi massimi di conservazione dei campioni biologici e dei profili del Dna così precisando i termini indicati nell’art. 13, comma 4 della legge n. 85/2009.

L’art. 24 dispone che il Dna estratto dai campioni biologici deve essere distrutto «dopo la sua completa tipizzazione» (comma 1), la parte del campione biologico non utilizzata ed il secondo campione di riserva invece sono conservati per un periodo di otto anni (comma 3).

Infine, di ogni operazione compiuta nella fase intercorrente tra l’estrazione del Dna e la sua distruzione e della sua ubicazione a temperatura controllata o in frigo deve essere fatta registrazione nel LIMS (comma 2), così come della distruzione (comma 4).

L’art. 25 dispone che, nei confronti dei soggetti di cui all’art. 9 della legge e a partire dall’ultima registrazione di cui all’art. 5, comma 1 della stessa [55], i profili del Dna sono conservati per trent’anni (comma 1).

Il termine viene portato a quarant’anni, in ossequio alla durata massima prevista dall’art. 13, comma 4 della legge n. 85/2009, nei confronti di persone condannate con sentenza irrevocabile per un reato per il quale la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza o per uno dei reati di cui all’art. 407 del codice di procedura penale [comma 2, lett. a)], nonché di persone nei cui confronti, in sede di emissione di sentenza di condanna irrevocabile, sia stata ritenuta la recidiva.

7. A seguito di apposito decreto del Ministro dell’interno 8 novembre 2016 [56] è attiva la Banca dati nazionale del Dna, mentre i prelievi di campioni biologici sono iniziati nell’ambito degli istituti penitenziari il 10 giugno 2016 [57] e, come si è visto alla nota 49, il «processamento» e l’estrazione del Dna dai primi campioni biologici è di fatto iniziata nel dicembre 2017 a seguito della procedura di accreditamento del Laboratorio centrale.

Pare opportuno rilevare come tanto il funzionamento dei servizi offerti dalla Banca dati nazionale del Dna quanto quello dei servizi offerti da laboratori accreditati devono essere certificati a sensi di norme ISO [58].

I dati ricevuti dalla Banca dati nazionale del Dna vengono inseriti nel sistema Codis.

Il decreto del Ministero dell’interno 8 novembre 2016 definisce il sistema Codis come una piattaforma software, organizzata su più livelli, fornita dal Federal bureau of investigation degli Stati Uniti (FBI) alla Direzione centrale della Polizia criminale, Dipartimento della pubblica sicurezza, Ministero dell’interno, «che permette di raccogliere, raffrontare e consultare i profili del Dna acquisiti da determinate categorie di persone e sulla scena del crimine. Il sistema consente, inoltre, di raccogliere e raffrontare esclusivamente tra loro e per fini identificativi, i profili del Dna di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati».

È importante notare come le operazioni di comparazione dei profili del Dna devono essere eseguite «per basi dati distinte».

In altri termini i profili dei soggetti di cui all’art. 9 della legge n. 85/2009 possono essere confrontati esclusivamente con quelli tratti da campioni biologici provenienti dalla scienza di un crimine.

D’altra parte i profili del Dna di persone scomparse possono essere confrontati solo con quelli di consanguinei o di resti umani non identificati.

Questo perché i due piani di indagine sono e devono rimanere distinti [59].

8. Il sistema normativo esaminato mette in evidenza la grande attenzione del legislatore italiano a garantire il rispetto del diritto alla privacy dei singoli individui e la tutela delle esigenze investigative finalizzate a identificare gli autori di gravi delitti.

Le norme appaiono precise nel rispettare i principi stabiliti dalla giurisprudenza della Corte Edu, d’altro canto le cautele nella gestione dei campioni biologici, nella tipizzazione dei profili del Dna, nella loro conservazione e comparazione sembrano essere del tutto adeguate agli standard internazionali.

Come dimostrano esperienze straniere, in particolare di Regno Unito e Stati Uniti d’America, la comparazione di profili di Dna di soggetti noti con quelli estratti da campioni rinvenuti sulla scena del crimine e non ancora attribuiti ha contribuito a identificare una percentuale altissima (nel Regno Unito nel 2004 il 45%, dato cresciuto nel 2014 al 62% [60]) di soggetti di cui è stato possibile dimostrare così la presenza in loco.

È indubbio che lo strumento così delineato offra grandi potenzialità investigative amplificate dal collegamento tra le diverse banche dati nazionali, soprattutto in relazione a crimini di tipo transnazionale.

Di pari passo deve però procedere il rispetto dei diritti degli interessati, con particolare riguardo alla correttezza dei prelievi dei campioni biologici e della tipizzazione del Dna e poi alla distruzione degli stessi una volta venuti meno i loro presupposti legali o terminate le esigenze poste a fondamento di essi.

Date le norme e la loro conformità ai principi convenzionali e costituzionali è ora il momento di verificare corrette prassi applicative desumibili tra l’altro dall’informativa annuale al Parlamento redatta da parte dei Ministri dell’interno e della giustizia rispettivamente in merito alla Banca dati nazionale del Dna ed al Laboratorio centrale.



[1] Ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848.

[2] I due commi dell’art. 8 dispongono:

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può aversi interferenza di una autorità pubblica nell’esercizio di questo diritto a meno che questa ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la sicurezza pubblica, per il benessere economico del Paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute od ella morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri».

[3] Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 61, Cedh 2002-III, nonché Y.F. c. Turchia, n. 24209/94, § 33, Cedh 2003-IX.

[4] Bensaid c. Regno Unito, n. 44599/98, § 47, Cedh 2001-I e i riferimenti ivi citati, Peck c. Regno Unito, n. 44647/98, § 57, Cedh 2003-I.

[5] Burghartz c. Svizzera, 22 febbraio 1994, § 24, Serie A n. 280-B, Ünal Tekeli c. Turchia, n. 29865/96, § 42, Cedh 2004-X.

[6] Z. c. Finlandia, 25 febbraio 1997, § 71, Recueil des arrêts et décisions 1997-I.

[7] Friedl c. Austria, 31 gennaio 1995, Serie A n. 305-B, parere della Commissione, p. 20, § 45.

[8] Sciacca c. Italia, n. 50774/99, § 29, Cedh 2005-I.

[9] Si veda per un inquadramento più generale M.G. Putaturo Donati, Il diritto al rispetto della «vita privata e familiare» di cui all’art. 8 della Cedu nell’interpretazione della Corte Edu: il rilievo del detto principio sul piano del diritto internazionale e su quello del diritto interno, in European Rights, http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Commento_Putaturo.pdf.

[10] Rinvenibile all’indirizzo http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-90051. Per la versione italiana: http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-106010.

[11] Si tratta del Police and criminal evidence Act 1984 sezioni 61 (prelievo delle impronte digitali), 63 (prelievo dei campioni biologici), 64 (1A) come emendata dalla sezione 82 del Criminal justice and police Act 2001 (conservazione di impronte digitali e dei campioni biologici).

[12] «La sigla Dna è l’abbreviazione di “acido desossiribonucleico”. Il Dna è presente nella quasi totalità delle cellule dell’organismo e, in quanto depositario (sotto forma di un codice o linguaggio) delle informazioni genetiche, esso determina le caratteristiche fisiche dell’individuo e regola tutti i processi chimici del corpo. Il Dna di ogni individuo è unico salvo nei casi di gemelli monozigoti. I campioni di Dna sono dei campioni cellulari conservati dopo l’analisi. Questo termine indica, allo stesso modo, i sotto-campioni e i campioni parziali. I profili Dna sono dei dati numerici immagazzinati su supporto elettronico nella banca dati del Dna del Regno Unito; essi contengono le informazioni sulla persona alla quale tali dati si riferiscono» (così la nota al paragrafo 1 della sentenza).

[13] È evidente come il livello di intrusione nella vita privata sia diverso e maggiore nel caso della raccolta e conservazione di campioni di cellule e di profili di Dna rispetto ad analoghe attività svolte sulle impronte digitali di un individuo.

Infatti: «Il Dna di un individuo contiene “il livello massimo di informazioni personali e private”: S.A.B., par. 48. A differenza delle impronte digitali, il Dna è in grado di rivelare i dettagli più intimi riguardanti la composizione biologica di una persona. (...) Il prelievo e la conservazione di un campione di Dna non sono delle questioni bagattellari e, in assenza di un imperativo di interesse pubblico, la loro realizzazione costituirebbe evidentemente una grave violazione del diritto alla vita privata di ciascun individuo» (così Corte suprema del Canada nel caso R. c. R.C. [(2005) 3 R.C.S. 99, 2005 CSC 61].

[14] La sentenza Marper v. UK (§§ 45-47) esamina le legislazioni pertinenti degli altri Stati membri del Consiglio d’Europa per concludere come «(I)l Regno Unito è l’unico Stato membro ad aver autorizzato espressamente la conservazione sistematica e per una durata illimitata dei profili di Dna e dei campioni cellulari di persone che abbiano beneficiato di un’assoluzione o nei cui confronti sia stata pronunciata una archiviazione».

[15] Con sentenza 22 luglio 2004 la Camera dei Lord, adita in ultima istanza nazionale, aveva rigettato il ricorso sostenendo l’utilità della conservazione dei campioni biologici anche di chi fosse stato assolto al fine di indagini su futuri ed eventuali reati.

Secondo la motivazione della sentenza inglese (riportate ai § § 15-25 della sentenza Cedu) «(T)he provision limiting the permissible use of retained material to “purposes related to the prevention or detection of crime …” did not broaden the permitted use unduly, because it was limited by its context» (§ 19) e (§ 22). «(I)t is not in fact in any way stigmatisating someone who has been acquitted to say simply that sampes lawfully obtained are retained as the norm, and it is in the public interest in its fight against crime for the police to have as large a database as possible».

[16] La sentenza della Corte contiene ampia panoramica delle norme convenzionali in materia e in particolare fa riferimento da un lato agli artt. 5 e ss. della Convenzione del Consiglio d’Europa n. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale, adottata a Strasburgo il 28 gennaio 1981 e ratificata in Italia con legge 21 febbraio 1989, n. 98 (http://www.privacy.it/archivio/convstrasb.html) secondo cui:

«Articolo 5 - Qualità dei dati

I dati a carattere personale oggetto di elaborazione automatica devono essere:

(…)

b. registrati per fini determinati e legittimi e non devono essere utilizzati in modo incompatibile con tali fini;

c. adeguati, pertinenti e non eccessivi in rapporto ai fini per i quali sono registrati;

(…)

e. conservati sotto una forma che permetta l’identificazione delle persone interessate per un periodo non superiore a quello necessario per i fini per i quali essi sono registrati.

Articolo 6 - Categorie speciali di dati

I dati a carattere personale che rivelano l’origine razziale, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o altre convinzioni, nonché i dati a carattere personale relativi alla salute o alla vita sessuale, non possono essere elaborati automaticamente a meno che il diritto interno preveda delle garanzie appropriate (…).

Dall’altro la Corte ricorda la raccomandazione R(87) 15 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa alla regolamentazione dell’uso dei dati personali nelle materie di pubblica sicurezza che dispone:

Principio 2 - Raccolta dei dati

2.1 La raccolta dei dati personali per fini di polizia e di pubblica sicurezza dovrebbe essere limitata a ciò che è strettamente necessario per prevenire un pericolo concreto o per reprimere un determinato un reato. Qualsiasi eccezione a siffatta disposizione dovrebbe essere oggetto di una specifica disciplina legislativa nazionale.

(...)

Principio 3-Conservazione dei dati

3.1 Nei limiti del possibile, la conservazione di dati personali per fini di pubblica sicurezza dovrebbe essere limitata esclusivamente a dati esatti ed accurati e solo a quei dati che siano necessari per consentire agli organi della polizia di svolgere le loro funzioni nel rispetto delle norme di diritto interno e di quelle fissate dal diritto internazionale.

(...)

Principio 7 - Durata della conservazione e aggiornamento dei dati

7.1 Le autorità nazionali devono adottare le misure necessarie affinché i dati personali conservati a fini di pubblica sicurezza siano cancellati quando essi non siano più necessari per raggiungere i fini per i quali essi erano stati conservati.

A tal fine, occorrerebbe prendere in considerazione i seguenti criteri: l’eventuale necessità di conservare una parte dei dati in vista della conclusione di una indagine in un determinato caso; o la pronuncia di una decisione definitiva; oppure, in particolare, la presenza di una assoluzione; di riabilitazione; oppure se la condanna è stata scontata; o l’esistenza di una amnistia, e ancora l’età della persona interessata; e le particolari categorie di dati».

[17] La Corte rileva come ciascuno di tali dati rientri nella categoria dei «dati personali» prevista dalla Convenzione sulla protezione dei dati personali «dal momento che essi riguardano persone identificate o identificabili» (§ 68).

[18] Nello stesso senso Leander c. Svezia, 26 marzo 1987, § 48, Serie A n. 116.

[19] Aman c. Svizzera [GC] n. 27798/95, § 69, Cedh 2000-II.

[20] «La Corte deve tenere in debita considerazione il contesto particolare nel quale le informazioni in oggetto sono state raccolte e conservate, nonché la natura dei dati raccolti, le modalità con cui tali dati sono utilizzati e trattati ed i risultati che se ne possono trarre (si veda, mutatis mutandis, Friedl, citata supra, parere della Commissione, §§ 49-51, e Peck c. Regno Unito, citata supra, § 59)» (§ 67).

[21] La misura (§ 95) deve avere «una qualche base nel diritto interno», la norma che la prevede deve essere compatibile con il principio della preminenza del diritto, espressamente menzionato nel preambolo della Convenzione, deve essere «accessibile e prevedibile» cioè enunciata con precisione tale da consentire alla persona interessata di regolare la propria condotta conformemente, deve indicare con sufficiente chiarezza la portata e le modalità del potere discrezionale conferito alle autorità (Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, §§ 66-68, serie A n. 82; Rotaru c. Romania [GC], n. 28341/95, § 55, Cedh 2000-V).

[22] La Corte ricorda (§ 99) come sia essenziale che in questa materia, così come in relazione all’intercettazione delle conversazioni telefoniche, alle misure segrete di sorveglianza ed alla raccolta di informazioni di intelligence, «esistano regole chiare e dettagliate volte a disciplinare la portata e le modalità di applicazione delle misure nonché le garanzie minime riguardanti, inter alia, la durata, la conservazione, l’utilizzo, l’accesso di terzi, le procedure destinate a preservare l’integrità e la confidenzialità dei dati e le procedure di distruzione degli stessi, in modo da prevedere sufficienti garanzie contro i rischi di abusi o di arbitrarietà» [si veda, mutatis mutandis, Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, §§ 33 e 35, Serie A n. 176-A, Rotaru, citata supra, §§ 57-59, Weber e Saravia c. Germania (dec.), n. 54934/00, Cedh 2006, Association pour l’intégration européenne et les droits de l’homme et Ekimdjiev c. Bulgaria, n. 62540/00, §§ 75-77, 28 giugno 2007, Liberty e altri c. Regno Unito, n. 58243/00, §§ 62-63, 1 Luglio 2008].

[23] La prevenzione e l’individuazione di crimini, la conduzione di indagini e la celebrazione di processi.

[24] La Corte (§ 101) spiega che «(U)na ingerenza è considerata come “necessaria in una società democratica” per raggiungere un determinato scopo se essa risponde ad un “bisogno sociale imperativo” e, più in particolare, se essa è proporzionata allo scopo legittimo perseguito e se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla appaiano “rilevanti e sufficienti”».

La Corte riconosce alla legislazione degli Stati membri un certo margine di apprezzamento nella valutazione iniziale di questo parametro, margine che però tende a restringersi quanto più «il diritto in gioco risulti essenziale per garantire all’individuo il godimento effettivo di diritti fondamentali e “intimi” a lui riconosciuti (Connors c. Regno Unito, n. 66746/01, § 82, 27 maggio 2004, nonché i riferimenti ivi citati)».

Poiché «(L)a protezione di dati personali è di fondamentale importanza ai fini dell’esercizio individuale del diritto al rispetto della vita privata e familiare come consacrato nell’articolo 8 della Convenzione», la legislazione interna deve prevedere le garanzie necessarie «per impedire qualsiasi utilizzo di dati personali che non sia conforme con le garanzie sancite in tale disposizione (cfr., mutatis mutandis, Z c. Finlandia, citata supra, § 95)», tanto più quando i dati siano sottoposti a trattamenti automatizzati e utilizzati a fini di indagini di polizia.

[25] La Corte constata come la lotta al crimine organizzato ed al terrorismo «dipende in larga misura dall’uso delle più moderne tecniche scientifiche di indagine e di identificazione», così che lo stesso Consiglio d’Europa nella raccomandazione R(92) del Comitato dei Ministri ha riconosciuto come le tecniche di analisi del Dna possono presentare enormi vantaggi per il sistema della giustizia penale.

Cionondimeno, nel caso di specie lo stato di persone «sospettate, ma non condannate» dei due ricorrenti rende illegittima, ai sensi dell’art. 8 § 2 della Convenzione, la conservazione a tempo indeterminato delle loro impronte digitali e dei loro profili di Dna.

[26] La giurisprudenza Cedu è come sempre legata al “caso concreto” portato all’esame della Corte. «(A) ben vedere la questione non è quella di determinare se la conservazione di impronte digitali, di campioni di cellule e di profili di Dna sia in generale legittima ai sensi della Convenzione. L’unica questione su cui la Corte deve soffermarsi è quella di stabilire se la conservazione delle impronte digitali e dei dati del Dna dei ricorrenti, in quanto persone sospettate, ma non condannate, di certi reati, è da considerarsi legittima ai termini dell’articolo 8 § 2 della Convenzione» (§ 106).

[27] La Corte si dice «sorpresa dal carattere generale ed indifferenziato con cui opera il meccanismo di conservazione in Inghilterra e nel Galles» (§ 119).

[28] L’art. 33, commi 1 e 2, definisce la consultazione automatizzata come «l’accesso diretto ad una banca dati automatizzata di un’altra autorità e in modo tale che la consultazione avvenga interamente per via automatizzata».

[29] La parte contraente può trattare i dati personali solamente ai fini per i quali i dati sono stati trasmessi (comma 1) e il trattamento dei dati è autorizzato esclusivamente allo scopo (comma 2) di:

1. determinare la concordanza tra i profili Dna o i dati dattiloscopici comparati;

2. predisporre e introdurre una domanda di collaborazione amministrativa o giudiziaria…;

3. protocollare in conformità all’art. 39, cioè la documentazione delle trasmissioni e delle ricezioni, l’aggiornamento dei dati ed il loro controllo.

[30] La cancellazione dei dati personali è prevista nel caso di erronea trasmissione e poi quando non sono più necessari per le finalità per le quali sono stati trasmessi e in ogni caso al termine di un periodo massimo per la conservazione dei dati previsto dalla legislazione nazionale della Parte che li trasmette.

[31] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 13 luglio 2009-Supplemento ordinario n. 108.

[32] Dipartimento della pubblica sicurezza, Direzione centrale della Polizia criminale, Servizio per il sistema informativo interforze, Divisione Quarta.

[33] Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Direzione generale dei detenuti e del trattamento, Ufficio VI istituito con dm Giustizia 2 marzo 2016.

Il Laboratorio centrale è istituito presso il Polo logistico di Rebibbia.

[34] Il profilo del Dna è la «sequenza alfanumerica ricavata dal Dna e caratterizzante ogni singolo individuo», art. 6, comma 1, lett. b).

[35] La tipizzazione è il «complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che conducono alla produzione del profilo del Dna»”, art. 6, comma 1, lett. h).

[36] Ad esempio l’omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale (art. 361 cp), o da parte di un incaricato di pubblico servizio (art. 362 cp), il patrocinio o la consulenza infedele (art. 380 cp), o ancora la mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 cp), la contraffazione, alterazione di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni o uso degli stessi (art. 473 cp) e l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cp), i reati fallimentari, quelli previsti dal codice civile, i reati tributari ed altri.

[37] Reperto biologico è il «materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato», art. 6, comma 1, lett. d).

[38] Trattamento è «qualunque operazione o complesso di operazioni effettuate anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, la tipizzazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione dei dati», art. 6, comma 1, lett. e).

[39] Accesso è «consultazione, anche informatica, dei dati e delle informazioni contenute nella banca dati», art. 6, comma 1, lett. f).

[40] Si tratta di segmenti «non codificati del genoma umano» da cui non siano desumibili informazioni sulle caratteristiche del soggetto analizzato, così Andrea Lenzi, Presidente del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita. Vds: Cos’è e come funziona la Banca dati nazionale del Dna, in Poliziapenitenziaria.it, 16 marzo 2017, http://www.poliziapenitenziaria.it/public/post/blog/cosaposapose-e-come-funziona-la-banca-dati-nazionale-del-dna-3342.asp

[41] Come stabilito dall’allegato A) al decreto del Ministro dell’interno dell’8 novembre 2016:

la registrazione degli accessi e delle operazioni di trattamento dei profili del Dna compiuti da personale della Banca dati nazionale e da personale in servizio presso i laboratori delle Forze di polizia contiene il riferimento normativo del reato per la motivazione, il codice identificativo dell’utente che ha eseguito l’accesso, l’identificazione dell’ufficio richiedente, la denominazione dell’ufficio e l’identificativo dell’Autorità giudiziaria, il numero del procedimento penale e l’anno di riferimento, le operazioni eseguite ed i loro riferimenti temporali, la registrazione è conservata per venti anni;

la registrazione degli accessi e delle operazioni di trattamento dei profili del Dna compiuti da personale del Laboratorio centrale e relativi ai soggetti di cui all’art. 9 commi 1 e 2 della L. 85/2009 contiene il codice identificativo dell’utente che ha effettuato l’accesso, l’identificazione dell’ufficio richiedente, le operazioni eseguite e i loro riferimenti temporali, la registrazione è conservata per venti anni;

la registrazione degli accessi e delle operazioni di trattamento dei profili del Dna compiuti per finalità di cooperazione transfrontaliera contiene l’esistenza o meno di una risposta positiva, i dati trasmessi, l’autorità che gestisce la banca dati, il riferimento normativo del reato per la motivazione, il codice identificativo dell’utente che ha eseguito l’accesso, l’identificazione dell’ufficio richiedente, la denominazione dell’ufficio e l’identificativo dell’Autorità giudiziaria, il numero del procedimento penale e l’anno di riferimento, le operazioni eseguite ed i loro riferimenti temporali, la registrazione è conservata per due anni;

la registrazione degli accessi effettuati dall’amministratore di sistema contiene il codice identificativo dell’utente che ha effettuato l’accesso ed il riferimento temporale di tali accessi, la registrazione è conservata per venti anni.

Altre stringenti cautele riguardano le barriere fisiche ed i controlli sulle persone abilitate ad accedere ai locali della Banca dati nazionale ed in particolare alla sua infrastruttura hardware e software (cd. sala server).

[42] Il campione biologico viene individuato univocamente mediante un «numero di riferimento» [art. 5, comma 5, lett. c) del dPR 87/2016] a sua volta composto dal codice Paese (codice che identifica univocamente il Paese di provenienza del campione), dal codice profilo del Dna (codice che identifica l’origine del campione biologico) e codice prelievo (codice alfanumerico che individua univocamente il campione biologico). Le operazioni di prelevamento del campione biologico vengono registrate nel sistema AFIS (art. 5, comma 1, dPR 87/2016) dove il soggetto interessato è identificato con le generalità fornite o accertate e mediante un CUI [Codice univoco identificativo, art. 2, comma 1, lett. c), dPR 87/2016].

L’AFIS (Automated fingerprint identification system) è il sistema automatizzato per l’identificazione delle impronte digitali del casellario centrale d’identità del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, collocato presso la Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato, Servizio polizia scientifica [art. 2, comma 1, lett. d), dPR 87/2016].

È solo tramite l’accoppiamento del numero di riferimento del campione biologico con il CUI registrato nell’AFIS che è possibile attribuire il profilo del Dna tipizzato e conservato nella Banca dati nazionale ad una determinata persona.

Questa procedura è vietata al personale addetto alla Banca dati nazionale del Dna e può essere svolta solo da un numero ristretto di persone in servizio all’AFIS.

Si veda il decreto del Ministro dell’interno dell’8 novembre 20116 e l’articolo di Renato Biondo, direttore della Banca dati nazionale del Dna Servizio sistema informativo interforze del Ministero dell’interno: Un’arma in più, http://www.poliziadistato.it/statics/14/inserto-banca-dati-dna.pdf.

[43] Osserva il prof. Emiliano Giardina del Laboratorio di genetica forense dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata come «(L)e regioni del Dna che vengono studiate per determinare l’identificazione personale e l’attribuzione delle tracce biologiche (e che verranno conservate nella banca dati) non hanno nessun significato biologico, possono essere considerate l’evoluzione tecnologica delle impronte digitali. In tal senso, pur disponendo del profilo forense completo di una persona, non potremo sapere niente delle sue caratteristiche biomediche o sociali», in La Banca dati nazionale del Dna ad uso forense: nessun pericolo per la nostra privacy, in Diritto24.it, 31 maggio 2017, http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoPenale/2017-05-31/la-banca-dati-nazionale-dna-ad-uso-forense-nessun-pericolo-la-nostra-privacy-105004.php?refresh_ce=1.

[44] L’art. 28 del regolamento dPR 7 aprile 2016 n. 87 prevede come il CNBBSV possa richiedere al Laboratorio centrale e a quelli che lo alimentano informazioni sulla loro organizzazione e funzionamento [lett. a)], sui metodi operativi e sul loro aggiornamento [lett. b)], rilasci il nulla osta ai laboratori delle Forze di polizia e a quelli delle istituzioni di alta specializzazione [lett. c)], controllandone il costante aggiornamento [lett. d)], segnali al responsabile della banca dati la non conformità alle regole tecniche ISO/IEC 17025 chiedendo al contempo la revoca dell’autorizzazione del laboratorio interessato [lett. e)], esegua verifiche ed ispezioni [lett. f), g)] riferisca ai Ministri dell’interno e della giustizia nonché al garante per la protezione dei dati personali formulando, mediante comunicazioni specifiche ed una relazione annuale, suggerimenti rispetto alle modalità di attuazione dei criteri e delle norme tecniche [lett. h)].

[45] Il decreto del Ministro dell’interno dell’8 novembre 2016 chiarisce che il Laboratorio centrale della Banca dati nazionale del Dna è l’unico laboratorio che, ai sensi dell’art. 8, legge 30 giugno 2009, n. 85 può tipizzare il profilo Dna [lett. a)] e conservare [lett. b)] i relativi campioni biologici prelevati ai soggetti indicati nell’articolo 9, comma 1 e 2 della legge, laddove ai laboratori delle Forze di polizia e di altre istituzioni di elevata specializzazione compete la tipizzazione del Dna proveniente da reperti biologici acquisti nel corso di procedimenti penali e da campioni riferibili a persone scomparse e loro consanguinei e da cadaveri o resti cadaverici non identificati.

[46] Si veda la Circolare del 22 novembre 2017 emanata dal Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse che, allo scopo di evitare disparità di trattamento e di contribuire ad una standardizzazione delle procedure in ambito nazionale, individua le tipologie di «casi allarmanti di scomparsa di persone per le quali si ravvisa la necessità della repertazione (…) allo scopo di ottenerne il Dna», http://www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/circolare_7608.pdf.

[47] Non oltre quarant’anni per il profilo del Dna e non oltre vent’anni per il campione biologico.

[49] Il Ministero della giustizia Ufficio VI informa che l’Ente Italiano di accreditamento-Accredia [articoli 2.11 e 4.1 del Regolamento (CE) n. 765/2008 del 9 luglio 2008] ha dichiarato la conformità ai principi previsti dalla legge istitutiva del Laboratorio centrale per la Banca dati nazionale del Dna con certificato di accreditamento n. 1671 inviato il 19 dicembre 2017, di conseguenza l’indicazione del laboratorio a riprova dell’avvenuta certificazione viene accompagnata dal simbolo di Accredia, cfr. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_12_3_5_7.page;jsessionid=WyLaFsu4uCyzRVSMAiWMEJOn

Da altra fonte (https://www.ilcorrieredellasicurezza.it/dap-laboratorio-centrale-per-banca-dati-dna/) si apprende che: «Il Comitato Settoriale per l’Accreditamento dei Laboratori di Accredia, riunitosi in data 19 dicembre 2017, ha approvato l’accreditamento del Laboratorio Centrale ritenendolo conforme ai principi previsti dalla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2500 “Requisiti generali per la competenza dei Laboratori di prova e taratura”».

L’accreditamento attesta la competenza tecnica del Laboratorio per le finalità dettate dalla normativa vigente istitutiva della Banca dati nazionale e del Laboratorio centrale. Nel corso dello svolgimento dell’audit, gli ispettori dell’ente Accredia hanno valutato positivamente la struttura, la strumentazione e l’organizzazione delle attività del Laboratorio, oltre ad esprimere una valutazione ampiamente positiva nei confronti del dirigente dell’ufficio e del personale dei ruoli tecnici, attestandone la preparazione e l’elevata professionalità.

L’accreditamento del Laboratorio centrale, che ne certifica la competenza tecnica per le finalità dettate dalla normativa vigente, e la valutazione positiva del Comitato, costituivano i requisiti imprescindibili senza i quali non era possibile procedere alla profilazione dei campioni biologici prelevati alle persone detenute ristrette presso gli Istituti penitenziari e rientranti nelle fattispecie di cui all’art. 9 della legge 85/2009.

Il 21 dicembre 2017 ha avuto avvio per il personale dei ruoli tecnici individuato per l’inserimento dei profili del Dna nel Codis – Banca dati nazionale Dna, presso il Laboratorio centrale, la prima formazione-Corso “Codis Campione Biologico (Person)” – a cura del personale del Ministero dell’interno per la definitiva operatività del Laboratorio.

Ottenute le predette certificazioni, si è quindi potuto procedere al “processamento” ed all’estrazione del Dna dai primi campioni biologici.

Il 28 dicembre 2017 ha avuto inizio l’inserimento dei profili ricavati in Banca dati nazionale Dna».

[50] I tempi di interrogazione della Banca dati nazionale del Dna a fine investigativo nazionale vengono stimati in qualche minuto per avere risposta positiva o negativa (“hit/no hit”) ritenuta certa.

[51] Punto di contatto nazionale per l’Italia è il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia o Scip istituito presso la Direzione centrale polizia criminale del Ministero dell’interno, attraverso il quale passano le interrogazioni della Banca dati nazionale del Dna da parte delle autorità straniere.

I tempi di interrogazione della Banca dati nazionale del Dna a fine investigativo internazionale vengono stimati in 15 minuti per avere risposta positiva o negativa (“hit/no hit”) ritenuta certa.

[52] Locus viene definito come «la posizione fisica su un cromosoma di un gene o di un marcatore in una regione del Dna» [art. 2, comma 2, lett. b)].

[53] Così R. Biondo, Un’arma in più, art. cit.

[54] Si veda l’allegato A) del decreto del Ministero dell’interno dell’8 novembre 2016.

L’elettroferogramma viene definito come «il risultato dell’analisi elettroforetica della sequenza di frammenti del Dna utilizzata per estrapolare il profilo del Dna» [art. 2, comma 2, lett. f)].

[55] Che regola l’acquisizione del campione biologico dei soggetti di cui all’art. 9 della legge.

[56] Recante «procedure per il trattamento dei dati, da parte della Banca dati del Dna e del laboratorio centrale per la Banca dati nazionale del Dna, e per la trasmissione del profilo del Dna da parte dei laboratori di istituzioni di elevata specializzazione, in attuazione degli articoli 3, 4 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2016 n. 87», http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/12/20/16A08540/sg.

Il decreto definisce «i profili di autorizzazione, le procedure di autenticazione, di registrazione e di analisi degli accessi e delle operazioni relativi alla Banca dati nazionale del Dna» (art. 1, comma 1), «i profili di autorizzazione e le procedure di autenticazione, di registrazione e di analisi degli accessi e delle operazioni relativi al sistema Lims del laboratorio centrale (…) nonché le regole per la registrazione degli accessi ai locali e agli armadi del laboratorio centrale … adibiti alla conservazione dei campioni biologici e degli elettroferogrammi effettuati dagli operatori abilitati e in possesso di apposite chiavi di accesso» (art. 1, comma 2) e «le regole per la trasmissione del profilo del Dna da parte delle istituzioni di elevata specializzazione, per via telematica, verso il laboratorio della Forza di polizia individuata dall’Autorità giudiziaria» (art. 1, comma 3).

[57] Così Andrea Lenzi nell’intervista citata nella nota 40.

[58] Rispettivamente, i servizi offerti dalla Banca dati nazionale saranno certificati a norma Iso 9001:2015 ed orientati allo standard di qualità della sicurezza delle informazioni ISO/IEC 27001, mentre i servizi dei laboratori di elevata specializzazione saranno certificati a norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025, così R. Biondo, Un’arma in più, art. cit.

[59] Così ancora Renato Biondo nell’articolo citato, il quale chiarisce come sia la motivazione iniziale della ricerca se per fini di identificazione dell’autore di un reato o per fini di identificazione di persona scomparsa a stabilire la distinzione e quindi il confine tra le due “basi dati”.

[60] Così R. Biondo, Un’arma in più, art. cit.

06/06/2018
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