La sentenza che si annota, affronta la questione se i fumetti di natura pedopornografica possano farsi rientrare nell'ambito operativo dell'art. 600 quater 1 cp, che punisce la pornografia virtuale.
Nel caso di specie il Tribunale di Brescia condannava l'imputato per il reato di cui all'art. 600 quater 1 cp per essersi consapevolmente procacciato, tramite il programma eMule, e aver detenuto nel proprio computer circa 95.000 files di pornografia virtuale, contenenti immagini di soggetti minori degli anni 18 coinvolti in attività sessuali «nella foggia di disegni o rappresentazioni fumettistiche», con l'aggravante dell'ingente quantità del materiale scaricato.
La Corte di appello, accogliendo il gravame proposto dall'imputato, assolveva quest'ultimo per l'insussistenza del fatto, atteso che nelle rappresentazioni incriminate «non apparivano effigiati minorenni, per così dire veri, ossia realmente esistenti e non erano state utilizzate immagini, o parti di immagini reali, di soggetti minori degli anni 18».
Contro la sentenza di secondo grado, il Procuratore generale presso la Corte di appello proponeva ricorso per Cassazione per violazione di legge in relazione all'art. 600 quater 1 cp, chiedendone l'annullamento.
In particolare, secondo il Procuratore generale, l'art. 600 quater 1 cp andava applicato anche ai fumetti di natura pedopornografica, dal momento che tale norma è destinata a punire la detenzione consapevole di immagini virtuali «che siano in grado, per la loro capacità di far apparire vere situazioni non reali, di alimentare la libidine sessuale verso i minori».
Con la sentenza in commento, la Corte suprema accoglie il ricorso proposto dalla Procura generale.
Più in dettaglio, la Corte, dopo aver premesso alcuni cenni sulla nozione di pedopornografia e, più in generale, sul concetto di pornografia, inizia il suo ragionamento ricordando che il legislatore, con l'introduzione dell'art. 600 quater 1 cp, ha ampliato e rafforzato la tutela penale contro la pornografia minorile e la detenzione di materiale pedopornografico, estendendola anche alla pedopornografia virtuale.
L'art. 600 quater 1 cp, infatti, recita testualmente: «Le disposizioni di cui agli articoli 600 ter e 600 quater si applicano anche quando il materiale pornografico rappresenta immagini virtuali realizzate utilizzando immagini di minori degli anni diciotto o parti di esse, ma la pena è diminuita di un terzo. Per immagini virtuali si intendono immagini realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali».
Ciò premesso, la Corte evidenzia che il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice di pedopornografia virtuale è da identificarsi nella libertà sessuale dei bambini e/o bambine «da intendersi quale categoria di persone destinatarie della tutela rafforzata della intimità sessuale».
Secondo la Corte, coloro che producono, diffondono e detengono materiale pedopornografico virtuale vanno perseguiti perché, con le proprie condotte, alimentano «l'attrazione per manifestazioni di sessualità rivolte al coinvolgimento di minori», mettendo in pericolo il bene intangibile della personalità ancora in formazione del minorenne.
Da questo discende che la pedopornografia virtuale rileva sul piano penale anche quando viene realizzata senza utilizzare immagini di “minori reali”, dal momento che ad essere tutelata non è soltanto la libertà sessuale del bambino reale eventualmente effigiato[1], ma anche la personalità e lo sviluppo dei soggetti minorenni intesi come categoria in generale.
Lo scopo della criminalizzazione delle condotte di produzione, diffusione e possesso di immagini pedopornografiche virtuali consiste nell'evitare che tali immagini possano divenire lo strumento «per sedurre dei soggetti minori od invitarli a partecipare ad attività sessuali».
Ovviamente, la Corte non manca di sottolineare che la pedopornografia virtuale può essere punita ai sensi dell'art. 600 quater 1 cp soltanto quando consti di foto o filmati, che siano in grado di suggerire la reale esistenza delle persone rappresentate.
Sicché, secondo i giudici di legittimità, nell'ambito dell'art. 600 quater 1 cp possono farsi rientrare anche i disegni o le pitture, a condizione però che essi siano idonei a suscitare nello spettatore «l'idea che l'oggetto della rappresentazione pornografica sia un minore».
Anche per questo la Corte tiene a precisare che il delitto in questione è un reato di pericolo concreto, nel senso che il prodotto informatico di tipo pedopornografico deve essere qualitativamente dotato di una propria «capacità rappresentativa di soggetti minorenni coinvolti in attività sessuali».
Conseguentemente, anche la produzione, diffusione e detenzione di una rappresentazione fumettistica, specialmente se ottenuta con tecniche digitali altamente sofisticate, può andare incontro alle sanzioni stabilite dall'art. 600 quater 1 cp, se è in grado di fare «apparire come vere situazioni ed attività sessuali implicanti minori, che non hanno avuto alcuna corrispondenza con fatti della realtà».
Sulla base di quanto sopra esposto, la Corte censura la sentenza impugnata per avere escluso la sussistenza del fatto soltanto perché le immagini incriminate rappresentavano minori di fantasia «ritenendo per ciò solo esclusa ogni riferibilità, seppure apparente, ad una situazione rappresentativa di accadimenti reali», atteso che, come si è visto, anche il disegno pedopornografico di un minore di fantasia, che sia del tutto simile a un minore reale, va ricompreso nella definizione data dall'art. 600 quater 1 cp.
Per concludere la sentenza appare condivisibile e, soprattutto, coerente nelle sue argomentazioni.
Se, come si è visto, l'art. 600 quater 1 cp serve a proteggere i percorsi di crescita del soggetto minorenne, è indubbio che tale norma, per raggiungere questo obiettivo, deve perseguire coloro che producono, diffondono e/o detengono immagini virtuali pedopornografiche che, proprio per la loro alta capacità evocativa di situazioni reali, siano potenzialmente in grado di sedurre o traviare minori.
Il punto però più importante della sentenza è quello in cui la Corte classifica il delitto di pedopornografia virtuale come un reato di pericolo in concreto.
Ciò significa che, per rilevare sul piano penale, l'immagine pedopornografica virtuale, che può essere anche un fumetto o un cartone animato, deve avere una qualità rappresentativa «tale da far apparire come accadute o realizzabili nella realtà e quindi vere, ovvero verosimili, situazioni non reali, ossia frutto di immaginazione di attività sessuali coinvolgenti bambini/e».
Diversamente, se l'immagine pedopornografica virtuale per la sua grossolanità e rozzezza non ha la forza in concreto di rappresentare un minore in carne ed ossa, essa sfuggirà all'applicazione dell'art. 600 quater 1 cp.
[1] Questa ipotesi può verificarsi nel caso in cui l'immagine pedopornografica contenga il volto reale di un bambino aggiunto a un corpo realizzato virtualmente.