1. La richiesta ripristinatoria dell’interessato
L’art. 36 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 di attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134 ha introdotto nel codice di rito la disposizione di cui all’art. 628-bis c.p.p. che definisce il meccanismo per rimediare alle violazioni dei principi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei protocolli addizionali nell’adozione di decisioni ormai irrevocabili[1].
La disposizione – collocata nel titolo III-bis del libro IX rubricato «Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo» – prevede che il condannato o la persona sottoposta a misura di sicurezza possano chiedere alla Corte di cassazione di revocare la sentenza penale o il decreto penale di condanna, di riaprire il procedimento o, comunque, di adottare qualsiasi provvedimento necessario. Si è previsto, altresì, che il meccanismo operi anche quando sia stata disposta la cancellazione del ricorso dal ruolo secondo la previsione di cui all’art. 37 della Convenzione in conseguenza del riconoscimento della violazione da parte dello Stato[2].
L’istituto ha tratti di atipicità in riferimento alle formule decisorie che, evidentemente, non sono quelle “classiche” del giudizio di legittimità. Alla base della scelta legislativa vi è la necessità di individuare la modalità riparatoria più adeguata, tenuto conto che l’art. 46 CEDU prevede che «le alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti», superando la dicotomia tra revisione europea e incidente di esecuzione – soluzioni entrambe individuate dalla giurisprudenza costituzionale prima e di legittimità poi – con un unico rimedio che attribuisce alla sola Corte di cassazione la valutazione del dictum europeo, con un vaglio preliminare sul vizio accertato dalla Corte di Strasburgo[3].
Ed invero, nel caso in cui quest’ultima abbia censurato il comportamento dell’autorità nazionale con riferimento ad una specifica vicenda giudiziaria, spetta ora alla Corte di legittimità stabilire la modalità riparatoria più adeguata trattandosi di “obbligo di risultato[4]”: lo Stato convenuto è infatti libero – sotto il controllo del Comitato dei Ministri, cui spetta la supervisione dell’ottemperanza alle sentenze di Strasburgo (art. 46 Convenzione e.d.u. e par. 2 e 3 Prot. 14) – di scegliere all’interno del proprio ordinamento i mezzi da utilizzare[5].
Con la riforma, si è riconosciuto un ruolo fondamentale alla Corte di cassazione in ordine alla possibilità di verificare non solo l’ammissibilità della richiesta ma anche il tenore del pregiudizio patito in concreto dal ricorrente. D’altronde, la scelta si pone in linea con le soluzioni individuate nella maggior parte degli altri Stati europei, ove si è ritenuto necessario affidare al giudice di legittimità il compito di garantire l’uniformità delle decisioni e la tenuta dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale[6].
Nell’ipotesi in cui non ritenga inammissibile la richiesta, la Corte di cassazione stabilisce, sulla scorta di una valutazione in ordine all’incidenza effettiva della violazione, il modo in cui attuare la restitutio in integrum[7], ponendo il ricorrente, per quanto possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se non fosse stata violata la Convenzione.
Sulla base di queste brevi premesse è più agevole esaminare la questione sottoposta alla Suprema Corte.
2. La recente decisione della Corte di cassazione
La Quinta sezione della Corte di cassazione è intervenuta nell’ambito del cd. caso Viola. La vicenda ha preso avvio dalla pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo che, con la sentenza del 13 giugno 2019, ha accertato la violazione dell’art. 3 della Convenzione in quanto la pena all’ergastolo, così come concretamente espiata dal ricorrente – a cui era di fatto precluso l’ottenimento della liberazione condizionale nonché del riconoscimento di lunghi periodi di liberazione anticipata – era da considerarsi inumana.
I fatti sono noti[8].
In quell’occasione la Corte ha ammonito lo Stato italiano per la riforma della disciplina dell’ergastolo così da garantire la possibilità di riesaminare la pena e di rivalutare il percorso di evoluzione trattamentale del detenuto ma, soprattutto, per evitare di far riferimento, ai fini della dimostrazione dell’appartenenza o meno al contesto criminale, esclusivamente alla “dissociazione”.
Dopo il monito europeo e lunghi dibattiti dottrinali e politici, il legislatore è intervenuto, modificando la disposizione di cui all’art. 4-bis ord. pen., con il decreto-legge n. 162 del 2022[9], convertito con modificazioni dalla legge n. 199 del 2022[10], che prevede la possibilità di accedere ai benefici senza che sia più necessaria la collaborazione effettiva o l’accertamento della sua impossibilità[11].
Di qui il ricorso con cui si è chiesto alla Corte di cassazione di riesaminare la procedura instaurata (e poi rigettata dal Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila) per l’ottenimento della liberazione condizionale, ovvero di adottare i provvedimenti necessari a eliminare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla violazione riconosciuta con la sentenza del 13 giugno 2019, così da accertare la sussistenza dei requisiti imposti dalla normativa per ottenere il beneficio richiesto.
Più in particolare, ad avviso del ricorrente, l’intervento legislativo del 2022, per effetto del quale la presunzione di pericolosità ostativa è stata trasformata da assoluta a relativa, consente di valutare la possibilità di concedere il beneficio in suo favore.
Il ricorrente ha ritenuto legittimo, al fine dell’ottenimento di quanto richiesto, utilizzare il meccanismo di cui all’628-bis c.p.p. che, a suo parere, avrebbe consentito una verifica effettiva del percorso trattamentale intrapreso alla luce della previsione dell’art. 4-bis, comma 1-bis, o.p.
La Corte di cassazione, nella sentenza in esame, dopo aver dato atto dell’iter storico e legislativo di approvazione della "nuova" disciplina su ostatività e benefici, ha chiarito che lo strumento di cui all’art. 628-bis c.p.p. le consente sì di rimuovere gli effetti di una sentenza di condanna o di un decreto penale di condanna che «sarebbero altrimenti intangibili»[12], ma non di intervenire su altri tipi di provvedimenti che, ove impugnabili ovvero richiedibili ex novo, non consentirebbero di utilizzare lo strumento di extrema ratio.
Nella motivazione la Corte fa riferimento al cd. giudicato esecutivo, in quanto il ricorrente ha chiesto di rimuovere gli effetti pregiudizievoli di un provvedimento adottato, allora, dal Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila, sulla base di presupposti mutati che, ora, gli consentirebbero di presentare una nuova istanza.
D’altronde, come è noto, in siffatta materia di giudicato in senso proprio non può dirsi; si tratta, infatti, di una condizione di irrevocabilità temperata, produttiva di una preclusione processuale destinata a non operare nell’ipotesi in cui sopravvengano nuovi elementi, non valutati nella precedente decisione della magistratura di sorveglianza, idonei a consentire l’emissione di un nuovo provvedimento.
Nel dichiarare inammissibile la richiesta, la Quinta sezione, in ragione della necessaria aderenza al testo della disposizione – che restringe l’ambito applicativo alla sole decisioni divenute definitive in tema di responsabilità (sentenza o decreto penale di condanna) – ha evidenziato la possibilità che l’interessato riproponga una nuova istanza alla magistratura di sorveglianza, sulla considerazione che il pur “ipotetico provvedimento idoneo” non avrebbe potuto che essere quello di investire nuovamente il Tribunale di sorveglianza competente.
3. Legittimazione al rimedio e tipo di decisione revocabile
Dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte di cassazione ha fatto leva su una lettura aderente al dato normativo che, come già chiarito, indica che i titolari legittimati ad agire siano il “condannato o sottoposto a misura di sicurezza” e come provvedimenti revocabili la “sentenza penale o decreto penale di condanna”. Da questa premessa ha individuato un numerus clausus di aventi diritto ad agire nonché di provvedimenti sui quali si può, in concreto, procedere.
E però, ed è questa la questione su cui ci si interroga, cosa accade nell’ipotesi in cui la Corte di Strasburgo identifichi una violazione in un procedimento a cui non consegue una pronuncia sulla responsabilità ma, ad esempio, come nel caso che ci occupa, che si concluda con un’ordinanza che incida su uno status diverso da quello del condannato sul quale, però, assume rilevanza una violazione di una disposizione convenzionale?
Sulla interpretazione del concetto di “condannato”, la Quinta sezione della Corte di cassazione[13] ebbe a rimettere alle Sezioni unite la questione relativa al contrasto tra l’orientamento secondo cui era inammissibile il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso una ordinanza di inammissibilità della Corte di cassazione intervenuta su un ricorso proposto contro un provvedimento di rigetto di una richiesta di revisione, sul presupposto che la disposizione di cui all’art. 625-bis c.p.p. circoscriverebbe l’esperibilità del gravame esclusivamente alle sentenze della Corte a cui consegue la definitività di una sentenza di condanna[14], e un più recente indirizzo che, diversamente opinando, ammetteva il ricorso straordinario, considerando per “condannato” anche il soggetto titolare della facoltà di introdurre il procedimento di revisione[15].
In quell’occasione, le Sezioni unite[16] chiarirono che l’articolo 625-bis c.p.p. ricomprende anche il soggetto titolare della facoltà di chiedere la revisione della condanna, sulla considerazione che il rigetto o la dichiarazione di inammissibilità del ricorso contribuisce alla “stabilizzazione” del giudicato.
Anzi, facendo specifico riferimento al procedimento di esecuzione – nel quale evidentemente non viene in rilievo la pronuncia avente ad oggetto la responsabilità o meno dell’interessato – precisarono che il mezzo di impugnazione straordinario è esperibile quando la decisione impugnata, intervenendo a stabilizzare il giudicato, determina l’irrimediabilità del pregiudizio derivante dall’errore di fatto, facendo riferimento, a titolo esemplificativo, alle ipotesi della decisione che abbia ad oggetto le procedure di cui agli artt. 671 e 673 c.p.p. ovvero a quella sul ricorso avverso l’ordinanza negativa del giudice dell’esecuzione, ex art. 670 c.p.p., in merito ad una questione riguardante la validità della notifica della sentenza di condanna di merito o, infine, alla decisione sull’ordinanza che respinga una richiesta di restituzione nel termine per impugnare una sentenza di condanna.
Ai fini del ragionamento che qui rileva, a voler escludere l’argomento della legittimazione, si potrebbe fare riferimento alla natura del provvedimento impugnato dal ricorrente ovvero l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza che ha dichiarato inammissibile l’istanza di liberazione condizionale presentata dal ricorrente.
Invero, detto provvedimento, pur non essendo riconducibile allo schema di una sentenza – e dunque, idoneo, ad incidere sul merito della vicenda processuale – è del tutto capace di incidere su un diritto convenzionalmente tutelato.
Secondo la giurisprudenza, d’altronde, ai fini della possibilità di ricorso immediato per cassazione (in rapporto alla clausola di cui all’art. 111 Cost. comma 7) è necessario che il provvedimento abbia, in concreto, le caratteristiche di una «sentenza» ossia di un provvedimento giurisdizionale con vocazione alla definitività ed incidente su un diritto soggettivo del destinatario[17]; allo stesso modo la Corte di cassazione ha ritenuto che, in ambito di misure di prevenzione, in sede di valutazione di un atto gestorio, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione quando questi sono destinati a divenire definitivi e ad incidere su diritti soggettivi, assumendo in concreto natura di sentenza[18].
4. Una possibile diversa soluzione
La conclusione a cui è giunta la Corte di cassazione ha il pregio di delineare i limiti dell’istituto che così definito sembra depotenziare la risposta interna alla rilevazione di violazioni convenzionali in procedimenti e decisioni non più in corso e irrevocabili.
Invero, non può mettersi in dubbio la linearità dell’iter argomentativo della Quinta sezione.
Ne è prova che lo stesso Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva invitato, con la citata Raccomandazione del 19 gennaio 2000, Rec(2000)2, ad individuare forme di riapertura dei procedimenti a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo, specificando che dalla sentenza della Corte risulti che la decisione interna impugnata è contraria nella sostanza alla Convenzione, o che la violazione riscontrata è stata causata da errori o carenze procedurali di una gravità tale da mettere in serio dubbio l’esito del procedimento interno impugnato.
Nel caso di specie una nuova istanza dell’interessato allo stesso Tribunale di sorveglianza che emise la decisione risultata in contrasto con la normativa convenzionale potrebbe condurre – alla luce della riformata normativa dell’ordinamento penitenziario – ad una diversa decisione.
In ragione di tale specificità – caratterizzata dall’intervento di un nuovo assetto di regole rispetto a quello su cui si è fondata la decisione violativa della normativa convenzionale – la rimozione dell’effetto pregiudizievole ben può essere affidata ad una rinnovata decisione della magistratura di sorveglianza chiamata ad una nuova pronuncia proprio in forza dello ius superveniens.
Resta però senza risposta, sulla base della ricostruzione operata dalla Quinta sezione, il quesito su quale sia l’effettività dei rimedi interni per il caso in cui non si abbia un mutamento di disciplina normativa della materia su cui ha inciso la decisione giudicata in contrasto con i principi convenzionali. In tale ipotesi resta dubbio se la tendenziale irrevocabilità della decisione possa cedere per il mero fatto che una nuova richiesta di decisione trovi il dato di novità, capace di vincere la preclusione processuale, nella pronuncia della Corte Edu.
Se alla Corte di cassazione (art. 628-bis, comma 1, c.p.p.) è attribuito il potere di revocare il giudicato in funzione della rimozione degli effetti negativi derivanti da una violazione accertata da parte della Corte e.d.u. – e tali non possono che essere riconosciuti quelli patiti dal ricorrente nel corso dell’espiazione della pena –, le condizioni per l’esercizio di detto potere non dovrebbero radicarsi nel nomen iuris del provvedimento pregiudizievole.
Non sarebbe stato dunque un fuor d’opera se la Corte di cassazione avesse tentato un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme, facendo leva sulla possibile disparità di trattamento patita dal ricorrente rispetto ad un soggetto “formalmente” condannato. Ove il tentativo non fosse stato in grado – come pare probabile – di ottenere una soluzione convincente, si sarebbe potuto ragionare sulla costituzionalità di una normativa che pare restringere eccessivamente le condizioni per l’accesso al meccanismo ripristinatorio.
[1] Per un approfondimento sull’istituto nonché del complesso iter che ne ha portato all’introduzione si vedano M. Arleo, Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte e.d.u., in Proc. pen. giust., 2023, p. 53; G. De Amicis, Giudicato interno e sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo: un nuovo strumento di governo della cedevolezza del giudicato nazionale, in Sist. pen., 3 maggio 2023; G. Esposito, Verso un celere riconoscimento del dictum della Corte EDU, in Arch. pen., 15 dicembre 2022; R.M. Geraci, Un’attesa lunga vent’anni: il ricorso straordinario per l’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo, in Proc. pen. giust., 2022, p. 188; B. Lavarini, Un nuovo rimedio “bifasico” per l’esecuzione delle decisioni della Corte di Strasburgo, in Leg. pen., 11 maggio 2023; S. Lonati, Richiesta per l’esecuzione delle sentenze di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: il nuovo art. 628-bis c.p.p., in Sist. pen., 27 aprile 2023; R. Magi, Le novità in tema di giudizio di legittimità. Cenni sulla revisione europea, in questa rivista, p. 9, nonché L. Rapisarda, Il nuovo art. 628-bis c.p.p.: l’ordinamento italiano dispone finalmente un istituto per l’esecuzione dei provvedimenti della Corte di Strasburgo, in Giurisprudenza Penale Web, 3 gennaio 2023.
[2] Già dal 2000, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa aveva invitato, con una sua Raccomandazione (19 gennaio 2000, Rec(2000)2, ad individuare forme di riapertura dei procedimenti a seguito di condanna da parte della Corte di Strasburgo.
[3] Cfr. Relazione introduttiva al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150: «Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, in Gazz. Uff., 19 ottobre 2022, n. 245, p. 170. L’ordinamento italiano «evidenziava, invece, un deficit di tutela insuperabile in via interpretativa: la griglia chiusa dei motivi di revisione di cui all’art. 630 era insuscettibile, per effetto del principio di tassatività, di estensioni idonee a consentire la revisione del giudicato “ingiusto” a seguito di violazioni del fair process diagnosticate dalla Corte di Strasburgo; l’inerzia del legislatore sul punto determinava, perciò, una crisi non più tollerabile del sistema, per rimuovere la quale la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2011, era intervenuta, dichiarando costituzionalmente illegittimo l’art. 630 “nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell’art. 46 paragrafo 1 C.e.d.u., per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell’uomo». Così G. Di Chiara, La revisione del giudicato penale, in Aa.Vv., Diritto processuale penale, Giuffrè, Milano, 2023, p. 944.
[4] Corte e.d.u., Grande Camera, 13 luglio 2000, Scozzari e Giunta c. Italia; Corte e.d.u., Grande Camera, 29 marzo 2006, Scordino c. Italia.
[5] Cfr. R.E. Kostoris, Diritto europeo e giustizia penale, in Aa.Vv., Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, Milano, 2022, p. 66.
[6] F. Galluzzo, Rimedi per l’esecuzione delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Aa.Vv., La Riforma Cartabia, a cura di G. Spangher, Pacini Giuridica, 2022, p. 659. Fa correttamente notare G. De Amicis, Giudicato interno e sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 2, che «analoga soluzione è stata individuata dal legislatore delegato in occasione della riforma del processo civile, con la previsione di una nuova ipotesi di revocazione del giudicato civile in presenza di violazioni convenzionali accertate dalla Corte europea che hanno provocato un pregiudizio a un diritto di stato della persona (art. 391-quater c.p.c.)».
[7] Secondo G. De Amicis, Giudicato interno e sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 17, la soluzione «da un lato, pare rispettosa della generale esigenza di mantenere in capo allo Stato nazionale un autonomo apprezzamento circa l’attualità delle conseguenze dannose e la sussistenza del nesso di causalità tra le violazioni accertate e l’epilogo del processo, dall’altro lato pone rilevanti problemi, di ordine generale e di natura propriamente applicativa, rispetto ai limiti strutturali del giudizio di legittimità e alle forme del sindacato che l’ordinamento interno affida alla cognizione della Corte di cassazione».
[8] Il riferimento è alla pronuncia della Corte e.d.u., Sez. I, 13 giugno 2019, n. 77633, Viola c. Italia, in www.hudoc.echr.coe.int. Per analisi e commenti, in dottrina, si vedano, senza pretesa di esaustività, M. Ceresa-Gastaldo, S. Lonati, Il diritto alla speranza e la pena perpetua, in Profili di procedura penale europea, Giuffrè, Milano, 2023, p. 322 e ss.; E. Dolcini, Dalla Corte Edu una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 925; F. Falato, Prassi europee ed ergastolo ostativo. A proposito di Corte e.d.u., 13 giugno 2019, Viola c. Italia, in Proc. pen. giust., 2020, p. 78; D. Galliani, A. Pugiotto, L’ergastolo ostativo non supera l’esame a Strasburgo (A proposito della sentenza Viola v. Italia n. 2), in Osservatorio AIC, 6 agosto 2019; M.S. Mori, V. Alberta, Prime osservazioni sulla sentenza Marcello Viola c. Italia (n. 2) in materia di ergastolo ostativo, in Giurisprudenza Penale Web, 14 giugno 2019; E.S. Labini, Il cielo si tinge di Viola: verso il tramonto dell’ergastolo ostativo?, in Arch. pen., 24 ottobre 2019; M. Pelissero, Verso il superamento dell’ergastolo ostativo: gli effetti della sentenza Viola c. Italia sulla disciplina delle preclusioni in materia di benefici penitenziari, in www.sidiblog.org, 21 giugno 2019; F. Polegri, Ergastolo ostativo e Corte europea dei diritti dell’uomo: riflessioni a margine della sentenza resa nel caso Marcello Viola c. Italia (n. 2), in Riv. dir. int., 2020, p. 174; A. Santangelo, La rivoluzione dolce del principio rieducativo tra Roma e Strasburgo, in Cass. pen., 2019, p. 3769, e da S. Santini, Anche gli ergastolani ostativi hanno diritto a una concreta “via di scampo”: dalla Corte di Strasburgo un monito al rispetto della dignità umana, in Dir. pen. cont., 1 luglio 2019.
[9] Recante «Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia (di termini di applicazione delle disposizioni del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e di disposizioni relative a controversie della giustizia sportiva, nonché di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2, di attuazione del Piano nazionale contro una pandemia influenzale) e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali», in Gazz. Uff., 31 ottobre 2022, n. 255.
[10] Recante «Conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali», in Gazz. Uff., 30 dicembre 2022, n. 304.
[11] Per un’analisi della disposizione cfr. C. Cesari-L. Caraceni, Sub Art. 4-bis, in Ordinamento penitenziario commentato, a cura di F. Della Casa, G. Giostra, Wolters Kluwer, 2019, p. 65 ss. Sulle problematiche connesse alla modifica dell’art. 4-bis ord. pen., si rinvia a E. Dolcini, Quale riforma per il 4-bis ord. penit.? Brevi note a margine del testo unificato all'esame del Parlamento, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1497; S. Metrangolo, “Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate”: l’ergastolo ostativo e la sua problematica compatibilità con i principi costituzionali, in Arch. pen., 17 aprile 2023; F. Moro, L’art. 4-bis o.p. riformato dal d.l. 162/2022, conv., con modifiche, dalla l. 199/2022: un passo avanti e due indietro, in Sist. pen., 17 maggio 2023, e a M. Passione, A proposito del d.l. 162/2022: rilievi costituzionali e proposte di modifica, con particolare riferimento alla disciplina in materia di 4-bis o.p., ivi, 28 novembre 2022. La modifica in oggetto ha avuto incidenza anche in un’altra vicenda, nell’ambito della quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui all’art. 4-bis ord. pen. e 58-ter ord. pen. Il riferimento è a Cass., Sez. I, 3 giugno 2020, n. 18518, Pezzino, in Sist. pen., 19 giugno 2020, con cui si era sollevato l’incidente di costituzionalità «con riferimento agli artt. 3, 27 e 117 della Costituzione, degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della legge n. 354 del 1975, e dell’art. 2 d.l. n. 152 del 1991, convertito con modificazioni nella legge n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni ivi previste, che non abbia collaborato con la giustizia, possa essere ammesso alla liberazione condizionale». Sul punto, la Corte costituzionale con due ordinanze (n. 97 del 15 aprile 2021 e 122 del 10 maggio 2022) ha dato al Parlamento un congruo tempo per una revisione organica della materia e completare i propri lavori, a cui è seguito l’intervento di cui si è detto. Per un commento ai provvedimenti della Consulta cfr. G. Casavecchia, Ergastolo ostativo: tanti “tempi” e provvedimenti per risolvere – forse solo temporaneamente – un’unica questione, in Osservatorio AIC, 2, 2023, p. 219; D. Martire, A.R. Salerno, L’ergastolo ostativo e lo stato attuale della giustizia costituzionale, ivi, 2 agosto 2022; A. Pugiotto, Da tecnica a tattica decisoria. L’incostituzionalità dell'ergastolo ostativo differita per la seconda volta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 761, e F. Siracusano, Un ulteriore rinvio “aspettando Godot”: l’intollerabile sopravvivenza dell’ergastolo ostativo, in Giur. cost., p. 1354.
[12] Cfr. Cass., Sez. V., 13 luglio 2023, n. 39801, Viola, in CED Cass., n. 28523101, la quale ha ritenuto che «la richiesta per l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle decisioni adottate in violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali o dei Protocolli addizionali, di cui all’art. 628-bis cod. proc. pen., può avere ad oggetto la sentenza penale di condanna o il decreto penale di condanna e non anche, invece, i provvedimenti di competenza del tribunale di sorveglianza che, in quanto adottati “rebus sic stantibus”, consentono all’interessato di riproporre la questione con una nuova domanda».
[13] Cass. Sez. V, ord., 30 maggio 2016, n. 22833, in Dir. pen. cont., 23 luglio 2016.
[14] Il riferimento è a Cass. Sez. V, 16 giugno 2006, n. 30373, Nappi, in CED Cass., n. 235323; Cass., Sez. VI, 17 gennaio 2007, n. 4124, Rossi, in CED Cass., n. 235612, e, più di recente a Cass. Sez. III, 10 novembre 2011, n. 43697, V., in CED Cass., n. 251411.
[15] In questo senso cfr. Cass. Sez. I, 29 settembre 2014, n. 1776, Narcisio, in CED Cass., n. 261781.
[16] Cass. Sez. un., 17 marzo 2017, n. 13199, Nunziata, in CED Cass., n. 26978901. In dottrina, la pronuncia è stata commentata da G. Chiodo, Revisione e ricorso straordinario per errore di fatto. Le Sezioni Unite ampliano il novero dei provvedimenti impugnabili ex art. 625-bis c.p.p., in Cass. pen., 2017, p. 3538; M. Gialuz, Un altro tassello nell’evoluzione del ricorso straordinario per Cassazione: da rimedio eccezionale a valvola di chiusura del sistema delle impugnazioni, in Dir. pen. cont., 10 maggio 2017, e da G. Ranaldi, Il ricorso straordinario per errore di fatto: un rimedio giuridico processuale oramai generalizzato per far valere gli errori percettivi, in Proc. pen. giust., 2017, p. 1032.
[17] Si veda, tra le molte, Cass. civ. Sez. un., 28 dicembre 2016, n. 27073, in Foro it., 2017, c. 1338.
[18] Cfr. Cass. Sez. I, 2 agosto 2019, n. 35536, Giavelli, in CED Cass., n. 27693801.