Magistratura democratica
Europa

Lo "stigma" dell'abogado

di David Cerri
avvocato in Pisa
Atri spunti di riflessione in merito alla decisione della Corte di Giustizia dell'Ue sul caso Torresi
Lo "stigma" dell'abogado

La lettura della decisione della Corte di Giustizia sugli abogados offre qualche spunto di riflessione più ampio del tema trattato.

Si può, intanto, verificare lo stile astratto dell'argomentazione; notare come - tutto sommato, e nonostante una vulgata corrente - imprese e professioni non siano considerate nello stesso modo (in questo caso, col risultato paradossale che i clienti delle seconde sono meno tutelati di quelli delle prime); soprattutto, è lecito stupirsi per la completa assenza di qualsiasi riferimento ad un interesse pubblico: si discute soltanto di professionisti (di concorrenza?), sullo sfondo di un contrasto immanente ma non reso esplicito tra - da una parte - quelle che non sono più le "Korporation" descritte nelle Grundlinien hegeliane, ma enti pubblici (almeno in Italia, così è per il Consiglio Nazionale Forense che aveva sollevato le questioni pregiudiziali) che nella tutela di quell'interesse dovrebbero avere il proprio fine istituzionale, e - dall'altra - non tanto i singoli "furbetti" (riprendo l'espressione di Vincenzo Comi in recentissimo commento su Archivio Penale on line) quanto le imprese commerciali che gestiscono il "traffico" di aspiranti abogados.

La motivazione astratta: si leggano i paragrafi 44/49 sull'applicazione al caso di specie dei criteri di accertamento dell'esistenza di una pratica abusiva; il carattere meramente sillogistico (verrebbe la voglia di definirlo tautologico) è palese: se - sostiene la Corte - lo scopo della Direttiva 98/5/CE è garantire una doppia scelta del professionista (dove acquisire il titolo - dove esercitare), bè, allora quel che è successo nel caso Torresi è proprio quel che il legislatore europeo voleva.

Difficile darle torto.

Ma come la mettiamo con la strumentalità di un passaggio pressochè immediato (studi qualificanti nel paese A - acquisizione del titolo nel paese B - ritorno nel paese A)?

No problem: dov'è scritto che l'esercizio possa essere subordinato ad altri requisiti (come, per esempio, un periodo di pratica) ?

Ineccepibile. Probabilmente è un modo di ragionare che sarà adeguatamente valorizzato dai difensori delle multinazionali nelle cause dove si discuterà di abuso del diritto, specialmente in materia tributaria.

Considerazione quest’ultima che porta dritti alla successiva, sulla quale non mi dilungo perchè già ne scrive Gaetano Viciconte: abuse test (e quindi qualche verifica sostanziale, e quindi qualche garanzia per i consumatori) solo per le imprese, nel cui ambito allora sembra che i professionisti talvolta vengano fatti rientrare, e talaltra non.

Abbiamo però già sottolineato come il convitato di pietra nella decisione della Corte sia l'interesse pubblico, vale a dire il legittimo affidamento della clientela nella preparazione del professionista; non è certamente detto che il sistema dell'accesso italiano o di altri (praticamente tutti gli altri) paesi europei costituisca un modello (per carità...) ma è sicuro che quello spagnolo prima delle modifiche non si poneva neppure il problema.

La soluzione, però, secondo la Corte, c'è: avvocato stabilito mica significa avvocato tout court!

L'avvocato migrante deve presentarsi col titolo acquisito (nel caso, di abogado), pregi e difetti del quale quindi il cliente potrà preventivamente valutare.

Di qui il titolo: una simile qualifica si presta a conferire uno stigma a chi l’assume, secondo la classica definizione di Erving Goffman, contrapponendo l’abogado all’avvocato “normale” e screditandolo per principio.

E’ un bene? È un male?

Diciamo intanto che è lecito - la si vuole o no la concorrenza? - che le associazioni degli avvocati e gli stessi enti istituzionali forniscano un'adeguata informazione all'opinione pubblica sui diversi percorsi formativi (poiché certamente la loro conoscenza non rientra nel bagaglio culturale del cliente/consumatore tipico); in secondo luogo - e qui torna il tema del vero conflitto in corso - ogni generalizzazione è sempre inopportuna.

Una storia è quella del giovane che va a fare esperienza all'estero, ciò che è anzi auspicabile; altra è quella di chi accetta un'offerta del seguente letterale tenore (e che tiene già conto dell’introduzione della prova attitudinale, che evidentemente non spaventa molto, consistendo in un test di 50 domande a risposta multipla e in una prova scritta di tre domande su una materia a scelta, portandosi dietro il dizionario bilingue):

Le sei fasi che ti cambieranno la vita 1. Frequenti un corso intensivo di lingua spagnola 2. Omologhi la tua laurea in Spagna 3. Frequenti il master on line in “Abogacia” 4. Sostieni la prova di abilitazione come Abogado 5. Richiedi l’iscrizione come avvocato stabilito in Italia 6. Richiedi, dopo tre anni, l’iscrizione all’albo degli avvocati ordinariLa tua presenza in Spagna è necessaria solo per brevi periodi, durante i quali ti affiancherà lo staff della nostra sede di Madrid. Oltre 500 persone ce l'hanno già fatta È così: oltre 500 laureati in Giurisprudenza si sono affidati a XXXX [nota società di formazione, 4 lettere…] per diventare avvocati in Spagna e la loro fiducia è stata ripagata!

Si è accertato che il 92% degli avvocati stabiliti è...italiano (e l'83% di loro ha trovato il fascino di Madrid irresistibile), quindi forse si potrebbe discutere dell'argomento con un poco di sano realismo.

In un ordinamento che dovrebbe privilegiare la trasparenza sotto vari profili - da quello della pubblicità ingannevole, a quello deontologico - sembra quindi che l'iniziativa torni ai professionisti ed alle loro istituzioni; ma come?

Un tentativo di sondare la Corte Costituzionale sul profilo dei controlimiti parrebbe lodevole, ma di incerto esito; la pressione sulla politica per l'adozione di misure a tutela dei consumatori può lasciare scettici (maiora premunt).

Di sicuro potrebbe essere adottata una esplicita (a scanso di questioni sotto il profilo della tassatività) previsione deontologica sull'obbligo (e non solo la facoltà) di indicare nei siti internet ed in qualsiasi altra sede informativa i dati salienti dei propri percorsi formativi (e se all'Antitrust sembrerà opera di cartello - ma sarebbe davvero strano limitare l'informazione, dopo tutto il tempo e le fatiche spese ad ampliarla - vivaddio vedremo se c'è ancora un giudice a Berlino, oops, Lussemburgo).

25/09/2014
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