Era un sabato, quel 4 luglio di 50 anni fa. Nell’Aula Magna del collegio Irnerio di Bologna un gruppo formato prevalentemente di giovani (ma non troppo) dava vita a Magistratura Democratica. Non erano in tanti, ma c’erano alcuni già molto attivi nell’Associazione Nazionale Magistrati, Federico Governatori, Ottorino Pesce, Luigi De Marco, Gabriele Cerminara, Dino Greco e altri.
Forse non avevano un’idea chiara di ciò che li aspettava, ma indubbiamente respiravano l’aria del tempo che era quella in cui prendeva corpo il primo governo di centro-sinistra. Sentivano in molti che stava entrando in crisi il tempo e la visione politica del chiuso mondo democristiano e che da qualche anno idee nuove percorrevano il corpo immobile della magistratura. Idee nuove e scandalose. Chi se ne lasciava scappare qualcuna, veniva additato di nascosto nei corridoi del palazzo di giustizia come un collega da cui stare alla larga..
MD osò uscire allo scoperto. Non si può dire che fino ad allora nessuno avesse parlato apertamente. Marco Ramat, ad esempio, scriveva spesso sul Mondo diretto da Mario Pannunzio cose lucide, nette e irriverenti. Ma certo lo si faceva individualmente, senza strategie comuni o programmi d’azione.
Per uno di quei casi che non hanno una precisa giustificazione, Marco non c’era quel giorno di cinquanta anni fa al collegio Irnerio. Non so dire se col tempo gli rincrescesse di non esserci stato. Certo non lo dette a vedere. Anzi si mise subito a lavorare per la nuova formazione. Nell’aprile del 1965 ci radunò a casa di Michele Corsaro, che allora era pretore a Firenze: eravamo un piccolo gruppo, cinque o sei, non di più. Non ci furono grandi discussioni, Marco aveva già in mente la nascita della sezione Toscana di MD e noi subito concordammo. Era il ponte che ci univa a quelli del collegio Irnerio. La sezione toscana piano piano aumentava di numero ma nei primi tempi, più che in sezione, ci vedevamo nelle interminabili riunioni nazionali. Così conobbi Luigi De Marco e Federico Governatori, certamente i due di maggior spicco, capaci di tenere banco e non abbandonare mai una riunione prima che la maggioranza si fosse arresa alle loro tesi.
LO SPECIALE: MD COMPIE 50 ANNI
Poi, nel volgere di pochi mesi la sezione toscana di MD ebbe uno sviluppo imprevisto. Le riunioni erano affollate e il livello altissimo: c’erano Luigi Ferraioli, allora giudice a Prato, Sandro Margara, Pierluigi Onorato, Pasqualino Gratteri, Adolfo Bianchi, pretore di Montevarchi. Poi c’erano i pisani: Salvatore Senese, allora Pretore di Borgo a Mozzano, Paolo Funaioli che diventerà poi presidente del Tribunale, e Federico Vignale. Poi i livornesi, Gianfranco Viglietta e i due Monteverde. Dopo qualche tempo arrivò anche Silvio Bozzi. E c’era, naturalmente Marco Ramat, che non era solo il fondatore della sezione, ma anche la figura più rappresentativa. Insomma un gruppo di uomini (e certamente ne dimentico qualcuno di valore) di tale qualità che forse non aveva confronti con altre sezioni che pure contavano personaggi di spicco. Tenevamo le nostre riunioni alternativamente a Firenze e a Pisa, per non far viaggiare sempre i soliti. Quando ci riunivamo a Pisa, qualche volta ci raggiungeva anche Pino Borrè. Non c’è spazio per raccontare la qualità del dibattito tra noi, anche se prima o poi dovremmo farlo.
Eravamo generalmente circondati dall’ aperto dissenso dei colleghi, soprattutto per quella pretesa, che doveva apparire assurda ai più, di utilizzare la Costituzione come il principale canone interpretativo delle norme vigenti. I più severi ci ripetevano: “c’è già la Cassazione ad insegnare come si interpreta la legge, non c’è bisogno di queste astruserie. Se no la Cassazione che ci sta a fare?”. La Cassazione sapeva bene quel che ci stava a fare. Chi non ha vissuto quei tempi non può immaginare cosa fosse allora la Cassazione.
Io ricordo bene la sfida alla Cassazione, al suo immobilismo, alla cappa pesante che gravava sulla giurisprudenza e ricordo come i capi dei nostri uffici ci richiamassero all’ordine ogni volta che ci permettevamo di contraddire le sentenze della Cassazione. Nacque così, giorno dopo giorno, il nostro impegno per una ‘giurisprudenza alternativa’.
La reazione della stragrande maggioranza dei colleghi fu pesantissima: “siete politicizzati”, ci dicevano. Non avevano torto: avevamo scoperto la politicità della giustizia. Della politica, per la verità, non ci importava nulla. Nessuno di noi pensava a fiancheggiare i partiti e meno che mai di farne parte. E’ vero che Marco Ramat, parlando della sua scelta di fare il magistrato, ha lasciato scritto: “non ebbi dubbi che entravo in magistratura per fare politica”; ma noi che gli eravamo vicini capimmo subito che era uno dei suoi paradossi pieni di ironia e di eleganza.
La “scoperta” della politica per noi fu tutt’altra cosa. Voleva dire la denunzia della falsa neutralità del diritto, voleva dire reagire all’orientamento conservatore della Cassazione e dei vertici dei grandi uffici giudiziari, voleva dire puntare il dito sui legami nascosti tra il potere politico e i capi degli uffici giudiziari. Significava, in una parola, smascherare la giustizia di classe. Per molti è stato troppo e forse tutto troppo in fretta.
Abbiamo perduto per strada molti compagni, alcuni bravi e indimenticabili. L’occasione fu ‘l’ordine del giorno Tolin’, un documento di protesta per l’incriminazione per vilipendio di un giornalista, stilato durante una durissima assemblea di MD a Bologna. Fu una separazione dolorosa, ma in seguito mai più, come quella volta, sentimmo di avere ragione.
Cominciava così, con la consapevolezza matura che si poteva e si doveva sottoporre a critica qualsiasi provvedimento giudiziario, il cammino straordinario di MD. Potevamo finalmente parlare di tutto e potevamo parlare con tutti. E’ incredibile quanti compagni di strada abbiamo trovato, quanta simpatia e quanti consensi abbiamo suscitato tra quelli che non avevano privilegi da conservare e tra quelli che sinceramente aspiravano a vivere in un paese moderno. Con l’elaborazione paziente, con la coerenza dei comportamenti, con uno stile giudiziario completamente nuovo, con la ricerca dell’interpretazione più aderente alle norme della Costituzione, diventammo in pochi anni un punto di riferimento per tutti coloro che intendevano cambiare la società e la giustizia stando dentro le istituzioni. Cercarono di fermarci in molti modi: denunce per vilipendio, procedimenti disciplinari, esclusione dai procedimenti più importanti o più delicati per il potere. Ma era difficile fermare una presa di coscienza irresistibile da parte di quei magistrati che non volevano più appartenere ad una casta chiusa, nella quale la scelta dei vertici avveniva per cooptazione e doveva inevitabilmente essere gradita al potere. La corporazione si era finalmente rotta, il monolitismo giudiziario era finito per sempre.
Fu una ‘rivoluzione’ silenziosa e irresistibile, che giovò a tutta la magistratura, anche ai colleghi che ci osteggiarono con ostinazione. Abbiamo conquistato spazi di libertà anche per quelli che fino ad allora vivevano nel timore e nell’ossequio delle gerarchie che esistevano a dispetto della Costituzione. Certo è che da allora il confronto-scontro tra le correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati si ispirò a livelli ideali prima sconosciuti. Le correnti diventarono il terreno fertile per l’elaborazione culturale di nuovi modelli di magistratura e di giurisdizione.
Fu negli anni ‘70 e ‘80 che maturò una magistratura diversa e finalmente moderna. Credo che i documenti di quel tempo che, per iniziativa di Luigi Marini e dell’esecutivo di MD, verranno ordinati e conservati dall’Istituto storico della Resistenza di Torino documentino fedelmente questo cammino. Andateli a rileggere i passaggi essenziali del cambiamento di costume della magistratura e vi troverete dietro la tenacia, la coerenza e l’incrollabile convinzione che una diversa giustizia sarebbe stata possibile solo se la democrazia e l’uguaglianza davanti alla legge fossero state assicurate per tutti. Facemmo allora una scelta di campo che non abbiamo mai più abbandonato: per la Costituzione, per lo Stato di diritto e per l’eguaglianza dei più deboli. Sono passati 50 anni e quella scelta resiste ancora, limpida e irrobustita dall’esperienza e dalla lotta.
Poi nei lustri successivi sono successe molte cose, l’Italia è cambiata e siamo cambiati anche noi, com’era inevitabile. Abbiamo conosciuto tempi addirittura nefasti nell’ultimo ventennio, che ha visto un attacco furibondo ai magistrati e alla giurisdizione. La Magistratura ha fatto quadrato e nell’insieme ha tenuto, nonostante qualche atteggiamento di comodo da parte di colleghi meno robusti di altri. E la linfa vitale di quella resistenza è stato ancora una volta il bagaglio di idee pazientemente costruito da MD: il rifiuto della dittatura della maggioranza, l’opposizione alle leggi ad personam, l’idea del diritto come argine alla prepotenza, la giurisdizione come garanzia dei più deboli contro i più potenti. Insomma le linee portanti della storica elaborazione di MD sono stati, nel ventennio berlusconiano l’orizzonte ideale nel quale si è raccolta la parte migliore della magistratura. Non è stato un caso che il Cavaliere, al quale non si può negare un certo fiuto politico, se la sia presa ostinatamente con ‘le toghe rosse’ di Magistratura Democratica.
Oggi che siamo fuori dal ventennio, tutti pensiamo a curarci le ferite. Lo facciamo in modo diverso. Alcuni pensano che si possa venire a patti con qualche idea di ridimensionamento del potere dell’ordine giudiziario; altri più rozzamente si rifugiano in un nuovo corporativismo condito di rivendicazioni economiche o di piccole concessioni. E poi ci sono quei pochi che inseguono il desiderio di una giustizia più giusta e migliore, e hanno ancora la voglia di battersi per rendere eguali quelli che eguali non sono. E ancora stanno dentro Magistratura Democratica. Se qualcosa si muove, se si deve indicare la strada non facile delle riforme che davvero servono alla giustizia, se si vuole vedere l’elaborazione matura di progetti non effimeri, se si vuole ascoltare una parola chiara su quel che succede nella nostra malandata giustizia, vedrete che dietro ci sono sempre quelli di noi che non hanno abbandonato i sogni e i desideri di una giustizia migliore.
Del resto, guardatevi intorno: se ci sono dei processi civili o penali (magari quelli che non finiscono sui giornali) nei quali si fa questione dei diritti civili o di libertà; si ci sono processi in cui sono in gioco la dignità o i bisogni di qualche disgraziato senza casa e senza lavoro; se in qualche parte vedrete qualcuno battersi per rendere giustizia agli emarginati di colore o a quelli che muoiono sul lavoro; se in qualche processo si sta tentando di scoprire episodi piccoli e grandi di corruzione e di malaffare; in tutte queste occasioni, qualcuno di MD, lì in mezzo a lavorare in silenzio, lo troverete sempre.