1. Ci sono libri che si leggono e libri che si studiano perché ti impegnano, ti sollecitano, ti provocano. Questo di Gaetano Azzariti appartiene alla seconda categoria. Già dalla prima pagina ti spinge a intraprendere un percorso sia di riflessione sia di azione per la ripresa e il rilancio di un costituzionalismo militante, invocato a più riprese da Mario Dogliani e da Luigi Ferrajoli, per citare due abituali interlocutori della Fondazione Basso e del Centro per la Riforma dello Stato.
Gaetano Azzariti è uno studioso e un professore autorevole che parla a tanti giovani universitari, e allo stesso tempo non nasconde la sua vocazione di militante della democrazia e del costituzionalismo democratico. Misurando e pesando linguaggio, concetti e argomenti, esplicita subito intenti e itinerari, con parole che intendono sottolineare tutta la drammaticità dell’attuale situazione. E si rivolge specificamente – come è dichiarato nell’incipit del prologo – «a chi vuole cambiare il corso degli eventi». Perciò «guarda senza ambiguità alla crisi dell’epoca contemporanea, ne denuncia la sua tragica dimensione storica, per ricercare le vie di un possibile riscatto». E ciò sulla base del radicato e dichiarato convincimento che è falso che non ci siano alternative all’attuale situazione; le alternative esistono: «la storia, fatta da donne e da uomini concreti, non è predeterminata negli esiti. Di qui l’invito alla comprensione del presente, alla ricerca delle cause profonde che spiegano una crisi epocale, alla lotta per un futuro possibile»[1].
2. E’ già sottesa a queste parole sia la concezione che Azzariti ha del carattere sociale del diritto, il suo «necessario e complesso far parte della storia politica e culturale di un popolo», sia la sua concezione dello scopo del diritto, che è quello di «dare soluzione ai conflitti», e della scienza giuridica, che – con la «consapevolezza della capacità conformativa e della peculiare forza prescrittiva degli strumenti giuridici utilizzati» – rifiuta «ogni sorta di mero e falsamente neutrale descrittivismo».
«Se tra i compiti dello studioso non vi è soltanto quello di interpretare il mondo, ma anche quello di concorrere a trasformarlo, per il giurista diventa essenziale capire dove risiede … la possibilità di dettare nuove regole tra le persone, definendo i rapporti di potere e le garanzie nei diritti fondamentali dei consociati».
Regole tra le persone, rapporti di potere, garanzia dei diritti fondamentali: è questo, in sintesi, il contenuto ineliminabile delle costituzioni, solennemente proclamato dall’art. 16 della Costituzione del 1789, ed è su questo contenuto che si è sviluppato il costituzionalismo. Un diritto che non metta al centro queste essenziali e concretissime dimensioni si risolve in un «diritto puramente astratto, legittimato dalla presunta neutralità della tecnica, dalla idealità della forma, dalla sola funzione. Un diritto inevitabilmente al servizio di interessi… nascosti tra le pieghe dei proclami normativi»[2].
Azzariti è, a ragione, molto critico verso il pensiero corrente (predominante soprattutto nell’ambiente neoliberista) del diritto procedurale, ridotto sovente a puro gioco interpretativo, a mera forma del dominio, a sistema di norme del tutto prive di ogni aspirazione di giustizia. Smaschera la natura intrinsecamente conservatrice del vuoto formalismo e del nichilismo giuridico, che – sotto la parvenza della pura tecnica – finiscono con il ratificare la decisione dei più forti e “tecnicamente” attrezzati, ossia – considerati gli attuali rapporti di potere – dei padroni del mercato (che hanno avuto la forza e la spudoratezza di trasferire in un trentennio più di dieci punti dalle retribuzioni dei lavoratori ai profitti del capitale).
Come rappresentante di una Fondazione di cultura politica, fortemente interessata alla formazione dei cittadini, voglio innanzitutto sottolineare la valenza e forza didattica di un libro destinato anche allo studio universitario, in una situazione caratterizzata da una scuola che sembra avere perso ogni ambizione di formazione critica degli studenti, accontentandosi di fornire una congerie di nozioni astratte e di tecniche, incapaci non soltanto di formare studiosi e competenti professionisti, ma financo di “acculturare” mediamente, così da assegnare alla laurea almeno la presunzione (relativa) di avere formato un cittadino in grado di esercitare i suoi diritti e adempiere ai suoi doveri.
In un panorama di dottrina giuridica e costituzionalistica che spesso dà l’impressione di prescindere dalla realtà politica e sociale, questo libro, per un verso, riflette sulla crisi della Costituzione e del diritto come parte di una più ampia riflessione sulla realtà della storia politica e culturale, a cominciare da quella dei soggetti collettivi che hanno prodotto la Costituzione della Repubblica; per altro verso, rende palese il ruolo – reale o potenziale – del diritto (e delle sue diverse concezioni e interpretazioni) nella crisi che vivono l’Italia e l’Europa, incanalando così lo studio universitario nel processo di formazione del cittadino di un Paese democratico.
3. Alla concezione descrittiva del diritto Azzariti contrappone un costituzionalismo sostanziale che ne valorizza il carattere prescrittivo, per il quale «alla Costituzione è attribuito il compito di dare forma e sostanza ad un’utopia concreta, legata alla primazia dei diritti fondamentali che si pongono come limiti indisponibili alla politica quotidiana. La Costituzione … come una tavola di valori supremi che aspira a ridefinire la forma stessa della politica»[3].
Non si tratta di proposizioni rilevanti soltanto nei dibattiti accademici tra giuristi, giacché esse chiamano in causa tutti, a cominciare dai politici e dagli economisti, i primi spesso ignari del valore dell’insegnamento dei Costituenti, i secondi dimentichi della lezione dei maestri, tra i quali Federico Caffè, che individuava nei valori e nei principi della Costituzione i fini del sistema ordinamentale e sociale, a cui l’economia e gli economisti devono orientare analisi e proposte di innovazione.
Azzariti entra nel vivo dello scontro in atto tra diverse concezioni e pratiche di democrazia e di potere, tra la democrazia costituzionale, pluralistica e conflittuale, e la democrazia di investitura, di cui svela la natura autoritaria, congeniale alle posizioni di chi detiene o vuole riconquistare il potere e mal sopporta gli ostacoli costituzionali, riproponendo una concezione gerarchica dei poteri (dalla forma di stato e di governo all’uso del diritto penale e della pena).
A noi vien da pensare a Fratelli d’Italia che, nel momento in cui pone la sua candidatura alla guida del Paese, ripropone il presidenzialismo e nello stesso tempo la modifica dell’art. 27 della Cost., al fine di conservare quell’ergastolo ostativo, ritenuto, nella sua attuale disciplina, illegittimo dalla Corte costituzionale.
Che abisso rispetto alla prima Repubblica e perfino agli anni ‘50, quando la maggioranza “congelava” la Costituzione, ma nessuno osava proporre lo stravolgimento del principio fondamentale secondo cui “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
La sirena della concentrazione del potere ha costituito il filo rosso di molte proposte di modifica costituzionale, tra cui quella di Berlusconi e quella di Renzi, che hanno tentato di liberarsi dagli “impacci” dei controlli (parlamentari e costituzionali).
I Berlusconi e i Renzi sono stati dei figuranti nella partita vera che si è giocata a livello globale. Nel 1975 la Commissione Trilaterale dichiarava apertamente la necessità di ridurre l’eccesso di democrazia giacché per il “sistema liberale” erano insostenibili le costituzioni del compromesso keynesiano e socialdemocratico del dopoguerra. Quella valutazione brutale era troppo spudoratamente di parte per avere immediato successo. Ha però costituito il fondamento di svuotamento progressivo della vincolatività delle Costituzioni sociali, con una strategia che ha fatto leva sugli appetiti dei poteri economici e delle dinamiche del capitalismo. Una strategia che ha studiato l’avversario e ha tratto profitto dalla lezione di Gramsci sulla necessità di conquistare una diffusa egemonia culturale per agevolare e legittimare la riconquista del dominio. Quella egemonia ha avuto i suoi agenti e attori non soltanto nel mondo economico, ma soprattutto nella scienza economica e nel pensiero prevalente degli economisti, cantori dei miracoli del mercato, e successivamente di quei giuristi che hanno preferito scegliere più comode e protette collocazioni interne e internazionali. E’ da questo movimento di potere e di pensiero che è andato diffondendosi nelle classi dirigenti il distacco dalle costituzioni del dopoguerra e la loro revisione critica, che ne ha svalutato la vincolatività, riducendone le prescrizioni a indicazioni di massima, la cui validità dipende dalle contingenti circostanze politiche ed economiche. La sacralizzazione del dominante “pensiero unico”, il fideismo della mancanza di alternative al liberismo ha finito per contagiare anche una sinistra senza più radici, disorientata e smarrita per crollo del socialismo sovietico fattosi regime oppressivo.
E’ in questa situazione che si allarga la distanza «tra il potenziale costituzionale e la realtà del momento storico che stiamo vivendo», caratterizzato da una «vera e propria disaffezione che si tramuta in rigetto. Una Costituzione da scartare perché ormai non più utile, un intralcio alla produzione di senso e di storia che viene rimessa ad altri soggetti e ad altre scienze: investitori e finanza, mercanti ed economia, tecnici e politica»[4].
Tutto ciò è diventato o rischia di diventare “senso comune”, rileva Azzariti, riprendendo le annotazioni di Vico e di Gramsci sul senso comune che si diffonde, anche quando contrasta con il buon senso[5]. Annotazioni lucide e preziose per capire le scelte del ceto politico e delle classi dirigenti (che dal rilancio del liberismo hanno tratto profitti e potere) e in parte utilizzabili per cogliere l’orientamento della società civile, percorsa da tensioni e fortunatamente da opinioni più variegate e conflittuali, al punto da sommergere sotto una valanga di voti contrari i tentativi di Berlusconi e di Renzi di stravolgere la Costituzione repubblicana.
Osserva in proposito Azzariti che «Sino ad ora è stata la moltitudine dispersa a salvare la Costituzione dalle aggressioni più dirette e violente», una «comunità di affetto alla Costituzione» che permane nel «popolo abbandonato a se stesso»[6].
Forse è il ruolo di rappresentante di una Fondazione che si ritiene componente della società civile più sensibile ai valori costituzionali a farmi ritenere che nella netta maggioranza contraria alle revisioni del 2006 e del 2016 si è espressa qualcosa in più di una moltitudine dispersa. E’ stata la parte di società civile più consapevole, la cittadinanza più attiva a farsi protagonista della battaglia per respingere revisioni che stravolgevano la Costituzione del 1948. Una cittadinanza non dispersa, ma organizzata in gruppi intermedi, nell’associazionismo democratico attivo, che contagiò e coinvolse anche gli stessi elettori dei partiti politici che avevano proposto le modifiche revisionistiche.
E’ su questa soggettività democratica diffusa che si può e si deve operare. Occorre accrescere e allargare la consapevolezza della società civile sulle condizioni di intollerabile disuguaglianza e di profonda ingiustizia, di violazione del diritto e dei diritti che segnano l’attuale situazione in Italia, in Europa e nel mondo (dalle condizioni del mondo del lavoro alle politiche fiscali dimentiche della progressività, dalla schiavitù a cui sono sottoposti tanti lavoratori irregolari nei lavori agricoli alle tragedie dei migranti nel Mediterraneo o al confine della Polonia).
E’ in potere e in dovere dei giuristi svelare cosa si nasconde realmente dietro testi normativi, pur votati da ampie maggioranze politiche, che in realtà sono funzionali al mantenimento dell’esistente e, perciò, al prevalere degli interessi dei più forti. E’ compito doveroso dei giuristi palesare l’illegittimità di prassi di potere e di dispositivi normativi contrastanti con la lettera e lo spirito dei principi affermati nella Costituzione della Repubblica e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Questa consapevolezza va diffusa, resa “di massa” e va trasformata in indignazione per l’intollerabilità della regressione sociale alimentata dall’individualismo del neoliberismo e dal sovranismo egoista e antistorico, che vuole cancellare i principi e di doveri di solidarietà a livello nazionale, comunitario e internazionale. E al tempo stesso occorre rilanciare e rivendicare con forza il patrimonio di civiltà, di cultura, di storia e di diritto rappresentato dalla Costituzione della Repubblica e dalle Carte dei diritti e dall’inderogabilità «dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale». E il solo patrimonio della civiltà europea che nel mondo attuale, tra i diversi interessi geopolitici delle grandi potenze, può rappresentare un punto di riferimento alternativo alla regressione verso la barbarie.
Sono le vittime, i vulnerabili, i più deboli – in Italia, in Europa e nel mondo – ad avere non solo necessità del diritto e dei diritti, ma anche ad avere bisogno di sentirsi riconoscere che le esigenze primarie di vita, di salute, di istruzione, di dignità trovano legittimazione nella Carte nazionali e internazionali dei diritti, e ciò anche quando queste vengono disattese e violate nella pratica quotidiana. La riaffermazione dei principi e dei valori affermati nelle Carte costituzionali può non soltanto legittimare volontà e pratiche di resistenze, ma anche concorrere ad alimentare aggregazioni, movimenti, nuove o rinnovate soggettività collettive organizzate, indispensabili, come sottolinea ripetutamente Azzariti, a conferire nuova forza propulsiva alle promesse costituzionali e a innervare una politica volta al loro inveramento[7].
Tutto ciò interpella innanzitutto la politica e i partiti, al fine di affrontare «la questione di fondo che si pone e che spiega la crisi profonda delle democrazie costituzionali odierne… costituita dalla evaporazione della rappresentanza politica», per la cui ricostituzione appare urgente e indispensabile, anche se non sufficiente, una nuova legge elettorale rispettosa dei principi costituzionali di pluralismo politico e rappresentanza territoriale, riaffermati dalla Corte costituzionale, che consenta davvero l’espressione della volontà dell’elettore e l’uguaglianza delle espressione di voto, senza le distorsioni maggioritarie che hanno contrassegnato le varie leggi elettorali di questi decenni[8].
Ma sono chiamati in causa anche la cultura e i ceti intellettuali che operano nei diversi ambiti e non vogliono asservirsi ai poteri dei mercati e delle multinazionali, a cominciare dai giuristi e dai giudici, ordinari e costituzionali, i quali – come ha recentemente scritto Tania Groppi – hanno il compito e il dovere, anche quando è scomodo, di «presidiare la precettività» del diritto, delle Costituzioni e della Carte dei diritti[9].
E’ questa la sollecitazione pressante, la spinta forte che ci viene dal costituzionalismo militante, di cui Azzariti è esponente di punta, che in questo libro – con la consapevolezza delle possibilità, ma anche dei limiti del lavoro del giurista – indica la rotta. «Percorrerla – conclude Azzariti – spetta alla politica, alla storia, alle persone concrete»[10], cioè anche a ognuno di noi, se vogliamo essere protagonisti della propria vita e del progresso civile della collettività.
[1] G. Azzariti, Diritto o barbarie. Il costituzionalismo moderno al bivio, Laterza 2021, p. 3.
[2]Per le citazioni contenute in questo paragrafo v. pp. 89-93.
[9] T. Groppi, Oltre le gerarchie. In difesa del costituzionalismo sociale, Laterza 2021, p. 102.
[10] Ivi, p. 263. La sollecitazione, formalmente contenuta nella parte finale dell’analisi sulla crisi dell’Unione europea, costituisce all’evidenza la conclusione per l’azione in ambito nazionale, comunitario e internazionale.
Testo rivisto dell’intervento svolto alla presentazione del libro del libro di Gaetano Azzariti, Diritto o barbarie. Il costituzionalismo moderno al bivio (Laterza 2021), organizzata dalla Fondazione Basso e dal Centro per la Riforma dello Stato il 22 novembre 2021.