1. La copiosa produzione scientifica di Luigi Ferrajoli – più di trenta libri e oltre cinquecento saggi composti nell’arco di quasi mezzo secolo – si è di recente arricchita di un ulteriore e denso contributo: si tratta di Iura paria. I fondamenti della democrazia costituzionale (Editoriale Scientifica, Napoli 2015).
I nove saggi raccolti nel volume (curato da Dario Ippolito e Fabrizio Mastromartino) ruotano intorno ai grandi temi del costituzionalismo e della democrazia: dall’analisi dei diversi modelli di stato di diritto (Lo stato di diritto tra passato e futuro, pp. 3-39), all’illustrazione di una tassonomia dei diritti fondamentali divenuta ormai cara a Ferrajoli (Per una teoria dei diritti fondamentali,pp. 95-122), specie in punto di distinzione tra «diritti di libertà» e «diritti-poteri» (Libertàe proprietà, pp. 169-182); dalla ricostruzione delle diverse concezioni e dimensioni della democrazia (Il paradigma della democrazia costituzionale, pp. 41-65), ai vari significati del principio di uguaglianza (L’uguaglianza e le sue garanzie, pp. 183-203) e alle connesse implicazioni in tema di discriminazione e razzismo (Disuguaglianze e razzismo, pp. 205-220); da una proposta ri-definitoria della categoria dei «beni giuridici», ordinati secondo una tipologia che fa dell’opposizione «beni patrimoniali»/«beni fondamentali»il proprio asse portante (Per un costituzionalismo dei beni fondamentali, pp. 149-166), ad un aggiornamento della classica dottrina della separazione dei poteri, la cui originaria formulazione montesquieviana viene ri-adattata ai mutamenti istituzionali intervenuti negli odierni Stati di diritto (Una rifondazione garantista della separazione dei poteri, pp. 67-94). Ne risulta un volume di notevole interesse, dal quale emergono analisi lucide e rigorose su questioni che hanno attraversato, e tuttora attraversano, il dibattito giuridico e filosofico-politico internazionale.
Non è ovviamente possibile ripercorrere tutte le questioni trattate nel libro. Tuttavia, si possono segnalare e illustrare alcune tematiche centrali, alle quali corrispondono altrettante rielaborazioni di categorie familiari al discorso del giurista, come quelle di «interessi generali», «diritti fondamentali» e «sfera pubblica». I vari nessi e legami che Ferrajoli istituisce tra questi concetti appaiono infatti, in ragione degli spunti di riflessione che sono in grado di suscitare, di sicuro stimolo e interesse non solo per il teorico del diritto, ma anche per lo studioso delle singole discipline giuridiche.
2. Gli «interessi generali», secondo Ferrajoli, si identificano con quelle utilità che nel mondo del diritto trovano riconoscimento mediante speciali tipi di situazioni giuridiche: i «diritti fondamentali». Si tratta di diritti «universalmente attribuiti a tutti»(p. 110), «in egual misura» (p. 104) e quindi quali «iura paria» (p. 188), secondo un’espressione tratta dal De re publica di Cicerone. Diritti che, proprio in ragione della loro universalità, sono stipulati «a tutela di interessi vitali di tutti»(p. 14) e perciò incorporati in costituzioni tendenzialmente rigide. Essi consistono, precisamente, in «interessi sottratti agli operatori economici e alle forze politiche di maggioranza» (p. 174) e, dunque, in utilità riconosciute a ciascun singolo individuo, ma bisognose di un sistema di tutele («garanzie», nel lessico di Ferrajoli) contro gli abusi tanto del mercato quanto della politica.
Nel pensiero di Ferrajoli, «interessi generali» e «sfera pubblica» sono categorie intimamente connesse: l’interesse generale suppone sempre l’eteronomia, nel senso che può essere garantito solo da norme eteronome, che tali possono dirsi in quanto, e solo se, vengono prodotte ad opera della sfera pubblica. In ciò, sostiene Ferrajoli, risiede un «tratto costitutivo della modernità giuridica e politica» (p. 26), giacché lo Stato moderno nasce proprio, «in opposizione allo stato patrimoniale d’ancien régime», come «sfera pubblica eteronoma rispetto ai poteri privati, a garanzia degli interessi generali e dei diritti di tutti»(ibidem).
Soprattutto, aggiunge Ferrajoli, una sfera pubblica eteronoma è essenziale per la tutela dei diritti fondamentali: sia dei diritti di libertà, che richiedono l’istituzione e l’intervento sanzionatorio di un giudice terzo e imparziale, oltreché indipendente, e perciò «in grado di assolvere quando tutti, dalla pubblica opinione al potere politico, chiedono o auspicano la condanna, e di condannare quando tutti chiedono o auspicano l’assoluzione» (p. 74); sia dei diritti sociali, che consistendo in diritti a prestazioni positive – in materia di sanità, lavoro, istruzione, previdenza e simili – richiedono «interventi normativi e politiche di spesa finalizzate alla loro soddisfazione» (p. 136).
In altri termini, mentre la tutela dei diritti di libertà implica l’intervento giudiziario, rimanendo precluso qualsiasi intervento (normativo) della politica, la soddisfazione dei diritti sociali richiede, al contrario, proprio l’intervento politico, per mezzo di «leggi di attuazione, in assenza delle quali essi sono immancabilmente ineffettivi» (p. 195). E tuttavia, per scongiurare il pericolo di una loro strutturale ineffettività, Ferrajoli sembra ammettere un parziale intervento ad opera della giurisdizione, che pur sempre svolge funzioni rientranti nel dominio della sfera pubblica: «la qualificazione costituzionale di queste aspettative come ‘diritti’», argomenta infatti Ferrajoli, «equivale alla stipulazione di altrettante direttive per principi dotate di rilevanza decisiva nell’attività interpretativa della giurisprudenza ordinaria e soprattutto in quella delle supreme corti»(p. 136).
È questa un’ulteriore tecnica di tutela dei diritti fondamentali, ancorché di carattere sussidiario: in assenza o in difetto dell’intervento (normativo) della politica, spetta infatti al potere giudiziario assicurare quel grado minimo di tutela che la natura fondamentale di tali diritti esige in capo alla sfera pubblica. E proprio nel nostro sistema giuridico, come è noto, l’intervento sussidiario della giurisdizione in materia di diritti fondamentali si è tradotto, a partire dalla storica pronuncia della Corte costituzionale n. 184 del 14 luglio 1986, nel riconoscimento della tutela risarcitoria quale presidio minimo e indefettibile a garanzia delle lesioni di diritti di rango costituzionale.
Questo ruolo di garanzia assolto dal potere giudiziario, per un verso, è il segno e l’effetto più evidente dell’incorporazione, in carte costituzionali tendenzialmente rigide, di un «fitto elenco di diritti fondamentali» (p. 74); e, per altro verso, concorre pur sempre a generare un «processo di crescente espansione del potere giudiziario» (p. 79). Tuttavia, e contrariamente a quanto spesso si ritiene, la presenza di una costituzione rigida non già dilata, bensì restringe la discrezionalità interpretativa della giurisprudenza: «a paritàdi condizioni», evidenzia infatti Ferrajoli, «un medesimo testo di legge comporta, a seconda che esistano o non esistano principi stabiliti da una costituzione rigida, un ventaglio nel primo caso più ristretto e nel secondo più ampio di interpretazioni legittime»(p. 13).