Articolo 1.
L’Italia è una Repubblica democratica
(a tendenza monarchico-feudale),
fondata sul lavoro
(e sulla rendita).
La sovranità appartiene al popolo,
(che tende a evitare di esercitarla
per non essere chiamato a risponderne).
Gherardo Colombo è passato martedì a casa per un saluto e per portare dei libri per i ragazzini. Tra i doni ha infilato per me il suo ultimo libro, il cui titolo curioso mi ha subito strappato un sorriso: L’Anticostituzione. Mi ha chiesto cosa ne pensassi. La lettura è ad un tempo una denuncia impietosa di comportamenti diffusi e un balsamo per lo spirito repubblicano.
La Costituzione italiana, che molti definiscono la più bella del mondo, è stata scritta con estrema cura ed attenzione allo scopo di garantire alla nostra società un futuro migliore. La sua bellezza non è estetica. È il frutto dell’enorme prezzo pagato in vent’anni di dittatura, quasi sei anni di Seconda guerra mondiale e due di guerra civile combattuta in buona parte del Paese. L’orizzonte è la conquista di un patrimonio di diritti politico-civili in precedenza conculcati e il conseguimento di alcuni risultati di natura ideale.
La catarsi è stata sancita dal referendum del 2 giugno 1946. La componente femminile dell’elettorato, per la prima volta nell’esercizio del suffragio universale («la sovranità appartiene al popolo»), ha dato un contributo rilevante alla nascita della Repubblica italiana e così del documento costitutivo che ne ha definito il DNA. Un punto di riferimento denso di promesse per una comunità nazionale fortemente divisa e ferita. Una legge fondamentale dello Stato per una nuova Italia in una nuova era.
La Costituzione è quindi un documento polemico. Nel senso che è il distillato di una generazione temprata da pòlemos, demone della guerra civile nella mitologia greca. Individua delle regole nella società e nelle relazioni internazionali attraverso una chiara scelta di campo: evitare di ricadere nell’autoritarismo, nelle sistematiche discriminazioni e violazioni dei diritti umani, in una nuova distruttiva guerra di aggressione.
La forza propulsiva di quella generazione in che misura è riuscita a trasmettere il nuovo patrimonio di diritti e doveri fondamentali e cosa resta oggi di quella fiaccola? Un linguaggio di verità (parresìa) impone di riconoscere che la realtà non corrisponde ai 139 articoli del testo costituzionale.
La Carta ha compiuto 75 anni e nel tempo è stata materialmente trasformata dai comportamenti dei cittadini che ancora non hanno capito quanto è importante per loro stessi conoscerne il testo e applicarlo. Il libro riscrive una quarantina di articoli della Costituzione, affiancandoli a quelli veri, modellandoli secondo i comportamenti diffusi tra gli italiani. La dicotomia tra “essere” e “dover essere”, tra prassi e regola teorica, investe senza ipocrisie ciascun cittadino.
Gherardo Colombo non si limita a descrivere gli articoli che compongono la legge fondamentale della Repubblica come fosse un totem svuotato di riferimenti alla effettività. L’Autore commenta provocatoriamente le differenze tra due facce della medesima medaglia, spiegando perché si è giunti alla crescente divaricazione tra Carta e realtà, con grave danno per l’intera comunità nazionale.
La pungente fotografia che viene progressivamente sviluppata pagina dopo pagina mette a fuoco e smaschera molte promesse mancate contenute nella Costituzione italiana. Non solo, interroga i comportamenti quotidiani di ciascun cittadino. C’è un prezzo da pagare per essere coerente con i diritti fondamentali e gli speculari doveri, superando il velo dell’omaggio retorico ai principi astratti.
Emblematico è il secondo comma dell’art.3, una delle punte più avanzate della Costituzione del 1948, imitato nel mondo in tante altre successive elaborazioni. Il disposto riconosce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
In una delle pagine maggiormente in contrasto con l’ufficiale divulgazione (parà-dòxa) l’Autore interroga il lettore e chiede se la reale previsione non sia piuttosto la seguente: «è compito della Repubblica evitare che le diseguaglianze davanti alla legge provochino turbolenze, manifestazioni, rivendicazioni e sommosse idonee a mettere in discussione il tradizionale ordine sociale».
Ciascuno di noi, sulla base delle sue esperienze, può dare una risposta. Non solo per sé stesso nello spazio effimero del momento, ma con un occhio alle generazioni future.