1. Premessa
“Surrogata è la madre, non il figlio”.
Parafrasando quanto già affermato dalla Corte Costituzionale con riguardo ai figli incestuosi[1], potrebbe riassumersi con queste parole l’ordinanza n. 8325/2020 con la quale la Suprema Corte, a distanza di pochi giorni da alcune discutibili sentenze (Cass. 3 aprile 2020; Cass. 22 aprile 2020, n. 8029[2]), sulla non riconoscibilità del figlio di coppia same-sex, è chiamata a pronunciarsi sulla questione dei rapporti tra filiazione e maternità surrogata.
2. Il caso
Con l’ordinanza in rassegna la Suprema Corte dubita della legittimità costituzionale della regola di diritto vivente, formatasi a seguito dell’arresto delle S.U. 8 maggio 2019, n. 12193[3], che nega nei confronti del genitore intenzionale lo status filiationis del figlio nato a seguito di “maternità surrogata”.
Il caso trae origine dal rifiuto opposto dall’Ufficiale di stato civile del Comune di Verona alla richiesta di una coppia di cittadini italiani coniugati in Canada di trascrivere l’atto di nascita del minore P.B.F., nel quale si attesta che quest’ultimo è figlio dei ricorrenti.
I ricorrenti sostenevano che il bambino era nato con la modalità tipica della gestazione per altri, cioè la cosiddetta “maternità surrogata”, essendo la fecondazione avvenuta tra un ovocita di una donatrice anonima e i gameti di uno dei ricorrenti, con successivo impianto dell'embrione nell'utero di una diversa donna, non anonima, che aveva portato a termine la gravidanza.
Al momento della nascita le autorità canadesi avevano formato un atto nel quale era indicato come unico genitore uno dei ricorrenti. La donatrice dell'ovocita e la cosiddetta madre gestazionale non erano nominate e non erano dichiarate madri del minore.
La Suprema Corte della British Columbia aveva successivamente emanato una sentenza in cui si dichiarava che entrambi gli odierni ricorrenti erano genitori del minore con la conseguente modifica dell'atto di nascita.
La richiesta di rettifica dell'atto di nascita presso il Comune di Verona veniva, però, rigettata sia perché vi era la preesistenza di un atto di nascita trascritto, sia per l'assenza di dati normativi certi e di precedenti giurisprudenziali favorevoli alla richiesta.
I ricorrenti chiedevano, quindi, l'esecutorietà in Italia della sentenza canadese, passata in giudicato, onde ottenere la trascrizione dell'atto di nascita del minore, adducendone la non contrarietà all'ordine pubblico, anche in ragione della liceità delle condotte che avevano determinato la nascita del bambino secondo le leggi del Canada.
La Corte d'Appello di Venezia, in accoglimento del ricorso, dichiarava che la sentenza canadese possedeva i requisiti per il riconoscimento nell’ordinamento italiano.
Secondo la Corte territoriale, nella materia in esame vige tra i diritti fondamentali la tutela del superiore interesse del minore in ambito interno e internazionale, così come sancita dalle convenzioni internazionali.
Nell’ambito di questo assetto l’ordine pubblico internazionale impone l’esigenza imprescindibile di assicurare al minore la conservazione dello status e la tutela del suo diritto al riconoscimento dei legami familiari e al mantenimento dei rapporti con chi ha legalmente assunto la titolarità della responsabilità genitoriale, tanto più che, nel nostro ordinamento, è contemplata la possibilità che il minore abbia due figure genitoriali dello stesso sesso nel caso in cui uno dei genitori abbia ottenuto la rettifica dell'attribuzione del sesso con gli effetti di cui alla legge n. 164 del 1982.
L’ordinanza della Corte d’Appello di Venezia è stata impugnata dal Ministero dell’Interno e dal Sindaco di Verona con quattro motivi.
Il fulcro del ricorso è il quarto motivo, con il quale si denunzia la contrarietà dell’ordinanza con vari principi fondanti l’ordine pubblico, tra i quali la nozione di filiazione, intesa quale discendenza tra persone di sesso diverso, come disciplinata dalle norme sulla PMA, nonché il divieto della “maternità surrogata”, fattispecie costituente reato secondo la legge italiana.
3. Le questioni di legittimità costituzionale
Il Collegio ritiene sussistenti i presupposti per la proposizione della questione di legittimità costituzionale degli artt. 12, comma 6 l. n. 40/2006, 18 d.p.r. n. 396/2000, 64, comma 1, lett. g), l. n. 218/1995.
Queste norme, interpretate alla luce delle S.U. n. 12193/2019, escludono, attraverso il limite dell’ordine pubblico, la possibilità del riconoscimento, ai fini dell’efficacia in Italia, di provvedimenti giurisdizionali stranieri che accertino il diritto di essere inseriti, quale genitore d’intenzione, nell’atto di nascita del figlio della persona cui si è legati da matrimonio celebrato all’estero, nato con le modalità della gestazione per altri (cd. “maternità surrogata”).
A questo punto il Collegio si sofferma sul percorso motivazionale seguito dalle Sezioni Unite.
L’asse portante è costituito dal rilievo per cui il riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero - con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d’intenzione, nella specie cittadino italiano - trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma 6 della l. n. 40/2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della donna e l’istituto dell’adozione.
Secondo le Sezioni Unite, la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento di interessi effettuato direttamente dal legislatore, non esclude la possibilità di conferire, comunque, rilievo al rapporto con il genitore intenzionale mediante il ricorso all’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184 del 1983.
Ciò non si pone in contrasto con il superiore interesse del minore: sia perché tale interesse non ha valore assoluto e può affievolirsi rispetto ad altri valori, rientrando tale valutazione bilanciata anche nel margine di apprezzamento che la Corte Edu riconosce agli Stati ai fini della decisione di autorizzare o meno la pratica della maternità surrogata; sia perché l’interesse del minore a restare nella coppia di cui fa parte il genitore di intenzione è pur sempre tutelabile con l’adozione in casi particolari.
Questi principi – ricavati dalle S.U. n. 12193/2019 – costituiscono il diritto vivente in materia.
La prima sezione civile della Suprema Corte dubita, ora, della legittimità costituzionale di tale regola di diritto vivente.
Essa, in particolare, si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, espressa, in particolare, dal parere del 10 aprile 2019 della Grande Camera[4] sulla richiesta preventiva dell’Adunanza Plenaria della Corte di Cassazione francese, in esecuzione del Protocollo n. 16 allegato alla Cedu ed entrato in vigore il 1° Ottobre 2018[5].
In quella sede la Corte Europea ha affermato che può eccedere il proprio margine di apprezzamento ex art. 8 Cedu lo Stato parte della Convenzione che rifiuti di trascrivere l’atto di nascita di un bambino nato all’estero mediante gestazione per altri, nella parte in cui tale atto designa come madre legale la madre intenzionale; l’adozione da parte della madre intenzionale può ritenersi accettabile come modello alternativo di instaurazione del rapporto legale di filiazione a condizione che le modalità previste dal diritto interno per l’adozione garantiscano la effettività e la celerità del riconoscimento e che esso risulti conforme all’interesse superiore del minore.
Inoltre, il diritto vivente si pone in contrasto con i diritti inviolabili del minore e il diritto d'eguaglianza correlato ai rapporti di filiazione (artt. 2, 3, 30 e 31 Cost.). Infatti, l'interpretazione accolta da Cass. S.U., n. 12193/2019 è d'ostacolo all'inalienabile diritto del minore all'inserimento e alla stabile permanenza nel nucleo familiare, inteso come formazione sociale tutelata dalla Carta Costituzionale, attesa l'impossibilità di sancire la paternità legale del genitore d'intenzione.
La questione di costituzionalità è sollevata anche sotto il profilo del bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio e la compressione dell'interesse superiore del minore in un’ottica incompatibile con il dettato costituzionale e, comunque, con modalità e in una misura irrazionale sproporzionata ed eccessiva con l'effetto di ribaltare la gerarchia di valori sottesa alla Carta costituzionale, incentrata sul principio personalistico di tutela dei diritti fondamentali della persona. In particolare, osserva la Corte, la nozione di ordine pubblico internazionale non può mai comportare la lesione di diritti fondamentali dell'individuo, manifestazione di valori supremi, trasfusi nella Costituzione, nella Convenzione Europea del 1950 e nella Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, che rappresentano un ordine pubblico gerarchicamente superiore.
Proseguendo nell’individuazione dei profili di incostituzionalità, la Suprema Corte osserva che l'interpretazione ostativa al riconoscimento appare in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., in quanto il diniego di trascrizione dell'atto di stato civile, nella parte afferente all'inserimento del padre d'intenzione, sovrapponendo il divieto penalistico inerente alla cd. "maternità surrogata" alla tutela del diritto del minore alla pienezza del suo status, comporta la conseguenza di discriminare i nati nell'attribuzione dello stato di figlio a seconda delle circostanze della nascita e della modalità di gestazione.
Oltre a questa lesione del principio di non discriminazione, l'interpretazione appare irragionevole perché consente la trascrizione dell'atto di stato civile in cui è inserito il solo padre biologico, autore della condotta procreativa realizzata in pieno contrasto con la norma penale, e preclude, invece, il riconoscimento del provvedimento giudiziario straniero che ha legittimato l'inserimento nello stato civile della famiglia anche del padre d'intenzione il quale è rimasto estraneo a tale condotta.
Infine, di non minore rilevanza appare la lesione delle norme costituzionali che tutelano la vita familiare e l'esplicazione della personalità nelle formazioni sociali; norme che vanno lette in collegamento con l’art. 8 della Convenzione. Il disconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti di uno dei genitori legalmente riconosciuti dall'ordinamento del paese di nascita e di cittadinanza comporterebbe l’alterazione dei rapporti familiari, con ripercussioni gravemente nocive nei confronti del minore che vedrebbe messa in discussione e negata l’unicità e inscindibilità della sua relazione genitoriale nello spazio e subirebbe una grave menomazione ex post della relazione con il genitore intenzionale e gli effetti negativi di un’artificiale situazione di disparità e di potenziale conflittualità fra coloro che ha percepito come entrambi suoi genitori.
4. Alcune considerazioni
4.1. Il “cuore” della decisione
Il “cuore” della pronuncia in commento si può agevolmente individuare nel contrasto tra la regola di diritto vivente, enucleabile da Cass. S.U. n. 12193/2018, e la posizione della Grande Camera, assunta nell’avis consultatif del 10 aprile 2019.
Contrasto che è riassumibile nei seguenti punti:
· l'attribuzione da parte delle S.U. al divieto di maternità surrogata dello statuto di principio di ordine pubblico internazionale si scontra con la constatazione della Corte Europea per cui, se è legittimo che uno Stato parte della Convenzione imponga misure dissuasive nei confronti dei propri cittadini che intendano ricorrere all'estero a forme di procreazione vietate nel proprio territorio, anche se tali misure incidano sulle situazioni soggettive di coloro che mettano in pratica tale intendimento, tuttavia non è consentito agli Stati di adottare misure che incidano negativamente sulla situazione soggettiva di chi nasce da una gestazione per altri e abbiano l'effetto di negare i diritti inviolabili connessi all’identità personale del minore e alla sua appartenenza al nucleo familiare di origine[6];
· l’affermazione delle S.U., secondo cui l’interesse del minore non ha valore assoluto e può affievolirsi rispetto ad altri valori, rientrando tale valutazione bilanciata anche nel margine di apprezzamento che la Corte Europea dei Diritti dell'uomo comunque riconosce agli Stati, non si concilia con la posizione della Grande Camera, per la quale il principio della preminenza dell'interesse del minore impedisce al legislatore di imporre una sua compressione in via generale e astratta e di determinare conseguentemente un affievolimento ex lege del diritto al riconoscimento dello status filiationis legalmente acquisito all'estero;
· l’adozione in casi particolari, prevista dalla l. n. 184 del 1983, art. 44, comma 1, lett. d), contrariamente a quanto ritenuto dalle S.U., non risulta affatto idonea a garantire quella effettività e celerità di attribuzione dello status filiationis ritenute dalla Corte di Strasburgo quali condizioni imprescindibili per qualificare la modalità alternativa alla trascrizione rispettosa del diritto alla tutela della vita privata e familiare del minore.
Il ravvisato contrasto tra il diritto vivente e la giurisprudenza della Cedu (ma anche con gli altri parametri di costituzionalità sopra individuati) – osserva la I Sezione – è risolvibile in due modi[7]: o attraverso la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, previa esposizione delle ragioni del dissenso rispetto all’orientamento giurisprudenziale già formatosi ovvero – ed è questa la via seguita dall’ordinanza in rassegna - attraverso l’attivazione dell’incidente di costituzionalità[8].
Non si comprende, allora, perché a questo proposito si sia scorto un “cortocircuito”[9] nel ragionamento della Corte, ragionamento che, invece, appare del tutto logico.
Infatti, si individua la regola di diritto vivente, che non consente un’interpretazione costituzionalmente/convenzionalmente orientata e se ne denunziano i vizi di costituzionalità, tra i quali il contrasto con la giurisprudenza della Corte Edu.
4.2. L’efficacia dell’avis consultatif
Con il parere del 10 aprile 2019, per la prima volta, la Corte di Strasburgo si è avvalsa della disciplina, introdotta dal Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
In particolare, sulla falsariga del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di cui all’art. 267 TFUE, viene riconosciuto il potere dei tribunali superiori nazionali di rivolgersi alla Corte Edu per avere un parere su questioni connesse all’interpretazione dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Convenzione, emerse nell’ambito di una causa pendente dinanzi ad essi.
Ai sensi dell’art. 5 del Protocollo il parere non è vincolante né per la giurisdizione richiedente né per la stessa Corte europea dei diritti umani, la quale, se adita successivamente in sede contenziosa, potrà discostarsi dal precedente parere reso sulla medesima questione.
Tuttavia, si legge nella Relazione esplicativa al Protocollo[10], che, pur non avendo effetti diretti pro futuro, le advisory opinions formeranno parte della giurisprudenza della Corte Edu, al pari delle altre pronunce e decisioni. Pertanto, l’interpretazione della Convenzioni e dei Protocolli contenuta in queste advisory opinions ha una portata analoga a quella prevista, in generale, per la giurisprudenza della Corte[11].
E’ stato, perciò, osservato in dottrina che, da un lato, tutti i giudici nazionali chiamati successivamente ad occuparsi della medesima problematica saranno indotti a conformarvisi; dall’altro lato, la stessa proponibilità dei ricorsi individuali sulla stessa questione sarà fortemente condizionata[12]
Ciò si spiega con le finalità di questo strumento di “nomofilachia preventiva”[13], in primo luogo, volto a ridurre l’ammontare del contenzioso e, in secondo luogo, diretto ad incentivare il livello di armonizzazione tra il diritto interno e il diritto sovranazionale, promuovendo il dialogo fra le corti e potenziando il ruolo ‘‘costituzionale’’ della Corte Edu.
Lo scopo è anche quello di limitare l’intervento della Corte Edu nell’ambito della giurisdizione contenziosa, favorendo una dinamica orizzontale di collaborazione con le corti nazionali, rafforzando sia il principio di sussidiarietà, il quale presiede «al coordinamento tra sistema di protezione dei diritti nazionale e sistema di protezione dei diritti convenzionale»[14], sia il principio di effettività, «che non può prescindere da una condivisione della responsabilità per l’effettivo funzionamento della Convenzione tra gli organi della Corte e gli Stati contraenti»[15].
Alla luce delle considerazioni che precedono e, in particolare, tenuto conto di quanto espressamente sancito nel richiamato par. 27 della Relazione esplicativa al Protocollo[16], si deve, perciò, dissentire da chi, in sede di primo commento dell’ordinanza che si annota, ha attribuito all’avis consultatif il ruolo di «mera opinione» della Corte di Strasburgo ed ha ritenuto «ardito» assumere il parere stesso a parametro imprescindibile ai fini dell’affermazione del diritto del minore[17].
4.3. La soluzione della questione. Possibili scenari.
Una prima possibile soluzione della questione di costituzionalità potrebbe essere nel senso di una rilettura ad opera della Corte Costituzionale del concetto di “ordine pubblico” sul quale si è formata la regola di diritto vivente oggetto di censura.
Nella citata sentenza n. 12193/2019, le S.U. offrono una ricostruzione dell’istituto che pone l’accento sulla «rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione», e sulla «conseguente necessità di tener conto (…) del modo in cui i predetti valori si sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti».
In particolare, le S.U. recepiscono una nozione di “ordine pubblico” comprensiva «non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria»[18].
In questa prospettiva va letta la disposizione relativa al divieto di surrogazione di maternità risultante dall'art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004; disposizione che è certamente di ordine pubblico, come suggerisce già la previsione della sanzione penale, posta di regola a presidio di beni fondamentali come la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto, perché soltanto a tale istituto, governato da regole particolari poste a tutela di tutti gli interessati, in primo luogo dei minori, e non al mero accordo delle parti, l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato.
Tale disposizione – nella ricostruzione interpretativa delle S.U. – si pone come ostacolo insormontabile al riconoscimento di atti o provvedimenti giurisdizionali che dichiarino lo status filiationis dei nati da maternità surrogata.
Ciò, tuttavia – si affrettano a precisare le S.U. – non si pone in contrasto con l’interesse superiore del minore, giacché la tutela apprestata a tale interesse dalle carte e convenzioni internazionali non esclude che esso possa costituire oggetto di contemperamento con quella di altri valori considerati essenziali ed irrinunciabili dall’ordinamento.
Alla base di questo ragionamento sta la convinzione che il divieto della maternità surrogata, da un lato, e l’interesse del minore, dall’altro, siano principi tra loro inconciliabili, sicché il rispetto dell’uno implica inevitabilmente il sacrificio dell’altro.
In realtà, così non è, se si considera che essi operano su piani diversi[19].
L’art. 12, comma 6 della l. n. 40/2004 punisce, infatti, chiunque, in qualsiasi forma, «realizza», «organizza» o «pubblicizza» la surrogazione di maternità.
Dunque, la sanzione penale colpisce chi, a vario titolo, svolge un ruolo attivo nella pratica vietata.
La tutela dell’interesse del minore si indirizza, invece, verso chi è il soggetto passivo della tecnica surrogatoria, alla cui realizzazione è rimasto evidentemente estraneo.
E’ stato autorevolmente spiegato – sia pure con riferimento ad una tecnica di PMA non consentita dall’ordinamento italiano (ma le medesime considerazioni possono estendersi alla maternità surrogata) – che il fatto che la nascita sia avvenuta tramite una condotta degli adulti punita dalla legge non impedisce di costituire legalmente lo status di figlio[20].
L’operazione ermeneutica suggerita dal giudice rimettente si propone, allora, di “scardinare” l’impostazione delle Sezioni Unite, attraverso un procedimento interpretativo che riporti al centro della questione l’interesse del minore.
In quest’ottica il best interest of the child non è più considerato come un pericoloso nemico che assedia il fortino dell’ordine pubblico; piuttosto, l’interesse del minore rientra, a pieno titolo - al pari del divieto della surrogazione di maternità, cui è sottesa, in primis, la tutela della dignità della donna - tra i valori costitutivi dell’ordinamento.
Si tratta di una lettura pienamente in linea con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale, anche nel citato avis consultatif, mostra di essere ben consapevole della complessità degli interessi coinvolti in caso di maternità surrogata. E tuttavia, la Corte Edu ritiene che, pure in questi casi, l’assoluta impossibilità di riconoscere un legame con il genitore d’intenzione sia incompatibile con gli interessi del minore, che devono essere esaminati alla luce delle particolari circostanze della fattispecie concreta[21].
Questa appena descritta è, dunque, la logica della composizione, non della contrapposizione, degli interessi in gioco.
E’ una logica ispirata, a ben vedere, al canone della mitezza costituzionale, intesa come «la coesistenza di valori e principi, sulla quale necessariamente oggi una costituzione si deve fondare per poter rendersi non rinunciataria rispetto alle sue prestazioni di unità e integrazione e, al contempo, non incompatibile con la sua base materiale pluralista» e «richiede che ciascuno di tali valori e tali principi sia assunto in una valenza non assoluta, compatibile con quelli con i quali deve convivere»[22].
In definitiva, si vuol dire che il divieto di maternità surrogata non oblitera l’interesse del minore e non impedisce il riconoscimento di atti o provvedimenti dichiarativi dello status filiationis nei confronti dei nati a seguito di quella pratica vietata dal nostro ordinamento.
E, di converso, la tutela dell’interesse del minore, attraverso il riconoscimento del suo status di figlio nei confronti del genitore d’intenzione, non costituisce una lesione della dignità della donna, alla cui salvaguardia l’ordinamento provvede vietando la maternità surrogata e sottoponendo a sanzioni penali chiunque la pratichi[23].
Ciò perché il divieto di maternità surrogata e l’interesse del minore sono entrambi principi di ordine pubblico, che non interferiscono tra loro, essendo l’uno inteso a prevenire e (eventualmente) a sanzionare talune condotte riprovate dall’ordinamento poste in essere dagli adulti; l’altro finalizzato a tutelare la posizione di chi – senza averne colpa – è nato a seguito di tali condotte e ha tutto il diritto di avere dei genitori e una famiglia nella quale crescere ed essere educato.
La regola del diritto vivente elaborata da S.U. n. 12193/2019, al contrario, abbraccia la logica della contrapposizione: dice che il divieto di maternità surrogata e l’interesse del minore sono “l’uno contro l’altro armati” e che, nel conflitto, il secondo è destinato a soccombere sempre. Secondo questa impostazione – che l’ordinanza in commento si propone di superare - il divieto di maternità surrogata è di ostacolo al riconoscimento dello status filiationis nei confronti del genitore d’intenzione.
E’ evidente, allora, come questa regola di diritto vivente si ponga in contrasto con i principi affermati anche di recente nel citato avis consultatif dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Sotto questo profilo ci si potrebbe attendere una sentenza della Corte Costituzionale che censuri – quanto meno sotto il profilo della non conformità al diritto convenzionale, così come interpretato dalla Corte Edu – la regola giurisprudenziale elaborata dalle Sezioni Unite, nella parte in cui non consente al giudice, alla luce di una rinnovata lettura della nozione di ordine pubblico, di valutare, caso per caso, tenendo conto delle peculiarietà della fattispecie concreta, se sia o meno rispondente all’interesse del minore riconoscere effetti giuridici nell’ordinamento italiano all’atto (o al provvedimento giurisdizionale) formato all’estero, dichiarativo dello status filiationis tra il nato da maternità surrogata e il genitore d’intenzione.
E tuttavia, neppure è da escludere – anche se, in concreto, pare difficilmente realizzabile - uno scenario alternativo che conduca ad una seconda soluzione della questione di costituzionalità, questa volta di segno opposto rispetto alla prima e tendente alla conservazione dello status quo.
Invero, le S.U. n. 12193/2019, pur affermando la prevalenza del divieto di maternità surrogata sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, illecitamente formatosi, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l 'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983[24].
E’ questa una conclusione astrattamente compatibile con quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo, secondo la quale anche strumenti diversi dalla registrazione degli atti formati all’estero possono soddisfare in maniera adeguata l’interesse del minore. Tra di essi, ad esempio, l’adozione, a condizione che la relativa disciplina sia appropriata e che la decisione finale sia presa rapidamente, così da evitare che il minore permanga in una situazione di incertezza legale[25].
Le S.U ritengono, in particolare, che il menzionato istituto dell’adozione in casi particolari possa assicurare al minore una tutela comparabile a quella ordinariamente ricollegabile allo status filiationis.
Ciò per effetto delle disposizioni della legge n. 184 del 1983, che parificano la posizione del figlio adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio.
Su questo punto si registra un forte dissenso da parte del Collegio rimettente, il quale afferma, al contrario, che «tale forma di adozione non crea un vero rapporto di filiazione»[26], dovendosi, piuttosto, registrare, «una sorta di declassamento (downgrade) della relazione genitoriale e dello status filiationis».
Il Giudice rimettente dubita che l’istituto dell’adozione in casi particolari risponda ai requisiti individuati dalla Corte di Strasburgo affinché esso possa porsi come valida alternativa al riconoscimento dell’atto di nascita formato all’estero (o del provvedimento giurisdizionale straniero dichiarativo della filiazione).
Non solo, infatti, l’istituto non sarebbe idoneo a costituire un vero e proprio status filiationis, perché «non crea legami parentali con i congiunti dell’adottante ed esclude il diritto a succedere nei loro confronti»[27]; ma, sotto il profilo della tempestività, esso richiederebbe l’attivazione di un procedimento avente una «articolazione e complessità decisamente superiore rispetto al procedimento di delibazione di una sentenza straniera»; procedimento la cui attivazione dipende dalla volontà del genitore intenzionale adottante (art. 45, comma 1, l. n. 184/1983) e che è subordinato all’assenso all’adozione da parte del genitore biologico (art. 46, comma 1 l. n. 184/1983).
Ora, è ben vero che la Corte Costituzionale ha, in altra occasione, riconosciuto che l’adozione in casi particolari è uno strumento legale idoneo a garantire al minore un’adeguata tutela, consentendo la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato[28].
Inoltre, negli anni passati la giurisprudenza costituzionale non ha mancato di evidenziare le peculiarità dell’istituto che lo differenziano sia dall'adozione legittimante sia da quella tra persone maggiori di età, pur avendo in comune con la prima la finalità di perseguire l'esclusivo interesse del minore e con la seconda l'effetto non legittimante del provvedimento, col quale non vengono rescissi i rapporti dell'adottato con la sua famiglia di origine[29].
E’ stato osservato dal Giudice delle leggi che il legislatore, nello stabilire la disciplina dell'adozione in casi particolari, ha quindi compiuto una «non facile composizione» di esigenze diverse, tra le quali quella di «evitare che l'instaurazione del nuovo rapporto comporti la rottura di quello esistente con l'altro genitore biologico e/o con i di lui parenti, pur quando con costoro il minore abbia instaurato e mantenga legami significativi»[30].
Si potrebbe, perciò, essere portati a ritenere che, per il Giudice costituzionale, la disciplina dell’adozione sia idonea a soddisfare quei requisiti richiesti dalla Corte di Strasburgo di appropriatezza ed effettività in ordine alla tutela apprestata al legame tra il nato da maternità surrogata ed il genitore d’intenzione.
Tuttavia, questa impostazione trascura di considerare che, per la giurisprudenza convenzionale, intanto l’adozione potrebbe costituire una valida alternativa al riconoscimento del legame col genitore d’intenzione, in quanto sia garantita la celerità del relativo procedimento. Condizione, quest’ultima, che, allo stato, appare difficilmente realizzabile, atteso che le variabili processuali sopra accennate – anche a tacere delle lungaggini legate a disfunzioni del sistema giudiziario – sono tali che, inevitabilmente, lasciano esposto lo status del minore ad una situazione di incertezza giuridica protratta nel tempo.
5. Conclusioni.
E’ difficile prevedere quali esiti sortirà l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale.
Indubbiamente, il Giudice rimettente coglie nel segno quando individua le ragioni di contrasto tra il dictum delle S.U. e la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Ragioni di contrasto che, sinteticamente, possono essere colte in una lettura in chiave adultocentrica e sanzionatoria delle fattispecie di maternità surrogata, a discapito dell’interesse del minore.
Questo è sicuramente un punto che dovrà essere attentamente valutato dal Giudice costituzionale e che, auspicabilmente, potrebbe portare ad un superamento della regola di diritto vivente oggetto di censura.
Tuttavia, a meno ottimistiche previsioni induce la considerazione che, negli ultimi tempi, la giurisprudenza (non solo della Cassazione ma anche) della Corte Costituzionale[31] sui temi cosiddetti “eticamente sensibili” ha sempre mostrato grande prudenza e non ha accolto di buon occhio quelle opzioni ermeneutiche di maggior apertura verso le nuove istanze di tutela dei diritti della persona[32].
[1] Cfr. Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494, in Giur. It., 2003, 868, secondo cui incestuosi sono i genitori, non i figli.
[2] Entrambe commentate su Questione Giustizia del 12 maggio 2020, con nota di G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, http://www.questionegiustizia.it/articolo/i-diritti-dei-bambini-smarriti-tra-formule-e-modelli_12-05-2020.php, e di S. Celentano, “Tradizione”, “natura” e pregiudizio. Storie di figli nati a metà, http://www.questionegiustizia.it/articolo/tradizione-natura-e-pregiudizio-storie-di-figli-nati-a-meta_12-05-2020.php
[3] Pubblicata in Fam. e dir., 2019, 7, 653, con nota di M. Dogliotti, Le Sezioni Unite condannano i due padri e assolvono le due madri, e di G. Ferrando, Maternità per sostituzione all'estero: le Sezioni Unite dichiarano inammissibile la trascrizione dell'atto di nascita. Un primo commento.
[4] Corte Edu, G.C. avis consultatif, 10 aprile 2019, in Nuova giur. civ. comm., 2019, I, 764, con commento di A.G. Grasso, Maternità surrogata e riconoscimento del rapporto con la madre intenzionale. La Corte Edu torna nuovamente sul caso Mennesson (v. Corte EDU, 26 giugno 2014, ric. 65192/11, Mennesson c. Francia) per riconoscere il diritto del bambino alla trascrizione dell’atto di nascita straniero non solo nei confronti del padre, genitore biologico, ma anche della madre intenzionale.
[5] Il 2 ottobre 2013 è stato aperto alla firma il Protocollo n. 16 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Tale Protocollo – non ancora ratificato dall’Italia - istituisce una procedura attraverso la quale le più alte giurisdizioni degli Stati contraenti possono richiedere alla Corte europea dei diritti dell'uomo pareri consultivi su questioni relative all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione, che si pongano nell'ambito di una causa pendente dinanzi ad esse. Si tratta di un protocollo opzionale, che non modifica dunque le disposizioni già vigenti della Convenzione sulla competenza consultiva della Corte per tutti gli Stati parti: la procedura prevista dal Protocollo n. 16 sarà accessibile solo alle giurisdizioni degli Stati che lo avranno ratificato. Sul Protocollo n. 16 si rinvia a F. Buffa, Il Protocollo n. 16 addizionale alla Convenzione Edu è pronto per entrare in vigore, in Questione Giustizia, 2 maggio 2018 https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-protocollo-n-16-addizionale-alla-convenzione-edu-e-pronto-per-entrare-in-vigore_02-05-2018.php; P. Pirrone, Il protocollo n. 16 alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo: i pareri pregiudiziali della Corte di Strasburgo, in Nuove leggi civ. comm., 2016, I, 75.
[6] Molto efficacemente è stato affermato che «la questione relativa allo stato del figlio è distinta ed autonoma rispetto a quella della liceità della tecnica prescelta per farlo nascere» (si veda G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, cit.).
[7] Un terzo strumento di risoluzione del conflitto tra diritto vivente italiano e giurisprudenza europea è individuato nella ratifica del Protocollo n. 16, che consentirebbe al giudice nazionale, secondo una dinamica bottom up, di proporre alla un’interpretazione del diritto convenzionale alla Corte Edu, che l’avalla o ne suggerisce una correzione (così A. M. Lecis, Una nuova frontiera del dialogo tra giurisdizioni: la Cassazione rimette alla Corte costituzionale una q.l.c. fondata sul parere consultivo della Corte Edu in materia di GPA, in Rivista di Diritti Comparati, 21 maggio 2020).
[8] La Corte cost. 12 gennaio 2015, n. 3 ha convalidato questo percorso interpretativo, esaminando la questione sollevata dal giudice a quo, il quale aveva prospettato l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate, attesa la sussistenza del diritto vivente formatosi a seguito di una sentenza delle Sezioni Unite.
[9] G. Luccioli, Il parere preventivo della Corte edu e il diritto vivente italiano in materia di maternità surrogata: un conflitto inesistente o un conflitto mal risolto dalla Corte di Cassazione?, in Giustizia Insieme, 22 maggio 2020.
[10] Council of Europe, Explanatory Report, Protocol No. 16 to the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms, in www.echr.coe.int, par. 27
[11] Le sentenze della Corte Cost. n. 348 e n. 349 del 24 ottobre 2007, in Corr. Giur., 2008, 2, 185, con nota di R. Conti, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti fra diritto italiano e diritto internazionale - la Corte Costituzionale viaggia verso i diritti Cedu: prima fermata verso Strasburgo, chiariscono la portata e gli effetti del limite del rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, previsto dall’art. 117, comma 1 Cost., con riferimento alle norme della Cedu. Preliminarmente la Corte chiarisce che il giudice comune non ha il potere di disapplicare la norma legislativa interna ritenuta in contrasto con una norma Cedu, poiché «l'asserita incompatibilità tra le due si presenta come una questione di legittimità costituzionale, per eventuale violazione dell’art. 117, primo comma Cost., di esclusiva competenza del giudice delle leggi». Ciò, però, «non significa che le norme della Cedu, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale di questa Corte. Proprio perché si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali o dei principi supremi, ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali». L’art. 117, comma 1 Cost. non consente di «attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com'è il caso delle norme della Cedu», ma determina «l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della Cedu e dunque con gli obblighi internazionali di cui all'art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale». Le disposizioni della Cedu diventano, dunque, "norme interposte" nel giudizio di legittimità costituzionale in relazione al parametro degli obblighi internazionali previsto dall’art. 117, comma 1 Cost.
[12] A. Henke, La giurisdizione consultiva della Corte di Strasburgo nel nuovo protocollo n. 16 alla CEDU, in Riv. dir. proc., 2018, 1260.
[13] Così P. De Sena, Caratteri e prospettive del Prot. 16 CEDU nel prisma dell’esperienza del sistema interamericano dei diritti dell’uomo, in La richiesta di pareri consultivi alla Corte di Strasburgo. Prime riflessioni in vista della ratifica del Protocollo 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Giappichelli, 2015, 13.
[14] G. Sorrenti, L’introduzione della nuova funzione consultiva della Corte di Strasburgo da parte del Protocollo n. 16 CEDU, 8.7.2014, in www.forumcostituzionale.it
[15] A. Henke, op. cit., 1267.
[16] Così si legge nel citato Explanatory Report al par. 27: «Advisory opinions under this Protocol would have no direct effect on other later applications. They would, however, form part of the case-law of the Court, alongside its judgments and decisions. The interpretation of the Convention and the Protocols thereto contained in such advisory opinions would be analogous in its effect to the interpretative elements set out by the Court in judgments and decisions».
[18] Sul concetto di ordine pubblico – che, nell’ordinanza in rassegna, viene declinato nell’accezione di “ordine pubblico internazionale”, comprensiva sia dell’ “ordine pubblico discrezionale” (vale a dire il complesso delle norme interne inderogabili) sia dell’ “ordine pubblico costituzionale” (comprensivo dei valori supremi, trasfusi nella Carta costituzionale, nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nella Carta delle libertà fondamentali) – si veda, in particolare, Cass. 30 settembre 2016, n. 19599, in Corr. Giur., 2017, 2, 181, nella quale si dà conto dell’evoluzione interpretativa che ha portato al recepimento nella giurisprudenza di legittimità della nozione di “ordine pubblico internazionale”, da intendersi come «complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma ispirati ad esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria». In dottrina si veda L. Paladin, Ordine pubblico, voce del Nuovissimo digesto italiano, vol. XII, Utet, 1965, Torino, 130 ss.; A. Pace, Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana, in Archivio giuridico “Filippo Serafini”, CLXV, 1963, 119 ss.; A. Cerri, Ordine pubblico costituzionale o ordine pubblico internazionale nelle recenti sentenze della Corte, in G. R. Giacomazzo, M. F. Maternini Zotta e P. L. Ronzani (a cura di), Dalle decisioni della Corte costituzionale alla revisione del Concordato: atti della Tavola rotonda : Trieste, 23 marzo 1983 : con appendici, Giuffrè, 1986; F. Angelini, Ordine pubblico e integrazione costituzionale europea, Cedam, 2007.
[19] G. Armone, La gestazione per altri: nuovo appuntamento davanti alla Corte costituzionale, in Questione Giustizia, http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-gestazione-per-altri-nuovo-appuntamento-davanti-alla-corte-costituzionale_22-05-2020.php, annota che «la separazione tra disciplina penalistica delle fattispecie incriminatrici di un fenomeno ed effetti sui rapporti di filiazione che da tale fenomeno scaturiscono, è un prodotto della stessa Corte costituzionale, almeno a partire dalla celebre pronuncia sull’estensione ai figli incestuosi della dichiarazione giudiziale di paternità e maternità». «Come giustificare – prosegue l’Autore - un rinnegamento di quella scissione, tanto più che, nel caso della doppia paternità, la dimensione penalistica della maternità surrogata in apparenza rileva solo per il padre d’intenzione e non per il padre genetico, la cui genitorialità non viene toccata dalla commissione del crimine a monte?».
[20] G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, cit., che richiama Corte Cost., 28 novembre 2002, n. 494, cit. E’ stato, altresì osservato che «la legge n. 40/2004 può classificarsi come una lex minus quam perfecta in quanto il divieto del precetto comporta una sanzione, ma non la rimozione degli effetti del comportamento vietato, anzi essa riconosce la più ampia tutela a colui che nasce da pratiche vietate, poiché dalla prestazione del consenso alla fecondazione dell’ovulo, che è irretrattabile, discende la assunzione di responsabilità genitoriali con tutti i doveri ad essa connessi, in applicazione del principio che la violazione delle prescrizioni e divieti posti dalla legge non possono ricadere su chi è nato» (R. Russo, Gli incerti confini della genitorialità fondata sul consenso: quando le corti di merito dissentono dalla Cassazione, in Giustizia Insieme, 28 maggio 2020).
[21] Corte Edu, avis consultatif, parr. 41 e 42.
[22] V. Zagrebelsky, Il diritto mite, Einaudi, 1992, 1
[23] In senso contrario, G. Luccioli, cit., secondo cui «la Cassazione evita di confrontarsi con la problematica che la lesione del principio di dignità solleva, affermando che il riconoscimento della sentenza straniera non implica alcun riconoscimento del contratto di maternità surrogata, e quindi non incide sulla dignità della donna ferita dalla pratica di surrogazione, ma produce soltanto l’ effetto di riconoscere lo status e l’identità del figlio, come acquisiti all’ estero: è agevole replicare che il riconoscimento di detto status involge comunque l’ accertamento di un rapporto genitoriale radicato nel fatto di surrogazione, che non può essere bypassato seguendo una prospettiva fondata esclusivamente sull’esigenza di tutela dell’ interesse del minore».
[24] Per un inquadramento generale dell’istituto C. Ebene Cobelli, Adozione e affidamento dei minori, sub art. 44 l. n. 184/1983, in Nuove leggi civ. comm., a cura di M. C. Bianca, F. D. Busnelli, G. Franchi, S. Schipani, 1984, 172 ss.; M. Bessone e G. Ferrando, voce Minori e maggiori di età (adozione dei), in Noviss. dig. it., App., V, Torino 1984, 82 ss.; G. Cattaneo, voce Adozione, in Dig. IV disc. priv., sez. civ., I, Torino 1987, 116 ss.; R. Tommasini, Commento agli artt. 44-57 della legge sull'affidamento e adozione dei minori, in Commentario al diritto italiano della famiglia diretto da G. Cian, G: Oppo, A. Trabucchi, VI, 2, Padova 1993, 456; L. Rossi Carleo, L'affidamento e le adozioni, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, IV, II ed., Torino 1997, p. 462 ss.; A. Giusti, L'adozione dei minori in casi particolari, in Il diritto di famiglia. Trattato diretto da G. Bonilini e G. Cattaneo, III, II ed., Torino, 2007, 455 ss.; M. Dogliotti, L'adozione in casi particolari, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, IV, Torino, 1999, pp. 397 ss.; M. Dogliotti, Adozione di maggiorenni e minori, in Codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano 2002, 797 ss.; A. e M. Finocchiaro, Adozione e affidamento dei minori, Milano 2001, 135 ss.; G. Collura, L'adozione in casi particolari, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, II, Filiazione a cura di G. Collura, L. Lenti e M. Mantovani, cit., 995 ss.; Ciraolo, Dell'adozione in casi particolari e dei suoi effetti, in L. Balestra (a cura di), Della famiglia. Leggi collegate, in Commentario al codice civile diretto da E. Gabrielli, Torino, 2010, 249 ss.; P. Morozzo della Rocca, L'adozione dei minori e l'affidamento familiare, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Ferrando, III. Filiazione e adozione, Bologna, 2007, 587 ss.; E. Urso, L'adozione in casi particolari, ivi, 765 ss.
[25] Cfr. Corte Edu, avis consultatif, cit., parr. 53-54.
[26] Su questa affermazione ci sarebbe molto da discutere, posto che – come è stato ben osservato in dottrina – «se diamo al nuovo art. 74 c.c. il significato che la lettera obiettivamente gli attribuisce e se riteniamo di individuare in questa disposizione non un mero flatus vocis ma una norma dotata di una qualche effettività, dobbiamo ritenere che essa introduca un unico status di figlio-parente comprensivo di tutte le filiazioni biologiche e di tutte le filiazioni adottive, incluse quelle in casi particolari, escludendo invece le adozioni dei maggiorenni» (P. Morozzo della Rocca, Il nuovo status di figlio e le adozioni in casi particolari, in Fam e dir., 2013, 838).
[27] Vedi nota precedente. Si ritiene infatti che l’art. 74 c.c., che prevede anche per l’adottato (con la sola esclusione dell’adozione del maggiorenne) rapporti di parentela con entrambe le reti familiari dei genitori, non si applichi (dato il rinvio contenuto nell’art. 55, l. n. 184/1983 all’art. 300 cc) all’adozione dei minori in casi particolari (v. C. M. Bianca, Diritto civile. 2.1 La famiglia, sesta edizione, Milano, 2017, 501). Non si tiene conto, in tal modo, che la regola generale è posta dall’art. 74 c.c. per ogni adozione di minore senza distinguere tra adozione piena o particolare.
[28] Corte Cost. 18 dicembre 2017, n. 272, in Foro it., 2018, 21 ss., con nota di Casaburi, Le azioni di stato alla prova della Consulta. La verità non va (quasi mai) sopravvalutata.
[29] Corte Cost., 24 gennaio 1991, n. 27, in Giur. Cost., 1991, 175; Corte Cost., 7 ottobre 1999, n. 383, in Giur. Cost., 1999; Corte Cost., 24 giugno 2002, n. 268, in Foro It., 2003, 1, 2933.
[30] Corte Cost., n. 27/1991, cit.
[31] Osserva puntualmente G. Armone, cit., che «la rimessione giunge tuttavia in un momento in cui, dopo la nota sentenza n. 269/2017 e nonostante gli aggiustamenti di alcune pronunce del 2019, la giurisprudenza della Corte costituzionale sui rapporti tra ordinamento nazionale e diritto esterno (soprattutto diritto Ue) pare essere entrata in un’area di turbolenza e incertezza».
[32] Si pensi, ad esempio, a Corte Cost., 15 novembre 2019, n. 237, in Fam. e dir., 2020, 4, 325 ss., sulla questione della formazione di un atto di nascita che riconosca al minore la doppia genitorialità same-sex; Corte Cost., 23 ottobre 2019, n. 221, in Foro It., 2019, 12, 1, 3782, sulla questione del divieto per le coppie omosessuali di accedere alla PMA; si pensi, ancora, su altro versante, alla “sofferta” decisione sulla vicenda “Cappato”, avvenuta, prima, con ordinanza interlocutoria n. 207 del 16 novembre 2018, in Corriere Giur., 2019, 4, 457 e, poi, con sentenza n. 242 del 22 novembre 2019, in Dir. Pen. e Processo, 2020, 3, 377. La rimessione giunge tuttavia in un momento in cui, dopo la nota sentenza n. 269/2017 e nonostante gli aggiustamenti di alcune pronunce del 2019, la giurisprudenza della Corte costituzionale sui rapporti tra ordinamento nazionale e diritto esterno (soprattutto diritto Ue) pare essere entrata in un’area di turbolenza e incertezza.