Il Tribunale di Siena ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna nei confronti di cinque imputati a pene comprese tra cinque anni e dieci mesi e sei anni e sei mesi di reclusione, oltre a sanzioni accessorie e risarcimento dei danni a favore di parti civili (individuali ed esponenziali), per i delitti di tortura, lesioni personali, minaccia, falso, abuso di autorità contro detenuti; i fatti, risalenti al 2018, si erano verificati all'interno del carcere di San Gimignano, dove gli imputati prestavano servizio nella Polizia penitenziaria; il medico dell'istituto aveva scelto il rito abbreviato per l'imputazione di omissione di atti di ufficio.
Pubblichiamo la sentenza - che sarà in seguito oggetto di più articolato commento - evidenziandone in questa sede alcuni aspetti rilevanti.
In primo luogo le modalità con cui il Tribunale ha affrontato le più significative questioni in materia di prove, scegliendo efficacemente di inserire nella stessa stesura della motivazione materiale iconografico; va poi sottolineata l'accurata ricostruzione in fatto della "spedizione punitiva" costituente nucleo centrale dei fatti giudicati (a cui si associano le necessarie valutazioni sull'uso legittimo della coazione); altrettanto complete sono le considerazioni sulla qualificazione giuridica dei fatti e la loro ascrivibilità alla fattispecie di tortura, di cui all'art. 613-bis c.p., i cui elementi costitutivi vengono ampiamente scandagliati, non senza individuare un vero e proprio "meccanismo della tortura", i cui cardini si rinvengono non solo nel maltrattamento della vittima ma anche nella nella violazione della sua dignità personale; e nella distorsione del potere coercitivo pubblico e dello scopo che motiva l'attribuzione dell'uso legittimo della forza; infine, il richiamo a fonti normative e giurisprudenza sovranazionali concorre a definire l’ambito applicativo della fattispecie di cui all’articolo 613-bis c.p., che viene altresì collocata in un quadro di "necessità costituzionale".
(G.B.)