La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, pronunciata 8 gennaio 2013, costituisce una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario . Il caso Torreggiani e altri, sottoposto all’attenzione della Corte nell’agosto del 2009, viene depositato da sette ricorrenti contro lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea ovvero la proibizione di trattamenti inumani e degradanti. I ricorrenti si trovano a scontare la propria pena presso gli istituti di detenzione di Busto Arsizio e Piacenza. Dalla descrizione presentata nel ricorso risultava che, essendo ogni cella occupa da tre detenuti, ognuno di loro aveva a propria disposizione meno di tre metri quadrati come proprio spazio personale. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo considera che non solo lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma inoltre che tale situazione detentiva sia aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda per lunghi periodi, mancanza di ventilazione e luce. Tali condizioni, considerate nel loro insieme, costituiscono una violazione degli standard minimi di vivibilità determinando una situazione di vita degradante per i detenuti. La compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione è quantificata dalla Corte in una somma di circa 100.000 € per tutti i ricorrenti.
La sentenza merita un’analisi attenta specialmente perché costituisce una sentenza pilota della Corte Europea che affronta il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano. La Corte Europea di Strasburgo oltre a valutare la richiesta presentata dai ricorrenti nel caso specifico, identifica i casi che sono da ricondursi a una medesima categoria e che sono quindi imputabili ad un mal funzionamento comune dello Stato citato in giudizio. Il meccanismo della sentenza pilota è una procedura che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. Infatti, qualora la Corte riceva molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità per la Corte stessa di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell’articolo 61del proprio regolamento di procedura. L’articolo 61 introdotto con la nuova versione del regolamento di procedura adottata in sessione plenaria nel 2011, stabilendo come condizione che “i fatti all’origine d’un ricorso presentato davanti ad essa rivelano l’esistenza, nello Stato contraente interessato, d’un problema strutturale o sistemico o di un’ altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi” cristallizza una precedente prassi giurisprudenziale affermatasi a partire dal noto caso Broniowski c. Polonia e chiarisce la base giuridica applicabile. La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il congelamento degli altri casi simili in attesa della pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne. Inutile rilevare che la ratio evidente della norma mira a consentire un minimo sgravio dei carichi pendenti per quei soli casi che trovano soluzione in una già consolidata giurisprudenza della Corte.
Si consideri che in una sentenza pilota il ruolo della Corte Europea è non solo quello di pronunciarsi sulla violazione della Convenzione nel caso specifico, bensì anche quello di identificare il problema sistematico e dare precise indicazioni al legislatore nazionale sui rimedi necessari nel rispetto del principio di sussidiarietà, non sorprende dunque l’addebito attribuito all’Italia su una questione di costante emergenza. Si precisa inoltre che il rimedio adottato dallo Stato contraente o comunque il pacchetto di misure deve essere effettivo cioè tale da poter, in conformità con la Convenzione, adeguatamente risolvere il problema del sovraffollamento negli istituti penitenziari .
Si sottolinea che i contraenti delle obbligazioni iscritte nella Carta sono gli Stati firmatari, pertanto in virtù dell’art. 46 della Convenzione, è lo Stato contraente il soggetto tenuto a conformarsi alle indicazioni della Corte essendo queste dotate di vincolatività e titolo esecutivo. La pronuncia in oggetto contro lo Stato italiano costituisce quindi un’obbligazione di risultato da ottemperare nel periodo indicato di un anno. La vincolatività della sentenza si esplica quindi nei confronti dello Stato. Non rientrata nei compiti della Corte interrogarsi sulla struttura e il funzionamento della giurisdizione nazionale; compito che ricade nelle esclusive competenze del legislatore. Tuttavia, nella pronuncia Torreggiani è riscontrabile una parziale obbligazione di mezzo laddove la Corte indica il ricorso a pene alternative al carcere quale possibile soluzione al problema identificato. Tale indicazione travalica le competenze e la funzione di garanzia della Corte EDU? Il richiamo indirizzato allo Stato per garantire i diritti sanciti dalla Carta lascia, fino all’intervento legislativo, l’autorità giudiziaria pienamente libera di operare, nell’abito della propria discrezionalità, le scelte più opportune al caso concreto. Si precisa che proprio in virtù di tale discrezionalità l’autorità giudiziaria è anche libera d’interpretare le disposizioni legislative nazionali già in vigore conformemente alle indicazioni della Corte EDU. La Corte di Strasburgo nell’indicare al legislatore statale l’istituzione e la promozione di misure alternative, opera una scelta di carattere politico-giudiziario e si mostra quale corte di vertice del sistema di garanzie stabilite dalla Carta. Si consideri infine che la posizione della Corte nei confronti dell’Italia sul problema del sovraffollamento delle carceri e, più in generale, della condizione penitenziaria deriva dalla constatazione di una mancanza protratta di misure strutturali idonee ad operare efficacemente e in modo duraturo nella direzione suggerita dal Consiglio d’Europa .