CEDU, Chambre, sez. 5, Khodorkovskiy (no. 2) and Lebedev (no. 2) v. Russia (n. 11082/06 e 13772/05), 25 luglio 2013
INGIUSTA DETENZIONE – USO POLITICO DELLA GIUSTIZIA- TRANSFER PRICING ED EVASIONE FISCALE – CONDIZIONI DI DETENZIONE – RISERVATEZZA DEL RAPPORTO CLIENTE AVVOCATO.
CEDU: art. 3, 5 par. 3-4, 6, par. 1, 6 par. 2, 7, 8, 1 Prot. 1, 18, 34, 41.
La Corte europea dei diritti dell'uomo si è occupata, ancora una volta, del caso Khodorkovskiy.
Si tratta della verifica della conformità alla Convenzione dei procedimenti penali subiti dal noto uomo d'affari russo, anni fa il più ricco russo ed il 16° nella classifica annuale degli uomini più ricchi del pianeta, sostenitore del partito di opposizione politica in competizione con il Pres. Putin, quindi arrestato con accuse di frode ed evasione fiscale; una storia lunga, per alcuni una storia puramente economico-finanziaria, per altri la prova dell'assenza di democrazia e di tutela dei diritti umani in Russia. Wikipedia, nella versione inglese, vi dedica diverse pagine (http://en.wikipedia.org/wiki/Mikhail_Khodorkovsky), cui si fa rinvio per notizie giornalistiche sul caso e per l'indicazioni di fonti di approfondimento e commento della vicenda.
Nella vicenda specifica esaminata dalla Corte nella sentenza in epigrafe, ricorrenti sono Khodorkovskiy e Lebedev, cittadini russi, attualmente in detenzione.
Prima del loro arresto erano top-manager e principali azionisti di un grande gruppo industriale che comprendeva la compagnia petrolifera Yukos, la Apatit impresa mineraria, Menatep banca e una serie di altre entità commerciali di grandi dimensioni.
Khodorkovskiy era stato anche attivo politicamente: aveva speso somme significative per sostenere i partiti di opposizione e finanziato diversi programmi di sviluppo nonché attività di ONG, ed aveva apertamente criticato la politica interna russa al momento definendolo antidemocratico; inoltre, la Yukos aveva perseguito grandi progetti economici contrastanti con la politica ufficiale governativa in materia petrolifera.
Nel 2003 la Procura generale aveva aperto un procedimento penale che riguardava la privatizzazione presumibilmente fraudolenta della Apatit impresa mineraria nel 1994. Nel luglio 2003 Lebedev era arrestato in relazione a questo caso e detenuto in custodia cautelare. In Ottobre 2003 anche Khodorkovskiy veniva arrestato, accusato e detenuto per reati di evasione fiscale e frode fiscale. La compagnia petrolifera Yukos era intanto liquidata.
Khodorkovskiy e Lebedev lamentarono da subito che a causa delle ambizioni politiche del sig. Khodorkovskiy e della sua indipendenza nel business, il loro arresto era frutto di manovra politica orchestrata dal presidente Putin, che aveva portato, oltre che alla loro incarcerazione e condanna, allo smantellamento dell'impero economico della Yukos.
Nel corso delle indagini erano quindi aggiunte nuove accuse nei confronti dei ricorrenti, che venivano accusati di aver registrato i loro subordinati ad aziende fittizie in una zona a bassa fiscalità. La richiesta con le accuse suppletive - un documento di oltre 300 pagine- non era dato agli avvocati del Khodorkovskiy né a lui prima dell'udienza.
Nel procedimento i ricorrenti sono stati assistiti da un team di avvocati altamente qualificati, ma l'amministrazione penitenziaria ha controllato tutte le comunicazioni tra i ricorrenti ed i loro avvocati, i quali sono stati anche sottoposti in vari casi a perquisizioni.
Il processo è iniziato nel giugno 2004 ed è durato fino al maggio 2005. In aula i candidati sono stati tenuti in una gabbia di ferro che li separava dal pubblico e dai loro avvocati, e qualsiasi scambio di documenti scritti tra i ricorrenti ed i loro avvocati era possibile solo se il presidente avesse esaminato i documenti in anticipo, mentre le comunicazioni orali erano possibili solo se udite da ufficiali di controllo.
Sul merito della causa, i ricorrenti si sono dichiarati non colpevoli, sostenendo che la registrazione di società commerciali in zone a bassa fiscalità sulla base di accordi conclusi con le autorità locali era perfettamente legittima e non contestata per anni dal servizio fiscale. Le prove offerte dalla difesa sono state dichiarate inammissibili dal giudice, così come è stata respinta la domanda di acquisizione di alcuni documenti ufficiali.
Il 16 maggio 2005 i ricorrenti sono stati riconosciuti colpevoli e condannati a nove anni di reclusione, nonché condannati a pagare allo Stato RUBLI 17.395.449,282 mila (oltre 510.000.000 €), a titolo di tesse non pagate dalla società.
Il 22 settembre 2005, il Tribunale di Mosca ha confermato la sentenza del tribunale di grado inferiore pur riducendo la condanna a otto anni di reclusione.
Entrambi i candidati sono stati inviati a scontare la pena in colonie remote, da 3 a 6000 km di distanza da Mosca.
Il caso dei ricorrenti ha attirato una notevole attenzione pubblica in Russia e all'estero. Molti personaggi pubblici di spicco e organizzazioni influenti hanno espresso dubbi in merito alla
l'equità del procedimento penale.
Con un primo ricorso, invocando gli articoli 3, 5, e 18, il sig Khodorkovskiy aveva lamentato di essere stato detenuto illegalmente e per troppo tempo in condizioni degradanti e che le accuse contro di lui erano state politicamente motivate.
La Corte con sentenza ha escluso la violazione dell'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo per quanto riguarda le condizioni di detenzione nel carcere giudiziario tra il 25 ottobre 2003 al 8 agosto 2005, nonché la violazione dell'articolo 5 § 1 (c) (legalità della detenzione di un sospetto criminale) per quanto riguarda la legittimità della sua detenzione in attesa di indagine, così come ha escluso la violazione dell'articolo 18 (limitazione dei diritti per usi impropri) per quanto riguarda l'affermazione che la sua accusa è stata politicamente motivata.
Ha ravvisato invece due violazioni dell'articolo 3 per quanto riguarda le condizioni in cui era stato tenuto in tribunale e nel carcere giudiziario dopo l'8 agosto 2005; la violazione dell'articolo 5 § 1 (b) (illiceità della detenzione per il mancato rispetto di un ordine legittimo) per quanto riguarda la sua apprensione, il 25 ottobre 2003; la violazione dell'articolo 5 § 3 (durata della detenzione) per quanto riguarda la lunghezza della detenzione in attesa di indagine e di prova; quattro violazioni dell'articolo 5 § 4 (controllo giurisdizionale della legittimità della detenzione pre-condanna) per quanto riguarda i vizi procedurali relativi alla sua detenzione.
Con un primo ricorso alla CEDU, invocando l'articolo 5 § § 1, 3 e 4 e l'articolo 34, Lebedev aveva lamentato che la sua detenzione in attesa di giudizio non era lecita, e che per oltre un mese tra il 22 marzo e il 12 aprile 2003 le autorità carcerarie non avevano permesso al suo avvocato, nominato oltretutto per difenderlo innanzi alla CEDU, di incontrarlo in carcere.
La Corte ha con una prima sentenza accolto il ricorso, rilevando la detenzione del ricorrente oltre i termini di custodia cautelare , in violazione dell'articolo 5 § 1, la violazione procedurale derivante dall'esclusione del ricorrente e dei suoi legali dalla partecipazione ad un'udienza de libertate e l'insufficienza della loro partecipazione solo in appello, con conseguente violazione anche dell'articolo 5 § 4.
Con la decisione del 25 luglio 2013, con riferimento alla posizione di Lebedv, la Corte ha escluso la violazione dell'art. 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) quanto alle condizioni della carcerazione preventiva, ma ha ravvisato la violazione dell'articolo 3 per la detenzione dell'imputato in una gabbia di metallo durante le udienze in tribunale, la violazione dell'articolo 5 § § 3 e 4 (diritto alla libertà e alla sicurezza) in merito alla durata della detenzione preventiva ed al ritardo dell'esame del ricorso del Lebedev.
Con riferimento ad entrambi i ricorrenti, la Corte:
- ha escluso la violazione dell'articolo 18 (limitazione dell'uso di restrizioni ai diritti) per quanto riguarda l'affermazione che la sua accusa è stata politicamente motivata;
- ha escluso la violazione dell'articolo 6 § 1 (diritto ad un processo equo) per quanto riguarda l'imparzialità della giudice che ha presieduto al processo dei ricorrenti o per quanto riguarda il tempo e le strutture dati per la preparazione della loro difesa,
- ha ravvisato la violazione dell'articolo 6 § § 1 e 3 (c) e (d) per violazione della riservatezza del rapporto avvocato-cliente e per gli ingiusti acquisizione ed esame delle prove da parte del giudice di merito;
- ha ritenuto la violazione dell'articolo 34 (diritto di ricorso individuale) per le molestie che gli avvocati del signor Khodorkovskiy hanno subito dalle Autorità;
- ha ravvisato la violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), a causa del trasferimento dei detenuti in colonie penali in Siberia e in Estremo Nord, diverse migliaia di chilometri di distanza da Mosca e le loro famiglie;
- ha riscontrato la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n ° 1 (protezione della proprietà) a causa del modo arbitrario in cui al signor Khodorkovskiy era stato ordinato di rimborsare gli arretrati d'imposta dovuto dalla Yukos allo Stato dopo la sua condanna.
Come ora detto, la Corte ha ravvisato diverse violazioni della Convenzione, specialmente in ordine alle condizioni di detenzione dei ricorrenti ed alla tutela piena della loro difesa legale.
Invece, la Corte ha (per la seconda volta) ritenuto di non accogliere la doglianza relativa all'uso politico e distorto dell'accusa penale. In particolare, la Corte ha motivato la decisione sul punto come segue. Ha ricordato che l'intera struttura della Convenzione riposa sulla generale presunzione che le autorità pubbliche degli Stati membri abbiano agito in buona fede, sicché un semplice sospetto che le autorità abbiano usato i loro poteri per scopi reconditi non è ritenuto sufficiente a dimostrare una violazione dell'articolo 18, occorrendo invece una prova di elevata valenza. La Corte riconosce che le prove indiziarie che circondano l'arresto dei ricorrenti a prima vista costituiscono un caso di azione penale a sfondo politico, risultando le allegazioni dei ricorrenti corroborate da personaggi politici, anche internazionali, e da organizzazioni di molti paesi europei, sicché la Corte è stata preparata ad ammettere che alcuni funzionari del governo avevano secondi fini per far processare i ricorrenti. Tuttavia, ciò secondo la Corte era insufficiente per concludere che i ricorrenti non sarebbero stati condannati altrimenti, tanto più che nessuna delle accuse contro i ricorrenti avevano interessato le loro attività politiche ed i ricorrenti non erano leader dell'opposizione o funzionari pubblici. Così, conclude la Corte, anche se ci sono stati elementi di motivazione impropria dietro la loro accusa, ciò non implica la concessione di immunità verso le accuse mosse nei loro confronti.
Nel merito, come anticipato, la Corte ha escluso la violazione dell'articolo 7 per quanto riguarda l'applicazione della legge fiscale per condannare i ricorrenti, per le pratiche di “transfer pricing” illegali poste in essere dalle loro società, avendo la Corte ritenuto che, anche se l'applicazione della legge nel caso dei ricorrenti era stata innovativa e senza precedenti, non era irragionevole e corrispondeva alla comprensione del senso comune di evasione fiscale.
La Corte ha inoltre precisato che è difficile immaginare che i ricorrenti, come dirigenti e co-proprietari di Yukos, non fossero stati consapevoli del regime e non avessero conosciuto che le informazioni incluse dei bilanci delle società di trading non riflettessero la vera natura delle loro operazioni.