In questi ultimi anni ho avuto in più occasioni il modo di constatare che molta parte dei magistrati, così come dell’accademia e del foro, è sostanzialmente all’oscuro dei caratteri del Codice etico della magistratura e, ancor più, della esistenza, all’interno della Associazione Nazionale Magistrati, di un sistema disciplinare fondato proprio sul Codice etico e che si avvale di un apposito organo, il Collegio dei probiviri.
Questa valutazione di complessiva non conoscenza della materia nella stragrande maggioranza dei magistrati e dei giuristi è emersa a seguito di numerose conversazioni, in particolare con i miei colleghi, svoltesi nel periodo nel quale, in prossimità del mio pensionamento, sono stata chiamata a far parte del Collegio dei probiviri, svolgendo tale funzione dall’aprile 2021 al febbraio 2023: in sostanza nessuno dei colleghi con cui parlavo dell’argomento (salvo il caso che facessero parte di altri organi dell’ANM) sapeva qualcosa di preciso sul Codice etico, sul ruolo e sulle funzioni del Collegio dei probiviri, molti ignorando del tutto la stessa previsione statutaria di un sistema di sanzioni disciplinari interne all’Associazione connesse ad illeciti consistenti nella violazione dei precetti etici.
Questa mancata conoscenza, anche all’interno della magistratura, mi pare discendere da quella che definirei per la ANM una occasione mancata, vale a dire la rinuncia tacita a occuparsi di deontologia professionale, a suscitare sul tema riflessioni e confronti non legati a un singolo episodio eclatante ma in grado di produrre una precisa consapevolezza dei principi deontologici in capo agli associati: principi che, come è noto, non tanto si impongono di per sé in via normativa ma si consolidano in “un modo di essere, uno stile di comportamento basato sulla consapevolezza del ruolo, su scelte culturali, esempi quotidiani, prassi virtuose consolidate, sulla maturazione di una coscienza etica individuale e collettiva”[1].
Sulle vicende di -e sui rimedi a- questa situazione tornerò più avanti ma mi sembra necessario premettere una breve illustrazione del quadro nel quale ci si muove, quadro rappresentato da un lato dal Codice etico dei magistrati dall’altro dal vigente Statuto della ANM.
Il Codice etico dei magistrati oggi vigente è stato approvato il 13.11.2010 sostituendo la precedente versione del 7.5.1994.
Entrambi i documenti hanno un fondamento normativo, il primo nell’art.58bis del dlgs n.29/1993 e il secondo nell’art.54 del dlgs n.165/2001 come innovato dall’art.1 comma 44 della legge n.190/2012. L’art.54 appena citato prevede in particolare al suo quarto comma che “per ciascuna magistratura e per l’Avvocatura dello Stato gli organi delle associazioni di categoria adottano un codice etico che viene sottoposto all’adesione degli appartenenti alla magistratura interessata”, così disegnando le regole deontologiche da un lato come frutto di un processo interno alla categoria professionale -i cui membri sono chiamati a prestare consenso al testo approntato nella sede associativa- e dall’altro come riferibili all’intera platea professionale indipendentemente dalla appartenenza o meno di ciascuno dei componenti di questa al contesto associativo.
Quanto al contenuto, l’articolato -che viene qui allegato- si compone di 14 disposizioni che specificano i “Valori e principi fondamentali” enunciati nell’art.1:
“Nella vita sociale il magistrato si comporta con dignità, correttezza, sensibilità all'interesse pubblico.
Nello svolgimento delle sue funzioni, nell'esercizio di attività di autogoverno ed in ogni comportamento professionale il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, di indipendenza, anche interna, e di imparzialità.
Il magistrato opera con spirito di servizio per garantire la piena effettività dei diritti delle persone; considera le garanzie e le prerogative del magistrato come funzionali al servizio da rendere alla collettività; presta ascolto ai soggetti che in diverse forme concorrono all'esercizio della giurisdizione e ne valorizza il contributo”.
Tali principi sono poi declinati nel Codice in riferimento a vari aspetti della vita professionale e sociale del magistrato.
La valenza di tali regole deontologiche in sede associativa è stata poi significativamente sottolineata dalla modifica allo Statuto dell’ANM introdotta il 4.9.2019 quanto al sistema disciplinare interno. Si è trattato infatti di una rilevante variazione del testo dell’art.9, nella cui attuale versione la definizione dell’illecito disciplinare è così tipizzata “Costituisce illecito disciplinare la violazione del codice etico dei magistrati, nonché la commissione di reati dolosi”, la prima parte della disposizione venendo a sostituire la precedente generica previsione per la quale l’illecito disciplinare interno era rappresentato da azioni degli iscritti “contrarie ai fini generali che si propone l’Associazione” o, anche potenzialmente, in grado di produrre “discredito per l’Ordine Giudiziario”.
Immutate nella versione dello Statuto del 2019 sono poi rimaste le previsioni riguardanti:
- le sanzioni disciplinari consistenti nella censura, nella interdizione dai diritti sociali per un periodo non superiore a cinque anni e la espulsione, riservata ai casi di “eccezionale gravità” (art.10 Statuto);
- il Collegio dei probiviri, composto da cinque membri che rimangono in carica per due anni e che sono nominati dal Comitato direttivo centrale con la maggioranza di due terzi dei componenti “scegliendoli tra tutti i soci e preferibilmente tra i componenti dei precedenti CDC, pure se collocati a riposo” (artt. 37 e 30 lett r Statuto).
Al Collegio dei probiviri è affidato il compito di “provvedere in materia disciplinare a norma dell’art.11” dello Statuto, nel quale si delinea un ruolo ibrido del Collegio:
- da un lato configurato come una sorta di organo inquirente collegiale, al quale spettano l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti dei soci, con i relativi poteri istruttori, e la presentazione delle sue conclusioni al Comitato direttivo centrale (primo comma art.11),
- dall’altro indicato quale unico arbitro di valutazioni favorevoli al socio incolpato, in tali casi il parere “assolutorio” del Collegio vincolando il Comitato direttivo centrale (terzo comma art.11),
- Comitato che invece è l’organo decisorio quanto alla applicazione delle sanzioni, che “delibera e infligge” “con la maggioranza di due terzi”, potendo poi anche “disporne la pubblicazione nel giornale della Associazione” (quarto comma art.11), in ogni caso essendo abilitato a disattendere il parere “colpevolista” del Collegio.
Tralasciando qui gli aspetti procedimentali -regolati dal secondo comma dell’art.11 nel senso della piena difesa dell’incolpato che deve essere convocato avanti al Collegio, può presentare memorie e documenti, farsi assistere da un difensore scelto dai soci[2]- risulta palese che le disposizioni statutarie fin qui citate presentano a prima vista criticità per così dire strutturali, in sostanza costruendo un organo di garanzia direi dimidiato in quanto, pur se provvisto in esclusiva del potere di esercizio dell’azione disciplinare, rimane poi estraneo alla definizione del procedimento nel caso abbia concluso -con provvedimento motivato secondo la costante interpretazione del Collegio- per la sussistenza dell’illecito: sussistenza la cui valutazione finale è invece demandata dallo Statuto all’organo -non di garanzia ma- elettivo, il Comitato direttivo centrale, il quale al riguardo non adotta provvedimenti motivati ma “delibera” a maggioranza qualificata dei componenti così che, in sostanza, la giustificazione della delibera di applicazione delle sanzioni è affidata alle singole dichiarazioni di voto espresse nelle riunioni del CDC.
Tali criticità strutturali sono state poi amplificate in concreto dalla prassi seguita dal Comitato direttivo centrale quanto alla pubblicità dei pareri del Collegio, delle conseguenti deliberazioni dello stesso CDC e finanche delle massime anonime che il Collegio, nel biennio 2021/2022, ha costantemente provveduto a redigere e a comunicare al CDC. In particolare, pur a fronte di varie sollecitazioni rivolte dal Collegio al CDC per una maggior conoscibilità degli esiti disciplinari interni e di posizioni di alcuni componenti del CDC favorevoli a tali sollecitazioni, nessuno di questi documenti è stato reso noto alla generalità degli associati, ad esempio attraverso la pubblicazione nell’area riservata del sito dell’Associazione.
In dettaglio, per i pareri del Collegio e per le delibere del CDC si è seguito un parere legale in tema di privacy (poi ripreso anche dal Garante privacy pure interpellato dal CDC) la cui fondatezza desta perplessità in questa sede non indagabili per esteso[3], mentre per le massime anonime non è stata fornita dal CDC alcuna puntuale giustificazione ma, di fatto, si è omessa ogni pubblicazione nell’area riservata del sito come pure sulla rivista associativa.
Dunque, tirando le fila del discorso, siamo in presenza di un sistema disciplinare interno che:
- da un lato è affidato, quanto alla individuazione in concreto di condotte violative del Codice etico, alle deliberazioni non dell’organo di garanzia ma dell’organo elettivo adottate a maggioranza qualificata,
- dall’altro, secondo la prassi fin qui seguita dal Comitato direttivo centrale, non prevede alcuna trasparenza degli esiti disciplinari, agli associati -che non siano membri del CDC- non essendo possibile conoscere né i pareri del Collegio dei probiviri, né le deliberazioni del CDC e neppure le massime anonime dei pareri.
L’esito è doppiamente incongruo:
- da un lato risulta del tutto opaco l’esito dell’attività disciplinare consistente nella applicazione del Codice etico per tutti gli associati, diretti destinatari dei precetti deontologici e come tali primi interessati alla loro applicazione nei casi concreti
- e d’altro lato si crea di fatto una situazione di insindacabilità per gli associati dell’attività in materia disciplinare del CDC, organo elettivo che come tale dovrebbe essere soggetto al più ampio controllo relativo al suo operato da parte degli elettori.
Ma a tali esiti incongrui se ne accompagna un altro a mio parere ancora più grave, soprattutto in questi tempi nei quali la “correttezza” dell’agire dei magistrati è spesso messa in discussione con argomenti generici e ad effetto: tenere nell’ombra il Codice etico e la sua concreta applicazione significa infatti per la ANM rinunciare a un vivificante confronto degli associati con i principi deontologici così come a una valutazione collettiva dei comportamenti concreti rispetto a tali principi. Tale valutazione ben potrebbe - a fronte di irruenze pubblicistiche di segno contrario- portare a soluzioni equilibrate quanto a temi oggi particolarmente sensibili, quali ad esempio la partecipazione di magistrati a manifestazioni pubbliche o ai c.d. social network, ovvero incidenti sul cuore dell’autogoverno, come le interlocuzioni improprie con membri del CSM rivelate appieno dal c.d. caso Palamara, tema certo non risolto con la esclusione del principale protagonista dall’Ordine giudiziario e del quale ancora si manifestano le propaggini nell’ambito di discussioni consiliari riguardanti conferme o nomine di direttivi e semidirettivi[4].
Se dunque il confronto tra magistrati sul Codice etico appare oggi più che mai necessario mi sembra vitale che l’ANM o comunque le varie componenti associative promuovano occasioni di discussione sui vari precetti deontologici nella loro declinazione concreta, magari partendo proprio da quelle massime del Collegio dei probiviri fino ad ora neglette: il significato più importante dell’attività disciplinare interna mi sembra infatti risiedere non tanto nell’applicazione di sanzioni quanto nel disegnare i confini delle prescrizioni etiche.
Un tale confronto presuppone, ovviamente, l’accessibilità delle massime disciplinari, da pubblicarsi sul sito dell’ANM e anche sulla Rivista associativa mentre poi a fini di completa trasparenza interna mi sembra davvero necessaria l’adozione di modifiche statutarie o di altri accorgimenti[5] che consentano la pubblicazione di tutti gli atti disciplinari integrali nell’area riservata del sito della ANM in modo che dell’attività deontologica sia del Collegio dei probiviri sia del Comitato direttivo centrale tutti i soci possano farsi un’opinione consapevole.
In conclusione, non affrontare il confronto deontologico tra gli associati e lasciare ancora nell’ombra la connessa attività disciplinare degli organi associativi mi sembrano due scelte rinunciatarie rispetto a un dibattito pubblico sempre più generico e foriero di normative incidenti sulla stessa indipendenza della magistratura: scelte forse ascrivibili a una protezione “di corpo” ma che devono oggi cedere il passo a opposte scelte di trasparenza volte a promuovere un esercizio pienamente consapevole del ruolo di magistrato, con l’obiettivo di tutelare effettivamente la magistratura -e chi ne è parte- come istituzione democratica di garanzia[6], in quanto tale indipendente, imparziale e capace di rigettare e resistere in modo unitario a ogni pressione indebita.
[1] Così M. G. Luccioli in La regolamentazione attuale nell’ordinamento italiano: il codice etico del 1994 e lo Statuto dell’Associazione Nazionale Magistrati tra aspetti sostanziali e procedimentali, in L’etica giudiziaria, Quaderno n.17 della Scuola superiore della magistratura, Roma, 2022, contributo al quale si rimanda anche per le indicazioni bibliografiche più recenti; per una ampia prospettiva sulla natura delle norme deontologiche cfr. L. Aschettino, D. Bifulco, Introduzione in a cura di L. Aschettino, D. Bifulco, H. Epineuse, R. Sabato, Deontologia giudiziaria Il codice etico alla prova dei primi dieci anni, Napoli 2006.
[2] Le disposizioni procedimentali sono state precisate dal Regolamento procedurale sull’attività disciplinare del collegio dei probiviri redatto dal Collegio e poi approvato dal CDC il 23.5.2021 ai sensi dell’art.58 dello Statuto: il testo è consultabile sul sito della ANM.
[3] Il parere non sembra aver tenuto conto della necessità di coordinamento tra la legislazione in materia di privacy e i principi di cui alle norme del codice civile, in particolare l’art.2261 cc in tema di società di persone essendo stato ritenuto applicabile anche alle associazioni non riconosciute in quanto principio generale in materia di enti collettivi (cfr. Tribunale Torino sentenza n.1143/2019, secondo la quale con specifico riferimento al diritto di accesso degli associati non amministratori di una associazione non riconosciuta alla documentazione relativa alla gestione dell’associazione stessa si ritiene che debba trovare applicazione la disciplina prevista per le società semplici di cui all’art. 2261 c.c.”).
[4] Quanto alla rilevanza di quest’ultimo tema rispetto all’attività del Collegio dei probiviri nello scorso biennio, basti dire che su 98 procedimenti definiti nel biennio 44 hanno dato luogo a massime trasmesse al CDC (molti degli altri sono stati definiti nel senso di non luogo a procedere per intervenute dimissioni, pensionamento o uscita dall’Ordinamento giudiziario degli incolpati) e che di questi 44 ben 25 riguardano condotte oggi integranti la violazione dell’art.10 del Codice etico nel suo secondo comma (“Il magistrato che aspiri a promozioni, a trasferimenti, ad assegnazioni di sede e ad incarichi di ogni natura non si adopera al fine di influire impropriamente sulla relativa decisione, né accetta che altri lo facciano in suo favore”) e nel suo terzo comma, (“Il magistrato si astiene da ogni intervento che non corrisponda ad esigenze istituzionali sulle decisioni concernenti promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e conferimento di incarichi”).
[5] Nel Resoconto del Collegio dei probiviri al 3 marzo 2023, a suo tempo trasmesso al Comitato direttivo centrale della ANM, si evidenzia ad esempio “l’esigenza che sia i soci già iscritti sia quelli che si iscriveranno dichiarino espressamente di accettare il trattamento dei dati personali per tutte le finalità indicate nello Statuto e negli altri atti legittimamente posti in essere dall’Associazione anche per l’attività disciplinare”. Nel Resoconto citato sono poi proposte varie ipotesi di modifiche statutarie, in particolare relative all’efficacia delle dimissioni dei soci rispetto al procedimento disciplinare interno e ai rapporti tra organi periferici e centrali al riguardo: modifiche tra le quali figura anche quella del mutamento della denominazione dell’organo di garanzia, oggi includente un “maschile assoluto” del tutto anacronistico.
[6] In questo senso il contributo di L. Ferrajoli “Dieci regole di deontologia giudiziaria, conseguenti alla natura cognitiva della giurisdizione” in L’etica giudiziaria cit.