Magistratura democratica
Magistratura e società

Salvatore Senese, l’associazionismo giudiziario e il Csm

di Edmondo Bruti Liberati
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

Sommario: 1. La “radicale svolta” di Magistratura democratica: rottura della corporazione -2. Il ’68, la strategia della tensione e la stagione delle riforme - 3. Salvatore Senese e Magistratura Democratica - 4. Senese, l’Anm e il Csm - 5. Conclusione

1. La “radicale svolta” di Magistratura democratica: rottura della corporazione

«Il movimento si pone di indirizzare l’attività associativa ad una radicale svolta[1], che la situazione generale del Paese e le aspettative in essa prepotentemente affiorate rivelano ormai matura. Tali aspettative si concretano nella richiesta ognora più pressante di rottura delle strutture istituzionale ereditate da un lontano e tragico passato e nella esigenza di instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione. […] A questa sintesi ideale e a questo significato politico è dunque necessario rifarsi per affermare la nostra piena ed incondizionata fedeltà alla Costituzione. Una fedeltà, tuttavia, che non si enuncia solo a parole, ma che deve essere tradotta in prassi quotidiana nell’esercizio del proprio ministero. […]». 

I passi riportati sono tratti dalla Mozione Costitutiva che Magistratura Democratica, fondata a Bologna il 7 luglio 1964, presenta come programma per le elezioni dell’Associazione Nazionale Magistrati del 1964, le prime che svolgono con il sistema proporzionale[2].

Salvatore Senese, entrato in magistratura il 26 luglio 1960, non è tra i fondatori di Md; all’epoca fa riferimento alla corrente Terzo Potere, un gruppo su posizioni progressiste, particolarmente impegnato sulle riforme di ordinamento giudiziario e sulla abolizione della carriera, guidato da personalità di grande prestigio come Pasquale Emilio Principe e Salvatore Giallombardo.

La “svolta radicale” di MD è nel richiamo alla «esigenza di instaurare la nuova tavola di valori scaturita dalla Resistenza e consacrata nella Costituzione». Tutta la «nuova tavola dei valori», non solo quelli legati all’assetto della magistratura. Il passaggio immediatamente successivo coinvolge tutta la magistratura associata. 

Il XII congresso nazionale dell'Anm si tiene a Gardone dal 25 al 28 settembre 1965; la «radicale svolta» propugnata nella Mozione costitutiva di Magistratura Democratica segna il Congresso, che, nella impostazione, nello svolgimento e nelle conclusioni, è del tutto innovativo rispetto ai precedenti.

La mozione finale del Congresso, approvata all’unanimità, afferma «che spetta […] al giudice, in posizione di imparzialità ed indipendenza nei confronti di ogni organizzazione politica e di ogni centro di potere:1) applicare di­ret­tamente le norme della Costituzione quando ciò sia tecni­camente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) rinviare all'esame della Corte costituzionale, anche d'ufficio, le leggi che non si prestino ad essere ricondotte, nel momento in­ter­pretativo, al dettato costituzionale; 3) interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell'ordinamento giuridico statuale».

Il congresso di Gardone del 1965 segna un punto di non ritorno. Senese lo sottolinea in diversi scritti ricostruttivi di quel momento: si tratta «di far entrare un intero ordine giudiziario in un universo culturale così nuovo come quello che la Costituzione repubblicana postula come condizione del ruolo che essa assegna alla magistratura[3]». 

 

2. Il ’68, la strategia della tensione e la stagione delle riforme

A dispetto della strategia della tensione e dello stragismo (Piazza Fontana 1969, strage della Questura di Milano del 1973 e strage di Brescia del 1974) per la società civile i primi anni '70 sono gli anni di una straordinaria vivacità e di una nuova attenzione dell'opinione pubblica al funzionamento di tutti gli apparati e specialmente della giustizia. A livello istituzionale è la stagione di una serie di riforme, che sanzionano i cambiamenti profondi della società e attribuiscono sempre nuovi compiti alla magistratura, la quale peraltro, in non pochi casi con nuove interpretazioni e nuove prassi, ha aperto la via al legislatore. Un vero e proprio “circolo virtuoso” tra magistratura e Parlamento.

Con intento polemico si parla di “supplenza della magistratura” e di "pretori d'assalto", ma in una valutazione retrospettiva si parla di «espansione, anzi della vera e propria esplosione, del ruolo della giurisprudenza come fattore di adattamento del diritto alle profonde trasformazioni della nostra realtà sociale, trasformazioni senza precedenti e ricche di collegamenti e convergenze internazionali[4]».

Di questa stagione Salvatore Senese è un protagonista. Insieme ad altri prestigiosi esponenti di Terzo Potere, che non condividono la involuzione corporativa del gruppo seguita alla prematura scomparsa di Salvatore Giallombardo, Senese entra in Md nel marzo 1970. 

Del Senese, “pretore d’assalto” cito solo la eccezione di costituzionalità proposta nel 1971 come pretore di Pontasserchio sui criteri di assegnazione dei processi. Si apre un lungo percorso sulla attuazione effettiva del principio del giudice naturale che tra timidezze della Corte Costituzionale, circolari sulle tabelle del Csm approda, come lo stesso Senese scriverà, attraverso un circolo virtuoso che in questa materia si è istituito tra Csm e Parlamento al primo intervento legislativo con l’art. 25 della legge 6 agosto 1982, n. 532 istitutiva del cosiddetto Tribunale della libertà. Senese nel 1982, quale componente del Csm, si troverà a contribuire alla formazione della circolare attuativa di questa legge, in qualche modo suggellando la via che aveva aperto con la sua eccezione del 1971.

 

3. Salvatore Senese e Magistratura Democratica 

Senese, come ho ricordato, aderisce a Magistratura Democratica nel marzo del 1970 e già nel 1971 alla prima assemblea nazionale di Md viene nominato vicepresidente. Sin dai primi numeri è tra i collaboratori più assidui di Quale Giustizia, l’innovativa rivista promossa da Md e diretta da Federico Governatori. 

E’ un protagonista del Convegno ideologico di Pisa del 1971, mentre in Md - egli dirà più tardi con la sua sottile ironia - «si trovava al suo massimo la scapigliatura ideologica[5]». In termini più accademici Luigi Ferrajoli rievocherà «gli innumerevoli equivoci e fraintendimenti che in Italia e più ancora fuori d’Italia, hanno accompagnato la volgarizzazione delle formule “giurisprudenza alternativa” e “uso alternativo del diritto”. La prima formula fu lanciata all’interno di Md nel 1972 e la seconda, non tutti lo ricordano, è il titolo di un paludato accademico convegno che si tenne a Catania nel maggio del 1972[6].

Peraltro Giovanni Tarello, proprio nell’intervento al Convegno di Catania pone l’accento sulle «prassi giurisprudenziali veramente provocatorie della parte più conservatrice della magistratura che, sotto il manto della legge uguale per tutti, si sono sovente risolte in prassi applicative politicamente qualificabili come sovversive di destra: così qualificabili da parte di chiunque (e dico chiunque studioso di diritto) che non si fosse chiuso in casa senza lettura di giornali negli ultimi venti anni e ai ricordi di vecchi manuali scolastici[…] avesse aggiunto qualche lettura ulteriore, e diversa dalle raccolte della giurisprudenza della Suprema Corte[7]».

In uno scritto fondamentale del 1978[8], sul quale ritornerò, Senese si misura con i fraintendimenti cui può dar luogo la formula «giurisprudenza alternativa» e non sottace le «inevitabili ingenuità e spontaneismi» che hanno segnato quella fase di Md. 

Ma quanto fosse distante Senese dalla «scapigliatura ideologica» lo indica il rigore con il quale, proprio in quegli anni, con una comunicazione al XV Congresso nazionale dell’Anm (Torino 1973) tratta il controverso tema della critica dei provvedimenti giudiziari da parte dei magistrati[9]

Con questo primo contributo del 1973 Senese, per così dire, inaugura il suo impegno nell’Anm. 

Nel successivo XVI Congresso, tenuto a Bari nel 1976, Senese, in rappresentanza di Magistratura Democratica, svolge una relazione sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, che costituisce il punto di riferimento del dibattito congressuale[10]. Mi limito a citare uno spunto dalle conclusioni, come indice della sempre praticata problematicità della impostazione di Senese. Dopo aver menzionato «funzione di garanzia, funzione promozionale e funzione di controllo» aggiunge: «La garanzia dalla prevaricazione, dal governo dei giudici, sarà data dal controllo effettivo che su questi eserciterà la comunità; dalla frantumazione del loro potere; dalla loro immersione nella società civile: dal non essere più membri di un corpo separato[11]».

Un anno, dopo all’esito del III Congresso nazionale di Magistratura democratica (Rimini 22-24 aprile 1977) Senese accetta, con un gesto di grande generosità, la segreteria della corrente. Il Congresso è segnato da divisioni profonde sul rapporto con le forze della sinistra, sulla analisi del terrorismo e delle risposte legislative approntate per contrastarlo. Una più matura riflessione sui temi di contrasto consente in breve arco di tempo di raggiungere quella sintesi che al Congresso di Rimini era mancata. Senese svolge un ruolo essenziale in questo processo che viene sanzionato al successivo IV Congresso di Urbino, con la ricomposizione di un quadro largamente unitario e la riconferma di Senese alla segreteria di MD. 

Vi è una successione di date, poco nota, ma estremamente significative. Il 28 aprile 1977, quattro giorni dopo la conclusione del congresso di Rimini Senese è chiamato a svolgere all’Università di Pisa la relazione introduttiva (e le conclusioni) in un seminario su «La magistratura italiana nel sistema politico istituzionale e nell’ordinamento costituzionale», cui intervengono, tra gli altri i professori Ugo Natoli, Giuseppe Pera e Alessandro Pizzorusso[12]

E’ una relazione (all’evidenza frutto di un lavoro di ricerca non improvvisato) che merita di essere riletta per la ricostruzione storica della vicenda della magistratura dall’età liberale, al fascismo e alla democrazia; per l’analisi attenta delle posizioni (anche contraddittorie) assunte dall’Anm; per la sottolineatura della radicale novità rappresentata dal Congresso di Gardone del 1965.

Il carattere della magistratura come “potere diffuso” delineato nella Costituzione è ribadito dall’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1: «La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d’ufficio o sollevata da una delle parti nel corso del giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata è rimessa alla Corte Costituzionale per la sua decisione».

L’attenzione dei commentatori si è appuntata sulla scelta del sistema incidentale «avvenuta, come noto, a Costituzione già entrata in vigore, alle 22.05 del 31 gennaio 1948, e cioè nelle ultime ore dell’ultimo giorno di vita di un’Assemblea costituente ormai stanca, sulla base di un frettoloso compromesso raggiunto dal relatore Costantino mortati con il governo De Gasperi. La legge costituzionale n. 1 del 1948, infatti, affida solo ai giudici la chiave per aprire le porte del giudizio davanti alla Corte costituzionale, escludendo gli altri organi che fino a quel momento erano stati proposti, quali singoli cittadini e la minoranza parlamentare[13]». 

Scarsa attenzione è stata dedicata al fatto di aver attribuito “la chiave del giudizio” di costituzionalità a tutti i giudici e non averla riservata alle magistrature superiori, come pure sarebbe stato possibile e coerente con l’idea, peraltro allora ancora largamente diffusa, della continuità con la organizzazione gerarchica tradizionale. Eppure: «Se non fosse stato per i giudici delle giurisdizioni di merito, ed in particolare delle giurisdizioni di primo grado, la Corte costituzionale avrebbe avuto ben poco da fare! Alcuni dati statistici possono chiarire questo punto: […]. Le percentuali delle questioni rimesse nel primo quindicennio di funzionamento della Corte costituzionale sono così distribuite: 49% preture, 35% Tribunali e Corti di assise, 8% Corti di appello, 2% Cassazione[14]».

La novità dirompente introdotta dalla legge costituzionale n, 1 del 1948 non sfugge a Senese, il quale, già nella Relazione del 1977, a proposito della «legittimazione a sollevare questione di costituzionalità di una legge» rileva che essa «costituisce un notevole potere per i giudici, che in tal modo vengono ad essere investiti di una possibilità di controllo sul contenuto delle leggi che sono chiamati ad applicare; si tratta del maggior potere che ai giudici possa essere accordato[15]».

Sul tema Senese ritornerà in uno scritto successivo: «Per il sistema giudiziario allora in vigore si trattava di una rivoluzione copernicana. Non soltanto la più importante funzione di nomofilachia, cioè quella che attiene alla legittimità costituzionale delle leggi, veniva sottratta alla Corte di cassazione e affidata ad un organo posto fuori del sistema giudiziario, del quale la Cassazione rappresentava il vertice, ma - ciò che più conta - rispetto a tale incisiva funzione […] la Corte di cassazione veniva a partecipare del medesimo potere di attivazione attribuito ad ogni altro giudice e quindi veniva a trovarsi collocata in posizione di parità rispetto ad essi. […] Per altro verso il potere dovere attribuito a ciascun giudice di saggiare la costituzionalità di ogni legge prima di applicarla […] implica una rivoluzione culturale nello stesso rapporto giudice/legge[16]». 

Peraltro ancora nella Relazione del 1977 Senese avverte che pluralismo interpretativo non significa «aprire la strada al più incontrollato soggettivismo[17]».

Nell’agosto 1977 Senese redige la presentazione di un corposo fascicolo speciale di Quale giustizia dedicato a «La disciplina dei magistrati[18]»: «Questo fascicolo di Quale giustizia, dedicato esclusivamente al tema dell’ordinamento disciplinare dei magistrati, consta essenzialmente di una analisi critica degli atti di vari procedimenti disciplinari e del tentativo di ricostruzione del più generale contesto politico-istituzionale, nel quale i procedimenti presi in esame sono nati.[…] Non occorre spendere molte parole per dimostrare che la figura del “buon giudice”, posta a base degli interventi disciplinari, può essere assai diversa e che a ciascuna delle diverse figure di “buon giudice” corrisponde (tendenzialmente certo, non meccanicamente) una produzione giurisprudenziale, diversamente orientata su tutta una gamma di temi[19]».

Nel fascicolo di Quale giustizia vi è una “chicca” verosimilmente proposta da Senese a conclusione della vicenda disciplinare del giudice Dante Troisi per la pubblicazione dello scritto Diario di un giudice. Dopo tutti gli atti della vicenda è pubblicato un contributo che era stato richiesto, si dice, a «un giovane e apprezzato scrittore e studioso di letteratura, Antonio Tabucchi». Il testo dal titolo La Giustizia e la giustizia: Ugo Betti e Dante Troisi propone un grande apprezzamento per il Diario di Troisi e una severa stroncatura del dramma di Betti Corruzione al Palazzo di Giustizia[20].

La mozione finale del Congresso di Urbino del 1979, che riconferma Senese alla segreteria di MD, propone nella conclusione una impostazione agli antipodi di posizioni settarie ed autoreferenziali: «Le medesime linee direttive devono informare la politica di MD nell’ambito della magistratura associata, e su di esse andrà ricercato un confronto con tutti i magistrati che deve estendersi ai problemi della gestione degli uffici giudiziari e nell’ambito del Csm, si da sottrarli a soluzioni corporative e clientelari che ancor oggi costituiscono uno degli ostacoli alla funzionalità democratica dell’amministrazione giudiziaria. MD intende in particolare ricercare nell’ambito di tutta la magistratura un confronto aperto e scevro da preoccupazioni ideologiche e di gruppo per promuovere un impegno professionale nella lotta al terrorismo che si caratterizzi per l’efficacia dell’intervento coercitivo, il risetto del principio di legalità, l’orientamento ideale democratico che lo ispira e lo sostiene[21]».

 

4. Senese, l’Anm e il Csm

L’impegno per la ricerca del confronto nell’ambito della magistratura associata è tanto più rilevante perché in questo momento perdura l’emarginazione di Md dalla dirigenza dell’Anm che si protrae sin dal 1969. Non è dunque un evento imprevisto la formazione, un anno dopo, di una Giunta esecutiva centrale che vede Magistratura Democratica, dopo quasi un decennio in cui era stata relegata all’opposizione, assumere la segreteria generale proprio con Salvatore Senese, mentre alla presidenza è chiamato Adolfo Beria di Argentine. 

La Giunta si trovò ad affrontare una situazione di grave sbandamento della magistratura a seguito della terribile sequenza degli assassini di magistrati ad opera dei terroristi; contribuì ad una gestione razionale del sequestro del magistrato D’Urso che fu infine liberato.

Pochi ricordano che la Giunta Anm degli “intellettuali” Beria e Senese fu quella che ebbe il maggior successo “sindacale” con la normativa sull’adeguamento triennale delle retribuzioni, che sarà decisiva negli anni della inflazione a due cifre. 

Nel 1981 Senese viene eletto al CSM; nel precedente Consiglio, il primo eletto nel 1975 con il sistema proporzionale, Md era stata rappresentata da Marco Ramat e Michele Coiro. L’aumento della delegazione da due a tre, ma soprattutto il mutato clima testimoniato dalla riacquistata legittimazione di Md nell’Anm, comportano l’assunzione di nuove responsabilità. Ora MD in Csm non è relegata e chiusa all’opposizione e non può autolimitarsi ad un ruolo di mera testimonianza. Senese, affrontando non poche incomprensioni anche all’interno di Md, guida questa nuova fase.

Senese acquisisce una posizione di autorevolezza e grazie alla sua capacità di confronto aperto con tutti riesce a dare impulso e a contribuire a molte delle più importanti iniziative di quel Csm. 

Tra le innovazioni più rilevanti il regime di pubblicità delle sedute, le iniziative sulla mafia, la circolare sui pareri dei consigli giudiziari, il parere espresso il 19 settembre 1984 al ddl governativo in tema di Responsabilità disciplinare ed incompatibilità ambientale (relatori Bertoni e Senese)[22]. In quel clima di colloca la sentenza disciplinare 9 febbraio 1983 (estensore W. Zagrebelsky) sui magistrati aderenti alla Loggia P2 e più in generale il maggiore rigore della sezione disciplinare che “riscoprì” la sanzione della rimozione nei confronti di versi magistrati a vario titolo compromessi; nonché l’applicazione del trasferimento d’ufficio a norma dell’art.2 della legge sulle Guarentigie, 

Senese fu tra i promotori nel 1985 di un convegno sui 25 anni del Csm, al quale ottenne la partecipazione di Robert Badinter, ministro della Giustizia sotto la Presidenza Mitterand, il quale era appena riuscito a far abolire la pena di morte in Francia.

Il contributo di Salvatore Senese, che in qualche misura è la conclusione di una analisi proposta due anni, prima costituisce una approfondita e innovativa per certi versi riflessione sul ruolo del Csm.

Nello scritto del 1983[23] Senese aveva proposto la tematica della «Assunzione da parte del Consiglio, di una funzione di orientamento ideale” della magistratura (che non implica alcuna mortificazione, ma, al contrario, pieno riconoscimento dell’indipedenza istituzionale della funzione) in occasione di vicende che turbano l’opinione pubblica […] Il Consiglio superiore è la sede che può rappresentare il punto di riferimento istituzionale deputato a raccogliere le tensioni, i travagli e le elaborazioni della magistratura associata, che può raccordarsi dialetticamente con essa, che può dar voce tra i soggetti politico-istituzionali alla logica dell’istituzione; che di questa può garantire l’indipendenza verso l’esterno, ma anche dagli inquinamenti interni[24]».

 

5. Conclusione

Salvatore Senese in tutte le sue diverse esperienze di “magistrato impegnato” ha mostrato come la fermezza sui valori, l’impegno in un gruppo associativo debba unirsi all’ascolto e al confronto rifuggendo sempre da ogni settarismo e dogmatismo.

Ne è testimonianza l’ultimo intervento pubblico di Senese magistrato (prima della elezione in Parlamento), nell’aprile 1991 al IX Congresso Nazionale di MD ad Alghero. Dopo aver richiamato le «domande di solidarietà, di valorizzazione del soggetto, di eguaglianza sostanziale» che emergono «da una società sommersa rispetto a quella ufficiale […] Il diritto e le norme di rango superiore del nostro ordinamento esprimono le aspirazioni e i bisogni di questa società sommersa. E’ compito allora di tutti i giuristi essere fedeli a questa dimensione assiologica e raccordarla alle istituzioni di garanzia», conclude con indicazioni operative di permanente attualità: «In questo quadro, il discorso sulle alleanze […] trova le proprie coordinate essenziali. Sviluppare queste indicazioni con pazienza verso i colleghi è fra i nostri compiti nell’associazione: la dimensione associativa è una dimensione in cui noi dobbiamo riuscire, attraverso il dialogo a mostrare la fallacia di questo orizzonte autoreferenziale in cui ancora si chiude una parte cospicua dei nostri colleghi. Sviluppare queste indicazioni verso i giuristi, è tra i nostri compiti nei confronti della cultura giuridica. Alimentarle con un’attenzione vigile al sociale, è un nostro compito verso la società[25]».


 
[1] Il corsivo è nel testo originale.

[2] Il documento è pubblicato sulla rivista dell’Anm La Magistratura, n. 9-10, settembre-ottobre 1964.

[3] S. Senese, Le vicende del pluralismo nella magistratura italiana, in Democrazia e diritto n.4-5, 1986, p. 51. 

[4] M. Cappelletti, Giudici legislatori, Giuffrè, Milano 1984, p.1.

[5] S. Senese, La vicenda culturale e politica di Magistratura Democratica, in Giudici e Democrazia, La magistratura progressista nel mutamento istituzionale, a cura di N. Rossi, Quaderni di Questione giustizia, Franco Angeli, Milano 1994, p. 95.

[6] Per una rilettura di quella vicenda vedi ora N. Rossi, Dalla “giurisprudenza alternativa” alle problematiche dell’oggi, relazione presentata all’Università La Sapienza durante la IV Sessione degli incontri di studio su L’uso alternativo del diritto. Il convegno catanese cinquant’anni dopo, intitolata La magistratura e il ruolo del giurista oggi (Roma, 24 marzo 2023), in Questione Giustizia, 11 aprile 2023.

[7] Il testo dell’intervento nel convegno catanese è ripubblicato in G. Tarello, Orientamenti della magistratura e della dottrina sulla funzione politica del giurista-interprete, in Politica del diritto, n-3-4,1972 p.487.

[8] S. Senese, Relazione in Atti del seminario. La magistratura italiana nel sistema politico e nell'ordinamento costituzionale, Giuffrè, Milano1978, p.65.

[9] S. Senese, La critica dei provvedimenti giudiziari da parte dei magistrati, in Giustizia e informazione. Atti del XV Congresso dell’Associazione nazionale magistrati, a cura di N.Lipari, Laterza. Roma-Bari 1975,p 243 ss.

[10] Gli atti del Congresso sono pubblicati in Giustizia e politica delle riforme, a cura di Vittorio Mele, Dedalo Libri, Bari 1978. Vedi la relazione di Senese pp163- 233 e le repliche degli altri relatori, pp. 479- 497.

[11] Ivi, p. 233.

[12] Vedi Atti del seminario. La magistratura italiana nel sistema politico e nell'ordinamento costituzionale cit.            

[13] E. Lamarque, Corte Costituzionale e giudici nell’Italia repubblicana. Nuova stagione, altri episodi, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, pp. 14-15.

[14] M. Capurso, I giudici della Repubblica, Edizioni di Comunità, Milano, 1977, p. 53.

[15] S. Senese, Relazione, cit. p 42.

[16] S. Senese, Le vicende del pluralismo, cit, p.40.

[17] S. Senese, Replica e conclusioni, in Atti del seminario, cit. p. 122.

[18] Quale giustizia, n. 38-39 1977. Il fascicolo è stato redato da Giuseppe Borrè, Pierluigi Onorato, Alessandro Pizzorusso e Salvatore Senese che firma la presentazione pp. 171- 202.

[19] Ivi p. 171 e 172.

[20] Un caso esemplare: Dante Troisi, in Quale giustizia, n. 38-39 1977. pp. 233- 234. Ugo Betti, magistrato dal 1921, pubblica liriche, novelle e soprattutto numerosi testi teatrali. Corruzione al Palazzo di Giustizia rappresentato a Roma il 7 gennaio 1949 è il dramma più famoso che gli procura vari premi, ma anche qualche critica.

[21] Ivi p. 512.

[22] Pubblicato come I Quaderno della Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia, vedi in particolare pp. 55-68. Nel parere, con riferimento ai due principali rilievi critici, si richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale che della nozione di «prestigio dell’ordine giudiziario» aveva offerto una lettura aggiornata come «fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa» (sentenza n. 100/1981) e le garanzie di contraddittorio introdotte già nella consiliatura 1976/1981 e ulteriormente sviluppate (p. 59).

[23] S. Senese, Il Consiglio Superiore della magistratura: difficoltà dell’autogoverno o difficoltà della democrazia?, in Questione giustizia, n. 3/1983, p. 477 ss.

[24] Ivi p. 498 e p. 513.

[25] S. Senese, I giudici e il dovere della politica, in Democrazia in crisi e senso della giurisdizione, a cura di L. Pepino e N. Rossi, Franco Angeli, Milano 1993 p. 80.

25/05/2023
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