Milano, 25 marzo 2019
Sono trascorsi quattro anni da quando assunsi la direzione di Questione Giustizia ed ora è giunto il momento di prendere commiato.
Ogni esperienza deve avere un termine, anche la più coinvolgente ed entusiasmante, e certamente occuparmi di Questione Giustizia è stata per me un’esperienza quante altre mai coinvolgente ed entusiasmante. Ma ora deve concludersi, perché il tempo inevitabilmente induce a ripiegarsi su se stessi ed ad indugiare su percorsi già battuti, laddove invece una Rivista come questa abbisogna più d’ogni altra di rinnovarsi continuamente, di riuscire a guardare al mondo della giustizia con occhi sempre freschi, di saper ritrovare stimoli nuovi e nuove idee che solo chi è ancora attivamente coinvolto nel mondo della giurisdizione, o in attività ad esso strettamente collegate, può essere in grado di percepire con sufficiente immediatezza.
Un aspetto tengo però qui a sottolineare. Se in questi anni Questione Giustizia si è mantenuta all’altezza della sua tradizione, se ha saputo fornire uno sguardo critico, appassionato ma mai settario e partigiano su innumerevoli declinazioni del tema della giustizia, se è riuscita a cogliere con immediatezza gli aspetti salienti delle vicende più significative accadute nel mondo del diritto ed, al tempo stesso, ad analizzare in modo approfondito e completo le diverse sfaccettature dei principali temi di fondo che si agitano in quel mondo; se tutto ciò è vero, il merito va soprattutto a quel gruppo di magistrati che formano il nucleo del Comitato di redazione. Un gruppo che non esito a definire straordinario, per impegno, intelligenza, attenzione agli aspetti giuridico e politico-sociali della realtà che ci circonda; un gruppo che, per adoperare un’espressione ormai un po’ fuori moda ma che qui appare assai appropriata, costituisce un vero modello di intellettuale collettivo. Lavorare con loro in questi anni è stato per me, come già accennavo, un’esperienza davvero coinvolgente ed entusiasmante, e, pur non potendoli in questa sede menzionare nominativamente, desidero esprimere pubblicamente a tutti loro la mia profonda gratitudine.
Ma debbo anche ringraziare Fernanda Torres, ben più di una segretaria di redazione, senza la cui continua, appassionata e generosa dedizione in tutti questi anni la Rivista non sarebbe esistita.
E sono sicurissimo che la Rivista andrà avanti come meglio non potrebbe, essendo ora affidata alla straordinaria intelligenza, sensibilità umana ed esperienza professionale di Nello Rossi, al quale vanno i miei più sinceri ed affettuosi auguri di buon lavoro.
Renato Rordorf