Magistratura democratica
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I «carichi esigibili» tra prospettiva istituzionale e allure sindacale

di Aniello Nappi
già consigliere della Corte di cassazione

Sommario: 1. Antefatti - 2. Prospettive di riforma - 3. Fattori culturali

1. Antefatti

Nell’ambito di una più complessa manovra economica il d.l. 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, dettò all’art. 37 «disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie». In particolare impose ai capi degli uffici giudiziari di redigere entro il 31 gennaio di ogni anno un programma per la gestione dei procedimenti, con la determinazione degli obiettivi di «rendimento dell'ufficio», oltre che di «riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso».

Con specifico riferimento agli obiettivi di rendimento dell’ufficio, si richiese di tener conto dei «carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno».

Ma l’interpretazione del riferimento ai «carichi esigibili» non fu univoca. 

Secondo alcuni la formula “carichi esigibili” assumeva nel contesto della disposizione una funzione meramente descrittiva: individuare (con riferimento a quanto già avvenuto in passato) l’effettiva già sperimentata capacità di rendimento di ciascun magistrato dell’ufficio, per poter disporre di un dato sulla cui base formulare un’attendibile previsione di futuro rendimento complessivo dell’ufficio.

Altri ritenne invece che il CSM dovesse stabilire i criteri per definire il massimo di laboriosità esigibile dai magistrati di ciascun ufficio. Ma senza considerare che già l’art. 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n.160, demanda al CSM di individuare gli standard di rendimento «in relazione agli specifici settori di attività e alle specializzazioni» dei magistrati, al fine di accertarne la «produttività, intesa come numero e qualità degli affari trattati in rapporto alla tipologia degli uffici e alla loro condizione organizzativa e strutturale, ai tempi di smaltimento del lavoro, nonché all’eventuale attività di collaborazione svolta all’interno dell’ufficio».

Sicché, mentre il decreto legge del 2011 fa riferimento alla capacità di lavoro già dimostrata da ciascun magistrato addetto ai diversi uffici, per fondarvi le previsioni di rendimento di quell’ufficio, il decreto legislativo del 2006 fa riferimento agli standard medi di rendimento di tutti i magistrati addetti a un determinato settore di attività e di specializzazione sull’intero territorio nazionale, allo scopo di definire il minimo di laboriosità necessaria per superare le valutazioni periodiche di professionalità.

Questa diversità di interpretazioni del decreto legge del 2011 si manifestò con qualche polemica quando, nella primavera del 2012, il CSM fu chiamato a dettare i criteri per individuare i carichi esigibili di lavoro dei magistrati. 

Al plenum del Consiglio fu infatti avanzata una proposta per cui, nel redigere il programma di gestione, il capo dell’ufficio dovesse fare riferimento «alla media delle produttività anno\giudice nel periodo di tempo considerato»; e potesse contare su «un’area di produttività che si estende dal -25% (arrotondato all’unità) sotto la media, fino al +25% (arrotondato all’unità) sopra la media» aritmetica dei provvedimenti adottati in precedenza. Sicché, se fosse stata uguale a 100 la media aritmetica dei provvedimenti adottati dall’ufficio, non si sarebbe potuto prevedere, e quindi in definitiva richiedere, più di 125, neppure al magistrato che nel periodo precedente avesse prodotto 200.

Se il decreto legge parla di esigibilità alludendo a ciò che l’ufficio si può attendere da ciascun magistrato, in ragione delle sue capacità, la proposta parlava di esigibilità nel senso del massimo che si può pretendere da ciascun magistrato indipendentemente dalle sue capacità.

Dopo una vivace discussione ci si adeguò in definitiva alla relazione tecnica redatta dal prof. Zuliani, ordinario di statistica alla Sapienza e già presidente dell’Istat, che aveva suggerito di indicare solo il limite inferiore di oscillazione rispetto alla media dell’ufficio, «mantenendo quale limite superiore il valore massimo registrato nei quattro anni», perché «i livelli massimi storicamente raggiunti dovrebbero costituire l’obiettivo generale al quale tendere»; e di ridurre al 10 o 15% il limite inferiore di oscillazione, risultando il 25% troppo ampio.

Sicché, con delibera del 2 maggio 2012, venne rimosso il limite massimo alle previsioni di rendimento ammissibili; e venne ridotta al 15% la normale oscillazione, salva l’esigenza di una più specifica giustificazione dei risultati eventualmente inferiori alla media. 

Questa impostazione è stata superata con la «Nuova circolare in materia di programmi di gestione dei procedimenti civili prevista dall'art. 37 D.L. 98/2011», deliberata il 7 dicembre 2016, che ha ripristinato il limite massimo delle previsioni di rendimento, prevedendo «un’area di produttività che si estende dal -15% (arrotondato all’unità) sotto la media, fino al +15% (arrotondato all’unità) sopra la media». E analogamente stabilì per i procedimenti penali una circolare deliberata il 16 ottobre 2019.

Dunque, secondo l’esempio proposto nella stessa circolare, «se in un ufficio vi sono 5 magistrati che definiscono rispettivamente 110, 160, 200, 240 e 290 procedimenti ciascuno, il valore medio delle definizioni è di 200 provvedimenti. In questo caso l’area di produttività si estende tra i valori 170 e 230, pari rispettivamente alla media meno il 15% e alla media più il 15%». 

Dai magistrati capaci di una produttività pari a 240 o a 290 procedimenti chiusi in un anno non ci si potrà pertanto attendere una produttività superiore a 230 procedimenti per anno.

 

2. Prospettive di riforma

In realtà, come chiariscono le stesse circolari del CSM, occorrerebbe tener conto « della obiettiva capacità di lavoro sostenibile dal singolo magistrato nella concreta realtà dell’ufficio (carico esigibile)», e ottenere, «attraverso il meccanismo di adattamento costituito dal cd. “range di produttività”, la fissazione di carichi indicativi di lavoro adattabili a ciascun magistrato dell’ufficio». Occorrerebbe quindi definire per ciascun magistrato il suo specifico range di produttività, sulla base dell’esperienza pregressa.

Nella stessa delibera del 2 maggio 2012 la rimozione del limite massimo alle previsioni di rendimento ammissibili era appunto funzionale al riferimento alla produttività effettiva di ciascun magistrato.

Il procedimento successivamente proposto dalle circolari del CSM definisce invece il range di produttività solo con riferimento a una media aritmetica complessiva, che oscura le produttività individuali.

Come spesso accade al CSM, la prassi contraddice la enunciazioni programmatiche: la prospettiva sindacale finisce per prevalere su quella istituzionale.

Anche per questa ragione la Commissione Luciani, istituita per suggerire emendamenti al disegno di legge A.C. 2681 presentato dal ministro Bonafede, aveva proposto di eliminare il riferimento ai carichi esigibili e di sostituirlo con un riferimento ai «risultati attesi in ragione dei dati relativi al quadriennio precedente» per ciascun magistrato.

Per la precisione il testo originario dell’art. 37 d.l. n.98 del 2011 prescrive di determinare «gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno». 

Il testo proposto dalla Commissione Luciani avrebbe richiesto di determinare «gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, con l’indicazione per ciascun magistrato o per ciascuna sezione dei risultati attesi in ragione dei dati relativi al triennio precedente».

Questa impostazione era stata pienamente recepita dal Governo, che vi aveva aggiunto solo un riferimento anche all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240, relativo alle competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari.

In Parlamento però si è ritornati al punto di partenza. 

Infatti il riferimento ai carichi esigibili è stato ripristinato in Commissione giustizia grazie a un emendamento dell’on. Giusi Bartolozzi, magistrata in aspettativa per mandato parlamentare, eletta con Forza Italia e ora nel gruppo misto della Camera dei deputati.

Sicché il testo approvato dalla Camera dei deputati prescrive ora di determinare gli obiettivi di rendimento dell’ufficio «con l’indicazione, per ciascuna sezione o, in mancanza, per ciascun magistrato, dei risultati attesi sulla base dell’accertamento dei dati relativi al quadriennio precedente e di quanto indicato nel programma di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240, e, comunque, nei limiti dei carichi esigibili di lavoro individuati dai competenti organi di autogoverno».

 

3. Fattori culturali

Non è senza significato che si debba a un magistrato il ripristino del limite dei carichi esigibili.

Infatti la formula “carichi esigibili” evoca le posizioni più marcatamente sindacali e corporative dell’associazionismo in magistratura, perché definisce il criterio del limite massimo di impegno che si può pretendere dal “lavoratore” magistrato.

Tuttavia la sindacalizzazione delle correnti dell’ANM non spiega da sola questa vicenda.

A parte l’inequivocabile allure da rivendicazione sindacale, infatti, nella cultura della magistratura associata è giustamente rivendicato come patrimonio comune l’abolizione della carriera, la prospettiva costituzionale del rifiuto di ogni gerarchia tra i magistrati, che non devono essere condizionati da «speranze o timori» («sine spe ac metu»). 

In questo contesto culturale si ritiene però indispensabile evitare accuratamente che si diano occasioni per distinzioni e comparazioni tra i magistrati sul piano del lavoro giudiziario. 

Ed è probabilmente questa impostazione che può dunque spiegare perché il CSM, pur riconoscendo che il carico esigibile va definito con riferimento alla capacità di lavoro dal singolo magistrato, si sottragga però al confronto tra le produttività individuali, ancorandosi a un’astratta media aritmetica complessiva.

La rinuncia alle comparazioni non esime però dall’esigenza della selezione dei magistrati da destinare a incarichi più o meno ambiti.

L’ANM si è ripetutamente pronunciata contro il carrierismo, proclamando di credere in una magistratura che si distingue solo per funzioni. Eppure l’aspirazione a questi incarichi è considerata fondamentale nella vita professionale dei magistrati.

Si continua così a privare il CSM di dati e informazioni da valutare quando si tratta di conferire incarichi ambiti, lasciando che prevalgano le possibili referenze sindacali e comunque le appartenenze.

E’ ovvio infatti che i magistrati impegnati nel sindacato siano contigui a quelli che decidono l’assegnazione degli incarichi. Quando questa contiguità era programmatica, non c’era problema; ora con la sindacalizzazione delle correnti dell’ANM è questa specifica professionalità che viene premiata.

La competitività tra magistrati si è così trasferita sul piano dell’impegno sindacale: è in questo contesto che si coltivano le speranze, se non i timori, vanificando l’ideale originario del magistrato sine spe ac metu

Ed è qui che nasce il carrierismo, fondatamente denunciato come causa della crisi istituzionale della magistratura, anche perché per l’aggiudicazione degli incarichi più contesi non sempre è sufficiente l’appartenenza all’una o all’altra corrente dell’ANM. Sempre più frequentemente è il “merito sindacale” il titolo decisivo che premia l’ambizione dei concorrenti, nel rispetto di un peculiare cursus honorum.

La conclusione da trarre è inequivocabile.

L’esempio dei carichi esigibili dimostra ancora una volta che l’attuale grave crisi non potrà essere arrestata se la magistratura non sarà in grado di acquisire nuovamente una prospettiva istituzionale, superando decisamente l’attuale autorappresentazione corporativa. 

Nessun processo riformatore potrà dare risultati effettivi, senza un riscatto culturale della magistratura.

03/05/2022
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05/11/2025
The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

27/10/2025
Persona, comunità, Stato alla luce della riforma Meloni-Nordio

Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima. 

22/10/2025
L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025