1. La sentenza, che si annota[1], merita attenzione perché affronta, fra l'altro, la questione se la presenza, all'interno di un computer, di file temporanei di Internet, di tipo pedopornografico, salvati automaticamente nella cache durante la navigazione nel Web, possa integrare il delitto previsto dall'art. 600-quater del Codice Penale.
La sentenza diventa, così, lo spunto per verificare se, in merito a questa delicata e importante questione, l'orientamento della Corte Suprema possa ritenersi univoco.
2. Il caso è il seguente.
L'imputato ricorre contro la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Catania, che aveva confermato quella del Tribunale di Siracusa di condanna del ricorrente, in ordine al reato di cui all'art. 600-quater c.p., per essersi procurato e aver detenuto, consapevolmente e volontariamente, materiale pornografico realizzato mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto.
I Giudici del merito erano pervenuti ad un giudizio di colpevolezza in quanto era stata accertata nel computer dell'imputato la presenza di due file video, scaricati dalla rete tramite il programma Emule, e di nove file immagine, allocati tra i file temporanei di Internet, di natura pedopornografica.
Con il proprio atto di gravame, il ricorrente solleva due motivi.
Con il primo, l'imputato censura la carenza dell'impianto motivazionale della sentenza impugnata.
In particolare, con riferimento ai due file video, scaricati attraverso l'utilizzo del programma Emule, il ricorrente critica i Giudici del merito per avere dedotto che tali file fossero detenuti in modo consapevole, essendo stati “denominati in maniera inequivocabile”, atteso che nella sentenza impugnata non veniva chiarito quale fosse stata “la inequivocabile denominazione che avrebbe consentito di attribuire al materiale scaricato un contenuto pedopornografico”.
Inoltre, il ricorrente osserva che non è stato accertato se i due file video, scaricati dalla rete, fossero stati mai aperti e visionati e se l'imputato disponesse dei codec necessari per aprirli; dunque, poteva non escludersi che l'imputato avesse salvato i file video incriminati, ignorandone il contenuto.
Con riferimento ai nove file immagine, collocati tra i file temporanei di Internet, il ricorrente evidenzia che tali file non potevano essere detenuti volontariamente, dal momento che essi vengono salvati in automatico dal computer in occasione della navigazione in Internet.
Con il secondo motivo, invece, l'imputato censura l'eccessività della pena in rapporto all'episodicità del fatto, al numero esiguo dei file rinvenuti e alle particolari modalità di acquisizione degli stessi
La Suprema Corte accoglie il ricorso, ritenendo fondato il primo motivo, con cui la difesa ha lamentato la carenza della motivazione in relazione alla prova della consapevolezza e della volontà in capo all'imputato di detenere i file pedopornografici, “non essendosi accertato da un lato se i due file video rinvenuti nel computer fossero stati effettivamente aperti e visionati … ed essendo invece emerso, dall'altro, quanto ai nove file immagine, la collocazione degli stessi nella cartella dei file temporanei”.
I Giudici di legittimità, pertanto, cassano la sentenza impugnata, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello per un nuovo giudizio.
3. Ciò premesso, la parte della sentenza, su cui è interessante soffermarsi, è quella relativa ai nove file immagine, trovati tra i cosiddetti Internet temporary files.
In merito a questi file, come sopra si è visto, la difesa ha osservato che essi erano stati automaticamente salvati dal computer “in occasione di visite di siti Internet”; dunque, andava escluso che l'imputato volesse, consapevolmente e volontariamente, procurarseli.
La Suprema Corte mostra di condividere l'assunto della difesa, tant'è che, al riguardo, scrive testualmente: “Quanto poi ai nove file immagine, incontrovertibilmente mai salvati nel computer essendo risultata la loro allocazione unicamente negli Internet temporary files, la sentenza, nell'equiparare la mera visione dei file alla loro detenzione, si è limitata a fare riferimento all'assunto secondo cui la visione implicherebbe, per ciò solo, la disponibilità degli stessi e dunque l'integrazione del reato”.
Queste ultime parole costituiscono il punto nodale della questione, che costituisce l'oggetto di questa breve nota, perché possono aiutare a stabilire se la semplice visione di immagini pedopornografiche, contenute in un sito Internet, sia sufficiente ad integrare il reato di cui all'art. 600-quater c.p.
Diventa essenziale, allora, rievocare alcuni degli arresti della Corte Suprema, che hanno trattato, da vicino, questa problematica.
Già con la sentenza n. 39282 del 21 settembre 2005, la Suprema Corte ha escluso che possa rilevare, sul piano penale, la “mera consultazione via internet di siti per pedofili senza registrazione di dati su disco”[2].
Anche con la sentenza n. 43189 del 9 ottobre 2008, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un imputato che non si era “limitato a consultare via internet materiale pedopornografico”,ma lo aveva acquistato scaricandolo e conservandolo sul proprio computer[3].
Analogamente, con la sentenza n. 3194 del 16 ottobre 2008, i Giudici di legittimità hanno respinto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica contro una decisione di non luogo a procedere, emessa all'esito di un'udienza preliminare, in considerazione del fatto che “l'imputato non aveva compiuto alcuna attività di archiviazione di materiale pedopornografico. Era stata infatti rilevata solo la presenza di un collegamento ad una pagina verosimilmente pedo … Era stato inoltre accertato che la detenzione dell'immagine era sicuramente involontaria dato che si trovava nella cache (download involontario durante la navigazione) e non in cartelle riempite con tale materiale coscientemente”[4].
Egualmente, con la sentenza n. 5143 del 29 novembre 2012, i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso di un imputato che non si era limitato a visitare i siti pedopornografici, ma, oltre a salvarli tra i preferiti, “provvedeva anche a salvare su cassetta il contenuto dei siti visitati e/o a effettuare videoriprese di esso”[5].
Per contro, però, due arresti parrebbero essere di diverso avviso.
Il primo è dato dalla sentenza n. 43246 dell'11 novembre 2010, con cui la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un imputato, che era stato condannato perché nella cartella dei file temporanei erano state trovate numerose immagini pedopornografiche[6].
Definendo il caso, la Suprema Corte, dopo avere precisato che i file temporanei di Internet contengono “quelle parti di pagina (immagini disegni grafici etc.) appartenenti a siti visitati e che vengono ad essere memorizzate per essere utilizzate in caso di accesso alla stessa pagina in momenti successivi, onde poter velocizzare la visualizzazione della pagina stessa”, conclude affermando che, correttamente, i Giudici del merito avevano ritenuto che “il materiale pedopornografico in questione venisse detenuto (i files potevano essere, infatti, in qualsiasi momento richiamati in visione, anche da parte di un utente non particolarmente esperto”.
Il secondo arresto è dato dalla sentenza n. 24345 del 21 aprile 2015, con cui la Suprema Corte ha respinto il ricorso di un imputato, che, all'interno della cartella dei file temporanei di Internet, aveva file immagine di natura pedopornografica[7].
In questo caso i Giudici di legittimità hanno ritenuto sussistente il reato di cui all'art. 600-quater c.p. in quanto i suddetti file, venendo memorizzati per essere utilizzati in caso di accesso alle stesse pagine in momenti successivi, di fatto potevano essere, in qualsiasi momento, richiamati in visione dall'imputato.
4. Se questo è lo stato della giurisprudenza di legittimità, seppure sinteticamente tracciato senza alcuna pretesa di completezza, è possibile trarre alcune conclusioni, allo scopo di valutare se, all'interno della giurisprudenza del massimo organo nomofilattico, si stia profilando un possibile contrasto di opinioni sull'argomento.
Scendendo più nel dettaglio.
Il primo comma dell'art. 600-quater c.p. punisce “chiunque … consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto”.
Limitandoci al mondo del Web, il soggetto attivo del reato si procura il materiale pedopornografico, scaricandolo da Internet; in questo modo il file, oggetto del download, viene trasferito dal sito visitato al computer dell'agente[8].
Il soggetto attivo del reato, invece, detiene il materiale pedopornografico, nel momento in cui, dopo averlo scaricato, instaura con esso un rapporto materiale diretto, non importa se di breve o di lunga durata[9].
Ovviamente il soggetto attivo di questo delitto deve porre in essere le due sopra specificate condotte in modo volontario e consapevole.
Delineati in questi termini i profili strutturali del reato, può essere agevole partire da un dato, che non pare essere stato messo in discussione dalla Suprema Corte e, cioè, che, nel nostro ordinamento, il semplice collegamento a siti pedopornografici non ha alcuna rilevanza penale[10].
La navigazione potrebbe avere conseguenze, sul piano penale, soltanto nel caso in cui, in concomitanza con i collegamenti ai siti proibiti, si vengano a generare in automatico dei file temporanei di Internet, di natura pedopornografica, nella memoria cache del computer.
Come sopra si è potuto notare, però, nella breve carrellata delle decisioni più significative che hanno affrontato la problematica, in quest'ultimo caso i Giudici di legittimità, adottando una soluzione pienamente condivisibile, sembrano maggiormente orientati ad escludere l'elemento soggettivo del reato, in quanto i file illeciti vengono dalla macchina salvati automaticamente, al di fuori di ogni controllo dell'utente.
Invero, per rispondere del reato di cui all'art. 600-quater c.p., è necessario agire con la precisa intenzione di procacciarsi il materiale pedopornografico.
Ora chi si limita a consultare online pagine pedopornografiche può non essere animato dall'intenzione di scaricare dai siti visionati le immagini illegali ivi contenute.
Presumere tale volontà dalla presenza nel computer di file, che costituiscono il prodotto di salvataggi automatici, costituisce una forzatura inaccettabile[11].
Tanto più se, poi, risulta che l'utente del computer provvede a ripulire la cache da tutte le immagini depositatisi durante la navigazione, a riprova che il suo intento era semmai quello di navigare e/o consultare i siti pedopornografici e non certo di scaricare da essi file, che la legge vieta severamente di procurarsi o detenere.
In questo senso, non possono essere condivise le due decisioni, sopra richiamate, n. 43246/10 e n. 24345/15, che paiono dedurre l'estremo della consapevolezza, richiesto espressamente dall'art. 600-quater c.p., dalla mera presenza di file temporanei di Internet pedopornografici nella cache del computer, formatisi in occasione dei collegamenti ai siti per pedofili.
Ciò, infatti, porterebbe ad equiparare, nella sostanza, come bene risulta dal testo della sentenza qui annotata, la mera visione dei file pedopornografici alla loro detenzione, in quanto “la visione implicherebbe, per ciò solo, la disponibilità degli stessi e dunque l'integrazione del reato”.
Poiché non si può escludere che su questo punto potrebbe sorgere, in futuro, un contrasto giurisprudenziale, sarebbe auspicabile l'intervento risolutore a Sezioni Unite dei Giudici di legittimità per sgombrare, fin da subito e definitivamente, il campo da ogni dubbio.
[1] La sentenza è consultabile in www.iusexplorer.it.
[2] La sentenza, depositata il 26 ottobre 2005, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Papadia, Est. Squassoni ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[3] La sentenza, depositata il 19 novembre 2008, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Lupo, Est. Petti, ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[4] La sentenza, depositata il 23 gennaio 2009, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Altieri, Est. Franco, ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[5] La sentenza, depositata l'1 febbraio 2013, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Fiale, Est. Sarno, ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[6] La sentenza, depositata il 6 dicembre 2010, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Petti, Est. Amoresano, ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[7] La sentenza, depositata l'8 giugno 2015, è stata emessa dalla Terza Sezione Penale della Cassazione, Presidente Squassoni, Est. Mengoni ed è consultabile in www.iusexplorer.it.
[8] Nel libro intitolato Informatica di base, a cura di Dennis P. Curtin, Kim Foley, Kunal Sen e Cathleen Morin, Quarta edizione, McGraw-Hill, 118, si legge: “Le operazioni di trasferimento dei file tra computer vengono indicate con i termini caricare (upload) e scaricare (download), che specificano in che direzione si muovono i file. Caricare un file significa infatti spedirlo a un altro elaboratore, mentre scaricarlo vuol dire trasferirlo da un altro computer al nostro”.
[9] G. Fiandaca e E. Musco osservano che “il detenere … presuppone l'esistenza di un vincolo materiale con gli oggetti pornografici”, in Diritto penale, Parte speciale, Volume II, tomo primo, I delitti contro la persona, Terza edizione, Zanichelli Editore, 176.
[10] Anche la migliore Dottrina è d'accordo. Secondo A. Cadoppi, ad esempio, reprimere la semplice consultazione via Internet di siti per pedofili significherebbe punire “davvero qualcosa che, se non è il puro pensiero, ad esso si avvicina non poco”, in Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, Seconda edizione, Cedam, 581; secondo F. Mantovani “la presente fattispecie non sembra consentire di comprendere in essa anche i fatti, pur deprecabili, di consultazione via Internet di siti per pedofili senza registrazione dei dati su disco o collocazione in memoria”, in Diritto Penale, Parte speciale I, Delitti contro la persona, Terza edizione, Cedam, 470.
[11] Su questo specifico punto, V. S. Destito, G. Dezzani e C. Santoriello hanno osservato che “la mera presenza sul personal computer di files temporanei, riportanti ad esempio immagini pedopornografiche, non è sufficiente ad attestare il fatto che il singolo abbia volontariamente navigato su un sito pedofilo ed abbia scientemente richiesto di scaricare tali dati, posto che i predetti files temporanei potrebbero essere la mera traccia, residuata sulla macchina informatica, di pagine WEB senza - se non addirittura contro – la volontà dell'utilizzatore del computer”, in Il diritto penale delle nuove tecnologie, Cedam 2007, 22.