Magistratura democratica
Magistratura e società

Il carcere negli occhi degli studenti

L'incontro tra i detenuti della casa circondariale di Bergamo e la classe quarta del liceo Mascheroni
In attuazione della carta di intenti sottoscritta il 5 febbraio 2015 dall’Associazione Nazionale Magistrati, dal MIUR e da altre Istituzioni, la sezione dell’Anm di Bergamo ha intrapreso con le Scuole cittadine molti progetti mirati allo sviluppo della cultura della legalità e della responsabilità.

Nell’ambito della collaborazione attiva esistente da qualche anno tra la magistratura bergamasca ed il Liceo Scientifico Lorenzo Mascheroni è stato in particolare attuato, nell’anno scolastico 2015-2016, il progetto: “La Costituzione ci parla e ci traccia un percorso”.

Undici classe hanno adottato un articolo della Costituzione ed hanno elaborato intorno allo stesso una riflessione, che è stata presentata nella giornata conclusiva del progetto svoltasi il 9 maggio 2016 con la presenza di Gherardo Colombo.

La classe 4 B, che ha lavorato sui principi sottesi all’art. 27 della Costituzione, a conclusione del proprio lavoro, ha avuto l’opportunità di fare ingresso nella Casa Circondariale di Bergamo, accompagnata dalle professoresse Marisa Bellini e Patrizia Mastini che hanno coordinato e guidato con passione e competenza la riflessione dei loro studenti e delle loro studentesse.

Né è scaturita una ulteriore occasione di crescita ben espressa nell’elaborato che la classe ha redatto dopo la visita alla Casa Circondariale ed all’incontro con alcuni detenuti, che rappresenta la testimonianza più immediata del valore insito nel progetto sulla legalità e sulla cittadinanza attiva che l’Anm sezione di Bergamo e il Liceo Mascheroni hanno attuato.

Un progetto che rappresenta un contributo concreto all’acquisizione di conoscenza, competenze e atteggiamenti che siano di sostegno ai giovani per diventare cittadini e cittadine consapevoli del valore della legalità, della democrazia e dei principi costituzionali. 

Le riflessioni e le emozioni che le studentesse e gli studenti hanno espresso sono una “boccata di ossigeno” importante in quel difficile dibattito che a tutti i livelli accompagna il tema della pena tra retribuzione e rieducazione.

Ezia Maccora 

 

Lunedì 30 maggio 2016, una giornata grigia e piovosa. Sono da poco passate le 13 e un gruppo di ragazzi si trova ad aspettare l’autobus vicino al carcere di via Gleno. I ragazzi sono silenziosi; sono visibili loro volti tracce di commozione.

Sono appena usciti dai cancelli della Casa circondariale e il loro silenzio dice molto sui loro stati d’animo. In classe il giorno dopo invece le voci si incrociano e accavallano:

È stata un’esperienza straordinaria. È valsa di più questa visita che un anno di scuola. Tutti gli studenti dovrebbero visitare il Carcere.

Si sa, gli adolescenti sono per loro natura e fortuna un po’ dogmatici e drastici nei loro giudizi. Certo è che questa esperienza li ha toccati profondamente.

Questi ragazzi avevano condotto una ricerca sull’art. 27 della nostra Costituzione, il cui Comma terzo riguarda proprio il ruolo della pena.

L’articolo 27 sottolinea che le pene non possono essere disumane e devono avere un fine rieducativo.

La ricerca condotta con entusiasmo e passione ha permesso di acquisire informazioni e conoscenze importanti, però il contatto diretto con la struttura carceraria e l’incontro con i detenuti ha dato loro la possibilità di tramutare queste conoscenze astratte in una significativa crescita personale.

Soltanto entrando nella Casa Circondariale di Bergamo e parlando con persone che hanno vissuto sulla loro pelle la realtà del carcere, mi sono davvero resa conto di quanto sia importante la rieducazione, e che non si tratta soltanto di discorsi teorici, ma di qualcosa che si può mettere in atto con esito positivo.(Giulia)

Ricorrente nelle riflessioni dei ragazzi è stato il tema del pregiudizio.  

Carcere, una parola, mille pregiudizi: il timore era molto prima di entrare, agitazione, tremolio, paura che piano piano sono andati scemando. (Eric)

Nel mio caso sono entrato con molti pregiudizi, credendo che il carcere fosse davvero un luogo diverso da quello che realmente è. (Giovanni)

L’esperienza di visita in questo carcere è stata senz’altro necessaria per sfatare alcuni falsi miti riguardo al sistema di reclusione italiano, spesso demonizzato e stereotipato dai media. (Davide)

Dell’esperienza relativa al carcere mi ha colpito la duplice natura del carcere, una doppia faccia che non mi aspettavo e che ha scardinato molti dei miei pregiudizi riguardanti sia l’ambiente carcerario che i detenuti. Ho trovato il carcere come luogo di pena e quindi di dolore, di sofferenza psicologica e tristezza, ma anche un carcere come luogo di compassione. (Luigi)

Prima di questa visita credevo in molte delle dicerie sulle carceri, ma dopo questa esperienza ho potuto fare una riflessione e smentirle tutte. (Chiara)

L’attenzione dei media e di conseguenza dei cittadini è sempre concentrata sul delitto in sé ; alla chiusura delle porte del carcere nessuno presta più attenzione al condannato. (Marta)

Tutti gli studenti hanno dichiarato il loro apprezzamento e gratitudine a chi ha permesso loro la visita e a chi li ha condotti e guidati nella stessa.

È stato però l’incontro con quattro detenuti, i loro racconti, le loro parole che hanno smosso nel profondo i ragazzi.

Abbiamo avuto la preziosa occasione di conoscere quattro detenuti della Casa di Reclusione e di ascoltare le loro storie. Erano tutti molto gentili con noi e disponibili a chiarire tutti i nostri dubbi, un atteggiamento che forse non ci si aspetterebbe. I loro discorsi sono stati toccanti, in alcuni punti molto commoventi. Ci hanno raccontato di come hanno preso atto del proprio errore e di come si sono saputi rialzare dopo le loro cadute e hanno ricominciato a vivere. (Giulia)

Un senso di forte umanità è poi completamente emerso durante la conversazione con i quattro detenuti che si sono mostrati molto disponibili, emozionati, ma soprattutto consapevoli del loro errore. (Matteo)

Sentendo parlare … della propria famiglia mi ha fatto riflettere su come certe cose che sono fondamentali nella vita di una persona, sono date per scontate da noi che le abbiamo a portata di mano tutti i giorni. Quando si è rinchiusi lì, anche i fatti più insignificanti e banali, come ricevere l’ennesima telefonata dalla madre o mettersi sul divano con i figli che bisticciano, mancano a una persona. Mentre parlava di questo ho provato ad immaginarmi chiusa in una cella. I giorni passano e ogni giorno si ripete uguale a quello prima, intanto fuori da quelle quattro mura il mondo va avanti, tutto continua a cambiare e tu sei a pochi passi da tutto questo. (Sveva)

I detenuti con cui abbiamo avuto l’occasione di parlare, con le loro storie a tratti commoventi, mi hanno fatto capire che a volte determinate scelte vengono fatte per ciò a cui si tiene, in particolare per la famiglia. Pertanto, sebbene spesso consideriamo i detenuti come delle persone irrecuperabili a causa dei pregiudizi inculcatici dalla società, dobbiamo capire che sono esattamente come noi: tutti possono sbagliare e tutti devono avere la possibilità di rimediare ai propri errori, se hanno un motivo per farlo e la forza di volontà necessaria. (Aurora)

Il momento centrale della visita è stato in maniera indiscussa l’incontro con l’anima del carcere: le persone, con cui abbiamo discusso, si sono rivelate profonde e assai più lucide di tante altre in libertà. A differenza di ciò che mi sarei aspettato la fiducia che questi internati ripongono nella giustizia è incredibile; la loro speranza e determinazione mi hanno dato occasione di riflettere su quello che ho intorno a me ogni giorno. Grazie detenuti! (Giovanni)

Gli studenti, oltre all’incontro con le quattro persone che stanno scontando la loro pena, hanno potuto visitare la struttura carceraria, entrare in contatto con gli operatori che vi lavorano, conoscere le attività organizzate, capire come si svolge mediamente la giornata di un recluso.

Così Luigi commenta: Mi aspettavo il carcere come luogo di segregazione e allontanamento dalla società, ma sono stati riportati molti esempi di guardie carcerarie e di volontari che per il solo “amore verso il prossimo” si impegnano con passione per migliorare, con il proprio piccolo o grande contributo, la vita dei detenuti.

Scrive Alberto: Personalmente mi è venuta la pelle d’oca.

Visitando la struttura siamo passati davanti ai bracci dell’Istituto in cui in cui ci sono le stanze aperte degli imputati, tra noi e loro c’erano comunque le sbarre.

Alcuni miei compagni facevano battute, altri chiacchieravano, altri cercavano di evitare i visi dei detenuti guardando a terra: ogni cosa pur di fuggire l’enorme peso della realtà. All’improvviso siamo stati catapultati in una parte del mondo non troppo bella, quella che conosciamo ma a cui preferiamo non far caso.

Il nostro quotidiano è stato stravolto da quei volti incuriositi e malinconici dietro le sbarre.

Questa esperienza, anche se di poche ore, ha permesso ai ragazzi di avvicinarsi al percorso educativo che i detenuti possono intraprendere: ha fatto capire loro che il pentimento e il recupero sono possibili. Le persone, ogni persona - a partire da ognuno di noi - può cambiare.

Ma ha anche fatto sì che espressioni come responsabilità, libertà si siano riempite di senso e di speranza.

Ascoltiamo ancora le parole dei ragazzi.

Pentimento. Pentimento e redenzione: questo è lo scopo del carcere in Italia. Moltissime persone oggi contestano questa idea dicendo che non funziona ma quell’incontro, dove un gruppo di ragazzi ha ascoltato l’esperienza di persone che hanno sbagliato, dimostra il contrario, dimostra l’esistenza della rieducazione, rieducazione che è capace di annullare la colpa e ridare la libertà.

Proprio il desiderio di libertà era il sentimento che più si avvertiva. Infatti tutti coloro con cui abbiamo parlato davano l’impressione di aver smesso di tornare al passato e di guardare al futuro e ciò mi ha insegnato che anche chi ha sbagliato molto può tornare alla giusta via. (Eric)

Quando vieni accompagnato dalle guardie nella tua cella all’interno della Casa di Reclusione, puoi seguire due strade. Puoi semplicemente rassegnarti alla tua condizione di prigioniero, vivere ogni giorno allo stesso modo sentendo il peso del tuo reato gravare sulle tue spalle, lasciarti scivolare addosso ogni occasione di riscattarti scontando semplicemente la tua pena in attesa di uscire di nuovo. Per alcuni può sembrare la cosa più facile e forse anche la più giusta da fare, ma restare chiusi dentro se stessi soffrendo per anni per la mancata libertà non è la soluzione.

Tutti e quattro i detenuti con cui abbiamo parlato hanno scelto di intraprendere la seconda delle due strade, ovvero quella della rieducazione. Non hanno voluto arrendersi, perché sapevano che, mentre in carcere il tempo è come se si fermasse, fuori da quelle mura c’era un mondo che andava avanti, un mondo disposto ad offrire loro una seconda chance, se solo avessero avuto la forza di riscattarsi. (Giulia)

Il carcere deve formare, anzi riformare, e non distruggere. Le persone incontrate mi hanno dato una grande lezione, cioè quella di poter ricominciare una nuova vita, sempre però ricordando gli errori commessi per non ripeterli. (Nicolò)

I detenuti erano solari, simpatici, diligenti: i pregiudizi che li ritraevano come criminali si sono disciolti per lasciare posto ad altre sensazioni positive. “Non dobbiamo lasciarci andare anche se si è in carcere! Bisogna essere solidali ed amare tutti!” diceva un detenuto “Io studio per garantirmi un futuro!” diceva l’altro.(Eric)

È stato interessante conoscere le storie piene di speranza di alcuni carcerati, che grazie allo sforzo loro e dello Stato, sono avviati ad una vita rinnovata nel mondo esterno. Tutto questo è un’ ottima esemplificazione della possibilità di redimersi e di riparare ai propri errori. (Davide)

I quattro detenuti che abbiamo avuto modo di conoscere stanno cercando di dare una svolta alla loro vita, di migliorare. Questo loro comportamento mi ha fatto capire che le persone possono cambiare, ma solo a condizione che siano loro a volerlo veramente. (Alice)

Mi ha profondamente interessato il discorso riguardo l’utilità e la funzione rieducativa delle carceri. Tutti e quattro i detenuti hanno affermato di aver compreso il proprio errore soprattutto grazie alla struttura penitenziaria ed alle persone che ci lavorano, sottolineando comunque quanto sia importante la volontà di cambiare di ogni singolo carcerato.

Ed è proprio questo il secondo discorso che mi ha colpito: essi hanno detto che questa volontà di cambiare e di tornare alla libertà è dovuta soprattutto ad un’”ancora di salvataggio” all’esterno, che solitamente è la famiglia, ma che talvolta potrebbe essere anche il lavoro. (Matteo)

Le quattro persone che abbiamo incontrato sono pentite e consapevoli di aver sbagliato; cercano in tutti i modi di vivere l’esperienza della prigionia al meglio (per quanto possibile) per non errare più una volta liberi. Il nord della loro bussola, il motivo per cui ognuno di loro ha deciso di impegnarsi in questo difficile percorso, è la famiglia.  È stata un’ulteriore conferma del fatto che quando ci si vuole bene si possono raccogliere i pezzi e insieme ricostruire ciò che sembrava essere stato infranto irrimediabilmente: nessuno di loro è stato abbandonato dai propri cari. (Liliana)

Prima di entrare in carcere ero incerta sull’efficacia della rieducazione ma ora credo che essa sia possibile per coloro che vogliono costruirsi una nuova vita ed hanno un motivo per uscire.

Ma nella parte finale dopo aver incontrato i quattro detenuti, ho capito che, nonostante i loro errori, sono persone come noi che scontano la loro pena per ricominciare una nuova vita, una vita pulita, senza sbagli, una vita “normale “. (Martina)

I quattro detenuti con i quali abbiamo parlato sono la prova evidente che nella vita si può sbagliare, ma ci si può anche pentire e ricominciare da capo: tutti meritano una seconda possibilità. (Eleonora)

Abbiamo avuto la dimostrazione che chiunque, qualunque sia stata l’azione commessa, può cambiare e migliorarsi: ciascuna delle persone con le quali abbiamo parlato ha deciso di dare una svolta alla propria vita, spinti dagli affetti ai quali hanno dovuto rinunciare  a causa della loro reclusione. (Marta)

Molte e toccanti sono state le riflessioni dei ragazzi sull’esperienza vissuta.

Ne riportiamo qui ancora alcuni stralci da cui emerge la loro sensibilità, la loro vicinanza, come pure i loro dubbi e le loro contraddizioni.

Alla fine della mattinata, ripensando all’esperienza vissuta, mi sono accorto che non mi rendevo nemmeno conto di essere stato in un carcere e di aver parlato con persone che hanno compiuto gravi errori, ma tutto quel senso di umanità, che mi ha pervaso all’interno della struttura, ha fatto sì che io pensassi di aver parlato e ragionato con ottime persone e di aver visitato un luogo pieno di affetto. (Matteo)

Abbandonare queste persone a loro stesse, chiuse in una cella, non farebbe altro che peggiorare la loro personalità; infatti bisogna dare loro un appoggio e strumenti per evitare che commettano gli stessi errori di prima o peggio.

Però mi resta sempre un dubbio in mente, se io fossi al posto della madre delle vittime, la penserei ancora così? (Sara)

L’immagine che più mi rimarrà impressa dell’esperienza del carcere sarà la malinconia letta nei volti dei detenuti; malinconia dovuta al tempo che passa inesorabilmente e che non verrà più restituito loro.

Chi per paura di non vedere ed essere presente per i propri figli e chi per i genitori o semplicemente per la malinconia di osservare che il mondo va avanti anche senza di te ed il pensiero di essere quasi un nulla. Queste persone,però, non saranno mai un nulla, ma sempre qualcuno per le persone loro care, persone che, nonostante siano state messe a dura prova dalle circostanze della vita, continuano ad offrire ai loro cari un appiglio a cui potersi aggrappare per continuare la vita in carcere. (Nicolò)

I detenuti con cui siamo entrati in contatto pare da un lato provino nostalgia per la libertà persa e il rimpianto per una vita che è stata loro giustamente tolta, dall’altro siano consapevoli, avendo riflettuto a lungo sui propri errori, di dover restare in carcere. (Luigi)

L’aspetto però che più colpisce e abbatte l’animo in generale, è la sensazione estremamente percettibile del completo isolamento dal resto del mondo che rende il luogo di estrema sofferenza.

Ciò che inoltre impressiona è il forte desiderio dei detenuti di essere ricordati dai visitatori e dal resto del mondo, comportamento che si riscontra anche nei dannati danteschi. E’ infatti questo isolamento che rende ancor più penosa la reclusione, nel timore che una volta usciti, troveranno un mondo estraneo e completamente insensibile alla loro misera condizione seppur meritata e accettata. (Michele)

L’impegno di ognuno di noi è contribuire a far sì che ciò non accada.

 
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La classe 4B del Liceo Scientifico “Lorenzo Mascheroni” e le sue insegnanti ringraziano la dottoressa Ezia Maccora, per aver proposto e reso possibile la visita, e  la dottoressa Anna Maioli, per aver fatto da guida preziosa; ringraziano anche tutti gli agenti carcerari incontrati nonché il Direttore della Casa Circondariale.

Il nostro abbraccio più caloroso va ai quattro detenuti incontrati.

 
25/11/2016
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