Magistratura democratica
Magistratura e società

Il giudice del riscatto: ricordo di Sandro Margara

di Riccardo De Vito
magistrato di sorveglianza Nuoro

Ci ha lasciato Sandro Margara.

Un maestro non lo racchiudi certo in poche righe di commiato, soprattutto se, quando vai a scriverle, ti accorgi di quanto bisogno ci sarebbe ancora di lui, del suo coraggio, della sua immaginazione. Per ricordarlo, dunque, ci affidiamo direttamente alle sue parole e alle sue riflessioni, condensate nel brano che qui sotto pubblichiamo.

Per molto tempo in Italia, a tutte le latitudini giudiziarie e in tutte le galere, dire “magistrato di sorveglianza” significava scandire il nome di Sandro Margara. Quel lavoro lo aveva plasmato lui, con la sua cultura, la sua passione umana e politica, la sua vicinanza istintiva agli uomini “caduti”, fossero condannati o internati. Lo aveva creato dal nulla, prima ancora che l’Ordinamento penitenziario venisse alla luce, iniziando a dare dignità alle funzioni previste dall’art. 144 del codice penale: “vigilanza sull’esecuzione delle pene”. 

Di strada se ne doveva fare ancora molta per arrivare alla figura del magistrato di sorveglianza come la conosciamo oggi; ma quel percorso, certo insieme ad altri, è stato aperto e reso percorribile soprattutto da Sandro Margara. I suoi contributi e il suo modo di pensare e agire sono confluiti nell’Ordinamento penitenziario e poi nella legge Gozzini, di cui tra pochi mesi ricorrere il trentennale.

Da magistrato di sorveglianza, Presidente di Tribunale di sorveglianza, direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e poi Garante dei diritti dei detenuti della Regione Toscana, Margara ha sempre avuto un pensiero fisso e un impegno costante: “rompere la logica del carcere che c’era” e “portare in primo piano il rapporto con chi era detenuto, interessarsi di lui, farsene carico”. Insomma, fare del magistrato di sorveglianza il “difensore” del condannato nei rapporti diseguali che egli vive con il potere.

Margara ha lavorato per realizzare e dare spessore a una funzione e ha letteralmente speso le energie di una vita per dimostrare che la toga del magistrato di sorveglianza è una toga capace di difendere la legge e, allo stesso tempo, di avvolgere l’uomo e il suo nucleo irrinunciabile di dignità.

Ci sarà tempo per ripercorrere la biografia dell’uomo e del magistrato, dare conto dei suoi contributi scientifici, parlare del rapporto di collaborazione e di affetto che lo legava a questa Rivista e, prima ancora, a Quale giustizia.

Ora, piuttosto, è il momento di soffermarsi su alcuni episodi che meglio possono contribuire a restituire un ricordo vivo.

Scegliamo tre fermoimmagine e iniziamo dal primo: il magistrato dentro il suo ufficio. Non ci si aspetti lo studioso dietro le carte e i codici (c’era anche quello, certo), le aule silenziose, il chierico nella torre eburnea. Dentro il suo ufficio, al contrario, entrava l’umanità viva e macchiata del mondo dell’esecuzione penale. Corridoi pieni di affidati, riunioni con i semiliberi, aule impegnate dai colloqui con i convocati. Contatto con la carne della pena, in ufficio come in carcere: questo era l’unico modo per concepire e svolgere il lavoro di magistrato di sorveglianza.

Il tempo passato in carcere è sicuramente l’altra dimensione appropriata per pensare a Sandro Margara. Lui stesso scriveva di una Memoria di trent’anni di galera, e dopo quell’articolo ne avrebbe fatti molti altri ancora. Ricordava spesso, a proposito del lavoro svolto in carcere, di un giornalino pubblicato nei primi anni Settanta negli istituti di Firenze, che lui e molti altri intellettuali fiorentini (da Balducci a Gozzini, da Michelucci a La Pira) avevano contribuito a far nascere. Significativo, di quel giornale, anche il titolo: Noi, gli altri. C’è tutto in quel titolo: il muro che separa e i ponti che uniscono; il carcere da superare, che tiene lontani “gli altri”, e il carcere da auspicare, che riconosce un “noi” dietro le sbarre.

Ultimo flash, ma non meno importante. Lasciato l’incarico di Direttore generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – sarebbe meglio dire costretto a lasciare, per distanze incolmabili con la politica – , Sandro Margara torna a Firenze e torna a fare quello che definiva il lavoro più bello: il “semplice” magistrato di sorveglianza nel Tribunale di cui era stato Presidente.

Si potrebbe chiudere qui: per dare a tutta la magistratura, non solo a quella di sorveglianza, l’idea di un futuro dal quale ripartire.

 

RIVISTA TRIMESTRALE N.2/2015 

Quale giustizia? Repetita non iuvant: Ancora sulla pena e sul carcere 

(di Sandro Margara)

 

 

29/07/2016
Altri articoli di Riccardo De Vito
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
La pena e la sua crisi. Riflessioni su "Punizione" di Giovanni Fiandaca

Un dialogo con i passaggi più significativi di G. Fiandaca, Punizione, Bologna, 2024. Un “piccolo libro” prezioso, un itinerario dialettico e mai dogmatico attraverso le forme e le ideologie della pena, che giunge sino alla contemporanea crisi di legittimità del diritto penale e alle domande suscitate dai modelli alternativi alla punizione

12/04/2024
Privazione della libertà e salvaguardia della dimensione intima: impressioni su Corte costituzionale 10/2024

Il tema della applicazione della pena in modi conformi alla dignità della persona privata della libertà e della conseguente necessità della espansione degli aspetti della persona stessa che più rischiano di venir compromessi o compressi dallo stato detentivo ormai da tempo, e per merito del brillante impegno di studiosi ed operatori professionali specializzati, attrae un qualificato dibattito sociale-istituzionale-giuridico. L'intensità della discussione sviluppatasi e la persuasività delle ragioni poste a fondamento di idee e soluzioni idonee a realizzare quella necessità hanno trovato compimento, quanto ad una delle dimensioni costitutive della personalità umana, quella dell'affettività destinata ad esplicarsi in una sfera di inviolabile intimità, nella sentenza n. 10 depositata il 26 gennaio 2024 dalla Corte costituzionale. Questa ha additivamente dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge 26 luglio 1975 n.354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) là dove non prevede la possibilità di contatti, destinati a tradursi anche in momenti di intensa ed intima affettività, tra il detenuto e le persone a lui legate da vincoli parentali, giuridici e sociali. Questo saggio è dedicato alla breve rassegna dei coordinati argomenti impiegati, in progressiva successione, dalla sentenza.

11/03/2024
Non possiamo tacere, non vogliamo restare inerti
a cura di Redazione

Questione giustizia pubblica il comunicato congiunto di Associazione Antigone, Magistratura democratica e Unione Camere penali Italiane sulla situazione delle carceri in Italia, del 22 febbraio scorso. 

26/02/2024
Lo specchio delle storie

Il contributo riproduce l’introduzione al convegno svoltosi a Firenze, il 2 dicembre 2023, presso la BiblioteCanova, organizzato dal Centro Sociale Evangelico Fiorentino nell’ambito del progetto Storie Liberate, dal titolo Parole che riflettono. Incontri sulle scritture dal carcere. Illustra brevemente cosa vuol dire scrivere dal carcere, per chi si scrive e perché. E indaga sulle possibilità che le storie rappresentino uno specchio per chi le legge, fuori o dentro al carcere, nello spazio creato da quelle scritture in vari ambiti. Consapevoli che le prigioni, in qualche modo, ci riguardano tutti.


 

19/02/2024
Il lavoro in carcere: premio o castigo? Riflessioni a partire dal riconoscimento della NASpI

Due sentenze – una di merito (Corte di Appello di Catanzaro n. 1125 del 2023) e una di legittimità (Sezione Lavoro, n. 396 del 2024) – accertano il diritto dei detenuti a percepire la NASpI e costituiscono lo spunto per una riflessione su passato, presente e futuro del lavoro penitenziario.

05/02/2024
Frammenti di un nuovo discorso amoroso: la Corte costituzionale n. 10 del 2024 e l’affettività in carcere

Con la sentenza Corte cost. n. 10 del 2024 ai detenuti viene consentito il diritto a colloqui intimi con i partner della loro vita. Si tratta di una pronuncia spartiacque per il nitore con cui afferma il valore relazionale del principio di risocializzazione e il senso del limite che i diritti inviolabili impongono alla signoria della pretesa punitiva. 

05/02/2024
Il reato di tortura: concretezza dei fatti, necessità della fattispecie. Nota a Tribunale Siena, n. 211/2023 del 9 marzo-5 settembre 2023

La sentenza del Tribunale di Siena, relativa a fatti verificatisi nel carcere di San Gimignano, costituisce un importante contributo giurisprudenziale sul reato di tortura, sotto il duplice profilo della puntuale ricostruzione di una concretezza dei fatti verificatisi che mostra l’altrettanto concreta possibilità di applicare la norma incriminatrice; e della conferma di necessità della tutela penale che la previsione di quella specifica figura di reato garantisce.

12/12/2023