Premessa
Negli ultimi anni il tema della «sicurezza» nelle città ha dato vita non solo a un animato dibattito politico, ma anche a un complesso piuttosto eterogeneo di interventi – alcuni normativi, altri amministrativi, altri ancora di indirizzo – accomunati dall’idea che la «sicurezza urbana» sia un bene pubblico la cui tutela richiede, per un verso, l’intervento, auspicabilmente coordinato, di diversi attori istituzionali (Stato, Regioni, enti locali…) secondo il modello della «sicurezza integrata»; per altro verso, l’attribuzione a sindaci e questori di strumenti particolarmente incisivi per contrastare fenomeni ritenuti, anche in via presuntiva, un ostacolo alla fruibilità di particolari spazi pubblici [1]. Gli interventi più recenti – peraltro in continuità ideale con il dl n. 92 del 2008, convertito con modificazioni nella legge 125 del 2008 (primo pacchetto sicurezza urbana), e con la l. 94 del 2009 (contenente, tra l’altro, la disciplina delle cd. ronde urbane) [2] – sono noti:
i) gli artt. 8 e 9 del decreto legge n. 14 del 2017, convertito nella legge n. 48 del 2018 (cd. decreto Minniti), hanno rafforzato il potere d’ordinanza dei sindaci, introducendo la possibilità di adottare, in specifiche aree urbane, misure di allontanamento analoghe a quella già previste in occasione di manifestazioni sportive (il cd. daspo urbano);
ii) l’art. 21 del decreto legge n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del 2018 (cd. decreto sicurezza), ha ulteriormente esteso e rafforzato i menzionati poteri sindacali (ma anche quelli del questore);
iii) alcune ordinanze prefettizie, pronunciate ai sensi dell’art. 2 TULPS, hanno interdetto l’accesso in talune aree urbane (le cd. zone rosse) a particolari categorie di soggetti, ritenuti un vero e proprio “ostacolo” alla fruibilità delle aree medesime;
iv) una circolare del Ministro dell’interno ha invitato i prefetti a seguire il modello di intervento tracciato dalle menzionate ordinanze (replicandone, dunque, il contenuto nelle diverse realtà urbane).
Se gli interventi normativi e le ordinanze prefettizie elencati hanno suscitato fondati dubbi di legittimità, la valutazione della circolare ministeriale appare senz’altro meno agevole poiché si tratta di un atto di indirizzo, riconducibile al paradigma della soft law, destinato a produrre effetti diretti solamente nei confronti dei prefetti destinatari degli indirizzi ministeriali [3]. Ciononostante l’atto merita comunque un’attenzione particolare poiché, a nostro avviso, rappresenta un ulteriore sintomo di alcune recenti tendenze del nostro sistema delle fonti. Ed è proprio in questa più generale prospettiva che verrà condotta l’analisi.
1. Il contesto: la “marginalizzazione” della legge parlamentare
Il ruolo sempre più marginale della legge parlamentare nel nostro sistema delle fonti non rappresenta certo una novità. Già da tempo la dottrina discute di una vera e propria «crisi della legge» [4], evidenziando come l’atto parlamentare per eccellenza abbia progressivamente perso non solo i suoi contenuti tipici (la generalità e l’astrattezza delle prescrizioni), ma anche e soprattutto la sua collocazione “naturale” al centro del sistema delle fonti. Le cause del fenomeno sono note e ampiamente documentate [5]: il riconoscimento, anche a livello costituzionale, dei principi dello Stato sociale e la conseguente necessità di una legislazione sempre più adeguata alla molteplicità di situazioni concrete disciplinate dalla Costituzione; la proliferazione di fonti concorrenziali alla legge (atti aventi forza di legge, fonti dell’Unione europea, fonti internazionali); l’idea diffusa che, anche sul versante della produzione normativa, le ragioni della governabilità (e dunque l’esigenza di procedimenti normativi snelli) debbano prevalere su quelle della rappresentanza (e dunque sull’idea che i tempi, eventualmente lunghi, del procedimento legislativo siano funzionali alla realizzazione di un autentico «processo di integrazione politica» [6]).
Non tutte le ragioni elencate – è bene precisare – rappresentano vere e proprie «patologie» del sistema delle fonti [7]. Alcune costituiscono, infatti, lo sviluppo concreto di premesse già contenute nella nostra Costituzione: il ruolo assunto nel nostro ordinamento dalle fonti dell’Unione europea e da quelle internazionali – ad esempio – rappresenta la conseguenza dell’apertura costituzionale al processo di integrazione europea e al diritto internazionale (contenute negli artt. 10, 11 e 117, comma 1, Cost.). Altre ragioni sembrano, invece, assumere una connotazione «patologica» poiché mettono in discussione un aspetto del nostro sistema delle fonti che la Costituzione ha comunque mantenuto fermo: la centralità della legge parlamentare «quale fonte chiamata in prima battuta all’attuazione» dei principi costituzionali [8]. In questa prospettiva, il progressivo spostamento del baricentro della produzione normativa dal Parlamento al Governo – considerato oggi l’indiscusso «signore delle fonti» [9] – suscita qualche perplessità, soprattutto laddove i poteri normativi del Governo interferiscano con i diritti costituzionali e le numerose riserve di legge poste a garanzia dei medesimi.
2. L’atto: la circolare del Ministro dell’interno del 17 aprile 2019
Se dunque la marginalizzazione della legge e il ruolo sempre più incisivo del Governo nei procedimenti di produzione normativa rappresentano linee di tendenza piuttosto chiare, le manifestazioni del fenomeno paiono piuttosto variegate. Accanto a quelle più evidenti (l’esercizio oltre i limiti costituzionali della delega legislativa e l’«abuso del decreto legge») [10] sembrano, oggi, tornare alla ribalta manifestazioni per certi versi più nascoste, nelle quali l’erosione di spazi legislativi non è operata da altre fonti primarie, bensì da atti formalmente amministrativi ma capaci di derogare, eccezionalmente, alle vigenti disposizioni di legge. Mi riferisco alle ordinanze di necessità e urgenza e, in modo particolare, alla tipologia di ordinanze contingibili e urgenti più controversa e, almeno dall’entrata in vigore della Costituzione, meno utilizzata [11]: le ordinanze prefettizie disciplinate dall’art. 2 del RD del 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
La circolare del Ministro dell’interno n. 11001/118/7 del 17 aprile 2019, nel fornire «indirizzi operativi» in materia di «sicurezza urbana», evoca infatti e, in qualche modo promuove, proprio il controverso potere di ordinanza dei prefetti. Collocandosi nel solco già tracciato dalla cd. direttiva Maroni del 2009, la circolare ministeriale prende esplicitamente spunto da due precedenti ordinanze prefettizie (quella del Prefetto di Bologna del 14 dicembre 2018 e quella del Prefetto di Firenze del 9 aprile 2019) che – nel loro nucleo comune – vietano lo «stazionamento» in specifiche aree della città ai soggetti che impediscano l’«accessibilità» e la «fruibilità» dell’area medesima mediante «comportamenti incompatibili con la vocazione e la destinazione» del luogo [12]. Le stesse ordinanze tipizzano in modo presuntivo le condotte, considerando responsabili di tali comportamenti «chiunque sia stato denunciato dalle forze di polizia» per il compimento, nell’area in questione, di determinate attività illegali (anch’esse tipizzate e riguardanti: gli stupefacenti ai sensi degli artt. 73 e 74 del dPR 309/1990; i reati contro la persona ai sensi degli artt. 581, 582 e 588 del Codice penale; il danneggiamento di beni ai sensi dell’art. 635 sempre del Codice penale). Si tratta di ordinanze – per usare le parole del Ministro – «in funzione antidegrado e contro le illegalità, adottate dai prefetti ai sensi dell’art. 2, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, che, nel rigoroso rispetto dei criteri previsti per la loro emanazione, intervengono per rimuovere una oggettiva criticità, concretamente manifestatasi, per il tempo ritenuto strettamente necessario alle esigenze rilevate». L’intervento prefettizio rappresenta, dunque, un vero e proprio modello che la circolare ministeriale invita a replicare in altri contesti. I singoli prefetti destinatari degli «indirizzi operativi» sono, infatti, invitati a «convocare specifiche riunioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, nel cui ambito dovrà essere avviata una previa disamina delle eventuali esigenze di tutela rafforzata di taluni luoghi del contesto urbano». Al termine dell’analisi – prosegue la circolare – il Comitato «potrà fornire il supporto necessario a declinare una complessiva strategia di intervento che contempli anche il ricorso (questo è il punto di nostro interesse) al potere straordinario di ordinanza, di durata temporalmente limitata, qualora l’iniziativa non sia differibile all’esercizio degli strumenti ordinari se non incorrendo in quel danno incombente che si intende scongiurare con la sollecita adozione dell’atto». A partire dal 31 maggio 2019 un meccanismo di «report» trimestrali dovrà garantire il monitoraggio in merito «alle ricadute delle ordinanze adottate». Nonostante la prima parte della circolare, peraltro prevalentemente «declamatoria/ricostruttiva» [13], si dilunghi ampiamente sui nuovi poteri dei sindaci in materia di «sicurezza urbana» disegnati dal decreto legge n. 14 del 2017 e dal decreto legge n. 113 del 2018 (con un esplicito richiamo all’ordine di allontanamento e al divieto di accesso, il cd. daspo urbano) [14], la direzione generale verso cui tende l’indirizzo ministeriale sembra chiara: ribadire il carattere emergenziale delle questioni riguardanti la «sicurezza urbana», privilegiando gli interventi extra ordinem dei prefetti rispetto a quelli – già piuttosto ampi, anche se legislativamente più definiti – dei sindaci.
3. Lo strumento: il potere d’ordinanza dei prefetti
Tra le varie tipologie di ordinanza di necessità contemplate dal nostro ordinamento (ordinanze sindacali; ordinanze in materia sanitaria; ordinanze in materia ambientale; ordinanze di protezione civile) [15], quelle prefettizie sono, indubbiamente, tra le più controverse. Adottato durante il regime fascista, l’art. 2 del TULPS – stabilendo che il prefetto, «nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica, ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica – «si rivela [infatti] una norma meramente attributiva» di un potere emergenziale che mal si concilia con il nuovo ordinamento costituzionale [16]; un vero e proprio «fossile del tutto incapace di adattarsi al mutato ambiente costituzionale» [17]. I principali punti di tensione segnalati dalla dottrina paiono i seguenti. Innanzitutto, le ordinanze prefettizie – intervenendo, come detto, in casi di «urgenza» e «grave necessità» – violerebbero quella che è stata definita la «riserva di decreto legge»: laddove ricorrano i presupposti di «necessità e urgenza» previsti dall’art. 77 della nostra Costituzione – si è detto – «non solo si può utilizzare il decreto-legge (aspetto positivo) ma si deve utilizzare il decreto legge (solamente il decreto legge)» [18]. In questa prospettiva, è il decreto legge l’unico strumento previsto dalla Costituzione per fronteggiare situazioni emergenziali che non possano essere affrontate con gli ordinari strumenti legislativi (la legge formale ordinaria oppure il decreto legislativo). In secondo luogo, le ordinanze prefettizie – potendo “derogare” non solo alle fonti secondarie, ma anche a quelle primarie [19] – travolgerebbero qualità essenziali delle nostre fonti legislative come il «valore» e la «forza» di legge. Infatti, in una prospettiva “positivista” – che rifiuti l’idea della «necessità» come autonoma fonte del diritto – l’eventualità che un provvedimento amministrativo (sottratto, dunque, al controllo di legittimità costituzionale) possa limitare, in concreto, l’efficacia di fonti primarie non trova alcuna specifica copertura costituzionale [20]. Da ultimo, le ordinanze del prefetto – incidendo, molto spesso, sulle libertà costituzionalmente garantite – violerebbero le numerose riserve di legge poste, in materia, dalla nostra Carta costituzionale. Nel nostro ordinamento costituzionale – si è detto – «può esistere […] una fonte che dota l’esecutivo, sostanzialmente praeter legem, del potere di incidere su diritti costituzionali?» [21].
Nonostante i dubbi sollevati dall’art. 2 del TULPS [22], la Corte costituzionale, investita della questione, ha preferito fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata del precetto anziché sancirne l’illegittimità costituzionale. Il percorso giurisprudenziale della Corte è molto noto e può quindi essere richiamato per brevi cenni. In una prima circostanza (sentenza n. 8 del 1956) [23], la Corte – pur rigettando la questione – afferma:
i) innanzitutto, il carattere amministrativo delle ordinanze prefettizie (in modo tale da scongiurare una loro, impropria, assimilazione agli atti legislativi);
ii) in secondo luogo, la possibilità che le ordinanze prefettizie intervengano anche in ambiti nei quali si “esercitano” i diritti costituzionalmente garantiti (purché le medesime siano limitate nel tempo, adeguatamente motivate, efficacemente pubblicate nel caso si rivolgano a una pluralità di soggetti e conformi ai principi generali dell’ordinamento);
iii) infine, la necessità di un intervento legislativo teso a scongiurare interpretazioni della disposizione contrarie alla Costituzione. In una seconda circostanza (sentenza n. 26 del 1961) [24], la Corte – preso atto dell’inerzia legislativa e di una prassi ancora piuttosto insensibile ai nuovi limiti costituzionali – decide di intervenire in modo più incisivo, dichiarando (attraverso una sentenza interpretativa di accoglimento) l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 del TULPS nella parte in cui «esso attribuisce ai Prefetti il potere di emettere ordinanze senza il rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico».
Pur a fronte di una certa «oscurità» della pronuncia, la dottrina ha comunque ricavato dalla medesima almeno due indicazioni «certe» [25]:
i) innanzitutto, la necessità che le ordinanze prefettizie non contrastino con quei precetti costituzionali che, «rappresentando gli elementi cardinali dell’ordinamento» (e, dunque, principi generali del medesimo), neanche il legislatore ordinario può derogare;
ii) in secondo luogo, l’inammissibilità delle ordinanze prefettizie nelle materie coperte da riserva assoluta di legge. Per quanto riguarda le riserve relative, le indicazioni contenute nella sentenza paiono decisamente più ambigue. Se da un lato la Corte afferma l’ammissibilità del potere prefettizio in esame nelle materie coperte da riserva relativa, dall’altro lato la Corte si premura di affermare la necessità che, in queste materie, la legge «indichi i criteri idonei a delimitare la discrezionalità dell’organo a cui il potere è stato attribuito» (in armonia, dunque, con una declinazione anche sostanziale del principio di legalità). D’altra parte, la necessità che il potere di ordinanza si eserciti nel rispetto di criteri legislativi predefiniti rappresenta un punto fermo della giurisprudenza costituzionale, ribadito in modo particolarmente esplicito con riguardo alle ordinanze sindacali previste dall’art. 54, comma 4, del TUEL: «non è sufficiente – osserva la Corte nella famosa sentenza n. 115 del 2011 (punto n. 4 del Considerato in diritto) – che il potere sia finalizzato dalla legge alla tutela di un bene o di un valore, ma è indispensabile che il suo esercizio sia determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo tale da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa».
Sotto quest’ultimo specifico profilo, l’art. 2 del TULPS appare indubbiamente lacunoso. Le formule utilizzate nel precetto («grave necessità pubblica»; «provvedimenti indispensabili»; «ordine pubblico» e «sicurezza pubblica») rappresentano, infatti, indicazioni alquanto generiche, incapaci di orientare in modo rigoroso sia la valutazione dei presupposti, sia la scelta dell’oggetto del potere prefettizio di ordinanza [26]. Per questa ragione si è argomentata la necessità di individuare qualche argine ulteriore, inserendo il potere prefettizio «nel solco di una disciplina di principio rinvenibile nella legislazione primaria» [27]. Nonostante questi tentativi, le «potenzialità ermeneutiche» [28] delle formule richiamate continuano a rappresentare il punto debole della vigente disciplina normativa sul potere prefettizio di ordinanza. Il rischio è che, dietro lo schermo “elastico” di quelle formule, il potere prefettizio si pieghi alle contingenti esigenze politiche, oltrepassando i limiti costituzionali e legislativi che la giurisprudenza costituzionale e la dottrina hanno, faticosamente, individuato [29].
Osservando la prassi applicativa nel periodo repubblicano, la preoccupazione sembra, almeno in parte, giustificata. Mentre alcune ordinanze prefettizie presentano un contenuto limitato e «marginalmente derogatori[o] del diritto vigente» [30], altre ordinanze, forse più sporadiche ma dall’indubbio rilievo politico, si spingono decisamente oltre, incidendo direttamente su diritti costituzionalmente garantiti. A tal riguardo – e senza pretese di completezza vista l’assenza, in materia, di raccolte organiche – si possono richiamare alcuni esempi. Innanzitutto, l’ordinanza della Prefettura di Genova del 2 giugno 2001 che, per garantire la «sicurezza» del vertice dei capi di Stato e di Governo dei paesi economicamente più sviluppati, introduce, in alcune specifiche “zone” della città, significative restrizioni alla circolazione, pedonale e di veicoli, e alla possibilità di svolgere manifestazioni [31]. Altro esempio, più recente, è rappresentato dalla “catena” di ordinanze del prefetto di Torino con le quali, a partire dal giugno 2011, vengono interdetti l’accesso e la circolazione nelle aree che circondano il cantiere per la costruzione del Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione (TAV). Meritano, infine, un cenno anche in questa sede le già menzionate ordinanze dei prefetti di Bologna e Firenze che hanno vietato a determinate categorie di persone lo «stazionamento» in specifiche aree cittadine. Si tratta, come evidente, di provvedimenti che incidono direttamente sull’esercizio di libertà costituzionalmente garantite (in particolare, sulla libertà di circolazione e su quella di riunione) in specifiche aree urbane o porzioni di territorio. Sotto altro profilo, si tratta di provvedimenti che offrono una risposta “emergenziale” a situazioni concrete (un “grande evento” programmato da tempo; forme di protesta, non certo improvvise, nei confronti della costruzione di una “grande opera”; il “degrado” urbano) non facilmente inquadrabili tra i casi di «urgenza» e «grave necessità pubblica» che legittimano il potere prefettizio di ordinanza. Proprio per queste ragioni, le menzionate ordinanze sono state impugnate dinanzi al giudice amministrativo.
L’esito dei giudizi è stato però diverso. Mentre le censure avanzate nei confronti delle ordinanze del prefetto di Genova e del prefetto di Torino sono state respinte attraverso letture alquanto generose sia dei presupposti del potere, sia delle riserve di legge poste a garanzia dei diritti costituzionali, di volta in volta, limitati (Tar Liguria, sentenza n. 524 del 2003 e Consiglio di Stato, sentenza n. 85 del 2006; Tar Piemonte, sentenza n. 969 del 2012), le censure mosse all’ordinanza del prefetto di Firenze sono state accolte e il provvedimento è stato annullato (Tar Toscana, sentenza n. 893 del 2019). Per quanto di nostro interesse, è soprattutto sul versante della valutazione dei presupposti del potere prefettizio che quest’ultimo provvedimento è stato ritenuto carente. Nel caso di specie – osserva il Tar Toscana, peraltro in conformità con un orientamento del Consiglio di Stato – «manca la dimostrazione, da parte dell’Amministrazione, dell’insufficienza dei mezzi ordinariamente messi a disposizione dell’ordinamento per affrontare la situazione rilevata». Per giustificare l’intervento straordinario del prefetto in materia di «sicurezza urbana» – prosegue la sentenza – «il provvedimento avrebbe dovuto essere assistito dalla rappresentazione delle difficoltà ad utilizzare gli strumenti ordinari per affrontare questa situazione, ad esempio per carenza di risorse umane o strumentali ai fini del controllo del territorio, con conseguente necessità di adottare strumenti extra ordinem». In ogni caso – si premura di precisare la sentenza, questa volta sul versante della riserva di legge – «il divieto di stazionare in determinate aree urbane non può essere utilizzato in via ordinaria poiché, in tal caso, dovrebbe essere previsto da una specifica norma di legge come stabilisce l’articolo 16, primo comma, della Costituzione». Accogliendo il ricorso, il Tribunale amministrativo toscano ribadisce con forza la peculiare “natura” del potere prefettizio di ordinanza: un potere che, trovando fondamento in comprovate (e non meramente dichiarate) ragioni di «urgenza» e «necessità pubblica», non può essere utilizzato in via ordinaria per la realizzazione di un contingente indirizzo politico. Un modello di potere, dunque, piuttosto distante da quello immaginato dalla circolare ministeriale.
4. Le tendenze: logiche emergenziali, “amministrativizzazione” del sistema e tentazioni monocratiche
La circolare del Ministro dell’interno oggetto del presente commento può essere inserita nell’ambito di alcune “grandi” tendenze che sembrano caratterizzare, oggi, il nostro sistema delle fonti. Si tratta di linee di tendenza più o meno recenti, determinate da diversi fattori ma che rappresentano il riflesso, sul versante delle fonti del diritto, delle torsioni conosciute, negli anni, dalla nostra forma di governo parlamentare.
i) La prima tendenza riguarda la progressiva espansione delle fonti “emergenziali” a danno delle fonti “ordinarie”. Il fenomeno è stato apprezzato soprattutto in riferimento all’incremento del ricorso alla decretazione d’urgenza e alla contestuale contrazione della produzione legislativa ordinaria, considerata oggi una fonte sempre più «residuale» [32]. Il ricorso frequente alla decretazione d’urgenza non esaurisce, peraltro, lo spettro delle manifestazioni del fenomeno. È, infatti, nota e documentata la deriva conosciuta – e, almeno in parte, autorizzata dal legislatore – dalle ordinanze di protezione civile disciplinate dall’art. 5 della legge n. 225 del 1992, originariamente previste per fronteggiare «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbano essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari» e poi estese, nel 2001, anche ai cd. grandi eventi (tra i quali sono rientrati alcune competizioni sportive, alcuni eventi religiosi, vertici internazionali e le celebrazioni per l’Unità d’Italia) [33]. Se questo è il quadro generale, la circolare ministeriale in commento rappresenta una manifestazione particolare di una tendenza ben consolidata. La tentazione – ieri come oggi – è, infatti, sempre la medesima: dare vita a un vero e proprio «“sistema [delle fonti, aggiungiamo noi] parallelo”» [34] nel quale l’emergenza, spesso solamente dichiarata, sciolga la decisione politica dalle briglie delle forme e delle procedure ordinarie.
ii) La seconda tendenza generale riguarda la progressiva “amministrativizzazione” degli atti che compongono il sistema delle fonti. Sempre più spesso, atti formalmente amministrativi tendono ad assumere caratteristiche tipicamente normative (si tratta di un fenomeno uguale e contrario alla prassi delle «leggi–provvedimento») [35]. È ciò che capita – ad esempio – sul versante dell’attuazione delle leggi e degli atti aventi forza di legge dove il tenore, spesso, generico dei rinvii legislativi consente a semplici decreti (ministeriali oppure del Presidente del Consiglio) [36] di assumere contenuti tipicamente normativi, senza assumere anche la forma regolamentare prevista dall’art. 17 della legge 400 del 1988 (si tratta del noto, e ampiamente discusso, fenomeno della cd. fuga dal regolamento [37]). La circolare ministeriale in commento – promuovendo atti formalmente amministrativi (le ordinanze prefettizie) che, come detto, possono anche assumere tratti tipicamente legislativi – si collocano pienamente nel solco di questa tendenza. Rispetto alla tendenza precedentemente illustrata cambia, dunque, lo strumento (non più l’emergenza, bensì la natura amministrativa dell’atto), ma l’obiettivo di fondo rimane sempre il medesimo: sciogliere la decisione politica dalle rigidità procedurali e formali previste per gli atti normativi.
iii) La terza e ultima tendenza generale che può essere richiamata è quella nella quale la correlazione tra le trasformazioni della forma di governo e quelle riguardanti il sistema delle fonti è, forse, più evidente. Così come sul versante dei rapporti interni al Governo-organo il “principio monocratico” sembra oggi prevalere su quello “collegiale” (l’esaltazione di singole figure ministeriali e la progressiva “marginalizzazione” del Consiglio dei ministri rappresentano fatti, difficilmente contestabili), sul versante della produzione normativa (in senso lato) governativa le fonti prodotte da organi monocratici sembrano, nel periodo più recente, prevalere su quelle prodotte dall’organo collegiale. Ancora una volta il momento propriamente esecutivo degli atti legislativi rappresenta un valido esempio. Come dimostrano recenti studi [38], gli atti che, nella prassi, danno attuazione alle fonti primarie sono, nella maggior parte dei casi, semplici decreti ministeriali (che non assumono la forma del regolamento ministeriale) e decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (non preceduti da una deliberazione del Consiglio dei ministri). I regolamenti del Governo (quelli, per intenderci, deliberati dal Consiglio dei ministri) rappresentano, invece, una categoria di fonti del tutto marginale [39]. Se, dunque, il baricentro della produzione normativa di rango primario si è mosso dal Parlamento al Governo, il baricentro della produzione normativa di grado secondario si è spostato dal Consiglio dei ministri alle articolazioni monocratiche del Governo (i singoli ministri e il Presidente del Consiglio). La circolare ministeriale – promuovendo le iniziative prefettizie (organo monocratico “incardinato” nell’esecutivo) – non solo conferma la tendenza in esame, ma sembra spingersi oltre e “aggredire” (se non addirittura rovesciare) il concetto di fonte del diritto caratterizzante le democrazie pluraliste. Nell’orizzonte suggerito dalla circolare, infatti, le fonti non rappresentano più “faticosi” e, a seconda del livello della fonte, più o meno ampi «processi di unificazione politica» che producono decisioni politiche [40], bensì semplici manifestazioni formalizzate di una decisione politica (anche individuale) già formata [41].
Lo sviluppo tecnologico, la realtà spesso imprevedibile, la velocità dei mutamenti riguardanti il contesto sociale ed economico sono – senza ombra di dubbio – elementi “di contesto” che non possono essere ignorati. In questa prospettiva, il ripensamento di talune procedure normative eccessivamente farraginose (mi riferisco, in particolare, a quella oggi prevista per i regolamenti del Governo) [42] potrebbe rappresentare una buona opera di manutenzione del nostro sistema delle fonti. Le tendenze appena elencate – favorendo l’emersione di “sistemi paralleli”, travolgendo il principio di corrispondenza tra forma e forza dell’atto ed espungendo dalle procedure normative la dimensione collegiale – sembrano, invece, agire a un livello decisamente più profondo e “stravolgere” i principi fondamentali del sistema. Il giudice costituzionale e i giudici comuni, come visto, hanno tentato di contenere tali tendenze, interpretando gli istituti più controversi in modo conforme alla Costituzione e censurando gli atti palesemente illegittimi. Peraltro, il peso di questa operazione di “contenimento” non può gravare, per intero, sulla giurisdizione e anche la politica dovrebbe fornire il proprio contributo, rispettando, innanzitutto, la tipicità degli atti e dei procedimenti normativi. Da questo punto di vista, la circolare del Ministro dell’interno non rappresenta certo un buon punto di partenza.
[1] Peraltro, sulla difficoltà di precisare con nettezza i confini della materia cfr. T.F. Giupponi, Sicurezza urbana e sicurezza integrata nel decreto legge 14/2017, in Istituzioni del federalismo, fasc. n. 1/2017, p. 7 ss.; Id., La sicurezza urbana e i suoi incerti confini, ivi, fasc. n. 4/2011, pp. 709 ss.
[2] Cfr. C. Ruga Riva-R. Cornelli-A. Squazzoni-P. Rondini-B. Biscotti, La sicurezza urbana e i suoi custodi (il Sindaco, il Questore e il Prefetto), in Diritto Penale Contemporaneo, fasc. n. 4/2017, p. 226.
[3] Cfr. F. Bassi, Circolare ministeriale (voce), in Dig. disc. pubbl., vol. III, Utet, Torino, 1991, pp. 54 ss.
[4] Cfr. F. Carnelutti, La crisi della legge, in Riv. dir. pubbl., 1930, spec. 426. Più recentemente cfr. F. Modugno e D. Nocilla, Crisi della legge e sistema delle fonti, in Dir. Soc., 1989, pp. 411 ss.; Id., Sul ruolo della legge parlamentare (considerazioni preliminari), in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 3/2009, pp. 6 ss.; Id., A mo’ di introduzione. Considerazioni sulla «crisi» della legge, in Id., Trasformazioni della funzione legislativa, II, Crisi della legge e sistema delle fonti, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 3 ss.; P. Caretti, La “crisi” della legge parlamentare, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 1/2010, pp. 1 ss.
[5] Cfr. E. Longo, La legge precaria. Le trasformazioni della funzione legislativa nell’età dell’accelerazione, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 9 ss.; P. Caretti, La “crisi” della legge parlamentare, cit., pp. 2 ss.
[6] Cfr. G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale. Il sistema delle fonti, Utet, Torino, 1988, spec. pp. 13 ss.
[7] Cfr. P. Caretti, La “crisi” della legge parlamentare, cit., p. 2.
[8] Così P. Caretti, La “crisi” della legge parlamentare, cit., 2. In questa direzione cfr., altresì, F. Sorrentino, Le tecniche di produzione normativa, in A. Vignudelli (a cura di), Istituzioni e dinamiche del diritto. I confini mobili della separazione dei poteri, Giuffrè, Milano, 2009, p. 4.
[9] Così M. Cartabia, Il Governo “Signore” delle fonti?, in M. Cartabia-E. Lamarque-P. Tanzarella, Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e giudici, Atti del Convegno annuale dell’Associazione “Gruppo di Pisa”, Università degli Studi Milano Bicocca, 10-11 giugno 2011, Giappichelli, Torino, 2011, IX.
[10] Cfr. A. Celotto, L’«abuso» del decreto legge, vol. I, Cedam, Padova, 1997.
[11] Cfr. G. Marazzitta, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 2/2011, p. 5.
[12] Per un primo commento delle ordinanze cfr. C. Ruga Riva, Il prefetto, il brutto e il cattivo: prove atecniche di neoostracismo. Le ordinanze prefettizie sulle “zone rosse” e il diritto penale “Google Maps”, in questa Rivista on-line, 13 maggio 2019, http://questionegiustizia.it/articolo/il-prefetto-il-brutto-e-il-cattivo-prove-atecniche_13-05-2019.php.
[13] Cfr. G. Tropea, La direttiva Salvini sulle ordinanze prefettizie antidegrado: nulla di nuovo sotto il sole (con un caveat), in lacostituzione.info, 19 aprile 2019.
[14] G. Tropea, I nuovi poteri di sindaco, questore e prefetto in materia di sicurezza urbana (dopo la legge Minniti), in federalismi.it, fasc. n. 1/2018, pp. 1 ss.; A. Bonomi e G. Pavich, Daspo e problemi di costituzionalità, in Diritto Penale Contemporaneo, 25 maggio 2015.
[15] Cfr. G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., pp. 3 ss.
[16] Così G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., p. 4.
[17] Così G. Marazzita, L’emergenza costituzionale. Definizioni e modelli, Giuffrè, Milano, 2003, p. 448.
[18] Così, ancora, G. Marazzita, L’emergenza costituzionale, cit., p. 446.
[19] Pur non affermata esplicitamente dall’art. 2 del TULPS, la capacità derogatoria delle ordinanze prefettizie appare una qualità, in qualche modo, connaturata al carattere eccezionale del potere prefettizio (cfr. A. Morrone, Le ordinanze di necessità ed urgenza tra storia e diritto, in A. Vignudelli, Istituzioni e dinamiche del diritto, cit., p. 143; G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., p. 4).
[20] In questi termini, cfr. G. Marazzita, L’emergenza costituzionale, cit. p. 453.
[21] Così A. Algostino, Libertà di circolazione e ragioni politiche nell’area di interesse strategico nazionale della Val Susa. Osservazioni a margine delle ordinanze del prefetto di Torino sull’area del cantiere e della sentenza Tar Piemonte n. 00969 del 2012, in Democrazia e diritto, fasc. n. 4/2014, p. 75. Domanda sostanzialmente analoga si pone anche A. Morrone, Le ordinanze di necessità ed urgenza tra storia e diritto, cit., p. 149.
[22] Per un quadro completo del dibattito suscitato dalla disposizione soprattutto all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione cfr. R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità. Le ordinanze amministrative di necessità e urgenza, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 79 ss.
[23] Per un commento della sentenza cfr. V. Crisafulli, Ordinanza di necessità, interpretazione della Corte e sindacato del giudice comune, in Giur. It., 1956, I, 1, pp. 683 ss.
[24] Per un commento della sentenza cfr. V. Crisafulli, Il “ritorno” dell’art. 2 delle leggi di pubblica sicurezza dinanzi alla Corte costituzionale, in Giur. Cost., 1961, pp. 886 ss.; C. Lavagna, Sull’illegittimità dell’art. 2 delle leggi P.S. come testo legislativo, ivi, pp. 898 ss.
[25] Così G.U. Rescigno, Ordinanza e provvedimenti di necessità e urgenza (voce), in Nov. Dig. It., vol. XII, Utet, Torino, 1965, p. 94.
[26] Cfr. G.U. Rescigno, Ordinanza e provvedimenti di necessità e urgenza, cit., p. 92.
[27] Così S. Leone, La “zona rossa” dei diritti: considerazioni sulla legittimità delle ordinanze del prefetto «di necessità ed urgenza», a margine di una recente sentenza del Consiglio di Stato, in Giur. Cost., 2006, 3483. Per questa impostazione cfr. già R. Cavallo Perin, Potere di ordinanza e principio di legalità, cit., spec. pp. 142 ss. Per una critica di questa impostazione cfr. A. Morrone, Le ordinanze di necessità ed urgenza tra storia e diritto, cit., p. 154 nota n. 42, secondo il quale «altro è ricorrere al diritto vigente per limitare la discrezionalità dell’agente e l’ambito dei poteri di ordinanza che astrattamente rispettano i limiti costituzionali, altro è utilizzare il diritto vigente per sanare vizi di legittimità delle norme attributive di quegli stessi poteri».
[28] Così G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., p. 6.
[29] Cfr. A. Algostino, Libertà di circolazione e ragioni politiche nell’area di interesse strategico nazionale della Val Susa. Osservazioni a margine delle ordinanze del prefetto di Torino sull’area del cantiere e della sentenza Tar Piemonte n. 00969 del 2012, cit., p. 78.
[30] Così G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., 6, il quale osserva come, nella prassi, il potere di ordinanza dei prefetti abbia riguardato, principalmente, «lo svolgimento degli incontri di calcio [e il] divieto di vendita e detenzione degli alcolici» (così Id., L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., p. 5).
[31] Sulla vicenda cfr. S. Leone, La “zona rossa” dei diritti: considerazioni sulla legittimità delle ordinanze del prefetto «di necessità ed urgenza», a margine di una recente sentenza del Consiglio di Stato, cit., pp. 3479 ss.
[32] Così E. Caterina, Appunti sull’impiego della legge ordinaria durante la XVII legislatura, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 2/2018, 9. Analogamente già R. Zaccaria, Introduzione, in Id., Fuga dalla legge?, Grafo Editore, Brescia, 2011, p. 16. Per un quadro della produzione legislativa nei primi 42 mesi della XVII legislatura cfr. il Rapporto 2015–2016 sulla legislazione tra Stato, Regioni e Unione europea dell’Osservatorio sulla legislazione della Camera dei deputati, vol. II, spec. pp. 345 ss., consultabile all’indirizzo internet www.camera.it.
[33] Cfr. A. Cardone, La «normalizzazione» dell’emergenza. Contributo allo studio del potere extra ordinem del Governo, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 164 ss.; A. Morrone, Le ordinanze di necessità ed urgenza tra storia e diritto, cit., pp. 165 ss.
[34] Così G. Marazzita, L’irresistibile tentazione del potere di ordinanza, cit., 2. In termini sostanzialmente analoghi cfr. F.S. Severi, Ordinanze derogatorie e sistema delle fonti, in Scritti in memoria di Livio Paladin, Vol. IV, Jovene, Napoli, 2004, p. 2068, il quale parla di «ordinamenti speciali».
[35] Cfr. C. Mortati, Le leggi provvedimento, Giuffrè, Milano, 1969, 4 e segg. Più recentemente cfr. S. Spuntarelli, L’amministrazione per legge, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 125 ss.; G. Arconzo, Contributo allo studio sulla funzione legislativa provvedimentale, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 60 ss.; M. Losana, Leggi provvedimento? La giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2015, pp. 53 ss.
[36] Con riferimento ai governi Monti, Letta e Renzi circa il 70% dei provvedimenti attuativi è rappresentato da decreti ministeriali, mentre il 15% da decreti del Presidente del Consiglio (cfr. i dati offerti dal dossier curato da Openpolis del febbraio 2017 e intitolato Il secondo tempo delle leggi. L’adozione dei provvedimenti attuativi dal 2001 a oggi, consultabile all’indirizzo internet www.openpolis.it). Sul punto cfr. F. Biondi Dal Monte, Il secondo tempo della legge. Tendenze e prospettive dell’attuazione delle fonti primarie tra Governo e Parlamento, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 104 ss.; M. Losana, L’attuazione delle leggi nella prassi ministeriale. Appunti dalle audizioni dei Capi degli uffici legislativi svolte dal Comitato per la legislazione, in Osservatoriosullefonti.it, fasc. n. 3/2018, pp. 16 ss.
[37] La letteratura sul punto è, oramai, sterminata. Senza pretese di completezza cfr. U. De Siervo, Lo sfuggente potere regolamentare del Governo (riflessioni sul primo anno di applicazione dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988), in Scritti per Mario Nigro, I, Giuffrè, Milano, 1991, pp. 277 ss.; G. Tarli Barbieri, Atti regolamentari e atti pararegolamentari nel più recente periodo, in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti 1998, Giappichelli, Torino, 1998, pp. 241 ss.
[38] Cfr. retro nota n. 36.
[39] Cfr. G. Arconzo, I regolamenti governativi nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa del periodo 2001 – 2011: un bilancio, in M. Cartabia-E. Lamarque-P. Tanzarella, Gli atti normativi del Governo tra Corte costituzionale e giudici, cit., pp. 69-70.
[40] Cfr. G. Zagrebelsky, Manuale di diritto costituzionale, cit., pp. 13 ss.
[41] Per una lettura meno critica del potere di ordinanza cfr. A. Cardone, La «normalizzazione» dell’emergenza, cit., spec. pp. 409 ss.
[42] Cfr. G. Tarli Barbieri, Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, cit., 256; G. Rivosechi, Considerazioni sparse in ordine alle attuali tendenze della produzione normativa, in Osservatorio costituzionale, fasc. n. 1/2019, pp. 94 e 98.