(articolo tratto dal n.3/2015 della rivista trimestrale / SCARICA IL NUMERO)
Il tema della specialità del giudice amministrativo, dell’aumento smisurato delle sue competenze in materia di diritti (obbligazioni, responsabilità, contratti), è tema che deve essere costantemente richiamato all’attenzione degli operatori giuridici.
1. Come ho rilevato più volte[1] la storia, e soprattutto il buon senso non giustificano più la sottrazione al giudice ordinario (se del caso nelle forme della sezione specializzata) della giustizia amministrativa.
Come ho avuto occasione di rilevare e di motivare il sistema che era venuto fuori a seguito della legge del 1889 è stato un sistema da sempre farraginoso, e soprattutto incapace di assicurare una tutela effettiva al cittadino contro la Pubblica amministrazione. L’unico vero aspetto positivo del sistema lo si coglieva nell’empireo dei concetti, nella sua coerenza sistematica.
Non appena però sotto la spinta di più o meno nobili intenzioni negli ultimi anni il sistema è stato modificato nel senso del superamento della contrapposizione delle due giurisdizioni basata sulla contrapposizione delle situazioni soggettive, e dell’allargamento in grande misura della giurisdizione esclusiva, il sistema se in prospettiva potrebbe acquistarne di effettività è divenuto del tutto incoerente ed in contrasto con scelte di base che affondano nella Costituzione (art. 111) o addirittura nei principi supremi dell’ordinamento costituzionale in materia di ricorso per cassazione per violazione di legge.
In questo contesto si ripropone in una luce tutta nuova la domanda sul perché di una giurisdizione speciale amministrativa.
Nessuno degli argomenti che possono essere addotti, consente, a mio avviso, adesione.
a) Nonostante i periodici tentativi in tal senso, la giurisdizione amministrativa creata nel 1889 non può essere considerata – e quindi giustificata – in quanto sarebbe una giurisdizione di tipo oggettivo nell’interesse dell’amministrazione: ciò soprattutto perché una tale tesi contrasta con la legittimazione a ricorrere attribuita ai soggetti titolari dell’interesse oggetto del provvedimento amministrativo, con la disciplina dei motivi di ricorso come limite del giudizio, con la rilevanza «dell’abbandono del ricorso o della rinuncia». Contrasta con la chiarissima configurazione che la Costituzione del 1948 dà alla giurisdizione amministrativa come giurisdizione a tutela di situazioni soggettive del cittadino.
b) Ancora la giurisdizione amministrativa devoluta dal Consiglio di Stato, massimo organo di consulenza amministrativa, non può essere giustificata col particolare interesse dell’amministrazione in controversie che concernono l’esercizio del potere amministrativo (o di attività esclusive vincolate della pubblica amministrazione), ovvero nella particolare capacità di questo giudice, consulente e giudice di un tempo, di cogliere l’interesse dell’amministrazione insito in leggi di diritto pubblico. A rilievi di questa specie è agevole replicare che cozzano inevitabilmente contro la terzietà e imparzialità del giudice oggi proclamata anche formalmente dal 2° comma dell’art. 111 Cost. La specialità del diritto pubblico può indurre a prevedere l’istituzione di sezioni specializzate nell’ambito dell’unica giurisdizione ordinaria, non a creare giudici speciali. Ancora rilievi di questa specie dal 1971 in poi valgono solo per i giudici del Consiglio di Stato, non per i giudici dei tribunali regionali amministrativi il cui reclutamento non presuppone necessariamente alcuna esperienza specifica nella amministrazione.
c) Ancora si sente spesso dire che il sindacato esercitato dal giudice amministrativo per il tramite del vizio dell’eccesso di potere è stato sempre storicamente più penetrante del parallelo sindacato effettuato o effettuabile dal giudice ordinario. Indipendentemente dalla difficoltà di dimostrare effettivamente una simile affermazione, mi sembra sia agevole replicare che il sindacato esercitato tramite l’eccesso di potere, seppur penetrante è quanto di meno comprensibile anche agli addetti ai lavori ove ci si allontani dalle figure sintomatiche: è cioè un sindacato meno controllabile dello stesso giudizio di fatto. Ben venga allora – a seguito della devoluzione della giustizia amministrativa al giudice ordinario – una riduzione della incisività di tale sindacato: ciò che si perderebbe sarebbe ampiamente compensato dall’aumento di trasparenza delle motivazioni, dall’aumento della loro controllabilità, dall’aumento di garanzie per il cittadino.
d) Ancora è poi da notare come i più o meno recenti interventi giurisprudenziali e legislativi sono caratterizzati non solo dall’attribuzione al giudice ordinario e al giudice amministrativo della possibilità di interpretare ed applicare le stesse norme (di diritto comune o di diritto pubblico), ma anche: aa)dall’affermazione secondo cui il giudice amministrativo nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva può disporre l’assunzione dei mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, nonché della consulenza tecnica d’ufficio (art. 63 ss. nuovo cod. proc. amm.); bb)dalla introduzione nel processo amministrativo di un sistema di tutela cautelare modellato sulla falsariga degli art. 669 bis ss. cpc (art. 55 ss. cod. cit.); cc) dal trapianto nel processo amministrativo con giurisdizione esclusiva del procedimento d’ingiunzione ex art. 633 ss. e dei provvedimenti anticipatori di condanna ex art. 186 bis e 186 ter cpc (art.118 cod. cit.); dd) dalla previsione della piena possibilità che una controversia instaurata davanti al giudice ordinario (o al giudice amministrativo o speciale in genere), in caso di difetto di giurisdizione possa trasmigrare davanti al giudice amministrativo (o altro giudice speciale e viceversa) con piena salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice originario privo di giurisdizione[2]: col che probabilmente si è aperta la strada all’estensione degli istituti della litispendenza e della deroga ai criteri originari di competenza per ragione di connessione anche ai rapporti tra giurisdizioni.
Alla luce di questi rilievi, diviene davvero legittima la domanda del perché debbano continuare a coesistere nello stesso ordinamento, per le controversie fra cittadini e pubblica amministrazione, due giurisdizioni che conoscono o possono conoscere delle stesse norme (di diritto comune o di diritto pubblico), che trattano le controversie secondo procedure molto simili, che, stante la trasmigrazione tra le giurisdizioni, non costituiscono più compartimenti stagni, ma che si differenziano radicalmente quanto a composizione del giudice (in quanto i giudici del Consiglio di Stato sono anche consulenti dell’amministrazione e possono ricoprire una serie di incarichi impensabili per i giudici ordinari) e quanto a ricorribilità per cassazione delle decisioni di secondo grado.
Non sarebbe molto più ragionevole, almeno per le controversie tra privati e pubblica amministrazione, introdurre anche in Italia un sistema di giurisdizione unica con accesso dei giudici tramite concorso unitario, articolato in sezioni civili, penali, amministrative, tributarie, del lavoro e previdenziale, con possibilità dei giudici di essere trasferiti dall’un settore all’altro previa verifica a seguito di aggiornamenti professionali; articolata secondo il sistema del doppio grado e con una unica Corte suprema divisa in sezioni civile, penale, amministrativa, tributaria, del lavoro e previdenziale; caratterizzata, in caso di errore dell’attore nella individuazione della sezione competente dalla piena trasmigrazione della causa da una sezione all’altra e da un’agevole soluzione dei possibili conflitti alla stessa stregua ad esempio del modello tedesco?
Ove non vi si opponesse il potere dei consiglieri di stato e la loro stretta vicinanza con gli amministravisti che svolgono la loro attività di avvocati presso il Consiglio di Stato e la soppressione dei veri e propri privilegi di cui essi ancora godono, reputo che i tempi sarebbero più che maturi quanto meno per l’apertura di un serio dibattito culturale secondo le linee che si sono indicate in questo paragrafo.
2. Recentemente[3] è stato osservato che, a seguito dell’art. 1 nuovo cod. proc. amm. il quale riserva agli organi della giustizia amministrativa (Tar e Consiglio di stato) l’esercizio della giustizia amministrativa, sarebbe venuta meno la supremazia del giudice ordinario (art. 1 cpc) rispetto al giudice amministrativo, e ciò anche perché solo al giudice amministrativo sarebbe riconosciuto il potere di annullare gli atti dell’Amministrazione (con la “a” maiuscola).
A mio avviso questa opinione non è suscettibile di adesione: a) in primo luogo perché mentre la categoria del diritto soggettivo è categoria storicamente chiara, quella di interesse legittimo è molto discussa non solo sul piano comparativistico ma anche su quello della teoria generale del diritto; b) il giudice ordinario è giudice per l’appunto “ordinario” dei diritti, mentre il giudice amministrativo lo è solo nelle eccezionali (ancorché oggi numerose) ipotesi di cd giurisdizione esclusiva (art. 133 nuovo cod. proc amm.); c) soprattutto perché ai sensi della nostra Costituzione solo il giudice ordinario vede assicurata la sua terzietà ed imparzialità (la sua “soggezione soltanto alla legge”: art. 101, 2° comma, Cost.) attraverso l’enunciazione di principi e di modalità organizzative costituzionalizzate (dagli art. 102 a 109 Cost.) laddove quanto ai giudici speciali il secondo comma dell’art. 108 si limita a disporre che «la legge (ordinaria) assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali» (e si è già accennato a come leggi e prassi assicuravano molto male l’indipendenza dei giudici del Consiglio di stato, cioè del massimo organo della giustizia amministrativa).
Quindi nessuna equaordinazione tra giudici ordinari e giudici speciali amministrativi (come del resto dovrebbe essere insegnato in tutti i corsi di diritto costituzionale e di diritto processuale civile; non so se sempre anche nei corsi di giustizia amministrativa).
3. Sempre traendo spunto dall’articolo citato di Verde mi sembra anche sia fortemente da dissentire dalla affermazione secondo cui la Costituzione riconosce al solo giudice amministrativo il potere di annullare gli atti amministrativi.
Una simile affermazione è puramente e semplicemente errata a livello istituzionale, anche se è diffusa tra i teorici e pratici del diritto.
Il motivo di questo duro dissenso, è dato dal fatto che di “annullamento degli atti della pubblica amministrazione” la nostra Costituzione si occupa (non nell’art. 103) bensì nell’art. 113 laddove al terzo comma dispone che «la legge determina quali organi di giurisdizione (quindi anche ordinari e non necessariamente speciali) possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa».
Quindi la nostra Costituzione ben lungi dall’attribuire soltanto ai giudici speciali amministrativi il potere di annullamento degli atti della pubblica amministrazione, consente esplicitamente e molto chiaramente che tale potere possa essere attribuito (come talvolta accaduto: si pensi per tutti alla l. 689 del 1981) anche al giudice ordinario.
Purtroppo della esistenza del terzo comma dell’art. 113 si è dimenticato non solo il mio amico Giovanni Verde, ma anche il mio altrettanto caro amico Romano Vaccarella[4]: quest’ultimo, infatti è l’estensore della decisione 204 del 2004 della Corte costituzionale cioè della decisione che era chiamata a pronunciarsi su uno dei tanti casi in cui il legislatore ordinario aveva aumentato a dismisura le ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il dubbio di costituzionalità derivava non solo dalla circostanza che l’art. 103 prevede i casi di giurisdizione del giudice speciale amministrativo anche in materia di diritti soggettivi soltanto in “particolari materie indicate dalla legge” ma anche della circostanza che in ipotesi di giurisdizione esclusiva le sentenze del Consiglio di Stato, anche se relative a obbligazioni, responsabilità o contratti (cioè le tipiche materie di diritti soggettivi), sono ricorribili per cassazione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 111) soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione e non generalmente per violazione di legge (inerente e quelle obbligazioni, responsabilità e contratti che costituiscono il cuore della giurisdizione ordinaria e del controllo di legittimità da parte della Corte di cassazione). Orbene C. cost. 204/04 ebbe a dichiarare infondata la questione di costituzionalità fondandosi (mi sembra) su sacrosante esigenze di concentrazione e di effettività della tutela, pretermettendo il rilievo secondo cui queste esigenze di concentrazione ed effettività della tutela, ai sensi del terzo comma dell’art. 113 Cost., ben si sarebbero potute assicurare prevedendo l’attribuzione del potere di annullamento al giudice ordinario, senza alcun vulnus al controllo di legittimità della Corte di cassazione sulle sentenze relative a diritti.
4. Il rispetto della nostra (in questa parte non certo obsoleta) Costituzione impone di non dimenticare l’esistenza dell’art. 113 ed in particolare del suo terzo comma.
[1] V. le mie Lezioni, 6° ed. Napoli 2014, 257 ss.; Riv. dir. civ. 2000, I, 127 ss.; Foro it. 2009, V, 369ss.
[2] V. Cass. sez. un. 4109/2007 e Corte Cost. 77/2007, in Foro it., 2007, I, 1009, ed oggi l’art. 59 l. 69/2009 e l’art. 11 nuovo cod. proc amm..
[3] da G. Verde, Riv. dir. proc. 2014, 827 ss., part. 833 ss..
[4] Foro it. 2004, I, 2594.