1. Premessa
A distanza di ventotto anni dall’entrata in vigore dell’attuale codice di rito, l’istituto dell’avocazione risulta, sotto il profilo concettuale, ancora oggi svilito da approcci ideologici ancorati ad anacronistici pregiudizi rivenienti dal codice Rocco, che vorrebbero ridurlo a mero strumento nelle mani delle procure generali distrettuali per invadere il campo di azione naturalmente affidato alle procure dei tribunali. D’altro canto, nella sua prassi applicativa, esso appare, di fatto, neutralizzato dalle difficoltà operative che rendono l’intervento avocativo del procuratore generale presso la Corte di appello del tutto occasionale e che hanno indotto qualcuno a definirlo come “un’ambigua sovrastruttura codicistica” se non come un “un vecchio arnese fuori uso”.
Eppure l’istituto dell’avocazione, come dimostra il progetto di riforma oggi al vaglio del Parlamento, continua ad essere oggetto dell’attenzione del legislatore, il quale è consapevole della sua essenziale funzione di salvaguardia del principio di effettività dell’azione penale, oltre che di verifica interna e di garanzia dell’efficienza dell’ufficio del pubblico ministero.
Questo contrasto stridente tra la funzione dell’istituto che, nell’architettura codicistica del processo penale, funge da contrappunto alla posizione strategica dell’ufficio inquirente, la cui efficienza condiziona il funzionamento dell’intero meccanismo accusatorio e la sua pressoché generalizzata disapplicazione, ha indotto l’ufficio che rappresento ad inserire il tema dell’avocazione nell’ordine del giorno di questo incontro, non solo al fine di fare confluire verso un unico osservatorio le esperienze e le considerazioni di tutti i procuratori generali, ma anche e soprattutto per farne oggetto, in questa privilegiata sede, di riflessione e discussione comune, l’inizio delle quali non può prescindere da brevi considerazioni, senza alcuna pretesa di esaustività, nei limiti imposti dalla consapevolezza che l’autorevole uditorio conosce perfettamente la materia.
2. Evoluzione normativa dell’istituto dell’avocazione
L’istituto dell’avocazione affonda le sue radici nel sistema costituzionale che prevede l’indisponibilità dell’azione penale e configura il pubblico ministero come un potere autonomo dello Stato che non può personalizzare il processo o, comunque, pregiudicare, con le sue scelte o i suoi comportamenti negligenti, il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
È noto che l’art. 112 della Costituzione non costituisce una disposizione a sé stante che si esaurisce nella previsione di un obbligo ma è una norma organica all’intero sistema di garanzie e alla ripartizione delle funzioni tra i diversi poteri dello Stato con evidenti ricadute in tema di autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario.
Il pubblico ministero, perciò, è tenuto all’applicazione oggettiva della legge in ogni momento della sua attività ed i suoi spazi di discrezionalità sono stati rigorosamente contenuti e circondati da una fitta rete di controlli.
La collocazione dell’istituto dell’avocazione nello strumentario predisposto dal legislatore per presidiare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, ha determinato una profonda cesura rispetto all’ordinamento processuale preesistente in quanto, eliminata per il procuratore generale distrettuale ogni possibilità di intromissione durante le indagini condotte dall’ufficio della Procura della Repubblica, sono stati individuati i presupposti e le condizioni che legittimano il suo potere di autosostituzione al procuratore della Repubblica, dando l’abbrivio ad una concezione dei rapporti tra la Procura della Repubblica e la Procura generale presso la Corte di appello non strutturata in senso gerarchico ma incentrata sulla concorrenza di funzioni e potere, concezione che sarà poi alimentata dalla legislazione successiva ed in particolare dalla riforma ordinamentale del d.lgs n. 106/06.
Le iniziali previsioni del potere di avocazione – a parte le ipotesi previste dall’art. 372 cpp finalizzate ad ovviare a contingenti situazioni in cui non sia avvenuta la sostituzione del singolo magistrato del pubblico ministero astenutosi o incompatibile – sono regolate dall’art. 412 del cpp che consentono il controllo formale sul mancato esercizio dell’azione penale, per le ipotesi in cui siano scaduti i termini delle indagini senza che sia stata esercitata l’azione penale o presentata la richiesta di archiviazione, ovvero quando il gip abbia disposto l’udienza camerale ex art. 409 cpp.
Successivamente le ipotesi di avocazione delineate dal codice di rito sono state incrementate con l’introduzione dell’art. 421 bis cpp che, nel contesto della riforma dell’udienza preliminare, prevede la possibilità di intervento del procuratore generale in una fase in cui l’azione penale è già stata esercitata.
Solo in apparenza, però, l’introduzione dell’art. 421 bis cpp colloca l’avocazione al di fuori del cono proiettivo dell’art. 112 della Costituzione.
Infatti occorre considerare che nel quadro del rito accusatorio, in cui il momento istruttorio è collocato nel dibattimento e l’attività necessaria a sciogliere l’alternativa tra esercizio dell’azione penale ed inazione è riservata alla fase che precede l’instaurazione del giudizio, il concetto di inerzia del pubblico ministero, posto a fondamento dell’intervento di avocazione, non può essere confinato nella fase preliminare e limitato al mancato adempimento del dovere di agire, ma deve inglobare anche l’ipotesi di un esercizio dell’azione penale solo apparente per insufficiente e scorretta attività di istruzione. Il meccanismo accusatorio, il cui funzionamento è condizionato dalla efficienza dell’ufficio inquirente, comporta il rischio di sentenze di proscioglimento motivate da un giudizio di infondatezza della notizia di reato determinato da lacune investigative, pertanto, controllo sulla formale inazione del pubblico ministero e potere di valutazione della effettività dell’esercizio dell’azione penale finalizzato ad impedire che l’esercizio dell’azione resti mera apparenza, costituiscono due facce della stessa medaglia. Non è ultroneo considerare che, come è stato rilevato dalla dottrina nei primi commenti dopo l’introduzione dell’art. 421 bis cpp, l’attribuzione al pubblico ministero del compito di rimediare alle lacune investigative segnalate dal giudice, rende l’avocazione del procuratore generale un rimedio imprescindibile alla possibile protrazione dell’inadempienza dell’organo dell’accusa che finirebbe per tradursi in un abuso dinanzi al quale il giudice sarebbe impotente e costretto a pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche in casi in cui l’ulteriore svolgimento di indagini avrebbe consentito il rinvio a giudizio.
Il percorso intrapreso dal legislatore nel 1988 con l’introduzione del codice vigente e proseguito con la riforma dell’udienza preliminare del 1999, ha indotto alcuni autori a prospettare, de iure condendo, in un’ottica di controllo della gestione complessiva della vicenda giudiziaria da parte del pubblico ministero, un’estensione dell’ambito applicativo dell’avocazione alla fase del dibattimento per le ipotesi in cui inerzie e negligenze del pubblico ministero impediscano il corretto svolgimento del processo. Sulla falsa riga della disciplina prevista dall’art. 421 bis comma 2 cpp, la più attenta dottrina ha prospettato la possibilità dell’attribuzione al giudice del potere-dovere di informare la procura generale del distretto, nei casi di effettiva necessità, quando le inadempienze del pubblico ministero rischino di pregiudicare la rituale celebrazione del dibattimento e impongano l’adozione di un provvedimento di rinvio o l’assunzione di iniziative probatorie suppletive (es. per mancato espletamento dell’attività prodromica all’amissione e all’assunzione delle prove). Questa ulteriore forma di avocazione facoltativa consentirebbe di ridurre gli spazi della supplenza giudiziale alle carenze del pubblico ministero che, in particolari casi, come quello dell’esercizio dei poteri di assunzione della prova ex officio per rimediare al mancato deposito delle liste di cui all’art. 468 cpp, suscita in dottrina rilievi critici.
3. Attuali prassi applicative
3.1. Facoltatività dell’avocazione
Oggi le procure generali distrettuali sono il terminale di una evidente contraddizione del sistema essendo a tutti noto che quello di cui all’art. 112 della Costituzione è tra i principi più violati posto che l’obbligatorietà, schiacciata dal carico ingestibile delle pendenze, soccombe quotidianamente di fronte alla realtà di un’azione penale ormai facoltativa. Come emerge dai dati che sono pervenuti dagli uffici delle procure generali, il numero dei procedimenti che sono periodicamente segnalati dalle procure della Repubblica per essere in condizioni di stallo è tale che se fosse sistematicamente disposta l’avocazione, questa smetterebbe di costituire una eccezione rispetto al principio secondo cui è il procuratore della Repubblica il titolare del potere-dovere di indagine e di azione. In tale prospettiva ancor più irragionevole apparirebbe il termine di trenta giorni di cui il procuratore generale dispone per espletare le indagini necessarie ed assumere le conseguenti determinazioni.
Per questa ragione è pur vero che nell’impianto ordinamentale il grado di cogenza di un principio si misura sul terreno dei controlli che il sistema predispone a tutela della sua osservanza, ma la violazione sistematica della obbligatorietà dell’azione penale non può certo essere addebitata ai procuratori generali distrettuali, titolari del potere avocativo.
Il Csm nella delibera in materia di «criteri di priorità e gestione dei flussi di affari» (in risposta ad un quesito dell’11 maggio 2016), premessa la impossibilità, per gli uffici di procura generale, di esercitare massivamente il potere di avocazione per l’entità dei procedimenti che in astratto rientrano nell’ambito della previsione normativa, ha ritenuto inevitabile un «fisiologico potere di selezione» dei procedimenti da avocare.
Dal canto suo la suprema Corte forse anche per ridurre le distanze tra la teoria e la realtà degli uffici giudiziari ha sempre definito «potere di avocazione» quello riconducibile alla cd. avocazione obbligatoria (ex multis: Cass. sez. 6 n. 19833, 20/3/09 RV 243839), in tal modo avallando il comportamento delle procure generali che, inevitabilmente, interpretano il primo comma dell’art. 412 cpp come fonte, più che di un dovere di avocazione, di una mera facoltà.
A tale ultimo riguardo non può essere sottaciuto che, nella nuova formulazione del primo comma dell’art. 412 cpp all’esame del Parlamento, il legislatore ha lasciato inalterato il predicato verbale «dispone», sicché, aldilà della riforma relativa al termine entro cui il pubblico ministero è tenuto ad esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione, parrebbe di poter ravvisare, sotto lo specifico profilo dell’avocazione, una continuità normativa con la disciplina attualmente in vigore, che, dunque, consentirebbe l’estensione della predetta interpretazione anche alla nuova disciplina.
3.2. Avocazione e funzione di vigilanza del Procuratore generale presso la Corte di appello
Ciò posto, tuttavia, non può non rilevarsi come la situazione di oggettiva impossibilità della trattazione tempestiva di tutti i procedimenti favorisca il rischio della selezione arbitraria dei procedimenti da promuovere o, al contrario, di una loro gestione caratterizzata da inerzie e negligenze investigative che preludono ad una definizione con richiesta di archiviazione.
Il rischio di censurabili negligenze nella gestione del procedimento da parte del singolo sostituto procuratore che possono mimetizzarsi facilmente soprattutto negli uffici maggiormente gravati, rende imprescindibile la predisposizione di contromisure organizzative, volte a stanare il mancato esercizio ovvero l’esercizio “oscuro” ed incontrollato dell’azione penale e a consentire all’istituto dell’avocazione di costituire un rimedio efficace, nell’ottica della tutela di quei valori di rango costituzionale per il quale è stato concepito.
La possibilità per i procuratori generali di esercitare pienamente, in questi casi, il potere avocativo passa attraverso la creazione di canali conoscitivi che possono essere costituiti proprio dagli elenchi di cui agli artt. 127 disp. att. cpp o dalle comunicazioni ex art. 409 cpp oltre che dalle richieste di cui all’art. 413 cpp. Tali comunicazioni, infatti, aldilà della loro specifica funzione per la quale sono state previste, che si esplica nell’ambito del singolo procedimento, possono costituire oggetto di modelli organizzativi o protocolli elaborati d’intesa con l’ufficio della Procura della Repubblica, in modo da fare emergere se le specifiche disfunzioni nell’esercizio e nella concreta gestione dell’azione penale siano riconducibili al singolo sostituto procuratore, piuttosto che ad un deficit organizzativo dell’ufficio.
Il punto è cruciale poiché proprio la rivitalizzazione di norme come quelle appena citate che, nella specifica prospettiva endoprocedimentale, possono sembrare cadute in sostanziale desuetudine, può costituire un percorso privilegiato volto a garantire il raggiungimento delle finalità di cui all’art. 6 dl n. 106/06 che, come è noto, definisce le funzioni di vigilanza su aspetti di particolare delicatezza dell’attività del pubblico ministero, quali il corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo.
In questa ottica non appare ultroneo ricordare, come è stato fatto nel corso di altre assemblee generali, oltre che da alcune delle relazioni pervenute, che, al fine di riempire di contenuto la funzione di vigilanza a loro attribuita dal legislatore del 2006, le procure distrettuali non possono essere considerate quale mero recettore passivo delle informazioni provenienti dai procuratori del distretto e devono apprestare canali di osservazione tempestivi ed efficaci, che consentano di fornire uno spaccato della realtà del distretto.
Le informazioni che devono confluire verso l’ufficio del procuratore generale ai sensi degli articoli del codice di rito che disciplinano l’istituto dell’avocazione possono, pertanto, rivelarsi utili al fine non solo di porre rimedio all’inerzia che costituisce la spia di una cattiva gestione della singola indagine, ma anche di agevolare la funzione di vigilanza che, scevra da qualsivoglia ottica di sovraordinazione gerarchica, consenta di portare alla luce negligenze o carenze organizzative idonee a mettere a repentaglio i valori costituzionali, a tutela dei quali è finalizzato l’art. 6 suddetto.
D’altra parte, il potere di vigilanza previsto dal dl n. 106/06 in capo al procuratore generale distrettuale, si esplica pienamente quando il suo esercizio consente di prevenire o comunque di correggere anomalie e disfunzioni che, spesso, per la loro gravità, sono destinate a ledere, talvolta in modo irreversibile, beni di rango costituzionale come quello del giusto processo e del corretto ed uniforme esercizio dell’azione penale. In tal modo la funzione “preventiva” del potere di vigilanza consente di scongiurare la trasformazione di dette disfunzioni in veri e propri illeciti disciplinari.
Ovviamente, condizione ineludibile è che tali informazioni siano “eloquenti” e non si esauriscano in elenchi di dati muti, destinati solo ad assolvere incombenti burocratici ed adempimenti formali.
Sotto questo profilo problematiche differenti emergono a seconda delle diverse tipologie di avocazione.
3.3. La cd. avocazione facoltativa: problematiche e prassi applicative
Nella cd. avocazione facoltativa, la cui condizione minima non è necessariamente un’anomalia del procedimento – come, in astratto, avviene per l’avocazione obbligatoria che è innescata da una situazione di stasi – ma una mera diversità di vedute tra gip e pubblico ministero in ordine ad una richiesta di archiviazione o alla congruità ed esaustività delle indagini espletate nella prospettiva di una richiesta di rinvio a giudizio, appare difficoltosa l’individuazione del caso che meriti particolare attenzione, per l’alto numero di segnalazioni che provengono da parte degli uffici del gip.
In assenza di norme che prevedano forme di comunicazione più pregnanti, rispetto alla mera indicazione del rigetto della richiesta di archiviazione e della data della fissazione dell’udienza in camera di consiglio ai sensi del terzo comma dell’art. 409 cpp o del provvedimento con cui sono disposte le ulteriori indagini ai sensi dell’art. 421 bis cpp, possono ipotizzarsi protocolli da concordare insieme ai presidenti delle sezioni gip dei tribunali del distretto che consentano al procuratore generale di non rimanere all’oscuro a lungo allorché il sostituto procuratore si astenga dall’espletare le ulteriori indagini indicategli, non ottemperi alla disposizione della formulazione della imputazione o, comunque, assuma comportamenti omissivi.
Iniziativa di tal genere è stata assunta dalla Procura generale di Palermo che ha stipulato un protocollo con gli uffici gip del distretto in base al quale la comunicazione di cui all’art. 409 comma 3 cpp viene corredata della richiesta di archiviazione e, eventualmente, dell’opposizione della persona offesa, così da rendere possibile una valutazione approfondita delle suddette comunicazioni di rigetto delle richieste di archiviazione.
Anche il Procuratore generale di Cagliari, il Procuratore generale di Bologna e il Procuratore generale di Lecce, in questa medesima ottica, hanno provveduto a richiedere ai presidenti dei tribunali la trasmissione della richiesta di archiviazione e dell’opposizione della persona offesa ovvero, al gip, la trasmissione, in visione, degli atti di tutti i procedimenti per i quali la richiesta di archiviazione non sia stata accolta.
L’esigenza di conoscere le ragioni della richiesta di archiviazione, nelle ipotesi in parola, si ricava, vieppiù, come è stato rilevato dal Procuratore generale di Perugia, sulla scorta della motivazione con cui questo ufficio ha risolto il contrasto n. 495/A/2016 R.G., in base alla quale il potere di avocazione attribuito ai sensi del secondo comma dell’art. 412 cpp al procuratore generale, non può essere circoscritto alle ipotesi di inerzia (come, per esempio, l’omissione, da parte del pubblico ministero, di atti di indagine indispensabili), ma coinvolge le ipotesi di giudizio di non infondatezza della notitia criminis, desumibile dagli atti già acquisiti, quelle di diversa opinione sull’inquadramento giuridico del fatto e, finanche, sul taglio investigativo adottato. Per queste ragioni il Procuratore generale di Perugia ha chiesto agli stessi procuratori del distretto di trasmettere o, comunque, di conoscere le richieste di archiviazione dei procedimenti. Senonché alcuni procuratori del distretto hanno addotto difficoltà di ordine operativo, ed altri hanno manifestato remore in via di principio e perfino il timore di un vulnus all’assetto costituzionale del pm.
3.4. La cd. avocazione obbligatoria: il problema dei flussi informativi
Quanto alla cd. avocazione obbligatoria, già in passato il Csm, in considerazione della insufficienza dei dati che le procure sono tenute a comunicare, ha segnalato l’opportunità che l’elenco di cui all’art. 127 disp. att. fosse redatto in modo tale da consentire la individuazione dei procedimenti nei quali le indagini erano state svolte, compiutamente o parzialmente, rispetto a quelli nei quali, invece, esse erano state del tutto omesse[1]. Questa selezione costituirebbe un patrimonio informativo certamente più utile alle procure generali per operare le relative valutazioni ma, tranne qualche eccezione di cui si dirà in seguito, essa non avviene poiché ritenuta difficilmente praticabile, atteso che comporterebbe per le procure della Repubblica un notevole aggravio di lavoro.
D’altro canto il dato che emerge dalle relazioni pervenute dalle procure generali in base al quale, nel periodo monitorato, non risultano praticamente avocazioni espletate ai sensi dell’art. 412 cpp, primo comma, in seguito alla trasmissione degli elenchi di cui all’art. 127 disp. att. cpp, appare, sotto questo profilo, significativo.
Alla impossibilità di esercitare indistintamente il potere avocativo per tutti i procedimenti indicati negli elenchi (solo per fare un esempio il Procuratore generale di Brescia denuncia la pendenza attuale, nel distretto, di oltre 60.000 procedimenti, a carico di persone note, con termini per le indagini scaduti), si aggiunge, generalmente, l’assenza di criteri discretivi predeterminati per la individuazione delle indagini da avocare, la cui applicazione, comunque, presupporrebbe la conoscenza di tutti gli atti di indagine.
Proprio la mancata conoscenza del peso specifico del procedimento, sotto il profilo della delicatezza dei fatti ad esso sottesi e della esistenza di indagini in atto, ha indotto, alcuni procuratori generali, a paventare il rischio, che conseguirebbe ad un esercizio indiscriminato o casuale del potere avocativo, di generare disparità di trattamento o sospetti in ordine alle ragioni delle loro scelte.
A questo specifico proposito, comunque, è opportuno ricordare che, in passato, il Csm ha avuto modo di precisare che il provvedimento di avocazione non deve essere motivato anche sotto il profilo delle ragioni per cui il relativo potere venga esercitato in relazione ad uno specifico procedimento, con esclusione degli altri che si trovino nelle medesime condizioni processuali: rispondendo ad alcuni quesiti posti da un procuratore della Repubblica con una nota del 27/3/2007, il Csm, con delibera del 12/9/2007, ha stabilito che, a parte l’obbligo di motivazione previsto dal codice di rito e dall’art. 70, comma 6, R.d. 30 gennaio 1941, n. 12, relativo alle ragioni per cui un determinato procedimento, nella sua individualità, venga ad essere sottoposto ad avocazione da parte del Procuratore generale presso la Corte di appello, «nessuna norma, neanche di livello secondario, ivi compresa la delibera consiliare del 16 luglio 1997, impone la sussistenza di un analogo obbligo motivazionale in termini di valutazione relativa, e non già assoluta, nel senso di rappresentare i motivi per cui si è deciso di avocare un determinato procedimento rispetto al quale sia scaduto il termine per le indagini preliminari, e non già altri che si vengano a trovare nelle medesime condizioni processuali».
Tuttavia, nella delibera in materia di «criteri di priorità e gestione dei flussi di affari», dello scorso anno, sopra richiamata, lo stesso Csm non ha mancato di rilevare che l’inevitabile potere di selezione dei procedimenti da avocare deve essere esercitato dal Procuratore generale della Corte di appello, previa «enunciazione di criteri di riferimento».
Ciò posto, non può essere sottaciuto che anche la bozza della nuova circolare relativa all’organizzazione degli uffici requirenti, attualmente all’esame del Csm, prevede che, nella trasmissione ai sensi dell’art. 127 disp. att. cpp, al Procuratore generale presso la Corte di appello dell’elenco delle notizie di reato contro persone note per le quali non è stata esercitata l’azione penale o richiesta l’archiviazione entro il termine previsto dalla legge o prorogato dal giudice, sia presente la distinzione dei procedimenti a seconda se sia stata o meno svolta attività d’indagine e la indicazione se si tratti di reati ricompresi o meno nei procedimenti a trattazione prioritaria.
Si tratta di un patrimonio informativo minimo che consentirebbe al procuratore generale, per esempio, di valutare la possibilità di esercitare il potere avocativo alla luce dei criteri di priorità elaborati da quella procura della Repubblica che abbia individuato ambiti di indagine privilegiata su cui concentrare le potenzialità investigative dell’ufficio.
In tal senso, il Procuratore generale di Genova ha prospettato l’ipotesi che sia l’ufficio della Procura generale della Cassazione ad indicare uno “standard informativo omogeneo” al quale le singole procure della Repubblica dovrebbero fare riferimento, al fine di consentire alle procure generali di verificare il tempestivo esercizio dell’azione penale.
Un altro limite dell’elenco di cui all’art. 127 disp. att. che è stato rilevato da molti procuratori generali, nelle loro relazioni, è quello dell’assenza delle informazioni in ordine allo stato dei procedimenti già inseriti nei precedenti elenchi dei quali, in tal modo, si perde ogni cognizione: solo un sistema che non si limiti ad indicare i procedimenti con termini scaduti ma consenta di monitorarli al fine di acquisire piena cognizione dello stato delle indagini e delle ragioni del ritardo porterebbe alla luce, secondo il Procuratore generale della Corte di appello di Palermo, «eventuali disfunzioni, casi di ripetute negligenze o di inadeguatezza nell’organizzazione degli uffici (sistematici deficit nelle indagini per determinate tipologie di reato in una determinata procura o in capo a determinati sostituti, ripetute omissioni di svolgimento delle indagini, reiterate prescrizioni di reati rilevanti in capo ai medesimi sostituti procuratori e indice di omessa sorveglianza dei capi degli uffici etc.)».
Questo tracciamento dei procedimenti dopo il loro inserimento negli elenchi, consentirebbe al procuratore generale distrettuale di segnalare, in tempo reale, al procuratore della Repubblica, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, eventuali disfunzioni, come quelle sopra indicate, che potrebbero essere disinnescate nella loro fase iniziale.
In questa medesima ottica il Procuratore generale di Cagliari, al fine di avere, in ogni caso, una visione d’insieme della realtà del distretto e monitorare l’andamento dei procedimenti più antichi, ha disposto una ricognizione generale annuale delle pendenze, non mancando di invitare i dirigenti degli uffici del distretto ad adottare soluzioni organizzative necessarie al loro smaltimento e riservandosi, come estrema ratio, di esercitare il potere di avocazione per i procedimenti di più antica iscrizione, previo esame degli atti e nei limiti delle possibilità dell’ufficio.
Allo stesso modo il Procuratore generale di Salerno, con una direttiva del dicembre del 2015, dopo avere provveduto a fare estrarre dall’Ufficio registro generale, per ciascun magistrato, l’elenco dei procedimenti con termine di indagine scaduto da più di un anno, ha raccomandato ai magistrati assegnatari la definizione dei procedimenti più antichi seguendo un piano di “abbattimento” dell’arretrato, con obiettivi prefissati da verificare con cadenza bisettimanale. La direttiva ha sortito un esito positivo.
3.5. La gestione informatizzata dei dati
Naturalmente, questi sistemi, le cui difficoltà operative non possono essere nascoste o sminuite, presuppongono una gestione informatizzata dei dati e la predisposizione di articolati modelli organizzativi, in linea con le dimensioni del distretto.
La gestione informatizzata dei dati è stata sperimentata, in forme diverse, da molti uffici di procura generale.
Quasi tutti gli uffici utilizzano, per la formazione degli elenchi di cui all’art. 127 disp. att. cpp e per il monitoraggio dei relativi dati, il Sistema informativo della cognizione penale (S.I.C.P.).
Il dato informativo che può ricavarsi (es. numero del procedimento, data di iscrizione e data di scadenza delle indagini, titolo di reato ecc.) varia a seconda delle direttive impartite dai procuratori della repubblica alle rispettive segreterie. In questo senso il Procuratore generale di Firenze ha invitato i procuratori del distretto a fare ricomprendere negli elenchi in parola un numero minimo di elementi, da lui indicati, al fine di evitare disomogeneità delle informazioni.
In ogni caso, aldilà delle problematiche tecniche, rilevate dal Procuratore generale di Milano, e del rischio, rilevato dal Procuratore generale di Bologna, dal Procuratore generale di Genova e dallo stesso Procuratore generale di Milano, di scarsa attendibilità del dato, che può rivelarsi persino ingannevole quando il Sistema rileva la scadenza dei termini delle indagini che, invece, sono state regolarmente espletate ed è in corso la fase della notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis cpp, molti procuratori generali, ritengono l’informazione estratta dal S.I.C.P., priva di qualsivoglia integrazione o rielaborazione, poco utile allo scopo.
Al fine di porre in essere il tracciamento dei procedimenti, già inseriti negli elenchi, fino alla loro definizione, per evidenziare inerzie prolungate e “significative”, la Procura generale di Roma ha avviato una sperimentazione, con la collaborazione della Procura di Velletri, in base alla quale la procura della Repubblica consente alla procura generale un accesso diretto e limitato tramite una procedura di interrogazione (queries) in grado di rendere operativo il controllo sulla durata della inerzia. Tale sperimentazione riguarderà anche la possibilità di ottenere quelle informazione (relative alle richieste di archiviazione, agli adempimenti ex art.415 bis cpp, a notificazioni o richieste in corso etc.) essenziali per la valutazione della rilevanza dell’inerzia ai fini dell’eventuale avocazione.
Anche il Procuratore generale di Palermo ha messo a punto una specifica applicazione che consente di monitorare i procedimenti scaduti delle singole procure del distretto le quali producono ed inviano periodicamente l’elenco di cui all’art. 127 disp. att. cpp, in formato MS-Excel, contenente tutte le informazioni relative al singolo procedimento scaduto. Tali informazioni riguardano l’indicazione della procura che trasmette, il numero del procedimento, la data di iscrizione e di scadenza, il nome del magistrato e dell’imputato, la qualificazione giuridica del fatto (QGF), l’iter del fascicolo e la specificazione se le indagini sono state o meno completate. L’applicazione, creata utilizzando un gestionale della Microsoft chiamato Visual FoxPro 9.0, acquisisce le informazioni contenute negli elenchi e, dopo una operazione di pulitura ed omogeneizzazione, le importa all’interno del proprio database generando, per ogni singolo procedimento, una scheda digitale. Viene poi avviata una prima serie di attività che agiscono sulle schede prodotte. Esse sono: la scrematura delle schede in base alla QGF, alla rilevanza e ai criteri di priorità (per cui tutte le schede che non rispondono a certi parametri non vengono considerate); l’impostazione della data di evidenza a sei mesi dalla loro acquisizione per i procedimenti con indagini complete; l’assegnazione delle schede ai singoli sostituti procuratori generali, incaricati della loro gestione, in funzione della procura interessata. L’applicazione, poi, abilita le relative funzioni previste in base alla classe di appartenenza dell’utente che accede: i sostituti procuratori generali avranno accesso alla gestione completa delle schede e così potranno segnare annotazioni personali, modificare le date di evidenza, inviare alle procure interessate richieste di informazioni sullo stato dei procedimenti e porre nuove evidenze, stampare elenchi sulla base di ricerche specifiche (evidenze in scadenza, evidenze scadute, richieste di informazioni non evase, ecc.); i preposti alla manutenzione degli archivi potranno solo accedere al database per importare nuove schede; il procuratore generale potrà accedere alla visualizzazione di tutte le schede e vederne le trattazioni, sia di quelle automatiche, sia di quelle create dai sostituti procuratori generali incaricati; l’amministratore, invece, avrà accesso a tutte le funzioni della procedura per la gestione dal lato programmazione.
3.6. I modelli organizzativi
Nella costituzione dei modelli organizzativi i Procuratori generali di Palermo e di Bari hanno inteso superare il problema riveniente da una frammentazione delle competenze che impedisce una lettura unitaria e sistematica delle informazioni relative all’esercizio dell’azione penale.
Sotto questo profilo, il Procuratore generale di Palermo, superando il criterio della distribuzione degli affari tra tutti i magistrati dell’ufficio a seconda del tipo di avocazione, ha costituito un pool specializzato di quattro sostituti procuratori generali che esercitano il potere avocativo nelle sue diverse forme, in un’ottica di collaborazione con il procuratore stesso. I quattro magistrati, a cui è attribuita una competenza territoriale con rotazione annuale, oltre ad assolvere i compiti endoprocessuali previsti dal codice di rito, redigono un report semestrale in cui evidenziano tutte le informazioni acquisite nel corso dell’esame dei casi di avocazione e le problematiche eventualmente rilevate in ordine alle modalità dell’esercizio dell’azione penale negli uffici requirenti. I report sono, poi, inseriti in un database, oggetto di analisi comparata all’interno del pool.
Questa organizzazione, in uno con la catalogazione informatica degli atti dei procedimenti avocati, di cui si è detto, ha consentito alla Procura generale di Palermo di implementare il volume di lavoro dell’ufficio in tale campo di talché dal 2013 al 2017 sono state esaminate n. 2511 comunicazioni trasmesse dagli uffici gip del distretto ai sensi dell’art. 409 cpp.
Parzialmente diversa la prospettiva della Procura generale di Roma che è alle prese con problematiche peculiari derivanti dalla presenza, nel distretto, della Procura della Repubblica di Roma dinanzi alla quale pendono oltre 40.000 procedimenti, già definiti dall’ufficio requirente ma che il tribunale non è in grado di ricevere. In tale situazione, evidentemente, la segnalazione di decine di migliaia di procedimenti per i quali non è stata esercitata l’azione penale, non sarebbe stata utile ai fini dell’avocazione, in quanto avrebbe dato conto solo della sproporzione tra la capacità definitoria dell’ufficio requirente rispetto a quello giudicante.
In ogni caso, il Procuratore generale di Roma, all’esito di una lunga ma positiva interlocuzione con gli uffici del distretto, ha elaborato, nell’aprile del 2016, un modello organizzativo avente ad oggetto l’intera materia dell’avocazione. Premesso che dagli elenchi di cui all’art. 127 disp. att. cpp non è possibile ricavare dati utili ai fini dell’esercizio del potere avocativo, il modello prevede che, dopo la trasmissione degli elenchi, segua una costante interlocuzione con gli uffici per acquisire le informazioni utili per la rilevazione della “inerzia” significativa, cioè di una stasi procedimentale dovuta alla mancanza di determinazioni che il pubblico ministero avrebbe potuto assumere. Il modello si fonda sulla piena collaborazione delle procure del distretto che si rendono disponibili a fornire le informazioni utili, preservando la segretezza di quelle non strumentali alle determinazioni della procura generale, anche attraverso modalità informatiche in via di sperimentazione.
A questo fine, gli elenchi sopra indicati dovranno continuare a riportare l’indicazione dei procedimenti già segnalati e per i quali non sia stata assunta la determinazione finale. Inoltre i criteri elaborati dagli uffici del distretto, in aggiunta a quelli previsti dalla legge, costituiranno utile base per le valutazioni che la procura generale opererà anche alla luce dei seguenti criteri di priorità tra loro combinati: «Procedimenti di più antica iscrizione o per i quali non vi sia stata richiesta di proroga ad esclusione, di norma, di quelli che rispondono ai criteri di fissazione o priorità predisposti dalle Procure approvati dal Csm; Procedimenti nei casi indicati dall’art. 132 disp, att. cpp, dalla lett. a) alla lett. d); Procedimenti nei confronti di magistrati o in cui vi sia un sequestro di rilevante entità o la persona offesa lamenti un danno ingente».
Successivamente il procuratore generale, sulla base della prospettazione del magistrato designato, dovrà valutare la sussistenza:
1) della necessità di effettuare ulteriori indagini;
2) di interessi pubblici o privati alla celere definizione del procedimento;
3) del tempo trascorso dalla data di commissione del reato;
4) della sussistenza di esigenze di uniformità nell’interpretazione e nell’applicazione della legge;
5) delle ragioni che hanno impedito le determinazioni del pubblico ministero;
6) della complessità del procedimento.
Condizione ineludibile del buon funzionamento del meccanismo organizzativo è, all’evidenza, la leale collaborazione delle singole procure della Repubblica che non possono essere ritenute destinatarie passive di disposizioni impartite dall’alto. Come ha osservato il Procuratore generale di Bari, la moral suasion costituisce un imprescindibile metodo di lavoro che il Csm richiama e auspica ripetutamente.
D’altra parte, al fine di non superare la soglia della esigibilità, i modelli organizzativi devono essere calibrati sulle risorse umane e materiali dei singoli uffici di procura che molto spesso non sono in linea con le dimensioni del circondario.
Eloquente, da questo punto di vista, il sintetico bilancio tracciato dal Procuratore generale di Napoli, dell’applicazione delle disposizioni, da lui impartite, ad agosto del 2016, in materia di avocazione, in base alle quali le procure del distretto avrebbero dovuto selezionare e trasmettere, trimestralmente, i procedimenti più significativi, tra quelli rientranti negli elenchi di cui all’art. 127 disp. att. cpp. All’uopo, il suddetto procuratore generale aveva individuato alcune categorie di reati rilevanti sotto il profilo del bene-interesse tutelato dalla norma penale (reati di cui all’art. 51 comma 3 bis, 3 quater e 3 quinquies cpp, reati ambientali, reati di lottizzazione abusiva, omicidio stradale, truffa in danno di soggetti deboli ecc.) e aveva rimesso agli stessi procuratori del distretto la valutazione dei procedimenti meritevoli di segnalazione per la loro rilevanza politica, sociale o economica, ovvero per essere stati oggetto di particolare attenzione da parte dei mass-media. Dette segnalazioni avrebbero, poi, dovuto contenere le annotazioni relative alla vicenda specifica sottesa al singolo procedimento oltre che allo stato delle indagini.
Tuttavia, pur non avendo mancato di chiarire che, in ultima analisi, rimaneva affidato al prudente apprezzamento dei singoli procuratori del distretto la individuazione dei procedimenti di maggiore rilievo, meritevoli di essere segnalati specificamente, il procuratore generale ha dovuto prendere atto delle difficoltà operative manifestate dai procuratori del distretto e, «in un’ottica di massima apertura alle ragioni prospettate ed in uno spirito di leale collaborazione e confronto con gli stessi», ha revocato, solo qualche mese dopo, le disposizioni suddette.
4. Il dato statistico
Si reputa utile unire alla presente relazione la tabella elaborata dal servizio statistico del ministero della Giustizia, che riporta i dati sulle avocazioni per distretto, negli anni solari dal 2013 al 2016, nonché il dettaglio delle modalità di definizione dei procedimenti avocati.
Il dato registra un numero considerevole di avocazioni della Procura generale di Torino rispetto a quelle delle altre procure generali, anche di medie e grandi dimensioni. Per esempio nel 2016, a fronte di 96 avocazioni disposte sul territorio nazionale, quelle della suddetta Procura generale di Torino sono state 62, seguono quelle della Procura generale di Palermo che sono state 8 e quelle della Procura generale di Catania che sono state 7.
Rimane comunque alta la percentuale dei procedimenti (già avocati) definiti con richiesta di archiviazione, rispetto a quelli che sfociano nella fase processuale. Per esempio la Procura generale di Torino ha definito, nel 2016, 65 procedimenti, di cui 37 con richiesta di archiviazione e 28 con esercizio dell’azione penale. Non dissimili le percentuali, nello stesso anno, delle altre procure generali: la Procura generale di Palermo ha definito 5 procedimenti, 3 dei quali con richiesta di archiviazione; la Procura generale di Catania ha definito 8 procedimenti, 4 dei quali con richiesta di archiviazione; la Procura generale di Milano ne ha definiti 9, di cui 5 con richiesta di archiviazione etc.
Intrecciando i dati della predetta tabella con quelli delle informazioni pervenute dalle procure generali è possibile ricavare la percentuale delle diverse tipologie di avocazione.
Non risultano essere state disposte nel periodo recente (2016 e primi mesi del 2017) avocazioni, ai sensi del primo comma dell’art. 412 cpp, in seguito alla trasmissione degli elenchi di cui all’art. 127 disp. att. cpp; sono, invece, state disposte, in qualche caso, per compiere ulteriori indagini dopo la scadenza del relativo termine quando il pubblico ministero non era riuscito ad ottenere dal gip la proroga in tempo utile.
Nel medesimo periodo sono state disposte avocazioni attivate a seguito della comunicazione del gip ai sensi dell’art. 409 cpp e soprattutto avocazioni su istanza di parte ex art. 413 cpp.
Queste ultime sono statisticamente le più significative ed hanno riguardato anche procedimenti contro ignoti e fascicoli iscritti a modello 45, ma sono in numero di gran lunga inferiore rispetto alle istanze pervenute, sia perché alcune di queste istanze sono rigettate, sia perché, molto spesso, nelle more delle informazioni richieste dal procuratore generale, il singolo sostituto procuratore definisce il procedimento.
A quest’ultimo riguardo, tenuto conto che a un numero rilevante di istanze di avocazione fa poi seguito un provvedimento di archiviazione, non può non rilevarsi come l’istituto dell’avocazione finisca talvolta per imporre tempi rapidi di definizione anche a procedimenti che non avrebbero meritato la priorità loro riservata, a discapito di altri la cui definizione, in tal modo, è inevitabilmente rallentata.
In tal senso, il Procuratore generale di Genova, proprio al fine di non tradire la logica dei criteri di priorità indicati dai procuratori del distretto e dal Consiglio giudiziario, ha ritenuto di adottare un criterio predeterminato in base al quale l’avocazione è sempre negata per le istanze concernenti fatti “bagatellari”.
Infine non sono stati segnalati casi di avocazione ex art. 421 bis cpp.
È fin troppo evidente che il dato statistico, il quale registra, in generale, un numero limitato di avocazioni, è solo parzialmente indicativo dello stato dell’arte. Ferme restando, infatti, le sofferenze del sistema, sopra evidenziate, conseguenti alle condizioni generali in cui versano gli uffici giudiziari che non sono pienamente compatibili con la disciplina delineata dal codice di rito e che, pertanto, contribuiscono al malfunzionamento dell’istituto dell’avocazione, tuttavia, va considerato che a un modesto dato statistico non corrisponde necessariamente un deficit organizzativo degli uffici di procura generale, posto che il basso numero di avocazioni può dipendere non soltanto dalle limitate risorse disponibili per il successivo espletamento delle attività conseguenti all’avocazione, ma anche – come si registra negli uffici di più piccole dimensioni – dalla capacità delle procure del tribunale di tempestiva definizione dei procedimenti.
Rimane ferma la necessità per gli uffici delle Procure generali presso le Corti di appello, di tesaurizzare le scarse risorse umane e materiali disponibili adottando modelli organizzativi che siano in linea con le dimensioni dell’ufficio e che non prescindano dalla gestione informatica del dato informativo, né dal confronto e dalla collaborazione sia delle procure della Repubblica, sia delle presidenze dei tribunali, nell’ottica del perseguimento di un comune obiettivo, quello della tutela del principio della obbligatorietà dell’azione penale e, in ultima analisi, dell’autonomia e indipendenza dell’ordine giudiziario.
*Pubblichiamo il testo della relazione tenuta all’incontro con i procuratori generali presso le Corti di appello tenutosi nei giorni 18 e 19 maggio 2017 nell’Aula magna della Corte di cassazione
[1] Nella delibera del Csm P-97-13159 del 16/7/1997 si legge: «… ritenuto che a tal fine appaiono conformi alla normativa vigente e alla razionalità organizzativa dei rapporti tra le Procure della Repubblica e la Procura generale, le diffuse prassi secondo le quali i Procuratori della Repubblica, nell'adempiere all'obbligo di cui all'art. 127 disp. att. cpp, comunicano al Procuratore generale l'elenco delle indagini preliminari i cui termini siano scaduti, distintamente segnalando quelle che ancora richiedono atti di indagine; in ordine a queste ultime, nei tempi opportuni e possibili in rapporto alle risorse personali e materiali a disposizione, il Procuratore generale provvede alla avocazione».