Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

La Cedu chiede all’Italia la soppressione del Tribunale per i minorenni? Anche no…

di Grazia Cesaro
Avvocato del Foro di Milano<br>Presidente della Camera minorile di Milano<br>Responsabile del Settore Internazionale U.N.C.M

Il ddl 2284 attualmente all’esame del Senato avrà come conseguenza diretta e principale la soppressione della giustizia minorile specializzata.

A prescindere dalla necessità di riservare ad altra sede più approfondite valutazioni sulla natura e sull’impatto di tale riforma, corre sin d’ora l’obbligo di contestare talune tesi, assai azzardate, sostenute da quei commentatori che vorrebbero leggere nelle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo un’indicazione rivolta al legislatore italiano, con riferimento alla presunta necessità di riformare l’ordinamento giudiziario minorile.

In particolare, recentemente, non è mancato chi, riferendosi alla sentenza Lombardo c. Italia (Cedu, 29 gennaio 2013), ne ha distorto alcuni passaggi motivazionali ed è giunto ad affermare che i giudici di Strasburgo avrebbero avallato una riforma organica della giustizia minorile italiana, perché ritenuta allo stato carente e non tutelante[1].

Si è quindi riferito che la sentenza Lombardo avrebbe sollecitato l’Italia a dotarsi di «un arsenale giuridico adeguato»: tale inciso, nell’ottica di taluni interpreti, è stato inteso quale presa di posizione della Cedu a sostegno dei progetti riformatori che hanno occupato il dibattito parlamentare degli ultimi anni.

Si tratta tuttavia di un grave equivoco, che ha comportato la diffusione di un’interpretazione distorta delle reali indicazioni offerte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Infatti con tale decisione, erroneamente invocata da taluni a sostegno dell’asserita necessità di abolizione dei Tribunali per i minorenni e delle procure minorili, la Corte europea dei diritti dell’uomo non solo non ha mai censurato l’attuale assetto ordinamentale della giustizia minorile, ma neppure ha inteso legare all’espressione «arsenale giuridico adeguato» una valenza di sistema. Ed anzi, per maggior chiarezza si ritiene utile riportarsi al testo originale della sentenza in lingua francese, laddove al paragrafo 80 si legge che la Corte fa riferimento a «(…) la mise en place d’un arsenal juridique adéquat et suffisant pour assurer les droits légitimes des intéressés ansi que le respect des décisions judiciaires, ou des mesures spécifiques appropriées (…)»[2].

Risulta quindi evidente che oggetto dell’attenzione da parte della Corte Edu non sono affatto presunte carenze insite nel sistema ordinamentale della giustizia minorile italiana: la sentenza resa dalla Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia perché non si è assicurata, con l’adozione di misure specifiche e puntuali appropriate per il caso di specie, l’esecuzione ed il rispetto delle decisioni assunte dai giudici minorili nazionali.

Taluni commentatori hanno dunque italianizzato e decontestualizzato l’espressione «arsenal juridique» rinvenuta nel testo in lingua originale della decisione, evitando invece sia di riportare per intero il periodo contenuto nel paragrafo 80 della versione francese, sia di utilizzare la traduzione del ministero della Giustizia che parla di “strumenti” e di “misure”.

È chiaro l’effetto distorsivo di tale scelta lessicale: si è del tutto obliterato il riferimento non solo alla violazione di portata puntuale (e non generale) riscontrata dalla Cedu con riferimento all’art. 8, ma soprattutto si è omesso di riferire che oggetto della censura è proprio la mancata attuazione delle decisioni del Tribunale per i minorenni, il cui ruolo non solo non è messo in discussione, ma esce anzi rafforzato perché oggetto della violazione, secondo la Corte Edu, è stata la mancata specifica esecuzione delle indicazioni fornite dai giudici minorili.

Nel caso di specie, infatti, la Corte Edu ha semplicemente censurato la mancata adozione di misure adeguate per permettere la ripresa dei rapporti tra il ricorrente e la figlia; ed anzi, semmai, la censura pare essere stata rivolta ai servizi del territorio che avrebbero mancato di dare piena esecuzione alle misure indicate dall’Autorità giudiziaria.

Dunque, si è trattato di una violazione dell’art. 8 Convenzione per un agito (o, meglio, una mancanza di intervento) concreto, e limitato al caso di specie: nessuna indicazione di sistema, nessun invito alla riforma della giustizia minorile come quanti propugnano la soppressione dei Tribunali per i minorenni e delle procure minorili vorrebbero invece fare intendere.

La verità è che né il ricorrente, né la Cedu, nel “caso Lombardo”, hanno mai affrontato il tema della “adeguatezza” dei tribunali e delle procure minorili alla luce delle tutele e delle garanzie convenzionali.

Anche le altre recenti decisioni Improta c. Italia (Cedu, 4 maggio 2017) e Endrizzi c. Italia (Cedu, 23 marzo 2017) non possono essere lette quali esortazioni raccomandate da Strasburgo al legislatore italiano perché lo stesso proceda nel senso di una riforma organica della giustizia minorile; il riferimento a tali precedenti quali critiche al sistema della giustizia minorile è improprio e non coglie nel segno, ma soprattutto palesa una volontà distorsiva delle indicazioni offerte dalla Corte Edu.

In entrambi i casi, infatti, le violazioni dell’art. 8 Convenzione sono state riscontrate con riferimento a situazioni puntuali e concrete (eccessiva durata del procedimento, mancata adozione di misure atte a conservare il legame tra genitore e figli e mancata adozione di misure destinate a favorire il diritto di frequentazione e di visita).

Mai, in tali decisioni, la Cedu ha affrontato il tema dell’adeguatezza dell’attuale sistema di giustizia minorile.

Non viene cioè mai fatta menzione alcuna né di lacune del sistema, né di necessità di riformarlo.

Ne è la riprova che tutti i casi citati da quanti si stanno in questi mesi spendendo in una compagna diretta contro il Tribunale per i minorenni e le procure minorili non hanno mai comportato alcuna condanna dell’Italia per violazione dell’art. 6 Convenzione (diritto ad un processo equo) né tantomeno dell’art. 13 Convenzione (diritto ad un ricorso effettivo).

Dunque, nessuna censura sotto il profilo generale della capacità del sistema di giustizia minorile di rispondere in maniera equa ed effettiva alle esigenze di giustizia, di tutela, di protezione dei minori e dei legami familiari.

Le censure talvolta mosse all’operato dei tribunali (non solo minorili) e dei servizi sociali (attualmente sotto organico e soggetti a scelte politiche che comportano un continuo taglio di fondi) non hanno mai avuto valenza generale, ma concreta, e sono state riferite cioè a mancanze o interferenze individuate come puntuali, precise e circostanziate.

Pare dunque azzardato, ed anzi fuori luogo, sostenere che dalla Cedu siano giunte indicazioni di sistema ed addirittura spinte riformatrici dirette al nostro Paese; e ciò, ovviamente, a meno di non voler attribuire alla Corte Edu parole ed intenzioni che la stessa non ha mai pronunciato.

In una occasione la Corte Edu è stata chiamata a valutare un ricorso diretto contro l’Italia anche sotto il profilo dell’art. 13 Convenzione, con riferimento all’assetto ordinamentale della giustizia minorile: si trattava cioè di verificare, effettivamente, la “tenuta del sistema” di tale settore specializzato della giurisdizione, valutando se le risposte offerte dal Tribunale per i minorenni fossero adeguate rispetto alle esigenze del ricorrente, e se la giustizia minorile italiana garantisse il diritto ad un ricorso effettivo.

Ebbene, in tale occasione (caso Santilli c. Italia, Cedu, 17 dicembre 2013) la Corte europea dei diritti dell’uomo non solo non ha individuato alcuna violazione dell’art. 13 Conv., ma anzi ha affermato espressamente che il Tribunale per i minorenni, pur rigettando le richieste dell’istante, ne ha sempre esaminato le domande garantendo il rispetto delle tutele procedurali, all’interno di un sistema-giustizia ritenuto capace di offrire risposte effettive e compatibili con il quadro delle salvaguardie convenzionali.

Dunque, allorché la Cedu ha avuto modo di esprimere una valutazione generale sull’ordinamento della giustizia minorile italiana, la stessa ne ha confermato l’adeguatezza ai principi convenzionali, ed ha rigettato le doglianze in ordine alla presunta mancanza di effettività delle risposte offerte.

D’altronde, tutte le volte che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto di dover condannare l’Italia per lacune dell’ordinamento, e per la mancanza di riforme espressamente indicate come necessarie, la stessa lo ha sempre fatto esplicitamente: si considerino i casi Oliari ed altri c. Italia (Cedu, 21 luglio 2015) o Cusan e Fazzo c. Italia (Cedu, 7 gennaio 2014), che, pur riferiti a fattispecie radicalmente diverse, hanno comportato da parte dei giudici di Strasburgo vere e proprie esortazioni al legislatore italiano affinché egli procedesse con riforme legislative ritenute necessarie ed improcrastinabili.

Ad oggi, nessuna indicazione analoga è mai giunta dalla Corte Edu con riferimento ad una presunta esigenza di soppressione dei Tribunali per i minorenni e delle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni.

Ed anzi, nella recente decisione resa dalla Grande Chambre con riferimento al caso Paradiso e Campanelli c. Italia (Cedu, Grande Chambre, 24 gennaio 2017), la Corte Edu pare invece valorizzare proprio il ruolo e la natura del Tribunale per i minorenni quale giudice altamente specializzato, laddove al paragrafo 212 della sentenza viene ritenuta importante la precisazione dello stesso Governo italiano a difesa del Tribunale per i minorenni quale «tribunale specializzato composto da due giudici togati e da due membri esperti».

Peraltro, non constano contro l’Italia neppure “sentenze-pilota” rese dalla Corte Edu in applicazione dell’art. 61 delle “Rules of the Court” con riferimento all’esistenza di lacune di sistema inerenti all’attuale ordinamento della giurisdizione minorile: il che è quindi sintomatico del fatto che la Cedu non solo non ha mai ritenuto sussistente un difetto strutturale connotato all’attuale articolazione sistematica della giustizia minorile in Italia, ma neppure è mai stata investita di doglianze riferibili a questo ambito tali da giustificarne un intervento “pilota”[3].

Per concludere, quindi, si può certamente affermare che il dibattito dottrinale che si sta sviluppando attorno alla recente riforma della giustizia minorile e delle relazioni familiari, conformemente ai principi democratici di libera espressione del pensiero e delle opinioni, può legittimamente offrire spunti di riflessione diversi a seconda dei soggetti che se ne fanno promotori.

Del tutto legittima, anche se assolutamente non condivisibile ad avviso di chi scrive, è quindi anche l’opinione di quanti scorgono nella riforma progettata una opportunità e non un rischio per la tenuta del sistema delle garanzie giurisdizionali offerte ai soggetti di età minore; meno condivisibile, ed anzi invero certamente stigmatizzabile, è il tentativo di influenzare il dibattito pretendendo di attribuire ad organismi autorevoli quali la Corte europea dei diritti dell’uomo opinioni che dalla stessa non sono mai state espresse, ma che invece corrispondono solo al punto di vista soggettivo di taluni commentatori.

Conclusivamente, vale la pena di ricordare che non solo gli organismi sovranazionali non hanno in alcun modo suggerito, ne suggeriscono, un intervento riformatore nel campo della giustizia minorile; ma che, per contro, dal Consiglio d’Europa è recentemente giunta una presa di posizione sicura contro la riforma all’esame del Senato.

Ed infatti, con una lettera inviata in data 9 maggio 2017 al Presidente del Senato Pietro Grasso da parte di Nils Muižnieks, Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, si è sottolineato come il ddl 2284 porterebbe, se approvato, ad un «passo nella direzione sbagliata», e a «indebolire il ben consolidato sistema di protezione dei diritti dei minori» che sarebbe idoneo a minare le capacità dell’Italia a far fronte agli obblighi internazionali che impegnano il Paese nella protezione dei diritti dei minori.

Ed anche il recente rapporto della FRA, l’Agenzia per i Diritti fondamentali dell’Unione europea, reso pubblico nei primi mesi del 2017, nel monitorare l’effettiva implementazione delle Linee guida del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore[4] in nove Paesi membri dell’Ue[5], ha individuato nel rafforzamento del ruolo del giudice specializzato in materia minorile un elemento di estremo rilievo perché la risposta offerta dall’apparato giurisdizionale ai bisogni dei minori possa dirsi veramente “child-friendly”.

___________________

[1] Ci si riferisce ad esempio al recente comunicato stampa congiunto Cammino-Ondf-Uncc del 19 maggio 2017 intitolato Strasburgo condanna di nuovo l’Italia (Corte di), Strasburgo (Consiglio d’Europa ) indica la via giusta per la riforma: giudice unico specializzato ove si legge: «Ancora una condanna all’Italia dalla Corte di Strasburgo per l’ennesimo caso in cui il nostro paese non è riuscito a garantire la relazione figlio minorenne – genitore escluso dall’altro genitore (…) Le condanne si susseguono ormai sempre più frequenti: Strasburgo ha richiamato l’Italia più volte a provvedersi di un “arsenale giuridico adeguato” (Lombardo c. Italia 29 gennaio 2013)», www.cammino.org

E ancora, all’editoriale intitolato Relazioni familiari, a un passo dal varare una buona riforma, pubblicato a firma di M.G. Ruo sul numero 24 di Guida al Diritto del 3 giugno 2017, laddove è scritto che: «La giustizia civile per persone, relazioni familiari e minorenni è inadeguata: lo dicono le 25 condanne di Strasburgo che l’Italia ha guadagnato dal 2010 ai sensi dell’art.8 – e non solo – della CEDU».

[2] La traduzione non ufficiale reperibile sul sito internet del Ministero della Giustizia è la seguente: «(…) la predisposizione di strumenti giuridici adeguati e sufficienti ad assicurare i legittimi diritti degli interessati, nonché il rispetto delle decisioni giudiziarie ovvero di misure specifiche appropriate (…)».

[3] Come invece avvenuto con riferimento alle carenze sistematiche e strutturali dell’impianto carcerario italiano, che avevano giustificato l’attivazione della procedura speciale sfociata nella sentenza-pilota Torreggiani e altri c. Italia (Cedu, 8 gennaio 2013) contenente direttive rivolte al Governo affinché si procedesse ad un riallineamento delle condizioni detentive italiane rispetto agli standard convenzionali ritenuti sistematicamente violati.

[4] Elaborate nell’ambito del Consiglio d’Europa ed approvate in data 17 novembre 2010.

[5] Si precisa che il Report non ha riguardato l’Italia.

28/07/2017
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