- Affaire Bartesaghi Gallo et autres c. Italie Req. nn. 12131/13 et 43390/13
- Case of Cestaro v. Italy n. 6884/11
Con la sentenza Bartesaghi Gallo ed altri contro Italia, rg. 12131/13 e 43390/13, del 22 giugno 2017, la Corte europea dei diritti dell'uomo reitera la condanna dell'Italia in relazione alle violenze della scuola Diaz occorse a margine del G8 di Genova nel luglio 2001.
In particolare, la sentenza riconosce la violazione dell'articolo 3 della Convenzione sul piano sostanziale e procedurale e condanna lo Stato italiano al risarcimento dei danni morali (differenziali rispetto alle provvisionali assegnate a livello interno) di circa € 45.000 in favore di ciascun ricorrente.
La sentenza ricalca, con maggior sintesi, il precedente Cedu Cestaro del 7 aprile 2015, rg. 6884/11, ove ricorrente era un cittadino italiano, ma si segnala perché nel caso ricorrenti erano più persone appartenenti a diverse nazionalità, sì che vi è un maggior interesse della comunità internazionale nel caso.
La sentenza riconosce che i fatti sono stati già accertati compiutamente a livello interno dai giudici nazionali e sono sintetizzabili (par. 114) in «violences commises, multiples et répétées, (qui) ont atteint un niveau de gravité absolue car commises dans tous les locaux de l’école et à l’égard de personnes à l’évidence désarmées, endormies ou assises les mains en l’air; lesdites violences étaient injustifiées et ont été exercées dans un but punitif et de représailles, visant à provoquer l’humiliation et la souffrance physique et morale des victimes».
Le violazioni della Convenzione riscontate dalla Corte europea riguardano essenzialmente due aspetti:
- sul piano sostanziale, l’inadeguatezza della legge italiana per prevenire e punire gli atti di tortura connessi commessi dalle forze dell'ordine nonché, peraltro, la mancata punizione in modo adeguato dei responsabili dei fatti illeciti;
- sul piano procedurale, la sentenza richiama in toto il precedente, che aveva rilevato l’assenza di identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti in causa, la prescrizione dei delitti e l’indulto parziale delle pene, i dubbi sulle misure disciplinari adottate nei confronti dei responsabili dei maltrattamenti.
Quanto al primo profilo, la sentenza Cestaro aveva rilevato, in modo tanto essenziale quanto efficace (par. 221 e par. 225), che «in definitiva, al termine del procedimento penale nessuno è stato condannato per i maltrattamenti perpetrati nella scuola Diaz-Pertini nei confronti, in particolare, del ricorrente, in quanto i delitti di lesioni semplici e aggravate si sono estinti per prescrizione» e che «è la legislazione penale italiana applicata al caso di specie a rivelarsi inadeguata rispetto all'esigenza di sanzionare gli atti di tortura in questione e al tempo stesso privata dell'effetto dissuasivo necessario per prevenire altre violazioni simili dell'articolo 3 in futuro».
La sentenza Bartesaghi Gallo ribadisce che gli atti in questione vanno riguardati come tortura, violativi quindi dell'articolo 3 della Convenzione, norma che protegge un diritto assoluto e inalienabile.
Nella legislazione italiana, dai fatti del G8 (ossia da quelli che Amnesty International ha definito «la più grave violazione dei diritti umani occorsa in una democrazia occidentale nel dopoguerra»), come pure dalla Cestaro, nulla è cambiato, e manca tuttora una legge italiana sulla tortura. E ciò sebbene la previsione di un reato ad hoc risulti conforme agli standard di vari Paesi ed a vari obblighi internazionali assunti dall'Italia, e sarebbe inoltre ricca di conseguenze pratiche (tra le tante, in tema di prescrizione), opportunamente evidenziate da Guglielmo Taffini in L’infame crociuolo della verità. Uno studio sulla tortura (collana Il diritto in Europa oggi, Key editrice, 2015). Proprio in questi giorni, un disegno di legge in materia è ancora in discussione alla Camera (oggi in quarta lettura), ma in un testo che lascia insoddisfatte varie Ong e lo stesso firmatario del disegno.
Rispetto al precedente giurisprudenziale che non aveva espressamente esaminato il tema, la sentenza odierna si sofferma (par. 116) sulla responsabilità dei vertici della polizia, desumendola in particolare dalla «défaillances de la planification de l’opération de police» (in un contesto in cui «Les forces de l’ordre ne se trouvaient pas face à une situation d’urgence, à une menace immédiate empêchant de prévoir une intervention adéquate, adaptée au contexte et proportionnée aux menaces potentielles»), e soprattutto dall’assenza di direttive specifiche sull'utilizzazione della forza (laddove «malgré la présence à Gênes de fonctionnaires expérimentés faisant partie de la haute hiérarchie policière, aucune directive spécifique sur l’utilisation de la force n’a été émise et qu’aucune consigne n’a été donnée aux agents sur cet aspect décisif»).
Il paragrafo è importante perché profila la responsabilità dei vertici, dei «fonctionnaires expérimentés faisant partie de la haute hiérarchie policière».
Peraltro, il riferimento alle omissioni e defaillances non deve esser letto nel senso di uno scivolamento verso un carattere meramente colposo della responsabilità individuale per i fatti violenti, in quanto da un lato la corte non esamina il tema se non ai fini della responsabilità dello Stato (e non anche di quella penale personale degli interessati) e, per altro verso, non può dimenticarsi quanto affermato dalle sentenze dei giudici italiani rese in appello e Cassazione, che avevano rilevato, pur solo per alcuni degli alti funzionari di polizia imputati, una partecipazione diretta ed attiva in tutte le fasi dell’operazione ed una condotta accompagnata dalla «consapevolezza circa l’uso spropositato che era stato fatto della violenza nell’occasione, per l’evidenza di quella che era percepita come macelleria messicana» (così Cass. n. 38085/2012).
Come detto, la sentenza in disamina richiama il precedente per la parte in cui si ravvisa la violazione degli obblighi procedurali dell’art. 3 della Convenzione, ossia gli obblighi per lo Stato di indagare efficacemente sui fatti costituenti violazioni sostanziali della norma convenzionale.
E qui non possono non venire in mente le incisive parole di Livio Pepino, che coraggiosamente ha evidenziato come il «vero nodo dei processi», ben più dell'esistenza e dell'entità delle violenze, documentate al di là di ogni dubbio da immagini varie, riguardava il fatto che «l'accertamento dei fatti di “inusitata violenza” commessa da operatori di polizia si è scontrato con un muro di silenzi istituzionali, di omertà, di falsi, che hanno riguardato l'identità degli esecutori, la dinamica degli eventi, il contesto in cui si sono realizzati, la catena di comando che li ha determinati (o quantomeno favoriti e coperti)»[1].
Sul punto la sentenza Cestaro, richiamata dalla Bartesaghi Gallo, aveva affermato (par. 222) che «la reazione delle autorità non è stata adeguata tenuto conto della gravità dei fatti» ed è stata quindi «incompatibile con gli obblighi procedurali che derivano dall'articolo 3 della Convenzione».
Interessante è in modo particolare il paragrafo 184 della sentenza Cestaro, ove la Corte ha affermato che «per valutare il contesto nel quale è avvenuta l’aggressione del ricorrente e, in particolare, l’elemento intenzionale, la Corte non può nemmeno ignorare i tentativi della polizia di nascondere i fatti in questione o di giustificarli sulla base di circostanze fittizie»: in tal modo, la Corte sembra desumere dalla «scellerata operazione mistificatrice» (così letteralmente la sentenza Cestaro, richiamando l’espressione usata già dalla Cassazione sul punto) l’elemento intenzionale necessario per configurare la tortura, ritenendo inoltre i fatti lesivi oggetto di una vera e propria «decisione» (par. 189, in fine) e non una mera conseguenza di una situazione di tensione (par. 185).
Con la sentenza in commento, la questione Diaz innanzi alla Cedu è esaurita; non lo sono invece i fatti di Genova, essendo pendenti vari ricorsi su analoghe vicende avvenute alla caserma di Bolzaneto negli stessi giorni, sui quali la decisione della Corte europea è attesa presumibilmente per la fine dell’anno.
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[1] L. Pepino, Diaz: quello che la Corte deve chiarire, il Manifesto, 12 giugno 2012; Vds. anche E. Zucca, Genova: 14 anni dopo il luglio 2001, in numero 5-6/2015 de Il Ponte (Quale Giustizia, a cura di L. Pepino)