1.Patologica autonomia
Alain Ehrenberg è un sociologo francese i cui principali studi, prodotti negli anni ’90, hanno avuto molti lettori e un importante successo. Credo si possa considerare una specie di trilogia il percorso fra «Le culte de la performance[1]» del 1991, «L’individu incertain[2]» del 1995 e «La fatigue d’être soi[3]» del 1998:quest’ultimo è stato pubblicato in Italia (La fatica di essere se stessi: depressione e società[4], traduzione di S. Arecco, Einaudi) e ha meritato una ristampa a più di dieci anni dalla sua prima uscita in Italia, nel 2010. Quella di Ehrenberg è una vasta inchiesta sull’individualismo contemporaneo e sui cambiamenti che hanno investito il rapporto fra vita pubblica e vita privata, uno slittamento di norme (scritte e non scritte) che ha investito gli individui anche nella loro vita più profonda.
L’individualismo, spesso analizzato come la tendenza al ripiegamento generalizzato sulla vita privata e personale, attraverso queste tre opere è concettualizzato come la generalizzazione di una norma di autonomia. Questa norma impone un cambiamento dei rapporti fra privato e pubblico, poiché l’autonomia pretesa dalla vita pubblica si appoggia su una presunta autonomia che si sviluppa nella vita privata. Nei due contesti, privato e pubblico, si impone uno stesso tipo di saper-fare e di dover-essere che impiega gli stessi strumenti: finalizzare i propri comportamenti, saper comunicare, negoziare, motivarsi, gestire sé e ilproprio tempo. Questo apparato di regole sociali si impone come dominante e vuole che gli individui sappiano costruire se stessi in autonomia, facendo riferimento alle proprie risorse e imparando a mettersi in relazione con gli altri attraverso una logica ben orientata che permetta loro di superare gli ostacoli e gli inciampi della crescente frammentazione.
Individui che si attrezzano per fare tutto da soli e che ingigantiscono il mito dell’autonomia in un mondo che offre loro pochi agganci e poche certezze;individui che finiscono per sentirsi molto fragili e sempre terribilmente inadeguati rispetto alle prestazioni richieste, in ogni campo. Cose che ben conosciamo, ma che Ehrenberg studia con precisione mostrandone la coerenza con i dispositivi (ideologici e strutturali) che regolano la vita delle società in cui siamo immersi. È così che nel primo volume («Le culte de la performance») l’autore cerca di dimostrare come la crescita d’importanza di valori come la concorrenza economica e la competizione sportiva hanno dato vita a una rappresentazione dell’individuo-traiettoria alla conquista della sua identità personale e della sua riuscita sociale, all’interno di un immaginario che lo vede continuamente impegnato in una sorta di «aventure entrepreneuriale», avventura che non ha mancato di avere una sua letteralizzazione nel famoso slogan «sii imprenditore di te stesso» che ha circolato nel discorso pubblico, accompagnando le riforme sul lavoro.
Ma l’analisi di Ehrenberg è tanto più interessante perché egli prosegue la sua indagine mostrando il negativo di questo ideale prestazionale, la sofferenza psichica che accompagna ilpesodi responsabilità crescenti caricate sulle spalle di individui quotidianamente alla conquista di sé e di un posto nel mondo. È un individuo che non smette mai di attrezzarsi, di cercare di mettersi all’altezza dei tanti compiti che gli vengono assegnati, un individuo che sfida i propri limiti attraverso un uso dopante della chimica, sia nella sua versione legale che in quella illegale, illecita ma largamente praticata. «Le droghe, scrive Ehrenberg, sono una scorciatoia chimica per fabbricare individualità, un mezzo artificiale di moltiplicazione di sé che suscita simultaneamente l’ossessione di una vita privata illimitata, cioè una società senza spazio pubblico, dunque invivibile». Continuando a ragionare sui sintomi che si producono in individui che, pur faticando, si adeguano alla norma dell’autonomia e del fare tutto da soli, l’autore arriva al suo terzo libro, quello sbarcato anche in Italia: una sorta di storia della depressione che approda all’analisi della forma attuale di questo disagio.
Con originalità, ma al tempo stesso rifacendosi agli studiosi delle forme contemporanee di psicopatologia, Ehrenberg mostra bene comela malinconia contemporanea non sorga dall’incapacità di sciogliere i conflitti interiori, di fare i conti con le interdizioni sociali poste ai desideri personali (secondo la teoria classica), ma dalla difficoltà a reggere «il peso del possibile». Gli individui contemporanei non soffrono per i divieti che li dividono dai loro inconfessabili desideri, ma per gli effetti della nuova norma sociale che li lusinga facendo credere loro che «tutto è possibile», che non si tratta di mutilare la propria ambizione, ma solo di ben orientarla. Il mondo ha cambiato le sue regole, si legge, che «non sono più l’obbedienza, la disciplina, la conformità alla morale, ma flessibilità, cambiamento, rapidità di reazione etc. Controllo di sé, docilità psichica e affettiva, capacità d’azione, rendono più pesante il compito di trovare permanentemente un modo per adattarsi a un mondo che ha perduto precisamente la sua permanenza, un mondo instabile, provvisorio, fatto di flussi e di traiettorie a zigzag».
La fatica depressiva è quello che si trova nella sensazione di non saper scegliere con velocità e disinvoltura le buone occasioni, quelle «tutte possibili» e disponibili.
Letto dal punto di vista dei suoi sintomi, l’individuo contemporaneo descrittoci da Ehrenberg in questi saggi degli anni ’90 è isolato nei suoi eccessi, quelli euforici e quelli depressivi, poli di una ricerca di sé che ha perso il radicamento in una realtà condivisa, pubblica, collettiva e che insegue, invece, un ideale malposto di «autonomia».
2. Individualizzazione
L’ideale di un individuo eternamente in corsa con se stesso e con gli altri ha una storia antica nella nostra società. Non è difficile vederlo riemergere nei periodi in cui trasformazioni e grandi cambiamenti rimettono in discussione equilibri sociali più o meno assestati. Ma sia l’”individuo per eccesso” (individuo autosufficiente nel senso che ha in se stesso, o crede di avere in se stesso, i supporti necessari per affermare la propria indipendenza sociale) sial’”individuo per difetto” cioè incapace, per la precarietà della propria condizione, di realizzare ed esercitare l’autoderminazione, spostano questo ideale verso il suo fallimento. L’”essere se stessi” verso cui spingono le nuove norme sociali, infatti, per effetto di un sistema economico che ha pretese sempre più coinvolgenti delle singolarità, da processo qualitativo di piena realizzazione finisce per essere una sorta di “prerequisito sistemico”[5], il terreno di esercizio e dimostrazione della performance individuale sia in ambito sociale che lavorativo in senso stretto.
Nello scenario di una società in cui alla diminuzione di efficacia dei sistemi di inclusione e di protezione corrisponde la richiesta crescente di modalità di adattamento, il processo di individualizzazione finisce con il corrispondere perfettamente alle esigenze provocate dal processo di deregulation delle norme collettive di disciplina dei rapporti di lavoroe in generale dei rapporti fra individuo e società. In altre parole la conquista dell’autonomia individuale, lontana dall’affermarsi come capacità di autodeterminazione, viene schiacciata sulle esigenze di “employability” che vengono dall’unico regolatore sociale che conta: il mercato. Individualizzazione e trasformazioni del lavoro hanno avuto una storia molto intrecciata, da una parte le trasformazioni del lavoro hanno accompagnato questo processo di scomposizione sociale, dall’altra lo hanno rafforzato.
Non è un caso che in molti paesi europei si sia assistito negli ultimi anni a processi che avanzano in parallelo: la diffusione della flessibilità occupazionale, il depotenziamento progressivo delle istituzioni di rappresentanza collettiva dei lavoratori, l’indebolimento delle normative di protezione del lavoro. E’ così che si è passati da un regime in cui i contratti collettivi svolgevano un’importante funzione di regolazione a uno in cui prevale l’individualizzazione dei rapporti contrattuali e delle forme negoziali all’interno delle quali sono state definite. Il mondo del lavoro è solo uno degli esempi, forse il più eclatante, di questo ri-disegnarsi della vita sociale in una prospettiva totalmente atomizzata in cui alle tradizionali regole di protezione collettiva si vogliono sostituire le (decisamente sopravvalutate) capacità individuali di costruzione e tutela di sé in relazione a un mercato mutevole esenza vincoli.
Ehrenbergnon è il solo ad analizzare i limiti di questa prospettiva, ma è fra quelli che ne mettonoin luce anche gli effetti emotivi e psichici, il ristrutturarsi delle caratteristiche mentali in relazione a norme non scritte e orientamenti ideologici. L’attenzione che dedica ai mali di una cultura prestazionale come la nostra, serve a mettere l’accento sul carattere strutturale di alcune fatiche vissute singolarmente, e a segnalare aspetti più sottili di assoggettamento, o, come direbbe Foucault di “disciplinamento”. Ma la collocazione di questo particolare assoggettamento nell’ambito del patologico (la depressione, la dipendenza) fa pensare alla necessità di pensare a nuove quadrature del rapporto fra individuale e collettivo, a zone di azione da riaprire sulle rotture sistematiche dei vecchi equilibri.
3.Traduttori in cerca di un soggetto
Ho pensato agli studi di Ehrenberg quando mi sono chiesta come leggere la dialettica fra la dinamica di individualizzazione, attraverso cui possiamo leggere il presente della società e del mondo del lavoro, e alcuni casi di recupero dell’esperienza collettiva. Su cosa si innestano, viene da chiedersi, le nuove sperimentazione di legame sociale, legame così duramente messo a morte, non solo dallo stato delle cose, spesso anche dalle analisi? E’ possibile guardare al mondo del lavoro oltre i fenomeni di crisi, fine, destrutturazione, ma piuttosto attraverso piccoli laboratori di ricostruzione di senso, di legame e di diritti? Il caso delle nuove forme associative che caratterizzano, seppur in forma iniziale, il mondo dei nuovi lavori, del precariato diffuso e delle nuove professioni può rappresentare un terreno di osservazione interessante?
Una possibile pista di indagine la devo a un’intervista a una delle fondatrici di STRADE, il sindacato traduttori di recente costituzione di cui in questo articolo vorrei scrivere e descrivere storia e percorso[6]. Quando, in un momento già avanzato dell’intervista, le ho chiesto: «Cosa ha migliorato, in concreto, il sindacato della sua condizione di lavoro?», Isabella Zani, coordinatrice del gruppo Comunicazione, mi ha risposto:«Be’, intanto l’umore!».
Al netto dell’ironia, la risposta è seria, ed è un bel modo per affrontare un tema assolutamente centrale nel ricostruire i motivi che hanno portato alla costituzione di un soggetto collettivo di nuova generazione che ha avuto il ruolo, riconosciuto e rivendicato, di riattivare la solidarietà e rafforzare, attraverso il riferimento al gruppo, la consapevolezza di ognuno.
Proprio perché rivelano che una fatica apparentemente soggettiva (quella della costruzione di sé) può essere letta come l’esito di rapporti di forza che operano a tutt’altri livelli, gli affetti, gli umori, gli stati d’animo possono essere letti, sulla scia di Ehrenberg, come altrettanto validi indicatori di sovversione e cambiamento.
Quella di STRADE, infatti, è una storia molto contemporanea, in cui i temi del rapporto privato-pubblico, individuale-collettivo si ritrovano tutti e in un’articolazione che racconta molto bene i cambiamenti che sono intervenuti nel mercato del lavoro proprio a partire dagli anni ’90, gli anni dell’individuo-traiettoria, gli anni in cui si è cominciato a parlare di un lavoro da conquistare, gli anni in cui, in relazione alla flessibilizzazione dei contratti, il lavoro si è frammentato e si sono avviati molti percorsi di lavoro indipendente.
Quella del traduttore è una professione solitaria, oltre che individuale, una professione intellettuale che ha bisogno di una formazione tecnica e specifica, ma che è sottoposta come molte altre a una forte svalutazione. Banalmente, è pagata male e contrattualizzata peggio. Come sta succedendo in differenti contesti professionali, molto è affidato alla capacità dei singoli di saper negoziare e di alimentare in vario modo la propria forza professionale e contrattuale; tutto questo in un rapporto di forza molto squilibrato, quello fra un editore e un singolo professionista.I traduttori occupano un posto, che stenta a trovare visibilità, all’interno di un settore molto fragile – quello dell’editoria – e pur occupando un ruolo essenziale nell’economia della produzione libraria vivono la condizione, sempre più diffusa, di investire molto di sé inun lavoro molto amato e desiderato ma poco conosciuto e riconosciuto.
La nascita di un sindacato all’interno di un contesto del genere, di un piccolo sindacato autonomo che ha attraversato varie fasi e varie alleanze, dotandosi attraverso il lavoro volontario delle sue fondatrici e poi delle iscritte (si tratta di un’esperienza fortemente femminilizzata) di strumenti sempre più precisi, è un fenomeno rilevante. Totalmente in controtendenza rispetto alla fuga dal diritto del lavoro che si sta producendo in molti settori del lavoro subordinato e standard, e totalmente in controtendenza rispetto alle difficoltà che il sindacato tradizionale sta affrontando, questa piccola esperienza dà forma al desiderio di diritti, tutele e garanzie da legare al lavoro. Tutti desideri connessi al già citato desiderio di riconoscimento, quello costruito proprio attraverso il confronto reciproco, la condivisione dei problemi e delle loro soluzioni resa possibile dalla messa in discussione di uno stato di «cattiva autonomia». Quello che STRADE ha cercato di migliorare è la condizione re-individualizzata ma solo apparentemente più auotnoma del lavoro post-fordista. E non è un caso che, come un sindacato delle origini, STRADE abbia cercato in forme antiche di «mutuo soccorso», gli strumenti per costruire risposte alle varie necessità, da quelle contrattuali a quelle relative all’assistenza sanitaria.
Ma procediamo con ordine.
4.Un inizio contemporaneo. Riconoscersi in mailing list.
Quello di STRADE è un inizio molto contemporaneo. La conoscenza reciproca fra quelle che saranno in seguito le socie fondatrici dell’esperienza sindacale avviene on line, all’interno di una piattaforma telematica, più precisamente una mailing list voluta, alla fine degli anni Novanta, da Marina Rullo. Biblit (attiva tutt’ora,www.biblit.it) è nata precisamente con l’obiettivo di creare uno spazio di condivisione. Sulla scia delle prime esperienze esistenti di forum, agorà telematiche, mailing list professionali, Biblit si è fin da subito caratterizzata come uno spazio di convivenza e di dialogo fra persone legate dall’interesse per la traduzione e in particolare per la traduzione editoriale.
«Eravamo agli albori di internet – racconta Marina Rullo –siamo partiti con 30 iscritti molto silenziosi. Poi, appena si è capita la potenza di questa condivisione, che andava dalla richiesta di informazioni ma anche all’aiuto terminologico, le informazioni sul lavoro, la credibilità dei committenti etc., la lista è esplosa, e sono cominciate a venire tante persone». Oggi la rete conta 4000 iscritti e non ha perso la caratteristica di essere un luogo virtuale aperto. Biblit come spazio di formazione è un’utile «palestra» per i più giovani, e,come spazio di confronto,promuove discussione fra colleghi e incentiva l’incontro fra i vari soggetti che ruotano intorno al libro: professori, scrittori, ma anche editori, la controparte.
L’incontro fra le future socie di STRADE è avvenuto, dunque, in uno spazio di condivisione in cui le difficoltà personali, da quelle tecniche del «saper tradurre» a quelle specifiche del «sapersi muovere» come professioniste, vengono esplicitate e trattate in una forma, sebbene virtuale, che supera il piano individuale, o il confronto privato fra colleghe.
Quello di Biblit è un esempio di come la rete possa funzionare da terreno di nuove forme di cooperazione, permettendo a chi lavora in situazioni di isolamento (la sede di lavoro per quasi tutti i professionisti della traduzione editoriale è la propria casa), di inventare una relazionalità adeguata alla propria situazione. In un settore come quello dell’editoria, e in particolare della traduzione, la possibilità di condividere esperienze vissute come personali o accidentali – la firma di un contratto svantaggioso, l’inconsapevole alienazione dei diritti sulla traduzione, il trovarsi in condizioni molto difficili relativamente ai tempi o ai modi di consegna (sono solo alcuni esempi) –non solo ha reso più evidente la necessità di dare «pieno riconoscimento» al valore del traduttore, ma ha spinto verso la necessità di dotare questo riconoscimento di parametri concreti.
Non è facile sindacalizzare una professione come quella del traduttore editoriale, una professione a cui si arriva attraverso percorsi diversi, spesso – come verso altre professioni intellettuali – trasportati da una passione tutt’altro che economica. Ho trovato molto significativa l’osservazione di Isabella Zani sulla “necessità di raccorciare la distanza fra l’amore per questa professione e la frustrazione che ti assale non appena ci metti i piedi”. Chi ama i libri, la letteratura, la scrittura, arriva a questo lavoro con una propria “mitologia”,dice Zani, e non è facile passare da questa mitologia alla consapevolezza di muoversi in un contesto imprenditoriale come gli altri, un contesto in cui è necessario lottare perché al proprio lavoro sia riconosciuta dignità.
Prima di entrare più precisamente nel lavoro sindacale portato avanti da STRADE e presentare gli strumenti elaborati per il miglioramento delle condizioni di lavoro, vorrei ancora stare su questa questione del riconoscimento.
STRADE, oltre a essere impegnato in un’opera di rappresentanza del lavoro del traduttore, è attento a costruire una rappresentazione di questa professione, a fare emergere questo fare dalla solitudine in cui si realizza. Non solo il sindacato si è dotato di un gruppo comunicazione, impegnato a produrre documenti e comunicati sulle varie attività; legato al sindacato esiste STRADE Magazine, una rivista on line fatta soprattutto di rubriche, di giornalismo di riflessione e di racconto. La traduzione e tutto quello che le gira intorno sono l’oggetto su cui è costruito il Magazine. Diversamente da altre pubblicazioni sindacali, questa rivista ha la forza e la freschezza dei suoi obiettivi: far conoscere, rendere esplicito, creare attenzione, promuovere. Leggendola si ha l’impressione che segua una precisa linea stilistica, che non disdegna una certa “autoironia”. Tutta la linea comunicativa di STRADE sembra essere questa, e il sito offre occasione di conoscerla (http://www.traduttoristrade.it/).Anche i podcast di una trasmissione radiofonica, in quattro puntate intitolate “La dolce vita del traduttore” e trasmessa su un canale radio nazionale, rende conto dell’intenzione di arrivare a una rappresentazione di questa professione che vada verso la valorizzazione senza enfatizzare il tono dello scontento.
L’intenzione di tenere insieme il piano della tutela/rivendicazione con quella della promozione è tanto più evidente in un ulteriore passaggio: oltre a fare un lavoro culturale di valorizzazione della traduzione, infatti, STRADE valorizza e promuove i propri iscritti come professionisti rendendoli reperibili già nella sezione del sito in cui è possibile consultare i curriculum vitae di tutti, ed è possibile arrivare alle competenze esistenti attraverso un semplice sistema in cui si inseriscono le lingue di arrivo e quelle di partenza per una eventuale traduzione.
5. Per tappe, attraverso gruppi di lavoro e importanti documenti.
Da Biblit a STRADE il percorso si è costruito attraverso tappe intermedie, tutte significative del tentativo di andare verso la costruzione di un soggetto auto-organizzato, il più possibile in grado di rappresentare le istanze di una professione in cerca di un riconoscimento adeguato.
Il primo passo, nel 2004, si realizza con la costituzione della Sezione Traduttori di un’organizzazione esistente, il Sindacato Nazionale Scrittori; nel 2006 la Sezione si dà un’organizzazione autonoma e infine, dopo altri 6 anni, il 30 gennaio 2012 nasce STRADE.
Al termine dello stesso anno, nel dicembre 2012, STRADE sigla un protocollo di intesa con SLC CGIL Sindacato Lavoratori della Comunicazione, “stabilendo un reciproco patto di consultazione – si legge sul sito – per tutte le tematiche inerenti alle azioni rivendicative e alle trattative contrattuali di settore”. È interessante che STRADE abbia incontrato il sindacato confederale dopo aver maturato un’importante esperienza sindacale all’interno del SNS e dopo aver messo a fuoco gli obiettivi su cui lavorare.
In questi anni di “laboratorio” vengono individuati alcuni strumenti di auto-tutela particolarmente efficaci, individuati a partire dall’esperienza e dal confronto. Come sindacato alle prime armi, quello dei traduttori si dà un’organizzazione semplice ed efficace, quella dei gruppi di lavoro, suddivisi secondo le tematiche ritenute essenziali e animati dalle socie particolarmente interessate al problema. Tutto il lavoro dei gruppi è lavoro gratuito e volontario, e si tratta di tempo ed energie sottratti al lavoro professionale, destinati a far crescere la professione in termini di riconoscimento e di tutele. Un gruppo si occupa per esempio di studiare la normativa italiana ed estera sul diritto d’autore e i suoi possibili sviluppi:il gruppo, oltre ad attivare una convenzione con uno studio legale milanese, ha elaborato il contratto modello di STRADE, uno strumento molto concreto in grado di migliorare non poco la condizione di lavoro di un traduttore.
Nel contratto vengono specificate una serie di clausole che tutelano il singolo, che per mancanza di informazione può accettarecondizioni molto sfavorevoli, non solo relative al pagamento, ma alla cessione-non cessione dei diritti, ai tempi di consegna, al rapporto con il revisore. “La legge c’è, mi spiega Elisa Comito, responsabile Gruppo Contratti, ed è quella sul diritto d’autore, ma in chi si affaccia o pratica questa professione c’è poca consapevolezza e spesso mancanza di informazione”.
Le motivazioni sono tante: alcune si iscrivono nella generale perdita di consapevolezza dei diritti legati al lavoro, molte altre nello sfavorevolissimo rapporto di forze fra un singolo e un editore, magari facente parte di un grande gruppo industriale. Inoltre, nella formazione che porta verso il lavoro del traduttore sono pochi i momenti in cui questi temi vengono trattati ed esplicitati: “Non solo all’università, ma anche ai tanti master sulla traduzione, non si fa niente (o molto poco) che non sia lavoro sul testo”. La professionalizzazione avviene sul campo, ed essendo questo un campo in cui ognuno, tradizionalmente, gioca da solo, scambiare informazioni ed esperienze diventa un’occasione particolarmente importante.
Il Gruppo contratti non si limita a lavorare per produrre una buona base contrattuale, ma è a disposizione per le consulenze e le informazioni di base che possono essere utili a chi deve sottoscrivere un contratto; e anche questo servizio di consulenza legale, gratis per gli iscritti a STRADE e su contributo per tutti gli altri, è gestito come lavoro volontario e viene svolto a rotazione. Molto avviene on line e le socie che se ne occupano mettono a disposizione il loro tempo per un periodo definito di un mese. “Molti arrivano al sindacato spinti proprio dai problemi che incontrano, dalle cattive esperienze. Sarebbe meglio che arrivassero prima, ma quello del traduttore non è un lavoro che ha una tradizione di sindacalizzazione e, in effetti, siamo noi i primi che stanno sviluppando competenze sindacali. Io non sono fra le socie fondatrici – racconta Elisa Comito – ma lavoro al Gruppo Contratti da un po’ di tempo, e per quando ci si sia date da fare, ci rendiamo conto che abbiamo trattato solo la punta dell’iceberg, che i problemi sono molti e i punti da migliorare tantissimi.”
Da una parte si tratta di far rispettare i diritti, rendendo i traduttori più consapevoli di quello che possono esigere; dall’altra si tratta di arricchire i diritti stessi, superando le lacune, i vuoti legislativi e anche le cattive abitudini, tutte italiane (come quella dei compensi troppo bassi).
Infine, la partecipazione al CEATL (Conseil Européen des Associations de Traducteurs Littéraires) permette a STRADE un’apertura verso l’Europa e la legislazione europea in temi di diritti d’autore.
Sul piano dell’assistenza,STRADE si è mosso facendo riferimento a una forma mutualistica di sostegno che si richiama alle prime esperienze di autotutela operaie della fine dell’Ottocento. Elena Doria, che a partire dal 2010 ha seguito questa vicenda avendo ricevuto l’incarico dalla Sezione Traduttori SNS di trovare forme praticabili di assistenza, commenta il ricorso al mutualismo come un sistema per “sottolineare la nostra condizione, che è prima di tutto quella di lavoratori e lavoratrici”.
Nel novembre del 2011 è stata sottoscritta una Convenzione con una Società di Mutuo Soccorso, la milanese “Insieme Salute”, dedicata alla collega Elisabetta Sandri, scomparsa nel 2008. “La convenzione, scrive ancora Elena Doria, è costruita sulle esigenze di lavoratori e lavoratrici che svolgono inprevalenza un’attività a domicilio, davanti a un computer, e che non hanno alcuna tutela economica quando una malattia, o la necessità di assistere un familiare malato, rendono impossibile svolgere l’attività”.
Quella delle Società di Mutuo soccorso è una storia antica, e tra tutto l’Ottocento egli inizi del Novecento (sicuramente fino all’avvento del fascismo), tali società hanno risposto alla necessità di far fronte alle difficili condizioni in cui si trovavano operai e artigiani. Mai completamente chiusa, l’esperienza delle SMS ha continuato ad accompagnare, integrandola, i servizi del Sistema Sanitario Nazionale e nel 2010, ricorda Doria, in Italia risultavano attive oltre millequattrocento SMS. Il ricorso a questo genere di nuovo mutualismo si sta diffondendo nell’ambito del lavoro indipendente (e precario) e non è un caso che alla convenzione Elisabetta Sandri si siano presto iscritti altri lavoratori indipendenti, sia singoli, sia legati ad altre associazioni (come per esempio ACTA[7]). Il Regolamento della Convenzione riconosce il diritto a una copertura di reddito per i periodi di inattività forzata legata a malattia, riconosce un’indennità per il lavoro di cura dei familiari, un rimborso parziale per analisi mediche di alta diagnostica e ticket, un assegno di gravidanza e un sussidio per evento invalidante o perdita dell’autosufficienza. La quota (di 246 euro annui per il pacchetto “base”) è a totale carico degli iscritti, ma uno degli obiettivi di STRADE è quello di far riconoscere alla controparte il diritto all’assistenza, ottenendo di inserire nel contratto collettivo una voce di spesa a carico degli editori.
Anche il mutualismo può rappresentare una strada per diventare soggetto sociale e uscire dalla condizione di isolamento ed esclusione. Accedere a forme di sostegno come quelle che possono provenire dal mutualismo è un modo per segnalare la necessità di dotare il lavoro (anche quello indipendente) di tutta una serie di diritti e tutele necessari, significa rompere l’ideologia che ha provato ad imporre un’idea malata di autonomia.
6. Siamo tanti
“Il comunicato comparso sul sito a fine anno l’ho scritto io e confesso che ero proprio contenta mentre lo scrivevo. Per me, che vengo da un’esperienza lunga di lavoro dipendente e subordinato, il riferimento a un’organizzazione sindacale era naturale, ma mi rendo conto che per la maggioranza dei traduttori non è così, che si è dovuto lavorare tanto. Quindi quando ho fatto l’elenco delle cose fatte, quando ho parlato dell’aumento degli iscritti… insomma, abbiamo fatto tantissimo” (Isabella Zani).
Il passaggio verso una sindacalizzazione della professione del traduttore, ci dice questo brano, non è stato naturale. Le esperienze contano, esperienze ancora una volta individuali. Per chi, come Zani viene da un percorso fatto di lavoro subordinato, l’idea di una mediazione con i datori di lavoro che passa dagli strumenti della contrattazione collettiva rende più “ovvio” il percorso verso la sindacalizzazione. Per chi è abituato a pensarsi in un rapporto con il committente che coincide con la negoziazione individuale il riferimento al collettivo è stato più complicato.Trovare una forma di rappresentanza per le forme di lavoro che eccedono quelle del lavoro subordinato è stata una delle questioni che ha attraversato l’attualità recente. L’attività di STRADE, come quella di altre associazioni di lavoratori indipendenti di nuova generazione, è la realizzazione di un passaggio necessario e per cui “si è dovuto lavorare tanto”: quello di individui (professionisti) che si riconoscono in un percorso comune, che – con le parole di Elena Doria – “cedono qualcosa di sé per ottenere qualcosa per tutti”.
È un passaggio che avviene su tanti livelli e richiama vari temi, che nel corso delle interviste sono affiorati e rendono conto della discussione che si è sviluppata all’interno di STRADE.
La differenza fra “lavoro” e “professione”, per esempio: una differenza non sono nominalistica, ovviamente, ma che porta con sé mille conseguenze. Riconoscersi come “lavoratori” e ambire a una serie di diritti e di tutele su cui si è costruito il lavoro dipendente, usando magari lo stesso sistema di equivalenze (una per tutte, quella fra unità di lavoro e unità di reddito), o mantenere i privilegi – almeno quelli potenziali – di una professione, affidandosi alla capacità di valorizzare le proprie competenze, di negoziarne il valore, di reclamarne lo status di autorialità? Per ora quello che si è ottenuto è fissare una tariffa minima a partire dall’unità di misura individuata come valida per tutti: la cartella, e portare all’attenzione una serie di questioni legati ai diritti sulle traduzioni che tendevano a essere poco riconosciuti dagli editori e sottovalutate dai traduttori stessi. La definizione o la precisazione di alcuni standard comuni vanno nella direzione di migliorare le condizioni di lavoro e rendere più praticabile, nel concreto, un lavoro che rischia i limiti dell’immaterialità.
Ma è soprattutto l’opera di costruzione del soggetto STRADE che serve a costruire una identità più complessa e riconosciuta del ruolo dei traduttori e del loro bisogni in termini di riconoscimenti e diritti.“Molto di quello che si è ottenuto - racconta Elena Doria - è passato dal confronto, un’attività relazionale molto intensa che è servita a tenere insieme il lavoro di rete con la costruzione degli strumenti concreti che hanno risposto alle problematiche più sentite”.
Costruire dal basso questo piccolo sindacato è stato prima di tutto avviare una relazionalità costruita sui problemi e le aspirazioni comuni, orientando l’azione alla concretezza, all’invenzione di soluzioni praticabili sia individualmente (per questo l’insistenza sul piano della consapevolezza dei diritti) che collettivamente. La scelta di arrivare al protocollo di intesa con CGIL, contando sulla possibilità di essere “più forti” o, semplicemente, di “potersi sedere ai tavoli”, ha portato da una parte a siglare un protocollo di intesa con una categoria storicamente abituata a trattare, e contrattare, in un contesto fatto di lavoro discontinuo e intermittente come quello di SLC Sindacato Lavoratori della Comunicazione; e dall’altra all’ingresso nella Consulta del Lavoro Professionale CGIL. Questo è possibile perché il rapporto è un rapporto ancora in costruzione,e di “reciproca consultazione”.
Il tema dell’identità di questo lavoro, la sua definizione a metà strada fra lavoro e professione, porta con sé diverse prospettive di rappresentanza. La strategia seguita fin qui – osservabile in molti contesti di lavoro in cui non si può far riferimento a una piattaforma di diritti esistenti – è quella di lasciarsi orientare dalla concretezza delle situazioni, valorizzare il livello individuale (la specificità delle situazioni, i problemi incontrati dai singoli etc.) come punto di partenza per l’individuazione di vertenze e soluzioni da riportare su un livello più generale. Contribuire anche ad ampliare l’azione di rappresentanza dei sindacati tradizionale, in cerca negli ultimi anni di far valere il proprio ruolo anche in settori in cui la loro presenza stenta a trovare spazi.
7. Conclusioni
L’invenzione di strumenti a metà fra l’informativo e il rivendicativo, la pratica di una modalità relazionaleche informa di sé il lavoro di rete, e l’uso virtuoso di strumenti di comunicazione che, attraverso consulenze e servizi offerti on line, cercano risposte a problemi specifici portano STRADE a muoversi in più direzioni rispondendo, di fatto, a varie necessità.
La prima quella di ricomporre socialmente un lavoro che altrimenti sarebbe disperso e poco visibile.La secondaportare qualità sociale a un lavoro fortemente individualizzato, promuovendo la consapevolezza dei singoli e incoraggiando il riferimento al gruppo e alla cooperazione.
Il ruolo di un soggetto collettivo di nuova generazione può essere quello “di promuovere politiche formative alle meta-competenze” (Chicchi) a quelle competenze, cioè, che eccedono il fare tecnico e produttivo e che servono ad “agevolare e ricollocare la presa dell’individuo sul sociale che abita".[8]
Nel corso delle interviste non sono mancati i riferimenti alla necessità di superare le chiusure che portano un traduttore a identificarsi nei contenuti del proprio lavoro (la pagina da tradurre) tralasciando tutto quello che completa la professione dal punto di vista pratico e sociale, dalle competenze più specifiche di tipo contabile o fiscale a quelle più politiche, di lettura del contesto e di riconoscimento dei rapporti di forza. E’ questo che intende Chicchi parlando di meta-competenze, abilità che eccedono il fare tecnico e che servono a riattivare intorno ad esso una progettualità di tipo sociale.
Darsi come obiettivo quello di rendere i traduttori consapevoli dei propri diritti e possibili generatori di nuove istanze, serve a spostare la retorica dell’ “armarsi e agguerirsi per affrontare l’incertezza lavorativa” dal piano della sopravvivenza a quello della cittadinanza. Attraverso la promozione del talento di ciascunoe l’attivazione di strategie di cooperazione, STRADE – così come altri soggetti che intervengono in un contesto di contrasto alle nuove vulnerabilità lavorative – riprende l’azione sindacale aggiornandola al presente e all’urgenza di progettare nuove forme di contrasto alle asimmetrie che dominano il mondo del lavoro.
Dotare i singoli di meta-competenze, di competenze sociali sviluppate a partire dalle urgenze che incontra nel proprio lavoro, può corrispondere a metterlo in condizione di partecipare da protagonista alla governance sociale del proprio contesto di vita comune. E’ su questo piano che l’autonomia riprende valore, non riguarda solo la capacità di progettare la propria vita all’interno di un contesto già dato (di adattarsi efficacemente ma passivamente ad esso), ma anche e soprattutto la possibilità di contribuire, responsabilmente alla sua trasformazione.
[1]Alain Ehrenberg, Le culte de la performance, Calmann-Levy, Paris 1991
[2]Alain Ehrenberg, L’individu incertain, Calmann-Levy, 1995
[3]Alain Ehrenberg, La fatigue d’être soi. Dépression et Société, Odile Jacob 2000
[4]Alain Ehrenberg, La fatica di essere se stessi. Depressione e società, Einaudi 1999 - 2010
[5]Vando Borghi, Lisa Dorigatti, Trasformazioni del lavoro, globalizzazione e ricerca sociale: piste di esplorazione per rinnovare la difesa del lavoro, inSociologia del lavoro, n. 123/2011
[6]In questo articolo riporto i risultati della fase esplorativa di una ricerca sulle nuove forme di rappresentanza. Devo le prime informazione allo studio dei materiali presenti sul sito di STRADE e alle interviste ad alcune socie: Isabella Zani, coordinatrice del Gruppo Comunicazione, Marina Rullo, socia fondatrice, Elisa Comito, coordinatrice Gruppo Contratti e Elena Doria, socia fondatrice, che ringrazio per la loro collaborazione.
[7]ACTA Associazione Consulenti Terziario Avanzato (http://www.actainrete.it/)
[8]Federico Chicchi, Soggettività in frantumi. Sulle retoriche del capitalismo contemporaneo, Bruno Mondadori 2001