1. Fin dalla sua entrata in vigore, la legge 28/4/2014 n. 67, che ha disciplinato ex novo il procedimento in absentia abolendo l’istituto della contumacia, è stata fonte di rilevanti contrasti giurisprudenziali.
Ne costituisce esempio eclatante l’interpretazione dell’art. 420 bis comma 2 cpp in base al quale, in presenza di determinate condizioni (dichiarazione o elezione di domicilio, previa applicazione di misura cautelare o precautelare, nomina di un difensore di fiducia), il processo può svolgersi in assenza anche se l’imputato non ha ricevuto personalmente la notifica: una norma che è stata oggetto di letture diverse e contrastanti sia nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità.
Nella sentenza n. 23948/2020 del 28.11.2019/17.8.2020 le Sezioni Unite della Corte di cassazione –cui era stato chiesto di dirimere il contrasto giurisprudenziale relativo alla possibilità di procedere in assenza sulla base della sola elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio – si sono mostrate ben consapevoli della delicatezza e complessità del tema e lo hanno esaminato oltre gli stretti limiti della questione di diritto che era stata loro sottoposta, sicché questa sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per chi deve decidere se un processo possa svolgersi in assenza dell’imputato[1].
In un passaggio della motivazione, le Sezioni Unite sottolineano che le difficoltà di lettura delle previsioni in materia di assenza derivano spesso dai diversi presupposti da cui si parte nell’interpretarle: se si parte dal presupposto della discontinuità del nuovo sistema rispetto a quello precedente (che valorizzava principalmente la regolarità formale delle notifiche), si potrà procedere in assenza «soltanto nel caso di prova della piena consapevolezza dell’imputato» della data, del luogo del processo e del contenuto delle accuse; se invece «si parte dal ricercare una continuità rispetto alla tradizione del sistema legale delle notifiche» e alla disciplina della restituzione nel termine che precedeva la riforma del 2005, allora si può pensare che il legislatore abbia introdotto presunzioni di conoscenza della celebrazione del processo[2].
Solo la prima prospettiva però – osserva la sentenza – è conforme alle «affermazioni sostanzialmente semplici della Corte EDU nelle decisioni che riguardano il nostro ordinamento»[3], affermazioni secondo le quali la consapevolezza da parte dell’imputato dell’accusa formulata a suo carico, oltre che della data e del luogo del processo, deve essere valutata in concreto e non può essere fondata su presunzioni legali.
Muovendo da queste premesse, le Sezioni Unite hanno chiarito che gli indici presuntivi di cui all’art. 420 bis comma 2 cpp «vanno interpretati secondo la loro funzione»: quella di individuare situazioni che, per le concrete «modalità con cui si sono realizzate», possono essere considerate indicative dell’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato pur in presenza di una notifica che non sia stata effettuata «a mani proprie»[4].
Secondo la rigorosa lettura fornita dalle Sezioni Unite, «il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell’accusa e del giorno e luogo dell’udienza». Il processo in assenza, quindi, è ammesso solo quando l’imputato ne abbia avuto effettiva conoscenza. Una «effettività» che deve essere valutata in concreto e può essere ritenuta esistente, oltre che quando la notifica è avvenuta a mani, anche in presenza di alcune situazioni concrete dalle quali si può desumere, con ragionevole certezza, che tale conoscenza c’è stata.
A queste situazioni è equiparata la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento (o di singoli atti del procedimento), ma anch’essa deve essere valutata in concreto, attraverso un rigoroso accertamento in fatto della condotta posta in essere e dell’elemento psicologico che la sorregge, non essendo possibile equiparare la volontarietà alla «mancata diligenza»[5].
2. L’accertamento della possibilità di procedere in assenza deve avvenire all’inizio del processo e quindi: nell’udienza preliminare, se prevista; prima dell’apertura del dibattimento negli altri casi.
Se questo accertamento viene compiuto con rigore, nelle fasi successive il processo può continuare a svolgersi in assenza senza problemi. L’imputato assente, infatti, è rappresentato dal difensore e, poiché era informato della celebrazione del processo, è legalmente informato anche della sentenza pronunciata in primo grado. Se vi è stata impugnazione, quindi, egli è informato dei gradi successivi del giudizio tramite il difensore che lo ha rappresentato e lo rappresenta.
In coerenza con questa impostazione, l’onere di provare che l’assenza non è frutto di libera scelta, ma è dovuta ad incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo grava, di regola, sull’imputato. Come previsto dagli artt. 420 bis comma 4, 604 comma 5 bis, 623 lett. b) e 629 bis cpp, egli può fornirla comparendo in giudizio o, se la sentenza è divenuta definitiva, chiedendo la rescissione del giudicato.
Se questa prova viene fornita dopo che il primo grado di giudizio si è concluso, la Corte d’appello e la Corte di cassazione devono dichiarare la nullità della sentenza (in caso di rescissione del giudicato revocarla) e restituire gli atti al giudice di primo grado. L’incolpevole mancata conoscenza, infatti, riguarda la celebrazione del processo di primo grado; è a quel processo che l’imputato non è stato messo in condizione di prendere parte; è in quel processo che l’imputato non ha avuto la possibilità di difendersi.
Gli artt. 420 bis comma 4, 604 comma 5 bis seconda parte, 623 lett. b) e 629 bis cpp disciplinano situazioni nelle quali, a causa di circostanze concrete non imputabili a sua colpa, e ignote al giudice, l’imputato non è stato a conoscenza della celebrazione del processo. Muovono quindi dalla premessa concettuale che la decisione di procedere in assenza sia stata assunta nel pieno rispetto delle norme processuali e non si versi in un caso in cui il giudice avrebbe dovuto rinviare o sospendere il processo ai sensi degli artt. 420 ter e 420 quater cpp.
Ben diversa è la situazione che si verifica quando il giudice decide di procedere in assenza perché desume da concrete circostanze di fatto, ben conosciute a lui e alle parti, ma suscettibili di differenti valutazioni, che l’imputato sa della celebrazione del processo, oppure si è volontariamente sottratto a tale conoscenza o, ancora, non ha avuto conoscenza della celebrazione del processo per fatto ascrivibile a sua colpa.
Che queste diverse situazioni possano essere equiparate non è affatto scontato.
È certamente vero che, se l’assenza è stata “mal dichiarata”, l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo è in re ipsa. È anche vero però, che, quando si decide di procedere in assenza fuori dai casi consentiti, si violano disposizioni che concernono l’intervento in giudizio dell’imputato. In questo caso, le circostanze che consentono di contestare la scelta del giudice sono note alle parti, e la difesa non deve provarle (come deve fare quando l’imputato fa valere l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo), ma solo eccepirle.
Questo potrebbe spiegare perché l’art. 629 bis cpp non prevede espressamente che la rescissione del giudicato possa essere disposta anche nel caso in cui vi sia stato un errore di valutazione del giudice circa la possibilità di procedere in assenza. In un passaggio della motivazione, la citata sentenza delle Sezioni Unite sostiene che la possibilità di rescindere il giudicato anche in questi casi non è esclusa[6], ma si tratta di un’affermazione incidentale su un tema che richiederebbe maggiore approfondimento. Non si può ignorare, infatti, che un tale errore di valutazione avrebbe ben potuto essere fatto valere nel corso del giudizio e in sede di impugnazione.
Ponendosi in questa prospettiva, e distinguendo le situazioni in cui la decisione di procedere in assenza sia controversa da quelle in cui l’assenza risulti incolpevole sulla base di elementi non conosciuti prima (e dedotti in giudizio dall’imputato), l’interpretazione delle norme in materia di assenza potrebbe risultare più agevole.
3. I casi in cui l’imputato prova in giudizio l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo sono dettagliatamente disciplinati nel codice di rito con riferimento ad ogni stato e grado del processo. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, l’art. 629 bis cpp prevede in questi casi la rescissione del giudicato.
Se la prova dell’assenza incolpevole viene fornita in una delle fasi del giudizio che precedono la pronuncia della sentenza di primo grado si applicano gli articoli 420 bis comma 4 e 489 cpp.
L’imputato che compare all’udienza preliminare e fornisce la prova che la sua assenza era incolpevole (oppure che, «senza sua colpa», non aveva potuto fornire prova tempestiva di un impedimento), «può chiedere l’acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’art. 421 comma 3 cpp».
L’ art. 420 bis comma 4 cpp non prevede espressamente che, in questi casi, l’imputato possa chiedere di rendere dichiarazioni o di essere sottoposto ad interrogatorio ai sensi dell’art. 421 comma 2 cpp, ma è evidente che tale facoltà non può essere esclusa. Ne consegue che, quand’anche le parti avessero iniziato a formulare le rispettive conclusioni, si dovrebbe tornare alla fase immediatamente precedente. Poiché la discussione non è “chiusa”, non è necessario prevedere espressamente che l’imputato comparso possa avanzare istanze per l’applicazione di riti alternativi o chiedere al giudice di procedere ai sensi degli artt. 421 bis e 422 cpp, da tali facoltà, infatti, egli non è ancora decaduto[7].
Quando la prova dell’assenza incolpevole viene fornita «nel corso del giudizio di primo grado», l’imputato «ha diritto di formulare richiesta di prove» (art. 420 bis comma 4 cpp terzo periodo) ed è «rimesso in termini per formulare richiesta di riti alternativi» (art. 489 comma 2 cpp). Se al giudizio di primo grado si è giunti da un’udienza preliminare la remissione in termini è possibile solo «se l’imputato fornisce la prova che l’assenza nel corso dell’udienza preliminare è riconducibile alle situazioni previste dall’art. 420 bis comma 4». Da questo si desume che la prova dell’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo dev’essere fornita con riferimento alla fase processuale in cui è stata emessa la prima ordinanza dichiarativa di assenza e quindi: con riferimento alla fase dibattimentale se si è proceduto con citazione diretta o con decreto di giudizio immediato; con riferimento all’udienza preliminare se si è proceduto con richiesta di rinvio a giudizio.
Se l’imputato compare nel corso del giudizio di primo grado l’art. 420 bis comma 4 cpp (quarto periodo) lascia ferma «la validità degli atti regolarmente compiuti fino a quel momento».
Questo vale se l’imputato che è comparso era informato della celebrazione del processo e la sua assenza era frutto di libera scelta (art. 420 comma 4, primo periodo), ma anche se l’imputato comparso prova che l’assenza è stata dovuta a incolpevole mancata conoscenza del processo (art. 420 bis comma 4, secondo periodo).
In quest’ultimo caso, anche se si è tenuta l’udienza preliminare, la richiesta di riti alternativi può essere rivolta al giudice del dibattimento e questi non deve restituire gli atti al GUP. La scelta normativa ha una spiegazione assai semplice: nel caso in esame, infatti, l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo non era nota al GUP e l’imputato l’ha provata nel corso del giudizio di primo grado. Ne consegue che il rinvio a giudizio è avvenuto «regolarmente» (id est: nel rispetto delle regole processuali) e «resta ferma» la sua validità. Tuttavia, poiché l’assenza in udienza preliminare era incolpevole, l’imputato deve poter esercitare ogni facoltà che la legge gli avrebbe riconosciuto[8].
Se la prova dell’assenza incolpevole è fornita quando l’istruttoria dibattimentale è già iniziata, l’imputato può chiedere la rinnovazione delle prove già assunte e l’art. 420 bis comma 4 non prevede che il giudice possa respingere tale richiesta. Questa scelta legislativa è coerente con i principi fissati dalla Corte di Strasburgo: poiché la mancata conoscenza della celebrazione del processo era incolpevole, l’imputato ha il diritto di decidere se le prove debbano essere rinnovate in tutto o in parte e spetta a lui stabilire in quali casi la rinnovazione è necessaria.
Restano valide invece, a prescindere dalla manifestazione di volontà dell’imputato incolpevolmente assente, le prove che non possono essere rinnovate per sopravvenuta irripetibilità. Ai sensi dell’art. 420 quater comma 3 cpp, infatti, le prove non rinviabili possono essere assunte, nel rispetto delle modalità stabilite per il dibattimento, anche quando, non essendovi le condizioni per procedere in assenza, il processo è stato sospeso.
In modo del tutto analogo si procede quando la prova dell’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo viene fornita dopo che il primo grado di giudizio si è concluso: ai sensi dell’art. 604 comma 5 bis seconda parte e dell’art. 623 lett. b), la Corte d’appello e la Corte di cassazione devono dichiarare la nullità della sentenza e restituire gli atti al giudice di primo grado. Anche in questo caso si applica l’art. 489 comma 2 cpp sicché, se il rinvio a giudizio è avvenuto a seguito di udienza preliminare, la possibilità di chiedere riti alternativi sussiste solo se l’imputato ha provato l’incolpevole mancata partecipazione a quella udienza.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza opera la disposizione dell’art. 629 bis cpp: se la richiesta di rescissione del giudicato è accolta, la sentenza è revocata e gli atti sono trasmessi al giudice di primo grado. Anche in questo caso si applica l’art. 489 comma 2 cpp.
4. Come si è detto, non è affatto evidente che alle situazioni sin qui esaminate possa essere equiparata quella che si verifica quando il giudice decide di procedere in assenza perché desume da concrete circostanze di fatto ben conosciute a lui e alle parti, ma suscettibili di differenti valutazioni, che l’imputato sa della celebrazione del processo.
Il conflitto giurisprudenziale relativo all’interpretazione dell’art. 420 bis comma 2 cpp, risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 23948/2020, riguarda proprio questo secondo tipo di situazioni e su queste è opportuno soffermarsi perché si tratta dei casi che, nella concreta realtà giudiziaria, si verificano con maggior frequenza. Le differenti premesse interpretative che hanno determinato il contrasto giurisprudenziale affrontato dalle Sezioni Unite, infatti, non sono certo venute meno dopo la pronuncia di quella sentenza. Al contrario, le valutazioni dei giudici in ordine alla possibilità di procedere in assenza sono spesso diverse e non è raro che tali diverse valutazioni siano compiute nelle successive fasi di un medesimo procedimento.
Ai sensi dell’art. 6 della Convenzione EDU, un processo può considerarsi equo solo se da parte dell’imputato vi è stata conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, sicché, nel rispetto dei principi convenzionali, i giudici di primo grado sono tenuti ad usare particolare rigore nel valutare la procedibilità in assenza. Questo è necessario non solo per garantire un processo “giusto” ad ogni imputato, ma anche per evitare che risorse preziose siano inutilmente destinate a celebrare giudizi che rischiano di dover essere ripetuti perché affetti da nullità.
Si pone in questa prospettiva la disposizione dell’art. 420 bis comma 5 cpp che consente al giudice di primo grado di rivedere in ogni momento la propria decisione e revocare l’ordinanza con la quale ha disposto di procedere in assenza «se risulta che il procedimento (…) doveva essere sospeso» ex art. 420 quater.
In questo caso, la revoca dell’ordinanza non consegue al fatto che l’imputato è comparso in giudizio e ha provato l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. L’imputato assente, infatti, ben può restare tale; e tuttavia, poiché al giudice «risulta» che non si sarebbe potuto procedere in assenza, l’ordinanza che consentiva di farlo deve essere revocata.
L’espressione «risulta» è volutamente generica: non occorre una prova della mancata conoscenza della celebrazione del processo e neppure occorre essere sicuri che essa sia incolpevole. Se non v’è ragionevole certezza che l’imputato sia informato della citazione a giudizio o della data e del luogo dell’udienza, il giudice può disporre che sia eseguita una notifica a mani «ad opera della polizia giudiziaria» e, se questo tentativo non va a buon fine, può sospendere il processo.
L’art. 420 bis comma 5 cpp non prevede che la revoca dell’ordinanza dichiarativa di assenza possa essere disposta solo ad istanza di parte. Ne consegue che tale provvedimento può essere adottato anche d’ufficio ed essere frutto di una diversa valutazione compiuta dal giudice il quale potrà revocare l’ordinanza con la quale ha disposto di procedere in assenza, anche se non era affetta da nullità, quando, dopo averla emessa, venga a sapere che non avrebbe dovuto procedere non essendovi ragionevole certezza che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della vocatio in iudicium.
Con la disposizione in esame, il legislatore sottolinea che questo può avvenire anche se l’imputato non è comparso e non ha fornito la prova dell’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo e anche se, nel momento in cui è stata adottata, la decisione di procedere in assenza era giuridicamente ineccepibile. Indica così all’interprete che la decisione di procedere in assenza deve essere adottata alla luce di un attento esame delle circostanze di fatto comunque emerse[9].
L’ordinanza che dispone di procedere in assenza non viene emessa solo nell’udienza preliminare, ma anche all’inizio del giudizio di primo grado.
Se si tratta di un giudizio immediato o di una citazione diretta ex art. 550 cpp la possibilità di procedere in assenza è valutata per la prima volta dal giudice del dibattimento. Se il rinvio a giudizio è stato disposto dal GUP, invece, la possibilità di procedere in assenza deve essere già stata valutata nel corso dell’udienza preliminare.
La concreta prassi giurisprudenziale è orientata a ritenere che la valutazione compiuta dal GUP debba essere ripetuta negli atti preliminari al dibattimento. Questa scelta trova fondamento nell’art. 484 comma 2 bis cpp, in base al quale, in sede di verifica della regolare costituzione delle parti, «si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies». La celebrazione dell’udienza preliminare, infatti, non rende tali disposizioni incompatibili con la fase dibattimentale. Anche se vi è stata un’udienza preliminare, quindi, i giudici del dibattimento compiono una valutazione sulla possibilità di procedere in assenza e, se questa valutazione ha esito positivo, pronunciano un’ordinanza ex art. 420 bis cpp.
Poiché ciascuna delle fasi che possono caratterizzare il giudizio di primo grado richiede un accertamento della possibilità di procedere in assenza, l’istituto previsto dall’art. 420 bis comma 5 cpp sembra poter operare solo nell’ambito della medesima fase processuale: si tratta, quindi, di un provvedimento adottato in autotutela dal giudice che ha disposto di procedere in assenza, al quale è data facoltà di modificare la propria decisione se gli «risulta che il procedimento, per l’assenza dell’imputato, doveva essere sospeso».
Alla revoca prevista dall’art. 420 bis comma 5 non si applicano le clausole di salvaguardia previste dall’art. 420 bis comma 4, non resta ferma quindi la validità degli atti regolarmente compiuti. Ne trae conferma la tesi secondo cui questa particolare possibilità di revoca opera solo all’interno della medesima fase processuale. In questo caso, infatti, le circostanze che non consentono di procedere in assenza “risultano” al giudice che aveva deciso di procedere e, poiché questa situazione è ben diversa da quella disciplinata dall’art. 420 bis comma 4, la revoca retroagisce.
5. Il caso in cui il giudice dell’udienza preliminare avrebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 420 ter o dell’articolo 420 quater, ma abbia deciso di procedere in assenza disponendo il rinvio a giudizio dell’imputato, non ha disciplina espressa. Ci si deve chiedere allora se, in questi casi, la decisione assunta dal GUP sia, per così dire, “insindacabile” e il giudice del dibattimento non possa far altro che disporre ricerche dell’imputato (sospendendo il processo o proseguendo nel giudizio a seconda che le ricerche abbiano o meno esito negativo), oppure debbano trovare applicazione i principi generali e il giudice del dibattimento debba restituire gli atti al GUP.
La scelta tra queste opzioni non può prescindere dal contenuto dell’art. 604 comma 5 bis cpp prima parte e dell’art. 623 lett. b) cpp (che ad esso fa rinvio). Si tratta infatti delle uniche norme che disciplinano espressamente l’ipotesi in cui diverse valutazioni in ordine alla possibilità di procedere in assenza siano compiute nell’ambito del medesimo procedimento. Nella specie, la differente valutazione riguarda il giudice di primo grado e i giudici investiti del giudizio nei gradi successivi.
Come si è detto, la seconda parte dell’art. 604 comma 5 bis cpp disciplina l’ipotesi in cui l’imputato prova «che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado». L’art. 604 comma 5 bis, prima parte, invece, disciplina la diversa ipotesi in cui, essendosi proceduto in assenza dell’imputato, «vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 420 ter o dell’articolo 420 quater». Anche in questo caso la sentenza è nulla e gli atti devono essere restituiti al giudice di primo grado. Anche in questo caso si applica l’art. 489 comma 2 cpp: se il rinvio a giudizio è avvenuto a seguito di udienza preliminare, quindi, l’imputato avrà la possibilità di chiedere riti alternativi, ma solo se l’assenza nel corso dell’udienza preliminare «è riconducibile alle situazioni previste dall’art. 420 bis comma 4».
Secondo alcuni, le disposizioni appena esaminate forniscono un significativo argomento in favore della prima tra le soluzioni interpretative sopra prospettate. Si osserva, infatti, che, per espressa previsione di legge, la nullità della sentenza conseguente a erronea dichiarazione di assenza riguarda il giudizio di primo grado e i giudizi successivi, ma non l’udienza preliminare.
A tale considerazione se ne aggiunge un’altra. Se il GUP ha scelto di procedere in assenza fuori dai casi consentiti – si dice – l’imputato che, per iniziativa del giudice del dibattimento, sia stato informato della celebrazione del processo può formulare richieste di prova ai sensi dell’art. 420 bis comma 4 e può chiedere riti alternativi ai sensi dell’art. 489 cpp. Ne consegue che la decisione del GUP non è pregiudizievole per l’imputato e non può essere causa di nullità.
Si tratta di argomenti certamente suggestivi, ma non del tutto convincenti.
La disciplina del processo in assenza è dettata proprio con riferimento all’udienza preliminare che è dunque, già a livello normativo, la sede d’elezione delle valutazioni in ordine alla possibilità di procedere in assenza. Sarebbe singolare, allora, se proprio le valutazioni compiute in questa fase preliminare fossero ininfluenti ai fini della regolare instaurazione del successivo giudizio. Si tratterebbe, inoltre, di un caso, forse unico nel sistema, nel quale una scelta processuale adottata fuori dei casi consentiti dalla legge resta comunque produttiva di effetti, e questo anche se si tratta di una scelta che potrebbe essere stata assunta respingendo un’eccezione di parte.
L’art. 420 bis comma 4 cpp è contenuto nel titolo IX del codice di rito che riguarda l’udienza preliminare. Come noto, ai sensi dell’art. 421 bis cpp, il GUP può rilevare l’incompletezza delle indagini preliminari e fissare un termine per il loro compimento; può disporre inoltre, ex art. 422 cpp, «l’assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere». La facoltà di stimolare l’attivarsi di tali meccanismi è preclusa all’imputato nei cui confronti si sia proceduto in assenza fuori dei casi consentiti. Non è vero quindi che nessun diritto dell’imputato può essere pregiudicato dall’ordinanza con la quale il GUP dispone di procedere in assenza e non è vero che, pronunciando quell’ordinanza fuori dai casi consentiti, il GUP non incide sull’esercizio dei diritti di difesa. Non si vede, infatti, come un difensore d’ufficio potrebbe formulare richieste di prova in autonomia e senza aver avuto alcun contatto con l’imputato.
Non vale obiettare che le disposizioni di cui agli artt. 421 bis e 422 cpp hanno sempre avuto in concreto scarsa applicazione. Per quanto poco applicate, infatti, queste norme non possono certo essere ignorate e, peraltro, il progetto di riforma del codice di procedura penale attualmente in discussione sembra orientato a valorizzare l’udienza preliminare perché prevede che il GUP debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere «quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna»[10].
La constatazione che, ai sensi degli artt. 604 comma 5 bis, 623 lett. b) cpp, l’errata dichiarazione di assenza (come la prova dell’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo) comporta la restituzione degli atti al giudice di primo grado non indebolisce la tesi qui sostenuta, anzi, la rafforza.
Le norme in esame, infatti, parlano esplicitamente di nullità della sentenza: evidenziano, quindi, che l’aver proceduto in assenza fuori dai casi consentiti è causa di nullità.
Tale nullità può essere sempre eccepita dall’imputato assente se egli compare e prova «che l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado» (art. 604 comma 5 bis, seconda parte). In questo caso l’eccezione non è soggetta a decadenza alcuna. Fornendo un’analoga prova, infatti, il condannato potrebbe ottenere perfino la rescissione del giudicato ai sensi dell’art. 629 bis cpp. Ma la sentenza è nulla anche quando, persistendo l’assenza, «vi è la prova che si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 420 ter o dell’articolo 420 quater» (art. 604 comma 5 bis, prima parte).
L’art. 604 cpp parla espressamente di nullità della sentenza. Questa nullità consegue al mancato rispetto delle norme che disciplinano la procedibilità in assenza: riguarda quindi l’intervento dell’imputato ed è una nullità di ordine generale ex art. 178 lett. c) cpp. La nullità non deriva, però, dall’omessa citazione a giudizio (se si può valutare la procedibilità in assenza la citazione a giudizio non può essere stata omessa). Non si tratta quindi di una nullità assoluta ex art. 179 cpp, bensì di una nullità a regime intermedio, soggetta alla disciplina dell’art. 180 cpp, che può essere rilevata e dedotta: fino alla deliberazione della sentenza di primo grado se non si è verificata nel giudizio; fino alla deliberazione della sentenza del grado successivo se si è verificata nel giudizio.
Ai sensi dell’art. 604 comma 4 cpp, il giudice d’appello, quando accerta una delle nullità indicate nell’art. 180 «che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado», deve rinviare gli atti «al giudice che procedeva quando si è verificata la nullità».
L’art. 604 comma 5 bis deroga a questa regola con riferimento ai casi in cui la decisione di procedere in assenza è viziata: stabilisce infatti che debba essere dichiarata la nullità della sentenza e non quella del provvedimento che dispone il giudizio e, di conseguenza, gli atti debbano essere sempre restituiti al giudice di primo grado. La stessa deroga è prevista per il giudizio di legittimità dall’art. 623 lett. b).
Una deroga ai principi generali, però, non può operare al di fuori dei casi per i quali è prevista e nessuna deroga è prevista per il caso in cui il giudice del dibattimento accerti che il GUP non avrebbe dovuto procedere in assenza.
Con l’art. 604 comma 5 bis il legislatore ha stabilito che, dopo la conclusione del giudizio di primo grado, il ritorno alla fase dell’udienza preliminare non è necessario anche se, in quella fase, si era proceduto in assenza mentre «si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 420 ter o dell’articolo 420 quater».
A ben guardare però la deroga prevista da questa norma riguarda solo un numero limitato di casi.
Se l’inosservanza delle regole sull’assenza verificatasi in udienza preliminare non è stata eccepita, ai sensi dell’art. 180 cpp questa eccezione non può essere più proposta, quindi l’art. 604 comma 5 bis non trova applicazione (ma neppure l’art. 604 comma 4 sarebbe applicabile).
È possibile però che il giudice di primo grado abbia proceduto sulla base della medesima errata valutazione compiuta dal GUP. In questo caso la parte potrebbe eccepire in grado d’appello la nullità verificatasi nel corso del giudizio anche se l’eccezione non era stata sollevata in primo grado, ma anche questa volta la deroga prevista dall’art. 604 comma 5 bis non dovrebbe operare: la restituzione degli atti al giudice di primo grado, infatti, sarebbe imposta dai principi generali e dovrebbe essere disposta anche ai sensi dell’art. 604 comma 4.
Se l’inosservanza da parte del GUP delle disposizioni in materia di assenza è stata eccepita nel corso del giudizio di primo grado gli scenari possibili sono due: o l’eccezione è stata accolta e il giudice di primo grado non ha proceduto in assenza, ma allora la nullità è stata sanata e, ancora una volta, l’art. 604 comma 5 bis non trova applicazione; oppure il giudice del dibattimento ha respinto l’eccezione e ha proceduto sulla base della medesima valutazione compiuta dal GUP.
In quest’ultimo caso, all’eventuale nullità verificatasi nel corso dell’udienza preliminare seguirebbe una analoga nullità verificatasi nel corso del giudizio. Solo in questo caso la deroga prevista dall’art. 604 comma 5 bis è operativa e fa sì che gli atti non debbano essere restituiti al GUP, bensì al giudice di primo grado. La scelta legislativa risponde ad evidenti ragioni di economia processuale: la nullità verificatasi nell’udienza preliminare è “assorbita” dall’analoga nullità verificatasi nel corso del giudizio di primo grado. Poiché questo giudizio si è ormai concluso, per l’imputato ingiustamente processato in assenza il ritorno alla fase dell’udienza preliminare avrebbe senso solo con riferimento alla possibilità di chiedere riti alternativi e tale possibilità è salvaguardata dall’art. 489 cpp che, non a caso, è espressamente richiamato dall’art. 604 comma 5 bis.
Ben diversa è la situazione che si verifica se la violazione delle disposizioni in materia di assenza viene rilevata o eccepita nel corso del giudizio di primo grado e, in particolare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. In questi casi il legislatore non ha previsto alcuna deroga espressa ai principi generali perché nessuna ragione di economia processuale suggeriva di farlo.
In questi casi, inoltre, la disposizione l’art. 420 bis comma 4 quarto periodo non può certamente operare: se la decisione di procedere in assenza è stata assunta fuori dai casi previsti dagli artt. 420 ter e 420 quater non vi sono atti «regolarmente» compiuti che possano essere fatti salvi.
Pertanto, quando ritiene che nell’udienza preliminare «si sarebbe dovuto provvedere ai sensi dell’art. 420 ter o dell’articolo 420 quater», il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità dell’ordinanza dichiarativa di assenza, la conseguente nullità dell’udienza preliminare e del decreto di rinvio a giudizio, e deve disporre la restituzione degli atti al GUP che è così richiamato a compiere una rigorosa valutazione della possibilità di procedere assenza cui non sarebbe tenuto se il passaggio alla fase dibattimentale fosse definitivo e irrevocabile.
6. In conclusione, l’art. 604 comma 5 bis cpp contiene una deroga alla previsione dell’art. 604 comma 4 e non si vede come sia possibile desumere da questa deroga che i principi generali non operano se è stato il GUP a procedere in assenza fuori dai casi consentiti, né si comprende perché, in questo caso, nessuna nullità dovrebbe essersi verificata.
È certamente vero, invece, che, in mancanza di disposizioni derogatorie, la nullità conseguente al mancato rispetto da parte del GUP delle disposizioni in materia di assenza resta soggetta alla disciplina prevista dall’art. 180 cpp e, pertanto, non può più essere rilevata né dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado.
Al giudice dell’udienza preliminare il legislatore affida la prima valutazione in ordine alla possibilità di procedere in assenza. Questa valutazione deve avvenire in conformità ai principi convenzionali ed essere rigorosa perché è necessario evitare l’inutile incardinarsi del giudizio dibattimentale. Ne consegue che in linea di principio – e fatti salvi i casi di giudizio immediato e di citazione diretta ex art. 550 cpp – la sospensione del processo per assenza dell’imputato è provvedimento “proprio” del GUP e che, se tale provvedimento è viziato, si determina una nullità a regime intermedio rilevabile anche d’ufficio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado.
Le proposte di riforma del processo penale che sono attualmente in discussione forniscono ulteriori argomenti in favore della tesi qui sostenuta. Queste proposte, infatti, riducono il numero di reati per i quali è necessaria l’udienza preliminare, ma aumentano i poteri del GUP e prevedono che egli debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna[11]. Si introduce, poi, anche nei processi a citazione diretta, un “filtro” costituito da un’udienza predibattimentale in camera di consiglio tenuta da un giudice diverso rispetto a quello che celebrerà il dibattimento[12]. Si prevede, infine, che il giudice debba pronunciare sentenza inappellabile di non doversi procedere – e dar corso alle ricerche dell’imputato – quando «non sono soddisfatte le condizioni per procedere in assenza»[13].
Tali scelte normative non sono irrilevanti rispetto al tema che qui si discute. Rafforzando l’udienza preliminare, introducendo nei processi a citazione diretta un’udienza “filtro” tenuta da un giudice diverso da quello che seguirà il dibattimento, prevedendo che nei confronti degli imputati incolpevolmente assenti debba essere emessa una sentenza di non luogo a procedere, infatti, si rende ancor più evidente che la valutazione in ordine alla possibilità di procedere in assenza è affidata soprattutto al giudice investito per la prima volta del giudizio e che tale valutazione deve essere particolarmente rigorosa.
Stride con questa impostazione – perché è deresponsabilizzante – l’idea che la decisione di procedere in assenza assunta dal GUP (e, dopo la riforma, anche dal giudice dell’udienza “filtro”) sia, nella sostanza, insindacabile da parte del giudice del dibattimento, il quale potrebbe solo diversamente provvedere, ma, in nessun caso, rilevare la nullità derivata dall’altrui precedente decisione.
[1] La questione rimessa alle Sezioni Unite dalla prima sezione penale della Corte di cassazione era la seguente: «se, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis cpp integri di per sé presupposto idoneo l’intervenuta elezione da parte dell’indagato di domicilio presso il difensore d’ufficio nominatogli o, laddove non sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza del procedimento o di suoi atti».
[2] Pag. 17 e 18 della motivazione.
[3] La Cassazione fa particolare riferimento ai principi sanciti dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Sejdovic contro Italia del 1.3.2006.
[4] Pagg. 23-25 della motivazione.
[5] Pag. 28 della motivazione.
[6] pag. 28 della motivazione.
[7] Ai sensi dell’art. 421 comma 4 cpp «se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione». Questa dichiarazione è il termine ultimo entro il quale l’imputato può chiedere riti alternativi.
[8] È appena il caso di sottolineare che l’art.420 bis comma 4 quarto periodo non può essere certamente applicato quando la decisione di procedere in assenza è stata assunta fuori dai casi previsti dagli artt. 420 ter e 420 quater. In questi casi, infatti, sarebbe arduo sostenere che gli atti siano stati compiuti «regolarmente».
[9] Questa scelta è resa ancor più esplicita dalla legge approvata il 23 settembre 2021: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/363955.pdf. L’art.1 comma 7 lett. a), infatti, delega il Governo a dettare disposizioni affinché «il processo possa svolgersi in assenza dell’imputato solo quando esistono elementi idonei a dare certezza del fatto che egli è a conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza e dovuta a una sua scelta volontaria e consapevole».
[10] Si veda l’art. 1 comma 9 lett. m) della legge approvata il 23 settembre 2021: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
[11] Si veda l’art. 1 comma 9 lettera l) e lettera m) della legge approvata il 23 settembre 2021: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
[12] Si veda l’art. 1 comma 12 della legge approvata il 23 settembre 2021: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
[13] Si veda l’art. 1 comma 7 lett. e) della legge approvata il 23 settembre 2021: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.