Il libro che il Forum Disuguaglianze Diversità (Forum DD) ha promosso per le Saggine di Donzelli è piccolo di formato e non supera le duecento pagine, ma è ricchissimo di informazioni accurate, di riflessioni critiche e di proposte su cui misurare i programmi dei partiti e dei candidati alle prossime elezioni. Riempie così un terribile vuoto di politica, riportando al centro del confronto elettorale per il voto europeo la vera politica, quella fatta di contenuti, di bisogni, di persone e di luoghi. In effetti, il dibattito cui assistiamo è tutto giocato su prospettive nazionali, che trasformano il voto di giugno in una resa di conti fra partiti nazionali e fra maggioranza e opposizione: un sondaggio di questi giorni ci dice che solo il 14% del campione voterà in base ai programmi elettorali, il 61% in base al partito politico e il 25% in base ai candidati. Questo libro affronta le elezioni da una prospettiva diversa e intende far riflettere il lettore sui temi e sulle politiche che i nostri rappresentanti dovranno affrontare.
La breve introduzione ci ricorda che si sfidano oggi e si sfideranno nel futuro tre diverse idee di Europa: quella segnata dalla cultura neo-liberista, che ha governato negli ultimi cinque anni; quella conservatrice-autoritaria, che sulla base liberista innesta spinte nazionaliste e corporative; quella di un’Europa di giustizia sociale e ambientale e di pace, a cui il ForumDD guarda con speranza. Per questo il volume raccoglie «idee e proposte capaci di enucleare l’Unione che serve al fermento sociale e operoso del paese, che prova ogni giorno a costruire un futuro più giusto». E lo fa attraverso 13 saggi che affrontano altrettanti nodi essenziali dell’Unione.
Alcuni sono nodi prettamente istituzionali (Gloria Riva) e riguardano l’esigenza di accrescere la democraticità delle istituzioni e il ruolo di Parlamento e Commissione, superando sia l’attuale carattere fortemente intergovernativo dell’Unione, sia il manuale Cencelli che governa le nomine dei commissari, sia la regola dell’unanimità (che renderebbe l’Unione definitivamente ingovernabile in caso di ulteriore allargamento), sia i poteri di vigilanza e controllo del Parlamento; infine, l’A. richiama l’esigenza di accrescere la rilevanza del Comitato europeo delle regioni e del Comitato economico e sociale. Anche sulle politiche macroeconomiche (Francesco Saraceno) e sulle risorse finanziarie (Vieri Ceriani) la direzione è quella di rafforzare le strutture europee attraverso la previsione di una capacità di bilancio centrale (che renderebbe l’Unione più solida, comporterebbe risparmi importanti e alleggerirebbe i pesi gravanti sui singoli Stati) e attraverso il potenziamento delle risorse unionali rispetto alla centralità dei contributi nazionali, che invece spingono verso il carattere intergovernativo di oggi (oltre alla questione del superamento dell’unanimità decisionale, tra i temi affrontati segnalo quelli della imposizione coordinata sulle imprese transnazionali e la tassazione intelligente dell’economia digitale).
Altri nodi guardano all’impatto delle politiche dell’Unione sulla vita delle persone: la ripresa della crescita delle disuguaglianze (Salvatore Morelli) e lo stato delle politiche di coesione (Fabrizio Barca e Sabina De Luca), il welfare (Elena Granaglia) e i temi legati alla salute (Massimo Florio).
Il saggio di Morelli è risultato il più complesso, ricco di grafici e dati statistici, ma le sue conclusioni appaiono ben comprensibili: le accresciute disparità economiche fra regioni vanno combattute per rispondere al rischio che il sostegno popolare al progetto europeo si riduca a favore del sostegno ai partiti euroscettici. Allo stesso modo, occorre salvaguardare e rafforzare le politiche di coesione. Partendo dalla constatazione che quasi 1/3 dei cittadini vive in quelle regioni che si trovano in “trappole dello sviluppo”, Barca e De Luca riprendono la Agenda for a Reformed Cohesion Policy di 15 anni fa per dire che resta essenziale l’investimento in politiche “place based”, cioè attente al rapporto concreto fra persone e luoghi, che consentano ai singoli di decidere liberamente se restare o meno nei luoghi in cui vivono e che sono tali da sviluppare una leva di amministratori in cui cultura nazionale e cultura europea convivono: politiche che fanno proprio il principio di addizionalità (finanziaria e strategica) e si misurano con progetti di sviluppo costruiti sulle singole realtà.
Lo stretto legame fra sistemi di welfare e politiche sanitarie emerge dalla lettura dei saggi di Elena Granaglia e Massimo Florio. Dopo avere sintetizzato i venti principi che il Pilastro dei diritti sociali elabora a partire dal 2017 e i passi avanti realizzati, Granaglia non nasconde il rischio che i risultati non siano all’altezza delle aspettative e richiama la prospettiva di una “Unione sociale” che, senza porsi come struttura federale, garantisca a tutti i cittadini livelli di servizio essenziali e di qualità nell’intero spazio europeo. In sostanza, una “Unione sociale per la giustizia sociale e ambientale”, che non dimentica le differenze esistenti tra i sistemi nazionali; al contrario, essa deve fondarsi su tre assi portanti: accompagnamento agli sviluppi dei singoli Stati; attuazione di politiche europee sovranazionali (l’esempio è il programma “Sure” nel campo della disoccupazione, ma possono essere previste agenzie che agiscono a livello sovranazionale e può ipotizzarsi il ricorso allo strumento della Direttiva allorché ne siano maturate le condizioni); incoraggiamento della partecipazione dal basso di cittadini attivi e associazioni.
La necessità di una crescita culturale e politica delle istituzioni appena ricordata non è dissimile da quanto evidenzia Florio, muovendo dai gravi limiti che le strutture dell’Unione hanno mostrato nell’affrontare la pandemia del 2020 (puntualmente esaminate alle pagg.97-99). Tuttavia, se i sistemi sanitari universalistici costano meno e sono più efficaci di quello USA, l’invecchiamento della popolazione e la dimensione globale della ricerca farmaceutica e degli interscambi richiedono risposte urgenti; due in particolare: modifica delle regole sulla proprietà intellettuale nel campo bio-medico; creazione e formazione continua di una nuova generazione “europea” di ricercatori, medici e operatori sanitari.
Un terzo gruppo di nodi viene affrontato nei saggi dedicati a fenomeni e aspetti che trascendono la dimensione europea: crisi climatica (Vittorio Cogliati Dezza e Rossella Muroni), governo d’impresa (Lorenzo Sacconi), tecnologia digitale (Giorgio Resta). Si tratta di tre aree di intervento in rapida evoluzione e destinate a incidere sempre più direttamente sulla vita delle persone e delle comunità. I tre saggi si pongono nella prospettiva di avviare e gestire processi che tengano conto delle complessità e dei costi del cambiamento, ma non ne abbiano timore e mirino, piuttosto, a indirizzarlo verso obiettivi di giustizia sociale, di sicurezza esistenziale e di qualità dei servizi forniti ai cittadini. L’attenzione, rispettivamente, verso obiettivi come giustizia climatica, democrazia economica ed equilibrio fra protezione e condivisione dei dati caratterizza i tre saggi e ci offre un panorama d’insieme di grande interesse. Non senza ricordare l’importanza del passaggio dai monopoli intellettuali all’accesso aperto alla conoscenza (passaggio di decisivo significato democratico e su cui torna il saggio finale di Pagano), cui oggi si affiancano gli enormi problemi di garanzia del dato e di tutela delle persone fisiche e giuridiche che derivano dall’intelligenza artificiale e dai rischi del paradigma individualistico che ostacola «la dimensione collettiva del governo delle tecnologie digitali» (Resta).
Veniamo così ai tre saggi che chiudono il volume.
Le pagine che Carola Carazzone e Lella Palladino dedicano alle questioni di genere e allo sguardo femminista sulla realtà sono molto articolate e muovono dalla premessa che all’uguaglianza formale (nella sostanza raggiunta dalla normazione europea) non corrisponde l’uguaglianza sostanziale. Se è chiaro che parità (dato formale), equità (rimozione degli ostacoli partendo dalle differenze esistenti) e uguaglianza (obiettivo cui tendere) esprimono concetti diversi, occorre avere chiaro quanto profonde siano le barriere e quanto pesanti i pregiudizi che ancora pesano sull’universo femminile e Lgbtqi+. E’, questa, una realtà che tutt’oggi impone di parlare di «finta parità» in aspetti essenziali della vita delle persone: educazione, carico familiare, doveri legati alla cura, dicotomia lavoro-carriera, cronica «sotto autostima» delle donne (dopo la proposta di legge Morgante sull’aiuto alle vittime di violenza, aggiungerei anche indipendenza economica). I sette indicatori Eige esaminati nel rapporto 2023 presentano una situazione europea molto articolata e confermano che nessuna conquista è acquisita per sempre e che ogni Paese mostra contraddizioni evidenti, diviso fra alcuni avanzamenti ed evidenti criticità sulla strada dell’equità e dell’uguaglianza di genere. Se ovunque preoccupano gli episodi crescenti di violenza, fisica e online, un grande rilievo conservano le disuguaglianze economiche e le conseguenze del lavoro di cura non retribuito. Quali le risposte? I cambiamenti giuridici non fanno sistema senza cambiamenti culturali e sociali e le Autrici invitano i lettori a chiedersi quale sia l’approccio dei candidati alle prossime elezioni e quali azioni propongano di mettere in campo. In particolare, costoro hanno chiaro che non essere sessisti è del tutto insufficiente e che occorre un cambio sostanziale di paradigma? E ciò a partire proprio dagli uomini, che dovrebbero desiderare una “Europa femminista”, più giusta e davvero democratica.
«Ribaltare il senso comune» sull’immigrazione è quanto propone Marco De Ponte. E come prima cosa invita a guardare seriamente ai fattori che spingono a migrare, senza appiattirsi sui luoghi comuni cui ci stiamo abituando e che stanno alla base di politiche che dirigono risorse verso obiettivi oggettivamente sbagliati. Guardare ai trend storici e liberarci da risposte emergenziali ci consentirebbe di adottare politiche che coniugano ragionevolezza, umanità, opportunità. Spetterà al Parlamento eletto nel 2024 gestire attività normative e risorse e il nuovo Patto migrazioni e asilo dovrà essere applicato e monitorato al fine di utilizzare al meglio gli strumenti di cui l’Unione si è dotata. Il passaggio è delicato, visto che già oggi numerosissime associazioni, tra cui ActionAid e Caritas, hanno criticato le politiche di esternalizzazione e la logica dei respingimenti, che creeranno un sistema “crudele” e renderanno la detenzione arbitraria una pratica normale. Per questo è particolarmente importante comprendere quali sono le idee e le proposte dei candidati con riferimento sia alle scelte che verranno fatte all’interno dell’Unione sia alle politiche verso i Paesi di origine (aiuto pubblico allo sviluppo in testa, progetti di sviluppo sostenibile). Resta la centralità delle “vie legali di ingresso”, su cui a parole sembra esistere ampia condivisione, ma che, nei fatti, vengono rese possibili in misura assolutamente inadeguata. Così come occorre favorire la regolarizzazione di chi già si trova in Europa, evitando il diffondersi di marginalità e illegalità. Su tutti questi temi, un dialogo costante fra livello decisionale europeo e nazionale costituisce una necessità assoluta.
Nell’ultimo saggio, intitolato Europa-mondo, Ugo Pagano apre con la “missione internazionale dell’Europa”. Uno sguardo largo, dunque, che prende avvio dalle politiche “rapaci” e aggressive che la Commissione (in dissenso rispetto al Parlamento) ha adottato in occasione della pandemia del 2020 e delle richieste, respinte, di sospensiva dei brevetti che al WTO erano state avanzate dal c.d. Sud del mondo e dagli stessi Stati Uniti. Il voto del Parlamento, favorevole sia pure a strettissima maggioranza alla sospensiva, lascia pensare che una diversa Europa è possibile.
Il saggio esamina le radici storiche della missione europea, a partire dall’epoca medioevale, epoca in cui si aprirono le strade per le università e per una “scienza aperta”, che superava i confini di principati, nazioni e stati e favoriva la libera circolazione delle idee. Una prospettiva che la creazione della “proprietà intellettuale” ha poi ridimensionato, fino a consentire situazioni estreme di vero monopolio della conoscenza. Invertire questa tendenza, che favorisce la conoscenza privatizzata, e attivarsi per una vera riforma del WTO affrontando, tra l’altro, il complesso tema dei brevetti militari e dei c.d. “brevetti segreti”, restituirebbe all’Europa un forte ruolo propulsivo e un riconoscimento a livello internazionale. La cosa assume una particolare rilevanza oggi, in cui le guerre in atto e i diffusi timori conducono a limitare le scelte pubbliche di politica industriale e favoriscono l’espandersi di una industria “militarizzata”.
Queste due tendenze, privatizzazione della conoscenza e militarizzazione dell’industria, devono essere contrastate se vogliamo un’Europa che faccia della conoscenza e della cultura uno strumento di pacificazione alternativo al riarmo, proponendosi a livello globale come soggetto credibile di dialogo e mediazione. Quale non è stato in questi anni.
Condivisione della conoscenza e cooperazione internazionale sono aspetti interdipendenti e possono condurre a politiche alternative alla serrata monopolizzazione della conoscenza e delle leve essenziali di governo che viene condotta da Usa e Cina; questo potrebbe riavvicinare i Paesi del Sud del mondo, che vedono l’Europa profondamente contraddittoria e, in fondo, ripiegata su se stessa e i propri interessi da difendere a ogni costo. Potremmo aggiungere che i progressi rapidissimi dell’intelligenza artificiale richiedono che l’Europa scelga velocemente se adottare politiche difensive oppure cogliere l’occasione per rilanciare un approccio aperto e democratico alla conoscenza e al suo impiego.
Al termine di questa rapidissima carrellata dei tredici saggi, che spero non abbia tradito la loro ricchezza e propositività, vorrei riprendere un concetto che attraversa in vario modo l’intero volume e ha trovato nel saggio di Carazzone e Palladino una manifestazione molto chiara. Mi riferisco alle osservazioni contenute alle pagg.162 e 163, dove si afferma che «fondamentali nel ruolo di salvaguardia sono la società civile e i media», salvo aggiungere che: a) gli spazi di azione della società civile sono assai spesso ridotti nei diversi Paesi, anche in quelli apparentemente meno autoritari (che subdolamente usano le leve tecniche, bancarie e fiscali per ostacolare la vita delle associazioni esistenti e la creazione di nuove), dovendosi considerare l’impatto che sulla libertà di azione di gruppi e associazioni hanno una cultura securitaria e una tendenza panpenalista sempre più marcate; b) l’impoverimento del dibattito pubblico, frutto di digitalizzazione e disintermediazione (aggiungeremmo noi un richiamo al crescente desiderio dei decisori di non dover rendere conto e di appannare la trasparenza delle istituzioni). Se così è, la prospettiva di ricostruire dal basso un’Europa più democratica può dire molto per le scelte che ogni elettore dovrà fare fra due mesi.
In conclusione, il volume si presenta di grande interesse per un giurista che voglia comprendere meglio questioni che “complementano” e influenzano i propri saperi e offre riferimenti e prospettive importanti sulle scelte che le istituzioni europee stanno e dovranno affrontare, nonché possibili chiavi di lettura per un voto informato e consapevole. Di qui il senso di urgenza con cui ho aperto queste note.