L’anno che sta per finire si era aperto con il severo richiamo della CEDU che ha individuato nel sovraffollamento e nel degrado delle carceri italiane una delle più significative ipotesi di violazione da parte dell’Italia della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio).
Il decreto legge n. 78 del 1° luglio 2013, convertito nella legge 9 agosto 2013 n. 94, ha poi, in parte, corretto i paradossi della legge cd ‘ex Cirielli’ ma ha costituito, anche per le sensibili ‘retromarce’ in sede di conversione, una riforma a metà e dunque una timida parziale risposta all’Europa.
Sono giunti poi i ripetuti moniti del Capo dello Stato, primo fra tutti il suo messaggio alle Camere dell’8 ottobre per l’ introduzione di quegli strumenti normativi che possano porre rimedio, in tempi ragionevolmente brevi e in maniera strutturale, alla patologica situazione, ponendo le condizioni per “un sistema rispettoso del dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena e sui diritti e la dignità della persona”.
A seguire la Corte Costituzionale, che con la sentenza n. 279 del 9 ottobre (depositata il 22 novembre), pur respingendo la questione di legittimità sollevata da alcuni Tribunali di sorveglianza sulla norma dell’art. 147 c.p., ha ammonito il legislatore a risolvere in tempi brevi la condizione di sovraffollamento non escludendo il ricorso da parte del giudice, in caso di inattività del Parlamento, a rimedi ‘estremi’ quali quelli già ammessi in altri Paesi(California e Germania) per la sospensione di una pena che, per essere contraria al senso di umanità, nega la sua stessa legittimità.
Oggi si apre l’ultimo atto prima che nell’anno entrante, quando la CEDU non potrà fare più sconti (il termine assegnato è, come noto, il 28 maggio), l’Italia possa assumere la guida dell’Unione senza l’ignominia di una condanna inappellabile per le proprie carceri.
Del resto, tale ingravescente situazione ha imposto l’esigenza di imprimere una decisa accelerazione al processo di riforma di quei settori dell’ordinamento penale e penitenziario che offrono le più promettenti potenzialità deflative favorendo una detenzione più umana.
Su questa linea si pone il decreto di questi giorni.
Proprio alla luce delle prescrizioni imposte da Strasburgo una priorità fortemente avvertita è stata quella di assicurare una migliore tutela dei diritti delle persone detenute rafforzando il primo livello di tutela, non giurisdizionale, rappresentato dalla figura del Garante nazionale, figura che, sebbene istituita presso il Ministero e nominata dal Governo (ma sentite le Commissioni parlamentari), dovrà svolgere da organo indipendente ed imparziale compiti di vigilanza, di sollecitazione e di informazione nonché di raccordo con le istituzioni interessate, ivi compresa la magistratura.
E’ previsto anche possa accedere senza restrizioni nei CIE, i luoghi dell’ultima vergogna nazionale.
Il secondo, più penetrante, livello di tutela è assicurato dalla nuova ipotesi di reclamo giurisdizionale esperibile davanti al magistrato di sorveglianza, con l’intento di rispondere proprio alla sollecitazione di Strasburgo e precisamente all’obbligo per il nostro Paese diintrodurre un ricorso ‘interno’ idoneo ad offrire un effettivo rimedio preventivo rispetto alle situazioni in contrastocon l’art. 3 CEDU.
Al fine di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale è stato previsto, da un lato, il potere del magistrato di ordinare all’amministrazione interessata di porre rimedio alla accertata sussistenza del pregiudizio oggetto del reclamo con l’immediata efficacia esecutiva del provvedimento ( siccome derivante dallo schema procedimentale tipico previsto, per il procedimento di sorveglianza, dagli articoli artt. 666 e 678 c.p.p. esteso per la prima volta, con ogni conseguente garanzia e rispetto del contraddittorio, alla materia della tutela dei diritti delle persone ristrette ), e dall’altro il potere dello stesso magistrato che ha emesso il provvedimento di ottenerne l’ottemperanza, una volta in giudicato, da parte dell’Amministrazione pur tenendo conto del ‘programma attuativo’ predisposto dalla stessa se compatibile con il soddisfacimento del diritto.
Si tratta in questo caso di un’assoluta novità per un giudice, quello di sorveglianza, finora sprovvisto del potere di far eseguire i propri provvedimenti in materia di diritti.
È stato rafforzato, inoltre, l’istituto del reclamo in materia disciplinare: la novità più significativa concerne la natura del sindacato che il magistrato di sorveglianza può effettuare sul provvedimento disciplinare dell’Amministrazione che può riguardare, nei casi più gravi, anche i profili di merito, al fine di assicurare la più piena protezione ai diritti dei detenuti.
Ma il decreto legge ha introdotto anche un parziale rimedio, per così dire, ‘compensativo’ (che costituiva la seconda richiesta proveniente dalla CEDU): si tratta di una liberazione anticipata ‘speciale’ assicurata attraverso il riconoscimento di un ulteriore sconto di pena ai detenuti meritevoli che, dal 1 gennaio 2010 - grosso modo cioè da quando la condizione di sovraffollamento è diventata intollerabile -hanno de facto subito una troppo grave deminutio del loro diritto ad un’esecuzione dignitosa.
La misura accordata, eccezionale e limitata a due anni, consiste in un aumento di 30 giorni per ogni semestre di pena espiata già positivamente valutata dal magistrato di sorveglianza, da cui cioè sia già conseguito in allora il beneficio della riduzione ordinaria pari a 45 giorni, semprechè il detenuto abbia continuato a dare prova di partecipazione all’opera di rieducazione (ma per i reati più gravi ex art. 4 bis o.p.solo se si desume dai concreti comportamenti in carcere un ‘positivo evolversi della personalità').
Il beneficio, privo di ogni automaticità, non può in alcun modo configurare in indulto mascherato poichè destinato solo ai condannati più meritevoli previa valutazione caso per caso da parte del magistrato di sorveglianza, dunque non può essere concesso indiscriminatamente a tutti: ciò comporterà inevitabilmente effetti deflativi non immediati e, grazie all’ulteriore citata limitazione derivante dall’irragionevole presunzione di pericolosità ex art. 4 bis o.p., comunque limitati.
Altri interventi riguardano infine, senza entrare qui nel dettaglio, la semplificazione e la razionalizzazione delle procedure di sorveglianza e la normativizzazione delle prassi più virtuose degli Uffici di sorveglianza, sulla scorta delle indicazioni a suo tempo fornite dalla Commissione mista del CSM e recepite in una recente Risoluzione del Consiglio, per consentire alla magistratura di sorveglianza di recuperare il suo ruolo più importante di giudice della rieducazione e digiudice dei diritti.
Il quadro si completa con l’implementazione dell’uso del cd ‘braccialetto elettronico’(in realtà una ‘cavigliera’) indotta per il vero attraverso un’inversione dell’onere motivazionale del giudice che lascia molto perplessi - e che comunque è stata differita al momento della conversione - che dovrebbe da un lato incrementare le misure domiciliari in sede cautelare e, dall’altro, sollevare le forze dell’ordine dai pesanti obblighi di controllo al domicilio.
Vi è poi la previsione di un’ipotesi autonoma di reato per la ‘lieve entità’ di cui all’art. 73 co. 5 DPR 309/90 (che ne dovrebbe limitare sul piano sanzionatorio l’applicazione troppo rigorosa senza escludere d’altro canto l’applicazione di misure cautelari), intervento cauto ma salutare.
Infine, con la proroga sine die della legge n. 199/10 sull’esecuzione della pena al domicilio negli ultimi 18 mesi (che ha garantito finora la stabilizzazione delle presenze nei limiti attuali, seppur eccedenti di quasi 20.000 unità la capienza regolamentare, ma senza quegli ulteriori prevedibili incrementi che avrebbero portato il sistema al definitivo collasso), ci si avvia verso un prevedibile livellamento con la normativa sulle pene domiciliari brevi in via di approvazione alle Camere.
Si tratta di provvedimenti straordinari che configurano un deciso salto in avanti con aspetti di indubitabile novità - per la prima volta, tra l’altro, si introducono norme essenziali nell’ordinamento penitenziario con decreto legge -ed anche di apprezzabile razionalità.
La magistratura, in particolare quella di sorveglianza, si appresta tuttavia, ancora una volta, ad affrontare la riforma con scarsità di mezzi e risorse inadeguate, con organici insufficienti (tanto più se vengono aumentati nei termini suddetti gli spazi giurisdizionali di intervento in materia di diritti e ne viene valorizzata la funzione ‘monocratica’ con la semplificazione delle procedure, in molti casi addirittura de plano) e con personale amministrativo ridotto al minimo.
Siamo comunque in presenza di scelte positive che se da un lato allontanano un indulto impopolare (che nessuno peraltro se la sente di escludere del tutto), dall’altro saranno solo parzialmente idonee a risolvere il problema principale (il sovraffollamento) che continua a richiedere ben più coraggiosi interventi strutturali di largo respiro, dentro e fuori le carceri.