Una recentissima sentenza della Sez. VI del Consiglio di Stato, la n. 2748 del 4 giugno 2015, pone principi di rilevante importanza in materia di spedizione transfrontaliera di rifiuti pericolosi destinati al recupero, tali da condizionare in prospettiva lo sviluppo di questa imponente e lucrosa attività[1].
La pronuncia è tanto più rilevante in quanto assume quale riferimento la disciplina comunitaria e affronta il tema del rapporto, nel trattamento dei rifiuti, tra principio di prossimità (per ridurne al minimo la movimentazione) ed esigenza di specializzazione (per assicurarne la più efficace gestione e il recupero).
Il Ministero dell’Ambiente e la Regione Lombardia avevano sollevato obiezioni alla spedizione transfrontaliera di oli usati raccolti in Italia, verso impianti situati in Germania: la società interessata aveva presentato ricorso in sede giurisdizionale amministrativa, impugnando sia il provvedimento regionale, sia la circolare ministeriale sulle “Modalità di rispetto degli obblighi di gestione degli oli usati”.
Il TAR Lazio ha respinto il ricorso; il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che, in forza dell’art. 12 del Regolamento CE n. 1013/2016, di disciplina delle spedizioni transfrontaliere di rifiuti, le Autorità competenti (in Italia le Regioni e le Province autonome) possano sollevare obiezioni alla spedizione di rifiuti destinati al recupero giustificate dal principio di minima movimentazione dei rifiuti pericolosi.
Vero è che il Giudice ha nel caso deciso una controversia relativa alla spedizione transfrontaliera di oli usati: materia per la quale il Ministero dell’Ambiente ha emanato apposita Circolare, la n. 23876 del 26.3.2013, e che è disciplinata dal Codice dell’Ambiente da norma che richiama espressamente il “principio di prossimità” [2].
Purtuttavia, tanto la sentenza quanto la stessa Circolare esplicano principi di carattere generale, valevoli per le spedizioni di tutti i rifiuti pericolosi destinati al recupero.
Il Regolamento distingue tra spedizioni per le quali è imposta una procedura di notifica e di autorizzazione scritta e quelle soggette solo ad obblighi generali di informazione.
In particolare, il regolamento (CE) n. 1013/2016 prevede per la spedizione transfrontaliera all’interno della Comunità Europea di tutti i rifiuti destinati allo smaltimento e di quelli pericolosi destinati al recupero[3] una procedura di notifica e autorizzazione preventiva scritta, all’interno della quale le autorità competenti – di destinazione, spedizione e transito – possono sollevare obiezioni alla spedizione. L’art. 11 del Regolamento disciplina le possibili obiezioni alle spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento e dei rifiuti urbani indifferenziati, mentre l’art. 12 disciplina quelle relative ai rifiuti pericolosi destinati al recupero.
Le spedizioni di rifiuti non pericolosi destinati al recupero (ricompresi nel c.d. elenco verde)[4] sono soggette, invece, agli obblighi generali di informazione previsti dall’art. 18.
L’art. 11 del Regolamento disciplina le possibili obiezioni alle spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento e dei rifiuti urbani indifferenziati, mentre l’art. 12 disciplina quelle relative ai rifiuti destinati al recupero.
Ebbene, solo l’art. 11 pone espressamente il principio di prossimità (nel regolamento, principio della “vicinanza”) tra i canoni il cui rispetto può motivare obiezioni alla spedizione.
In particolare, l’art. 11, par. 1, lett. a) prevede che le autorità competenti possano opporre motivata obiezione alla spedizione di rifiuti destinati allo smaltimento quanto “la spedizione o lo smaltimento previsto non è conforme ai provvedimenti presi per attuare i principi della vicinanza, della priorità al recupero e dell’autosufficienza a livello comunitario e nazionale a norma della direttiva n. 2006/12/CE (oggi direttiva n. 2008/98/CE) , e per vietare del tutto o in parte o sollevare sistematicamente obiezioni nei confronti di spedizioni di rifiuti”. Quindi, per quanto riguarda i rifiuti destinati allo smaltimento e i rifiuti urbani non differenziati, dall’art. 11, paragrafo 1, lettera a) del Regolamento, letto alla luce del considerando 20 dello stesso, nonché dell’articolo 16 della direttiva 2008/98, risulta che gli Stati membri possono adottare misure di portata generale che limitano la spedizione di tali rifiuti tra Stati membri nella forma del divieto totale o parziale di spedizione, per attuare i principi della prossimità, della priorità al recupero e dell’autosufficienza[5].
Il nostro diritto interno articola il principio di prossimità in diverse norme del codice dell’ambiente. L’art. 182, 3° comma del D.Lgs. n. 152/2006 prevede il divieto di smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano. L’art. 182-bis, introdotto nel codice dell’ambiente dal D.Lgs. n. 205/2000, di recepimento della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, prevede che lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani non differenziati siano attuati attraverso il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi, al fine di: a) realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali; b) permettere lo smaltimento dei rifiuti ed il recupero dei rifiuti urbani indifferenziati in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti; c) utilizzare i metodi e le tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e della salute pubblica. Anche l’art. 181, comma 5, (come sostituito dal D.Lgs. n. 205/2010), che pur enuncia la libera circolazione sul territorio nazionale per le frazioni di rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio ed al recupero, con l’obiettivo di favorire il più possibile il loro recupero, pone come criterio da seguire al fine della circolazione del rifiuto il principio di prossimità agli impianti di recupero[6].
Nell’ordinamento comunitario, i principi di prossimità ed autosufficienza sono disciplinati dall’art. 16 della direttiva 2008/98/CE, a mente del quale gli Stati membri adottano, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti e di impianti per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, inclusi i casi in cui detta raccolta comprenda tali rifiuti provenienti da altri produttori, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili. Gli Stati membri possono altresì limitare le spedizioni in uscita di rifiuti per motivi ambientali come stabilito dal regolamento CE n. 1013/2006.
La rete è concepita in modo da consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti nonché nel recupero dei rifiuti urbani non differenziati e da consentire agli Stati membri di mirare individualmente al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti. La rete permette lo smaltimento dei rifiuti o il recupero di quelli urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute pubblica. I principi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno Stato membro debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero finale al suo interno.
L’art. 12 del Regolamento, dedicato alle possibili obiezioni alle spedizioni tansfrontaliere intracomunitarie di rifiuti pericolosi destinati al recupero, non fa menzione alcuna del principio di prossimità o di vicinanza (per stare alla terminologia comunitaria).
Tant’è che tradizionalmente si è ritenuto che i principi di autosufficienza e di vicinanza non fossero applicabili alle spedizioni di rifiuti pericolosi destinati al recupero. Invero, la differenza di trattamento tra i rifiuti destinati al recupero e i rifiuti destinati allo smaltimento rispecchierebbe l’intento del Legislatore comunitario di incentivare il recupero dei rifiuti in tutta la Comunità, in particolare a seguito dell’applicazione di tecniche più efficaci: di conseguenza, i rifiuti destinati al recupero devono poter circolare liberamente tra gli Stati membri per esservi trattati[7].
Per la verità, il nostro ordinamento fa applicazione del principio di prossimità anche riferendosi al recupero dei rifiuti speciali. In particolare, l’art. 199 del D.Lgs. n. 152/2006, dedicato ai Piani regionali, dispone al comma 3 lett. g) che i piani regionali di gestione dei rifiuti devono prevedere –tra l’altro- il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 200, “nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione dei rifiuti”.
Sennonchè, la Corte Costituzionale ha precisato che i principi di autosufficienza e prossimità, in diretta attuazione dei quali sono definiti ambiti territoriali ottimali per tutte le attività connesse alla gestione dei rifiuti, sono cogenti esclusivamente per quanto concerne lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti urbani, ma non già per le medesime attività riguardanti i rifiuti speciali, perché per questa tipologia di rifiuti occorre avere riguardo alle relative caratteristiche ed alla conseguente esigenza di specializzazione nelle corrispondenti operazioni di trattamento[8]. Varrebbe cioè il diverso criterio, pure previsto dal legislatore (art. 199, comma 3, lett. g, citato), della specializzazione dell’impianto di smaltimento integrato dal criterio di prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione, in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti[9]. Si è, infatti, rilevato che per tali tipologie di rifiuti non è possibile preventivare in modo attendibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire, cosa che, conseguentemente, rende impossibile “individuare un ambito territoriale ottimale che valga a garantire l’obiettivo della autosufficienza dello smaltimento”[10].
Più recentemente, nella sentenza n. 10 del 23 gennaio 2009, la Corte Costituzionale ha affermato che norme della specie sono espressive di una linea di politica legislativa favorevole ad una rete integrata di impianti appropriati, atta a garantire lo smaltimento dei rifiuti speciali in prossimità al luogo di produzione o raccolta al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, senza che tuttavia ciò possa tradursi in un divieto: “nella disciplina statale l’utilizzazione dell’impianto di smaltimento più vicino al luogo di produzione dei rifiuti speciali viene a costituire la prima opzione da adottare, ma ne “permette” anche altre”[11].
Nella medesima linea interpretativa si colloca anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, a mente della quale per i rifiuti speciali ha rilievo primario il criterio della specializzazione dell’impianto, in relazione al quale deve essere coordinato il principio di prossimità, con cui si persegue lo scopo di ridurre il più possibile la movimentazione di rifiuti[12]. Si è quindi precisato al riguardo che il criterio della specializzazione persegue l’interesse fondamentale al trattamento di questa particolare tipologia di rifiuti in vista di un loro possibile reimpiego funzionale ad altre attività, e cioè del loro recupero, come definito alla lett. t) dell’art. 183, nel rispetto del criterio gerarchico fissato dall’art. 179, in virtù del quale il recupero deve essere privilegiato rispetto allo smaltimento in discarica. In questa ottica, a giudizio del Consiglio di Stato,[13] appare pertanto illegittimo il divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da altre regioni, in quanto tale divieto, non solo può pregiudicare il conseguimento delle finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini, ma introduce addirittura, in contrasto con l’art. 120 della Costituzione, un ostacolo alla libera circolazione di cose tra le regioni, senza che sussistano ragioni giustificatrici, neppure di ordine sanitario o ambientale[14]. Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria, il rifiuto è pur sempre considerato un “prodotto”, in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci.
Rispetto a questa Giurisprudenza, la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI n. 2748/2015 compie significativi passi ulteriori nella direzione dell’applicazione del principio di prossimità anche alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi destinati al recupero.
Si è già detto che la vicenda che ha originato la decisione del Giudice –la spedizione transfrontaliera di oli usati- trova la sua disciplina particolare in una norma –l’art. 216-bis del D.Lgs. n. 152/2006- che espressamente richiama il principio di prossimità tra i canoni ordinatori della materia.
Ciò nonostante la sentenza enuncia principi valevoli per tutte le spedizioni di rifiuti pericolosi destinati al recupero, le obiezioni alle quali ricadono nella disciplina dell’art. 12 del Regolamento. Infatti, il giudice conferma la decisione del TAR della Lombardia di rigetto del ricorso avverso l’obiezione sollevata dalla Regione alla spedizione di oli usati in Germania, essendo presente nella stessa Regione un impianto in grado di rigenerare gli oli stessi, in ragione della considerazione che l’utilizzo dell’impianto (ugualmente idoneo) più vicino rappresenta l’opzione più funzionale a garantire il “miglior risultato ambientale complessivo”.
Al riguardo – precisa il Giudice - vale ricordare che, ai sensi dell’art. 13 della direttiva 2008/98/CE (recepito dall’art. 177, comma 4, del codice dell’ambiente) è obbligo degli Stati membri adottare “le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a) senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna; b) senza causare inconvenienti da rumori od odori e c) senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse”. Lo stesso regolamento CE 1013/2006, del resto, conferma la necessità della tutela dell’ambiente, laddove, all’ottavo considerando, sottolinea che “le spedizioni di rifiuti pericolosi devono essere ridotte al minimo compatibile con una gestione efficiente ed ecologicamente corretta di tali rifiuti” (cd. principio di minima movimentazione dei rifiuti) richiamando le prescrizioni di cui all’art. 4, par. 2, lett. d), della convenzione di Basilea del 22 marzo 1989 sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, recepita in ambito comunitario con la decisione del Consiglio 1° febbraio 1993, n. 98 e ratificata dall’Italia con la legge 18 agosto 1993, n. 340. In base a tali prescrizioni “il livello minimo al quale deve essere ridotta la spedizione di rifiuti pericolosi si traduce nella preferenza per il minor tragitto: minima movimentazione, quindi, come declinazione dell’obbligo di adottare l’opzione che permetta di conseguire il miglior risultato ambientale possibile”.
A differenza delle spedizioni di rifiuti destinati allo smaltimento e di rifiuti urbani indifferenziati destinati al recupero, governate dall’art. 11 del Regolamento, rispetto alle quali, come visto, gli Stati membri possono porre limitazioni di natura generale al fine di attuare –tra gli altri- il principio della vicinanza, le spedizioni tra Stati membri di rifiuti destinati al recupero possono “dar luogo a una obiezione da parte delle autorità nazionali competenti unicamente caso per caso, sulla base di motivi precisi che devono riguardare una spedizione determinata”[15].
La sentenza in commento merita apprezzamento in quanto offre una lettura dell’art. 12 del Regolamento coerente con quanto la stessa Corte di Giustizia UE ha affermato: “il regolamento n. 1013/2006 intende fornire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti, al fine di garantire la tutela dell’ambiente”[16]. Prevalgono, cioè, sulla tutela della libera circolazione delle merci, garantita dagli artt. 35 e 36 TFUE, i principi generali in materia di protezione dell’ambiente, quali i principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di correzione alla fonte dei danni causati all’ambiente (art. 191 TFUE).
Questo principio è scolpito sin dal primo considerando del regolamento, ove si afferma che “obiettivo e componente principale e preponderante del presente regolamento è la protezione dell’ambiente, essendo i suoi effetti sul commercio internazionale solo incidentali”.
Infatti, l’art. 12, paragrafo 1, lett. a) del Regolamento, consente all’autorità competente di sollevare obiezioni se la spedizione o il recupero previsti non siano conformi “alla direttiva 2006/12/CE e, in particolare, agli articoli 3, 4, 7 e 10 della stessa”. L’art. 3 della direttiva 2006/12/CE è stato sostituito dall’art. 4 della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti, il quale è stato recepito nell’ordinamento italiano dall’art. 179 del D.Lgs. n. 152/2006, che stabilisce la cd. gerarchia nella gestione dei rifiuti. Questa mira a conseguire la minimizzazione degli effetti ambientali negativi derivanti dai rifiuti, nonché l’utilizzo efficiente delle risorse. D’altronde, l’art. 178, comma 1, del Codice dell’ambiente precisa che la gestione dei rifiuti è effettuata secondo criteri di efficacia, efficienza, economicità e trasparenza.
La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Quindi, nel rispetto della gerarchia devono essere adottate le misure volte ad incoraggiare le opzioni che garantiscono il miglior risultato ambientale complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica (art. 179, comma 2, Codice dell’ambiente).
Precisa la Circolare Ministeriale su citata che, in linea generale, proprio dai citati principi della gerarchia dei rifiuti e della migliore opzione ambientale (art. 179 del codice dell’ambiente) discende anche il corollario di ridurre e minimizzare gli impatti derivanti dalla gestione dei rifiuti. Considerato che la gestione dei rifiuti comprende anche la fase del trasporto (art. 183, comma 1, lett. n) cod. dell’ambiente), dai citati principi consegue anche l’obbligo di ridurre gli impatti derivanti dalla movimentazione dei rifiuti, specie se pericolosi; ciò anche per conseguire la finalità di tutelare la salute e l’ambiente e gestire i rifiuti nel rispetto dei principi di precauzione, di prevenzione, di riduzione alla fonte dell’inquinamento e di minimizzazione degli effetti derivanti dalla gestione dei rifiuti[17].
La Circolare, inoltre, valorizza un altro aspetto sempre rilevante ai fini dell’applicazione del principio di prossimità alle spedizioni transfrontaliere di rifiuti pericolosi destinati al recupero. Invero, l’art. 12 del Regolamento richiama, tra i motivi legittimanti obiezioni alle spedizioni da parte delle autorità competenti, l’art. 7 della direttiva 2006/12/CE, che corrisponde all’attualmente vigente art. 28 direttiva 2008/98/CE, di disciplina dei piani di gestione dei rifiuti. Questi concorrono – attraverso i criteri e i vincoli dai medesimi individuati - al conseguimento degli obiettivi di minima movimentazione in conformità alla gerarchia dei rifiuti e alla migliore opzione ambientale complessiva. “Ne deriva, in ogni caso, che le autorità italiane di spedizione sono tenute a valutare le spedizioni transfrontaliere (…), ai fini dell’applicazione del Regolamento e delle disposizioni del TUA che vi fanno riferimento, anche alla luce delle indicazione contenute nei piani di gestione dei rifiuti adottati a livello regionale (conferma di ciò si trae, per vero, anche dall’art. 12, comma 1, lett. k) del predetto Regolamento)”[18].
Meno condivisibile è invece l’affermazione della Circolare a mente della quale “La possibilità di regolamentare, attraverso i piani di gestione, le spedizioni transfrontaliere di rifiuti, trova per vero conferma non solo nel Regolamento, ma anche nell’art. 16, comma 2, ultimo periodo della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti che prevede la possibilità per gli Stati membri di limitare, per motivi ambientali come stabilito nel Regolamento, le spedizioni di rifiuti (senza distinzione tra rifiuti urbani o speciali) in uscita dal proprio territorio”. Orbene, l’art. 16 cit. pone i principi di autosufficienza e prossimità per lo smaltimento dei rifiuti e per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati, non già per il recupero dei rifiuti speciali, siano essi pericolosi o meno. E’ vero che l’ultimo periodo del secondo comma, nel disporre che gli Stati membri possono altresì limitare le spedizioni in uscita di rifiuti per motivi ambientali come stabilito nel regolamento CE n. 1013/2006, non fa distinzione tra rifiuti urbani o speciali, pericolosi o non pericolosi. E’ vero, però anche, che tale norma è inserita in un contesto tutto riferito alla gestione integrata, attraverso una rete di impianti, dello smaltimento dei rifiuti e del recupero dei soli rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica; contesto dal quale, nell’interpretazione della norma citata, non può prescindersi.
Tanto più che la direttiva dedica al controllo dei rifiuti pericolosi una apposita norma, l’art. 17, che abilita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinchè la produzione, la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento dei rifiuti pericolosi siano eseguiti in condizioni tali da garantire la protezione dell’ambiente e della salute umana.
A conclusione, appare opportuno evidenziare che obiezioni possono essere sollevate dalle autorità competenti solo nell’ambito della procedura di notifica e autorizzazione scritta prevista per le spedizioni trasfrontaliere di rifiuti destinati allo smaltimento e di rifiuti pericolosi destinati al recupero. Sembrerebbe rimanere fuori da ogni controllo finalizzato alla realizzazione della migliore opzione ambientale possibile il vastissimo traffico dei rifiuti ricompresi nel c.d. elenco verde allegato al Regolamento, essendo la spedizione di tali rifiuti soggetta solo ad obblighi di informazione[19], salvo che non si tratti di esportazione di rifiuti non pericolosi destinati al recupero verso paesi ai quali non si applica la decisione C(2001) 107 def. del consiglio dell’OCSE e che abbiano optato ai sensi dell’art. 37 del regolamento per procedure preventive di notifica ed autorizzazione scritte.
Infatti, l’art. 37 consentiva a tali paesi di scegliere tra il divieto di invio di rifiuti, una procedura di notifica e autorizzazione preventive scritte secondo le modalità dell’art. 35 oppure nessun controllo.
In tale ultimo caso, alle spedizioni si applica, mutatis mutandis, l’art. 18 del regolamento, che disciplina appunto gli obblighi generali di informazione.
Tale ultima norma, al comma 3, prevede che ai fini di ispezione, di controllo dell’applicazione, di programmazione e di statistica, gli Stati membri possono, conformemente alla legislazione nazionale, chiedere le informazioni contenute nel documento che deve accompagnare la spedizione di detti rifiuti. Manca però la previsione di strumenti che consentano alle autorità competenti di impedire la spedizione di rifiuti che potrebbero essere più efficacemente recuperati in impianti più prossimi al luogo di produzione.
Assistiamo, quindi, impotenti a pratiche impattanti negativamente sull’ambiente che, peraltro, contribuiscono ad impoverire l’economia nazionale di materie preziose per la propria manifattura.
A meno che non si acceda all’interpretazione che il Ministero dell’Ambiente opera nella circolare citata dell’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 16 della direttiva 2008/98/CE, e ritenere, quindi, che gli stati membri possano limitare per motivi ambientali le spedizioni di qualsiasi rifiuto. Tali limitazioni, però, stando all’insegnamento su ricordato della Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE[20], se riguardanti rifiuti speciali non potrebbero comunque avere natura generale, ma essere riferite caso per caso a singole spedizioni.
Rimane fermo il dovere dell’autorità competente di spedizione di garantire che tutti i rifiuti esportati fuori dell’Unione Europea siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione ed in particolare che l’impianto che riceve i rifiuti sarà gestito in conformità di norme in materia di tutela della salute umana e ambientale grosso modo equivalenti a quelle previste dalla normativa comunitaria.
Infatti, l’art. 49 del Regolamento impone al produttore, al notificatore ed alle altre imprese interessate da una spedizione di rifiuti di ogni genere, dal loro recupero o smaltimento, di adottare i provvedimenti necessari per garantire che tutti i rifiuti che spediscono siano gestiti senza pericolo per la salute umana e secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione e durante il recupero e lo smaltimento.
Se la spedizione ha luogo nella Comunità, il Regolamento impone di osservare quanto prescritto dall’art. 4 della direttiva n. 2006/12/CE (sostituito oggi dall’art. 13 della direttiva 2008/98/CE), a mente del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.
Per le spedizioni extracomunitarie l’autorità competente di spedizione impone e si adopera per garantire che tutti i rifiuti esportati siano gestiti secondo metodi ecologicamente corretti per tutta la durata della spedizione, compresi il recupero o lo smaltimento nel paese terzo destinatario del rifiuto e, qualora abbia motivo di ritenere che i rifiuti non saranno gestiti secondo tali modalità, ne vieta l’esportazione.
Così anche per le importazioni di rifiuti, l’autorità competente di destinazione della Comunità impone e adotta le misure necessarie a garantire che tutti i rifiuti spediti nella zona posta sotto la sua giurisdizione siano gestiti senza pericolo per la salute umana e senza utilizzare processi o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente; altrimenti, qualora abbia motivo di ritenere che i rifiuti non saranno gestiti con tali garanzie, ne vieta l’importazione.
L’art. 49, secondo paragrafo, inoltre, precisa che “si considera che l’operazione di recupero o di smaltimento sia effettuata in modo ecologicamente corretto se il notificatore o l’autorità competente del paese di destinazione possono dimostrare che l’impianto che riceve i rifiuti sarà gestito in conformità di norme in materia di tutela della salute umana e ambientale grosso modo equivalenti a quelle previste dalla normativa comunitaria”.
L’art. 24 del D.L. n. 5 del 9 febbraio 2012, convertito con modificazioni dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35, aveva inserito nell’art. 194 del TUA un periodo che poneva obblighi ancora più stringenti: “Le imprese che effettuano il trasporto transfrontaliero di rifiuti, fra i quali quelli da imballaggio, devono allegare per ogni spedizione una dichiarazione dell’autorità del Paese di destinazione dalla quale risulti che nella legislazione nazionale non vi siano norme ambientali meno rigorose di quelle previste dal diritto dell’Unione europea, ivi incluso un sistema di controllo sulle emissioni di gas serra, e che l’operazione di recupero nel Paese di destinazione sia effettuata con modalità equivalenti, dal punto di vista ambientale, a quelle previste dalla legislazione in materia di rifiuti del Paese di provenienza”. Senonchè, in brevissimo lasso di tempo lo stesso Legislatore ha soppresso il periodo (art. 9, comma 3-terdecies del D.L. 2.3.2012, n. 16 convertito, con modificazioni, nella legge 26.4.2012, n. 44).
L’art. 18 del regolamento, proprio per facilitare il monitoraggio delle spedizioni di rifiuti non pericolosi destinati al recupero e consentire all’autorità competente di spedizione di assumere le determinazioni indicate dall’art. 49, impone che i rifiuti siano accompagnati da un documento – da compilare secondo lo schema allegato al regolamento (Allegato VII) - da cui devono risultare tutte le informazioni necessarie a garantire la corretta gestione dei rifiuti stessi. Il documento deve essere firmato da soggetto che organizza la spedizione prima che questa abbia luogo e dall’impianto di recupero o dal laboratorio e dal destinatario al momento del ricevimento dei rifiuti; deve essere conservato per almeno tre anni dalla data di inizio della spedizione dal soggetto che l’ha organizzata, dal destinatario e dall’impianto che ha ricevuto i rifiuti.
Si è già evidenziato nel paragrafo precedente che il Regolamento (UE) 660/2014, modificando l’art. 50 del Regolamento (CE) 1013/2006, ha sul punto previsto che le autorità coinvolte nelle ispezioni, per accertare se una spedizione di rifiuti soggetti agli obblighi generali di informazione di cui all’articolo 18 sia destinata ad operazioni di recupero conformi al dettato del regolamento, potranno chiedere alla persona che organizza la spedizione di presentare le pertinenti prove documentali fornite dall’impianto di recupero intermedio e non intermedio, e, ove necessario, approvate dall’autorità competente del Paese di destinazione.
Inoltre, tra il soggetto che organizza la spedizione e il destinatario incaricato del recupero dei rifiuti deve essere stipulato un contratto che acquista efficacia quando la spedizione ha inizio e deve comprendere l’obbligo per il soggetto che organizza la spedizione o, se questi non è in grado di provvedere, per il destinatario di riprendere i rifiuti o assicurarne il recupero in modo alternativo e provvedere, se necessario, al deposito dei rifiuti nel frattempo, qualora la spedizione dei rifiuti, o il loro recupero, non possa essere completata come previsto o qualora sia stata effettuata una spedizione illegale.
[1] La quantità totale di rifiuti speciali esportata nel 2013 è pari a 3,4 milioni di tonnellate, di cui il 70% (2,4 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 30% (un milione di tonnellate) da rifiuti pericolosi (ISPRA, Rapporto rifiuti speciali, edizione 2015).
[2] Art. 216-bis, 4° comma, D.Lgs. n. 152/2006: “Al fine di dare priorità alla rigenerazione degli oli usati, le spedizioni transfrontaliere di oli usati dal territorio italiano verso impianti di incenerimento e coincenerimento collocati al di fuori del territorio nazionale, sono escluse nella misura in cui ricorrano le condizioni di cui agli articoli 11 e 12 del regolamento (CE) n. 1013/2006. Si applicano i principi di cui agli articoli 177 e 178, nonché il principio di prossimità”.
[3] I rifiuti pericolosi elencati nell’allegato IV del Regolamento (detto elenco “ambra” dei rifiuti); i rifiuti elencati nell’allegato IV A (che contiene l’elenco dei rifiuti non pericolosi destinati al recupero enumerati nell’allegato III -c.d. elenco “verde” dei rifiuti- ma soggetti comunque all’obbligo di notifica e autorizzazione preventive scritte); i rifiuti non classificati sotto una voce specifica degli allegati III, III B, IV o IV A; le miscele di rifiuti non classificati sotto una voce specifica dell’allegato III, composte da due o più rifiuti elencati nell’allegato III, semprechè la composizione delle miscele non ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate nell’allegato III A, a norma dell’art. 58.
[4] I rifiuti elencati nell’allegato III o III B; le miscele di rifiuti, non classificati sotto una voce specifica dell’allegato III, composte da due o più rifiuti elencati nell’allegato III, sempreché la composizione delle miscele non ne impedisca il recupero secondo metodi ecologicamente corretti e tali miscele siano elencate dell’allegato III A, a norma dell’art. 58.
[5] Corte giustizia UE, Sez. V, 12.12.2013, n. 292.
[6] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8.4.2014, n. 1649, a giudizio del quale la prossimità prevista nell’art. 181, comma 5, va intesa non ai fini della localizzazione dell’impianto, ma quale criterio da seguire alfine della circolazione del rifiuto.
[7] Così: Paola Ficco (a cura di), L’esportazione e l’importazione di rifiuti, Edizioni Ambiente, 2013, pag. 55. Cfr. anche Cons. Stato, Sez. V, 8.4.2014, n. 1649; Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. VI, 25.6.1998, n. C-203/96 e più recentemente Corte giustizia UE, Sez. V, 12.12.2013, n. 292.
[8] Cfr. Corte Cost. 4.12.2002, n. 505.
[9] Sentenze 26 gennaio 2007, n. 12 e 14 luglio 2000, n. 281.
[10] Corte Cost. 19 ottobre 2001, n. 335.
[11] Par. 10 della parte in diritto.
[12] Cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. V, 23.3.2015, n. 1556.
[13] Sentenze Sez. V 11.6.2013, n. 3215 e Sez. VI, 19.2.2013, n. 993.
[14] Cfr. fra le tante, Corte Cost. , n. 244 del 2011; n. 10 del 2009; n. 64 del 2007 e n. 161 del 2005.
[15] Corte Giustizia UE, Sez. V, n. 292/2013 cit..
[16] Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande Sezione)dell’8.9.2009, Commissione /Parlamento e Consiglio, C-411/06, punto 72. La Corte, con la sentenza citata, ha respinto il ricorso proposto dalla Commissione Europea per l’annullamento del Reg. (CE) n. 1013/2006, sul presupposto che questo fosse fondato soltanto sull’art. 175, n. CE (in materia di protezione ambientale) e non anche sull’art. 133 CE (in materia di politica commerciale comune), affermando che “Emerge pertanto dall’analisi del regolamento impugnato che quest’ultimo persegue primariamente, tanto per i suoi scopi quanto per il suo contenuto, la protezione della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi che possono derivare dalle spedizioni internazionali di rifiuti” (punto 62 della sentenza citata).
[17] Circolare del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 23876 del 26.3.2013.
[18] Cfr. Circolare cit. pagg. 6 e 7.
[19] La quantità totale di rifiuti speciali esportata nel 2013 è pari a 3,4 milioni di tonnellate, di cui il 70% (2,4 milioni di tonnellate) è costituito da rifiuti non pericolosi ed il restante 30% (un milione di tonnellate) da rifiuti pericolosi (ISPRA, Rapporto rifiuti speciali, edizione 2015).
[20] Corte Giustizia UE, Sez. V, n. 292/2013 cit..