Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Una visione funzionale del procedimento penale nella legge 22 maggio 2015 n.68

di Giuseppe Battarino
Giudice del Tribunale di Varese

La legge 22 maggio 2015 n. 68 (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”) non si è limitata a introdurre nuove fattispecie incriminatrici, ma, collocandosi su un preesistente assetto dei reati contro l’ambiente, ne ha disegnato un nuovo sistema.

La configurazione che questo sistema assume nei suoi riflessi processuali e le dinamiche procedimentali previste dalle nuove norme in materia di delitti contro l’ambiente, esigono che tutti i soggetti del procedimento penale e le agenzie di controllo ambientale agiscano con un orientamento comune all’efficacia del risultato finale.

Questo orientamento, che dovrebbe governare tutte le indagini e tutti i rapporti tra uffici giudiziari, è qui reso ineludibile: dunque l’elaborazione di protocolli organizzativi comuni può essere l’occasione per una rivisitazione - anche al di là della specifica materia - in chiave funzionale del procedimento penale inteso in senso completo: dalla notizia di reato alla fase (eventuale) di esecuzione penale.

La tutela delle matrici ambientali, la disciplina urbanistica e la tutela del paesaggio, individuano attività antropiche il cui impatto lecito è regolato ma che possono tradursi in comportamenti illeciti; i quali, ora, possono generare delitti ambientali ulteriori.

Il problema storico dell’intervento penale in questa materia è quello della mancanza di una retroazione positiva ovvero di un’efficacia di prevenzione speciale: interventi occasionali su reati contravvenzionali non inducevano gli autori di illeciti a non più commetterne, risultando comparativamente “conveniente” agire illecitamente “a costo” di una condanna a pena pecuniaria con decreto penale o di un procedimento penale probabilmente destinato a una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione

Volendo riassumere le caratteristiche del nuovo sistema si potrebbe dire che i delitti di evento (di pericolo e di danno) si collocano in una progressione di gravità rispetto ai reati formali preesistenti; mentre, al margine inferiore, con la nuova Parte Sesta-bis del D.Lgs. 152/2006 - a partire dal riconoscimento che le risorse per le indagini e per la celebrazione del processo penale sono limitate - si interviene in maniera efficace, rapida e “restitutiva” su condotte che non hanno provocato un effettivo danno, con una modalità già sperimentata nel D.Lgs. 758/1994 in materia di lavoro.

L’articolazione differenziata del nuovo sistema dei reati contro l’ambiente coerente con l’ampio spettro di possibile gravità delle condotte, potrà assolvere alle sue funzioni di garanzia delle attività lecite e di prevenzione generale e speciale degli illeciti a condizione che i soggetti coinvolti nel procedimento agiscano con un elevato grado di competenza e con un’attitudine univoca all’integrazione di competenze.

Un compendio di istituti sostanziali e processuali quale quello che la L. 22 maggio 2015 n. 68 reca con sé, impone la proiezione del procedimento penale, sin dal primo atto, verso una significativa complessità di accertamenti, di snodi procedimentali, di esiti.

Sotto il profilo sostanziale la “misurabilità” dell’inquinamento, da intendersi come valutazione differenziale/comparativa delle condizioni di una o più matrici ambientali, ovvero dell’impatto antropico, ovvero della fruibilità di un sito per gli esseri viventi, è resa esplicita come elemento di fattispecie inserito nell’art. 452-bis c.pen., ma costituisce un criterio valutativo per ogni fattispecie di reato ambientale.

Infatti, la soglia minima al disotto della quale si potrà applicare il subprocedimento impositivo di prescrizioni di cui alla nuova Parte Sesta-bis del D.Lgs. 152/2006 è quella del reato contravvenzionale che non ha cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette: una condotta, quindi “non misurabile” in alcuno dei suoi effetti.

La misurazione – vale a dire la traduzione in una descrizione comparativa non necessariamente numerica – dell’inquinamento, è poi elemento fondamentale per poter valutare la natura e misura della controazione restituiva che l’autore del fatto potrà o dovrà porre in essere, per fruire di istituti premiali (art. 452-decies c.pen. – Ravvedimento operoso) ovvero per scontare sanzioni accessorie (art. 452-duodecies c.pen. – Ripristino dello stato dei luoghi).

Dal punto di vista processuale il tema della misurazione si riproporrà in più momenti: sia nella fase delle indagini, sia in quella del processo, sia in quella dell’esecuzione penale: ma naturalmente saranno l’accuratezza della notizia di reato e la congruità delle immediate indagini (dunque anche l’integrazione di azioni e di intenti tra polizia giudiziaria e pubblico ministero) a determinare, in rilevante misura, l’efficacia di tutti gli sviluppi procedimentali.

La fase successiva al passaggio in giudicato della sentenza potrà rivelarsi particolarmente delicata laddove si consideri la possibilità concreta di problemi nell’applicazione del contenuto della sentenza, che potrà imporre al condannato comportamenti anche onerosi di ripristino.

Agli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che acquisiscono la notizia di reato e ai pubblici ministeri loro interlocutori immediati è richiesta la piena consapevolezza della complessità di gestione di un procedimento penale in materia di reati ambientali.

Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria dovranno redigere notizie di reato che non solo abbiano il contenuto formalmente previsto dall’art. 332 c.p.p. ma che, quanto agli “elementi essenziali del fatto” e alle fonti probatorie su “circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti” diano già conto di come e quanto la condotta contestata abbia inciso (o non) sull’ambiente, ovvero più specificamente, secondo la dizione dell’art. 318-bis D.Lgs. 152/2006 su “risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche”.

Ai pubblici ministeri è richiesta un’attenzione immediata e una qualità totale nell’applicazione dell’art. 335 c.p.p.: i meccanismi previsti da più norme della L. 22 maggio 2015 n. 68 escludono – a tutela dell’indagato e dell’efficienza del procedimento - iscrizioni di notizie di reato vaghe, uso “di transito” dei registri “ignoti” o “fatti non costituenti reato”.

Iscrizione nominativa immediata, dunque, con qualificazione giuridica del fatto da valutare attentamente da parte del magistrato, anche in difformità con la prima qualificazione data dagli operanti di polizia giudiziaria, i quali dovranno peraltro essere informati dal pubblico ministero di questa difformità, sia per le conseguenze sul procedimento in corso, sia per valutazioni omogenee in futuri casi: considerando che la prima cura del pubblico ministero dovrà essere la verifica della congruenza delle valutazioni della polizia giudiziaria quanto alla ritenuta applicabilità – o non applicabilità - dell’art. 318-bis D.Lgs. 152/2006.

Il punto di riferimento per la formulazione di un addebito corrispondente ai canoni fondamentali della “compiuta descrizione del fatto” e della sua “corretta qualificazione giuridica” si individua normalmente nell’esercizio dell’accusa con la redazione di un capo di imputazione.

Nel procedimento penale in materia ambientale l’applicazione dei due canoni dovrebbe retroagire sino all’avvio del procedimento stesso: così da fare dell’applicazione dell’art. 335, primo comma, c.p.p. (iscrizione della notizia di reato), dell’art. 335, secondo comma, c.p.p. (mutamento della qualificazione giuridica del fatto), dell’art. 369 (informazione di garanzia) degli strumenti coordinati di definizione progressiva del tema della – possibile - accusa: degli atti, cioè, in cui la descrizione del fatto e delle norme che si assumono violate sia chiara e tale da orientare utilmente ed efficacemente l’indagato e chi indaga.

Questo scenario richiede altresì un’integrazione tra le funzioni di controllo, quelle di polizia giudiziaria, quelle inquirenti e giudicanti fondata sulla competenza e sulla comunicazione: senza atteggiamenti burocratici in nessuna componente ma con una condivisa visione funzionale del procedimento.

Se dal contesto del procedimento penale passiamo a considerazioni più ampie, arrivare a una visione “nuova” del procedimento – ma del resto coerente con il modello processuale penale interpretato al meglio – come quella che può derivare dalla capacità degli attori di vedere da subito e curare da subito l’intero possibile sviluppo, può produrre la “scoperta” della circolarità positiva indotta dalle norme – anche penali – in materia ambientale, e la continuità necessaria tra regolazione delle attività antropiche, previsioni riparatrici, sanzioni.

 

Da Grafiche Questione Giustizia

Fig. 1

La visione tradizionale: la regolazione e limitazione delle attività antropiche ad impatto ambientale e i controlli su di esse rimangono separati dal sistema sanzionatorio e non si istituisce una distinzione netta tra le diverse attività irregolari o illecite: i comportamenti illeciti tendono a riprodursi. 

 

 

Da Grafiche Questione Giustizia

Fig. 2

La visione indotta dalla L. 68/2015: si distingue in maniera più netta l’impatto antropico sottoposto a regolazione e limitazione, occasionalmente illecito, dall’impatto antropico strutturalmente illecito; controlli e sanzioni assumono maggiore efficacia specialpreventiva.

 

10/11/2015
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