Il secondo libro di Ennio Tomaselli (dopo l’esordio del 2018 con Messa alla prova https://www.questionegiustizia.it/articolo/messa-alla-prova-quasi-un-romanzo-di-formazione_22-09-2018.php) esce ancora per i tipi delle Edizioni Manni, piccola casa editrice indipendente meridionale, guidata da Piero Manni, scomparso da poco, profondo intellettuale e uomo coerentemente di sinistra, sul piano dell’impegno culturale, politico e personale (ha insegnato per 20 anni in carcere). Anche per questo ci piace scriverne sulle pagine di Questione giustizia.
L’Autore ritorna su temi ed ambienti a lui cari, data la lunga esperienza come magistrato minorile, in particolare presso gli uffici torinesi: e vi torna ancora utilizzando quello che, senza nemmeno dover far grande sforzo di immaginazione, appare un po’ come il suo alter ego, o quantomeno, per così dire, come un modello positivo ancorché fuori dagli schemi, di magistrato appassionato del suo lavoro, e del materiale umano che tratta, il p.m. minorile Malavoglia, ormai a pochi anni dalla pensione, estraneo a qualsiasi ambizione di carriera direttiva (e già questo basta, soprattutto di questi tempi, a farne un esempio da divulgare) e incline a superare le barriere di un rigido distacco dalle vicende che i fascicoli racchiudono.
La storia si svolge per la verità soprattutto fuori delle aule di giustizia, ed anzi è costruita come una lunga rincorsa sulle orme della vicenda di Romina detta Romy, adolescente che sembra predestinata ad una caduta progressiva ed inarrestabile verso la devianza ed il crimine, essenzialmente per le colpe degli adulti che l’hanno circondata sin dalla tenera età.
Una storia come tante capitano nei tribunali dei minori, ma che suscita in Malavoglia una curiosità tenace, e la volontà di riuscire a tutti i costi, anche attraverso la coraggiosa esposizione personale, a dare a quella ragazza la possibilità di sfuggire al destino che l’aspetta. Un’intuizione, forse guidata dalla lunga esperienza, lo muove nella ricerca di chi veramente è responsabile delle scelte di Romy, chi la spinge a quell’insensato rincorrere l’abisso che si apre davanti a lei. La ragazza in effetti sembra vivere un tormento personale acuto e profondo, che riguarda proprio quelle emozioni che il suo passato le hanno lasciato: un fardello di dolore e sofferenza, ma anche una grammatica minima degli affetti che le servirà per tentare di riprendere in mano la sua vita.
Gli inserti narrativi che descrivono gli squarci di vita “normale” del p.m. Malavoglia (fatta di affetti, amicizie, vacanze, letture e musica) servono a dare risalto a quel fuoco che ancora lo scalda, a quella voglia non sopita di dare un senso al proprio lavoro che non sia solo quello di “smaltire” il fascicolo. In questi tempi tristi per la magistratura, “sporcata” dallo scandalo che ha investito il complessivo sistema dell’autogoverno, Malavoglia pur nel suo studiato understatement ci ricorda la straordinarietà dell’essere un magistrato “qualunque”, lontano da nevrosi carrieristiche ma animato dal quotidiano ideale che sorregge chi pensa che battersi per “rendere giustizia” resti pur sempre lo scopo capace di sorreggere e dare un senso alle fatiche ed alle difficoltà del lavoro.
Vi è poi un’altra chiave di lettura, più strettamente legata alle specificità della giustizia minorile che, non a caso, offre suggestioni e spunti di riflessione che nascono dalla particolarità della funzione, capace di ispirare opere letterarie di grande profondità e spessore (si pensi al romanzo di Ian Mc Ewan, La ballata di Adam Henry, da cui è stato tratto anche un fortunato film, https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-verdetto-the-children-act-un-film-di-richard-eyre-2017_10-11-2018.php .
Il giudice minorile deve essere capace di compiere le proprie scelte avendo presente che il proprio prioritario obbiettivo deve riguardare la ricerca del miglior interesse del minore, che necessita di tutela, e anche di fiducia, per essere in grado poi di affrontare la propria vita da adulto. Non a caso il libro è dedicato «a tutti coloro che, nei rispettivi ruoli o senza alcun ruolo formale, si spendono perché non ci siano ragazzi “predestinati” al male, cagionato o subito». Per il lettore, un invito a guardare con occhi diversi non solo al romanzo, indipendentemente da una valutazione strettamente letteraria: ma a tutto un settore di impegno giudiziario, e più complessivamente sociale, che richiede investimenti e risorse anche umane del tutto straordinarie, se si vuole guardare con (un minimo di) speranza alla società che ci aspetta.