Una mattina Jim Sams si svegliò da sogni inquieti in un corpo a lui estraneo, trasformato in una creatura immane. Da scarafaggio che era, si ritrovò in un corpo umano; per la precisione, in quello del primo ministro inglese.
Da questo incipit del nuovo romanzo di Ian McEwan, Lo Scarafaggio, si potrebbe pensare che si tratti solo di un gioco letterario, di un divertissement con cui il romanziere inglese scherza con il celeberrimo archetipo kafkiano, accompagnandolo con un palese intento satirico nei confronti della politica britannica dei nostri giorni.
Tutto questo è senz’altro presente nel libro. Come è presente un’arguzia pungente, come quando la blatta Sams si chiede se sarebbe stato all’altezza del ruolo di primo ministro, e si risponde che lo sarebbe stato «non meno di chiunque altro, alla fine»; o come quando riflette sul fatto che, in momenti difficili, al paese «occorre un nemico fidato» su cui far confluire il risentimento popolare.
Più in generale, l’intera storia costituisce un’invettiva politica, appena schermata dal tono leggero, umoristico ed a tratti grottesco con cui è condotta. Del tutto manifesti i riferimenti alla sciagurata scelta della Brexit, parafrasati, nel racconto, nella sottoposizione a referendum, da parte del partito di Sams, della strampalata riforma economica dell’“invertitismo”, guardata con sconcerto dal resto d’Europa ed a tratti sostenuta ed appoggiata da un improbabile (improbabile?) presidente degli Stati Uniti.
Forse, proprio il carattere caricaturale dei personaggi finisce per alleggerire troppo il contesto in cui gli stessi si muovono; e, se questo consente una chiave di lettura estremamente fruibile, rischia, forse, di far passare in secondo piano lo scenario tragico, che angoscia McEwan, in cui Sams ed i cittadini britannici che lo sostengono (e, fuor di metafora, l’attuale premier inglese ed il suo solido sostegno popolare) si muovono.
Manca, in altre parole, la lucidità di analisi sulle cause profonde della Brexit, che, pur restando in ambito letterario, si rinviene, ad esempio, nel romanzo di un altro scrittore inglese, Jonathan Coe, Middle England.
E, tuttavia, deve riconoscersi che McEwan – capace di tratteggiare storie dall’intensa capacità evocativa, come, tra le altre, nella Ballata di Adam Henry – riempie anche questo breve romanzo di una forza appassionata; traspare a tratti una carica di sdegno e quasi un furore per la cecità e la stupidità dei propri concittadini, complici involontari di disegni che, per essere attuati, fanno leva da una parte sull’ignoranza, e dall’altra sulla capacità di manipolare le masse attraverso slogan che risultano tanto più efficaci quanto più nascondono clamorosi raggiri.
Da qui il disvelamento dell’acrasia, l’incapacità di agire secondo principi di ragionevolezza.
«Perché fa questo? Perché, a quale scopo vuole distruggere il suo paese?» chiede una sbalordita cancelliera tedesca al primo ministro/blatta Sams: e la risposta (che non è solo del primo ministro, ma di tutti quelli che, entusiasti, lo sostengono), l’unica possibile, è: «perché sì».
Di fronte a tanta cecità («Se la ragione non apre gli occhi…»), McEwan rinuncia consapevolmente ad un registro più serioso, che in nessun caso potrebbe riuscire a rappresentare efficacemente il baratro spalancato da scelte scellerate, e rivendica piuttosto espressamente (si veda la post fazione al testo) il diritto, almeno quello, al conforto di una risata.