La Corte “mediatica”: aspetti positivi e profili problematici di una trasformazione in atto
Le novità del più recente approccio “mediatico” della Corte costituzionale sono esaminate sia nelle loro manifestazioni concrete, sia secondo il filtro di uno dei maggiori problemi del costituzionalismo, ovvero se debbano essere corti prive di legittimazione democratica a riempire di significato clausole costituzionali vaghe e anfibologiche.
1. Introduzione / 2. Corte, media e opinione pubblica: una relazione sfaccettata / 3. La svolta della rete / 4. Distingue frequenter / 5. Il rapporto con i media e la posizione della Corte nel sistema / 6. Le “due anime” della Corte e la comunicazione istituzionale / 7. Alcuni profili problematici della “Corte mediatica” / 7.1. La “pedagogia costituzionale” e i disaccordi interpretativi / 7.2. A proposito dei comunicati stampa / 7.3. Input comunicativi e interpretazione della Costituzione
1. Introduzione
L’obiettivo di questo contributo è innanzi tutto quello di illustrare le più recenti tendenze che caratterizzano l’operato della Corte costituzionale con riguardo all’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa. In relazione a tali aspetti, tuttavia, si deve notare come la dottrina che ha avuto modo di occuparsene abbia già offerto un quadro ampiamente soddisfacente dei fenomeni che negli ultimi anni è possibile registrare, individuando anche con chiarezza le maggiori questioni a essi sottese[1]. In particolare, sebbene non siano tantissimi, sono già presenti nel dibattito contributi che illustrano in modo esaustivo la tendenza (certamente in forte aumento) alla ricerca di un contatto più profondo e immediato della Corte con l’opinione pubblica attraverso un uso certamente innovativo dei media tradizionali e soprattutto dei cd. nuovi media. Non mancano, inoltre, contributi volti a indagare nel dettaglio gli aspetti problematici connessi alla utilizzazione di specifici strumenti comunicativi, tra i quali soprattutto quello dei comunicati stampa, che senza dubbio ha attirato le maggiori attenzioni[2] e delle conferenze stampa[3]. Il fenomeno non è stato trascurato neanche dalla stampa generalista, e ha ad esempio attirato l’attenzione di una penna attenta e acuta come quella di Adriano Sofri[4].
Come è ovvio, si tratta di una materia in continua evoluzione: ciò che può indurre a ritenere comunque utile un aggiornamento delle informazioni già reperibili nelle ricerche sopra richiamate. Quel che si proverà a fare nelle pagine che seguono, tuttavia, è soprattutto proporre una chiave di lettura, una interpretazione delle vicende accennate nell’ambito del contesto costituzionale nel quale si inseriscono[5]. Da questo punto di vista, occorre sin d’ora evidenziare come sia frequente, nella letteratura dedicata al tema, la riconduzione della “comunicazione istituzionale” della Corte costituzionale alla sua “dimensione politica”[6], magari accompagnata da un invito alla prudenza e alla moderazione, soprattutto nella utilizzazione dei nuovi strumenti comunicativi[7]. In questa chiave si muove evidentemente dalla classica lettura dell’organo di giustizia costituzionale come istituzione “ibrida”, divisa tra un’anima giurisdizionale e un’anima politica[8], dalla quale discenderebbe quell’esigenza di “legittimazione politica” magistralmente messa a fuoco da Carlo Mezzanotte nel 1984[9].
Con riguardo all’approccio illustrato, le analisi presenti – anche se non numerosissime – sono già senz’altro soddisfacenti. I tasselli ulteriori che si proverà ad aggiungere nelle pagine che seguono riguardano innanzi tutto l’individuazione più analitica di quale parte dell’uso dei mezzi di comunicazione di massa appare in effetti riconducibile all’anima “politica” della Corte, provando a distinguerla da quella che, invece, pare comunque possibile ascrivere all’anima giurisdizionale. In secondo luogo, ci si chiederà perché e in che senso l’uso dei media rimandi all’anima politica della Corte, e se ciò abbia qualche connessione su un preciso modo di intendere la giustizia costituzionale e l’interpretazione della Costituzione alternativo ad altri che gli potrebbero contendere il campo.
Ai fini indicati – premesse alcune considerazioni sul tema, ormai classico, del rapporto tra Corte e opinione pubblica, inevitabilmente interconnesso con quello che costituisce lo specifico oggetto di queste note[10] – si proporrà una breve analisi del modo in cui il Giudice costituzionale, negli ultimi anni, ha ritenuto di dover utilizzare i mezzi di comunicazione di massa. Successivamente si proverà a inquadrare i risultati di questa analisi nell’ambito del più ampio tema del ruolo della Corte nel sistema, della sua “doppia anima”, e del modo in cui essa è chiamata a operare.
2. Corte, media e opinione pubblica: una relazione sfaccettata
Come si accennava, il tema dell’utilizzo da parte della Corte degli strumenti di comunicazione di massa si interseca necessariamente con quello del rapporto del Giudice costituzionale con l’opinione pubblica. La ragione è presto detta: data la inevitabilità – nel senso che si dirà appresso tra un attimo – della attenzione della Corte nei confronti dell’opinione pubblica, i media rappresentano un importante strumento con il quale la prima entra in contatto con la seconda: un contatto potenzialmente più diretto e immediato di quello che si realizza con le sue sentenze e ordinanze, che necessitano quasi sempre di un’opera di “tradizione” e di mediazione da parte del ceto dei chierici. E del resto non mancano le analisi comparate che mostrano come il fenomeno non sia certo esclusivo del nostro Giudice costituzionale[11].
Il motivo per il quale la Corte non può fare a meno, almeno in un senso minimale, di confrontarsi con l’opinione pubblica non è difficile da individuare, magari facendo riferimento ad alcuni classici del pensiero giuridico, politico e filosofico. Secondo le note parole di Alexander Hamilton, il potere giudiziario non dispone né del potere della spada né di quello della borsa[12]. Come chioserà successivamente Alexander Bickel, esso può infatti giovarsi soltanto della disponibilità, da parte della società, ad accettare le proprie decisioni[13]. È per questo che il privilegio interpretativo della Costituzione che pertiene alle Corti – e qui possiamo mettere insieme la Corte suprema americana, alla quale sono dedicate specificamente le parole citate, e la nostra Corte costituzionale – non si traduce senz’altro nella identificazione del diritto costituzionale con la voce che proviene da queste ultime. È John Rawls qui a venirci in aiuto, quando evidenzia la inesattezza dell’affermazione secondo la quale la Costituzione è «ciò che di essa dice la Corte suprema», essendo invece soltanto «ciò che le consentono di dire su di essa coloro che agiscono costituzionalmente negli altri rami del governo»[14]. Anche considerando le cose da un punto di vista squisitamente teorico si arriva a conclusioni analoghe, potendosi osservare come la Corte rappresenti il principale e il più importante dei “funzionari” la cui pratica linguistica radica l’esistenza della regola di riconoscimento dell’ordinamento[15]: pratica che tuttavia il Giudice costituzionale non può fondare da solo, avendo bisogno almeno del supporto degli altri giudici, se non anche di una comunità più ampia, la più ampia possibile, a sostegno di tale opera[16]. Da qui la conclusione secondo la quale la Corte ha “bisogno” che la propria lettura della Costituzione si radichi presso l’opinione pubblica in generale e presso gli altri funzionari in particolare, perché la costituzione/norma di riconoscimento possa effettivamente operare[17]. In questo senso, si può senz’altro condividere l’affermazione secondo la quale la Corte necessita di una propria legittimazione, che non si può certo dire “democratica” in senso stretto[18] ma forse “politica”, anche se ovviamente in un senso affatto diverso dal modo in cui si utilizza questa espressione per Governo e Parlamento[19]. Questione ulteriore e più complessa, che non può essere affrontata adeguatamente in questa sede – ma che, come si vedrà, andrà almeno accennata – è se e in quale misura gli specifici percorsi interpretativi della Corte debbano prestare attenzione o addirittura adeguarsi alle singole posizioni dell’opinione pubblica e della “coscienza sociale” su questo o quell’altro tema: se dunque tali posizioni rappresentino, almeno in talune circostanze, criteri per orientare le interpretazioni della Costituzione fornite dalla Corte ovvero, al contrario, per “falsificarle”[20].
Come ha avuto modo di evidenziare il presidente Giorgio Lattanzi nella relazione dal titolo La comunicazione della Corte costituzionale, tenuta a Karlsrhue nel giugno 2019[21], non si può dire che questa esigenza non sia stata avvertita sin dall’inizio dalla Corte costituzionale[22], che ha tentato di farvi fronte con strumenti certamente innovativi nel momento in cui si cominciò a utilizzarli, ma che nel corso degli anni sono in certo modo diventati “tradizionali”, come le conferenze stampa del presidente, le sue interviste, talvolta dirette a illustrare una o l’altra sentenza, il ricorso a comunicati stampa e la stessa creazione di un Ufficio stampa.
L’utilizzo di questi strumenti si è andato evolvendo nel corso del tempo, e in alcuni casi ha certamente risentito delle inclinazioni personali dei presidenti[23]. In questo quadro merita un riferimento particolare l’attenzione che, in talune occasioni, è stata riservata alla divulgazione dei contenuti delle decisioni della Corte. A tale obiettivo risultano orientate innanzi tutto la relazione sull’attività annuale presentata dal presidente, nonché alcune prassi, come quella inaugurata dal presidente Bonifacio, di dedicare una conferenza stampa alle sentenze più significative congiuntamente al giudice redattore, o singole interviste[24].
Non sono mancati peraltro momenti di tensione, anche particolarmente accentuata, sovente connessi alle cd. “esternazioni atipiche” dei presidenti[25]. Tra questi è possibile richiamare soprattutto quelli verificatisi durante la presidenza Baldassarre, il quale ha esplicitamente rivendicato la “visibilità” della Corte costituzionale in ragione del compito di quest’ultima di difendere i diritti dei cittadini contro il potere pubblico: compito dal quale deriverebbe anche la possibilità di intervenire criticamente nel dibattito pubblico senza rinunciare anche a criticare gli altri organi costituzionali[26]. Ed è anzi stato rilevato come in anni più recenti – forse proprio quale reazione a qualche eccesso di esposizione e conflittualità – la Corte, e soprattutto i suoi presidenti, abbiano moderato e misurato maggiormente il numero e i modi dei propri interventi pubblici. Non è un caso che Vincenzo Caianiello, nella sua prima “uscita” pubblica da successore di Antonio Baldassarre nella veste di presidente, critichi gli approcci eccessivamente “protagonisti”, manifestando l’intenzione di evitare «ogni dichiarazione o intervista non resa strettamente necessaria dalla carica e comunque non compatibile con questa», evidenziando inoltre come la Corte debba «parlare solo attraverso le sentenze»[27].
Nonostante dalla prassi sopra richiamata traspaia con chiarezza, come è stato efficacemente osservato, il desiderio della Corte di interloquire con l’opinione pubblica al fine di radicare la propria legittimazione, ovviamente tramite l’intermediazione dei mezzi di comunicazione di massa, per lungo tempo ciò non ha impedito il formarsi talvolta (o forse anche sovente) di una sensazione di “mistero” per alcuni passaggi della giurisprudenza costituzionale, anche di sicura incidenza nel tessuto sociale[28]. E in effetti non è semplicissimo tracciare bilanci quantitativi e qualitativi di questa attività in assenza di studi specifici, che peraltro meriterebbero probabilmente di essere svolti da studiosi con competenze diverse da quelle di un costituzionalista. Pare però difficile sfuggire alla sensazione secondo la quale l’unico “basso continuo” della comunicazione istituzionale della Corte sia stato rappresentato essenzialmente dalle conferenze stampa periodiche dei suoi presidenti. Viceversa, dinanzi alla enorme mole di pronunce adottate nel corso degli anni, gli interventi comunicativi di diverso genere siano stati a volte eclatanti e sovente resi in relazione a questioni di grande portata, ma abbiano avuto nel complesso carattere episodico e occasionale, e circoscritti alle vicende che le sensibilità personali dei concreti protagonisti suggerivano meritare una attenzione specifica. Nel complesso sembra dunque condivisibile la valutazione di chi ha ritenuto che, «limitando il ragionamento alle prassi più consolidate ed al passato meno recente», e facendo comunque salve alcune eccezioni, la Corte si sia soprattutto orientata nel senso indicato da Caianiello, scegliendo di parlare soprattutto «attraverso i propri provvedimenti»[29]. La Corte, si sa, è sempre stata percepita come un giudice sui generis, in ragione del compito, alla medesima affidato, di “sviluppare” le premesse di principio contenute nella Costituzione in modo da trarne conclusioni non sempre giuridicamente necessitate, ma in qualche modo frutto anche di valutazioni politiche[30]. E probabilmente anche sul versante della comunicazione troviamo le tracce di questa visione anfibia: la Corte non si è sottratta a una dimensione comunicativa ulteriore di quella – assolutamente minimale – che caratterizza gli ordinari organi giurisdizionali, anche di tipo apicale. Ma non senza moderazione, stando nel complesso attenta – salvo specifiche eccezioni – a non scendere direttamente nell’agone del dibattito pubblico, e parlando essenzialmente con le proprie sentenze: non esclusivamente, ma comunque in modo decisamente preponderante.
3. La svolta della rete
È un rilievo agevole, e del resto piuttosto comune, che gli ultimi anni siano stati caratterizzati da un mutamento abbastanza significativo rispetto all’assetto appena accennato[31], del quale merita di essere valutato il senso e la portata. Concorde è inoltre il rilievo secondo il quale tale mutamento abbia cominciato a rendersi percettibile a partire da quando – per dirla con Pasquale Costanzo – la Corte abbia ritenuto di dover fare di se stessa uno dei “nodi” della rete[32], proiettandosi nella dimensione di internet. Bisogna però chiedersi se quello al quale abbiamo assistito nel passato recente, e al quale assistiamo tutt’ora, rappresenti null’altro che un adattamento delle consuete propensioni comunicative della Corte agli strumenti e alle tecnologie di oggigiorno[33], ovvero se a questi passaggi sia in effetti sotteso un differente modo in cui quest’ultima pensa a se stessa nel sistema e nelle relazioni istituzionali e con l’opinione pubblica.
Questo capitolo della storia del nostro Giudice costituzionale, come è noto, comincia nel 2000, quando viene realizzato e messo online il sito istituzionale della Corte. Da allora si sono succedute alcune modifiche all’impianto del sito, anche piuttosto significative, che però non ne hanno messo in discussione i caratteri principali, a partire dalla scelta di “tenersi fuori” dalle dinamiche del web 2.0, ritenute evidentemente (e comprensibilmente) non adatte al ruolo dell’istituzione per la diretta interazione con gli utenti, con la possibilità di questi ultimi di integrare i contenuti del sito, che esso comporta[34].
Ad oggi il sito presenta contenuti articolati, per l’analisi dettagliata dei quali si rinvia a quei contributi che già efficacemente hanno avuto modo di occuparsi del tema[35]. Deve però essere evidenziato come convenga senz’altro distinguere, ai fini del presente scritto, tra i contenuti dedicati specificamente agli addetti ai lavori e quelli che invece hanno come destinatari più generali un pubblico più vasto, potenzialmente coincidente con l’uditorio generale che si interessa della sfera pubblica. Si tratta evidentemente di una distinzione tendenziale, che ovviamente non esclude che i singoli contenuti destinati agli specialisti possano essere fruiti dal pubblico generalista e viceversa. E merita precisare che in alcuni casi la distinzione ha necessariamente un che di artificioso, come nel caso dei comunicati stampa o delle relazioni annuali dei presidenti, che certamente non possono non interessare sia i primi che il secondo.
Ad ogni modo, pur con le cautele appena accennate, mi pare si possano ricomprendere senz’altro nel novero dei contenuti destinati agli specialisti i documenti strettamente inerenti l’attività formale della Corte, come le sue pronunce, il ruolo, il calendario delle udienze, gli atti di promovimento dei giudizi, o i verbali e i video delle udienze pubbliche. A questi contenuti è senz’altro possibile aggiungere le massime delle decisioni, da sempre un “classico” strumento di lavoro degli specialisti del diritto. Si tratta in sostanza dei materiali reperibili nella sezione “Giurisprudenza e lavori” del menu principale del sito. Lo stesso mi pare si possa dire, almeno in parte, per le fonti che disciplinano l’attività della Corte – come ad esempio per le «Norme integrative», non reperibili in normattiva.it – e per i molti testi aventi finalità di studio o ricerca che sono presenti nel sito, come ad esempio i numerosi quaderni curati dal servizio studi, gli atti di seminari e convegni, le relazioni dei giudici a eventi di studio o la segnalazione di temi di “attualità costituzionale” proveniente da esperienze straniere. I materiali di tal genere presenti sul sito sono davvero numerosi e di grande interesse, e non pare necessario qui fornirne un elenco esaustivo, essendo in effetti abbastanza intuitiva la collocazione nella categoria citata.
Al contrario, certamente diretti in primo luogo a un pubblico generalista sono quei contenuti che – come è stato detto – presentano la Corte “in modo statico”[36], descrivendone i caratteri come istituzione o illustrandone l’attuale composizione, nonché quelli volti a presentare in forma divulgativa l’attività. In generale, paiono in linea di massima ascrivibili a questa categoria i contenuti presenti nelle sezioni “Per i cittadini” e “Comunicati, media ed eventi”, nell’ambito della quale sono peraltro reperibili i già citati comunicati stampa, che negli ultimi anni sono sempre più utilizzati dalla Corte quale strumento per comunicare a trecentosessanta gradi la propria attività.
Con specifico riferimento alla comunicazione tendenzialmente rivolta al pubblico non specialista, deve peraltro essere evidenziato come, negli ultimi tempi, il sito da un lato si sia arricchito di nuovi contenuti, e dall’altro rappresenti, per così dire, un hub comunicativo volto a mettere a sistema i numerosi strumenti oggi utilizzati dalla Corte. Nel sito sono infatti reperibili informazioni, documentazioni e link inerenti le più importanti attività comunicative svolte negli ultimi anni, alcune online e altre invece in presenza.
Tra le prime, vanno innanzi tutto menzionate le notissime iniziative del «Viaggio nelle carceri» e del «Viaggio nelle scuole», che insieme costituiscono il «Viaggio in Italia»[37]: viaggio che porta la Corte a “uscire” dal Palazzo e a visitare realtà istituzionali e sociali ritenuti meritevoli di attenzione particolare. Nel sito sono documentate le “tappe” del viaggio, con materiali di vario genere quali testi, video, interviste, fotografie e articoli di stampa, ed è anche reperibile il link al docu-film realizzato sull’iniziativa (sul sito di RaiPlay).
Tra le seconde, deve soprattutto essere richiamata la recentissima Libreria dei podcast che – come recita la didascalia reperibile nel sito – «si propone di promuovere la cultura costituzionale» tramite la diffusione di interventi audio rivolti al grande pubblico e volti a illustrare principi, istituzioni e momenti salienti della vita costituzionale repubblicana. Meritano, in particolare, di essere richiamate le sezioni inerenti «La Corte costituzionale e la sua storia», «La Costituzione raccontata dai giudici» e quella delle «Sentenze che ci hanno cambiato la vita». In ciascuna di esse sono reperibili piccole “lezioni” dei giudici costituzionali su temi di grande interesse, tra cui, ad esempio: «La Corte, il Parlamento e i temi sensibili» (Giuliano Amato), «Come si fa a rivolgersi alla Corte? Il processo costituzionale» (Giulio Prosperetti), «La nascita della Corte: quando, perché e da chi fu concepita» (Augusto Barbera), «La Corte e l’Europa» (Marta Cartabia), «La Corte e il carcere» (Francesco Viganò), «La Corte e il fine vita» (Francesco Viganò).
Agli interventi presenti nella sezione delle Sentenze che ci hanno cambiato la vita devono peraltro essere affiancate le “pillole”, reperibili nella pagina del già citato Viaggio nelle carceri, in cui in appena 100 secondi alcuni giudici costituzionali illustrano il cuore di alcune decisioni particolarmente significative, ad esempio in tema di dignità (Rosario Morelli), laicità (Franco Modugno), ragionevolezza (Paolo Grossi), cognome materno (Daria De Pretis) e aborto (Giuliano Amato).
L’homepage rinvia peraltro direttamente al canale Youtube appositamente dedicato, nel quale sono reperibili molti dei contenuti multimediali presenti nel sito istituzionale, oltre che numerosissimi interventi di presidenti e singoli giudici nelle più svariate sedi, da interviste a importanti emittenti televisive al trailer per la festa delle donne che celebra per immagini anche la elezione, per la prima volta, di una donna al ruolo di presidente della Corte nella persona di Marta Cartabia. Ancora, alcuni comunicati stampa – anch’essi ovviamente reperibili sul sito – informano che la Libreria dei podcast è interamente reperibile sulle principali piattaforme di podcasting, tra cui si citano esplicitamente Spreaker e Spotify, e sempre appositi comunicati informano del suo progressivo aggiornamento. Infine, sempre nella homepage del sito è reperibile il rinvio all’ultimo, recentissimo prodotto dello “sforzo comunicativo” della Corte, ossia l’app scaricabile sui dispositivi mobili che – in un modo per vero non poco utile anche agli “addetti ai lavori” – consente di avere sullo schermo del proprio telefono cellulare il calendario dei lavori, le decisioni, le massime, i comunicati stampa e la documentazione del Viaggio in Italia.
Anche dalle brevi note che precedono dovrebbe, dunque, risultare evidente come in questo contesto il sito istituzionale non rappresenta più solo una diretta fonte di informazioni, ma anche un vero e proprio hub, come si diceva, di una fitta rete comunicativa che si dispiega con i più vari strumenti, in modo da raggiungere – si deve ritenere – quante più persone possibile.
4. Distingue frequenter
Dinanzi al quadro sommariamente tratteggiato pare obbligatorio chiedersi, innanzi tutto, se si sia di fronte semplicemente ad assestamenti delle prassi di comunicazione della Corte dovuti alle profonde trasformazioni che i sistemi di comunicazione di massa hanno subito negli ultimi anni, ovvero se quanto accennato può essere letto come un’autentica modificazione sostanziale del modo in cui il nostro Giudice costituzionale intende entrare in relazione con il suo pubblico, sia quello composto dagli specialisti del settore che quello più generale; e nel caso in cui propende in quest’ultimo senso, come ciò impatti sulla concezione del ruolo della Corte costituzionale.
Al riguardo si potrebbe forse essere indotti a privilegiare il primo corno dell’alternativa, in considerazione sia delle prassi “storiche” menzionate in precedenza, che della già menzionata esclusione – pur con qualche limitatissima eccezione – del ricorso al web 2.0. Così ragionando si potrebbe forse ritenere che la Corte si sia solo adeguata a quelli che sono i canali e le modalità della contemporanea comunicazione di massa. Uno sguardo più ravvicinato del fenomeno sommariamente ricostruito nel paragrafo precedente suggerisce, però, una valutazione più articolata, che provi a distinguere – pur nel contesto delle novità tecniche utilizzate per la comunicazione istituzionale della Corte – tra le diverse manifestazioni di quest’ultima, a seconda di destinatari, stile e finalità: distingue frequenter, si diceva un tempo[38].
Sul punto pare possibile proporre le seguenti considerazioni.
I. In effetti si può essere abbastanza sicuri di muoversi su un terreno solido se si afferma che almeno alcuni aspetti della relazione tra la Corte e i media abbiano subito “solo” una mutazione di forma, piuttosto che di sostanza. Così è probabilmente, ad esempio, per le interviste ai presidenti e ai giudici, già in passato senz’altro diffuse – sia pure non allo stesso modo in ogni periodo di tempo – e che, come si ricordava più sopra, non hanno mancato nel corso degli anni di creare problemi e perplessità di vario genere. In tale ambito la novità sembra limitata ai mezzi di diffusione di tali interviste, che sovente includono anche i cd. nuovi media, quali Youtube, Instagram o Twitter.
II. C’è poi un fronte in relazione al quale si può invece ritenere che la “esplosione reticolare” della comunicazione della Corte abbia mantenuto intatta la sua sostanza, ma la forma e la quantità degli “eventi comunicativi” sia mutata a tal punto da ingenerare significativi cambiamenti sugli effetti di tale comunicazione. Ci si riferisce soprattutto alla comunicazione rivolta prevalentemente a tecnici ed esperti. A partire dalla (lenta) messa in rete delle proprie sentenze – in relazione alla quale la Corte era stata preceduta dalla pionieristica esperienza del sito “Consulta on line”, diretto da Pasquale Costanzo – gli strumenti si sono moltiplicati e proprio di recente hanno davvero raggiunto una diffusione immediata e potenzialmente capillare con la app della Corte costituzionale, nella quale attivando le “notifiche push” è possibile essere attivati sul proprio telefono cellulare “in tempo reale” circa le novità inerenti il calendario dei lavori, le decisioni ed i comunicati stampa[39]. Ecco, rispetto a questo tipo di comunicazione, si può probabilmente ritenere che la quantità ridondi in qualità, che le diverse modalità con le quali questa comunicazione avviene determinano effettivamente una importante “apertura” nei confronti della comunità di specialisti con la quale è chiamata a confrontarsi, a vario titolo e in vario modo. In effetti, pare oggi estremamente più facile rispetto a ieri essere aggiornati sulla giurisprudenza e più in generale sull’andamento dei lavori della Corte, potendo avere a disposizione davvero con prontezza il materiale di cui si ha bisogno. Tutto ciò non si può che salutare con estremo favore, ove si consideri – tra le altre cose – quanto conti per un giudice “unico” come la Corte il controllo diffuso della comunità degli interpreti circa il suo operato. La strada percorsa da quando le decisioni della Corte erano conoscibili solo tramite la Gazzetta ufficiale o riviste specializzate, tra cui soprattutto Giurisprudenza costituzionale, è davvero tantissima. Da questo punto di vista si può senz’altro concludere che la “apertura” di Palazzo della Consulta si sia tradotta nella maggiore controllabilità della sua attività da parte della collettività di riferimento. Meno arcana imperii e maggiore contatto con la “comunità aperta” degli interpreti della Costituzione, si potrebbe dire.
III. Esiste tuttavia un “terzo livello” dell’apertura comunicativa della Corte che suggerisce considerazioni sensibilmente differenti. È quello – ma sul punto si tornerà più avanti – che probabilmente corrisponde maggiormente al “polo politico” verso il quale (ora più, ora meno) il “pendolo” della Corte talvolta tende a oscillare. Si tratta di tutte quelle attività – e sono molte, come si è visto più sopra – evidentemente rivolte a un pubblico più vasto di quello, circoscritto e selezionato, degli esperti che a vario titolo seguono la sua attività. Dal punto di vista appena menzionato si può senz’altro affermare che gli ultimi anni – soprattutto quello delle presidenze Lattanzi e Cartabia – sono stati davvero anni di svolta. Come risulta anche dalla breve disamina proposta nel paragrafo precedente, la comunicazione istituzionale rivolta al pubblico generalista negli ultimi tempi ha in effetti assorbito l’attenzione maggiore della Corte, che vi ha profuso un impegno assolutamente inedito, e a messo a supporto della stessa una organizzazione che non sembra avere eguali nella sua storia. La stessa individuazione di un giornalista professionista quale vertice dell’ufficio stampa ben può essere letta in questa chiave[40].
A ulteriore conferma della “novità sostanziale” del periodo che stiamo vivendo possono, del resto, essere portate le stesse parole con le quali la Corte interpreta se stessa. Ci si riferisce soprattutto a diversi interventi degli ultimi presidenti, nei quali si sottolinea, e si rivendica orgogliosamente, la svolta nel senso della apertura al mondo esterno operata dalla Corte in questi anni. In tale quadro possono essere citate soprattutto diverse dichiarazioni dei presidenti Lattanzi e Cartabia, nelle quali sono evidenti la consapevolezza e la convinzione di essersi incamminati in un sentiero per più versi gravido di novità[41], in grado di condurre a «una giustizia costituzionale più ricca»[42]. Pare dunque davvero difficile revocare in dubbio l’assoluta novità degli anni che stiamo vivendo, comunque si voglia valutare questa novità.
È stata per vero suggerita una lettura di questo fenomeno – peraltro proveniente dall’interno della stessa Corte – che tende a minimizzare la novità di quanto appena rappresentato, enfatizzando piuttosto le linee di continuità con letture e interpretazioni che componenti della Corte hanno dato in passato del ruolo di quest’ultima e del suo rapporto con media e società[43]. E in effetti si potrebbe forse ritenere che la peculiarità fondamentale del periodo che oggi viviamo derivi essenzialmente dall’esplosione della rete, che offre oggi possibilità del tutto impensabili fino a qualche decennio or sono, se non (forse) nei romanzi di sci-fi. E tuttavia resta il fatto che, da un lato, alcuni “eventi comunicativi” sono nuovi e diversi in se stessi, mentre quelli che non lo sono assumono una dimensione quantitativa davvero in grado di cambiare le carte in tavola. Difficile non ritenere, in altre parole, che oltre un certo limite la quantità non ridondi in qualità.
In senso opposto rispetto alla lettura “continuista” depone proprio quello che – per l’importanza che vi annette la Corte – appare il principale dei momenti comunicativi sopra richiamati, ossia il Viaggio in Italia, nelle sue due articolazioni del Viaggio nelle scuole e del Viaggio nelle carceri. Si tratta di eventi che hanno ricevuto senza dubbio una risonanza enormemente amplificata dalla scelta proveniente dal Palazzo della Consulta di valorizzarli il più possibile attraverso i media – e in particolare i nuovi media –, ma che altrettanto certamente avrebbero potuto essere effettuate da molto tempo[44]. E invece non è un caso che solo negli ultimi anni siano state adottate iniziative siffatte.
Anche le novità che hanno interessato il modo in cui la Corte espone i risultati del proprio lavoro appaiono difficilmente riducibili a una dimensione meramente quantitativa. Come si accennava nelle pagine che precedono, l’attività comunicativa rivolta verso i non addetti ai lavori era nel passato prevalentemente volta a illustrare e spiegare l’andamento della giurisprudenza costituzionale, sia con riferimento a periodi determinati – si pensi ovviamente alle conferenze stampa periodiche dei presidenti – sia, seppure più di rado, con riferimento a singole decisioni ritenute particolarmente significative o problematiche. Certo non si può cadere nell’ingenuità di considerare del tutto “neutre” – nel senso di meramente informative – tali forme di comunicazione, essendo le medesime comunque volte a un’autorappresentazione nei confronti di un uditorio esterno. Pare però difficile negare che, almeno quelle più “paludate” e ricorrenti – le conferenze stampa periodiche –, limitassero al massimo quel fenomeno di “costruzione della propria immagine” che, come si vedrà tra un attimo, oggi appare invece decisamente in crescita.
Al riguardo rilevano, innanzi tutto, i comunicati stampa e le note concernenti l’agenda dei lavori. Come è stato efficacemente evidenziato, questo approccio comunicativo implica necessariamente una profonda selezione degli oggetti da comunicare – siano essi decisioni significative, casi da decidere ritenuti di rilievo o questioni decise su cui attirare l’attenzione prima o dopo la stesura e il deposito della motivazione[45]. Parimenti frutto di accurata selezione sono ovviamente i profili delle singole decisioni che si intendono enfatizzare, a scapito di altri che pure potrebbero esserlo. Tutto ciò fa perdere non poco di quella “neutralità informativa” di cui si discorreva più sopra, rappresentando piuttosto uno strumento con il quale il Giudice costituzionale procede – consapevolmente o meno, qui poco importa – alla costruzione e alla diffusione di un’immagine di se stesso inevitabilmente altra e diversa da quella che deriva dalla considerazione complessiva dell’attività formale della Corte[46].
Questo effetto è probabilmente ancor più amplificato dalle attività comunicative con le quali vengono illustrate e spiegate – ma inevitabilmente interpretate – le decisioni adottate dalla Corte. Il caso più significativo è senza dubbio quello delle già menzionate Sentenze che ci hanno cambiato la vita: come si diceva, si tratta di brevi (o addirittura brevissimi) interventi audio o video dedicati ciascuno a una sentenza del passato ritenuta particolarmente rilevante per il suo impatto sulla società. Impatto positivo, ça va sans dire. Ebbene, anche in questo caso risulta del tutto evidente come si sia davanti a un’attività che, lungi dall’essere meramente informativa, è volta (qui in modo probabilmente più consapevole) a fornire una determinata (auto)rappresentazione a beneficio della collettività tutta, a costruire una immagine di se stessi – non come giudici singoli, ovviamente, ma come istituzione complessiva – e ad accreditarla al grande pubblico.
Uno scarto ulteriore è infine individuabile in quelle attività volte non solo o non tanto a “raccontare” la Corte e il suo operato, quanto piuttosto a diffondere e divulgare la cultura costituzionale. Si può probabilmente dire che quello appena accennato è il “piatto forte” della comunicazione istituzionale. Ciò risulta non solo dalla enorme importanza e visibilità che a queste iniziative viene data dai media gestiti dalla Corte, ma anche dalle stesse parole dei suoi presidenti che hanno ritenuto di soffermarsi sul tema. Quanto al primo aspetto, si rinvia al già più volte menzionato Viaggio in Italia, e ai molteplici modi in cui ad esso si è dato risalto (nell’ambito del sito istituzionale, del canale Youtube ufficiale della Corte, di Twitter e di Spreaker). Quanto al secondo, si vedano soprattutto i già citati interventi dei presidenti Lattanzi e Cartabia, dai quale traspare con chiarezza il grande investimento fatto dalla Corte al fine di «diffondere la cultura della Costituzione, farne capire i valori ma anche la protezione che essa rappresenta per tutti»[47], di «farsi conoscere da tutti» e «portare ovunque i valori della Costituzione»[48].
Queste attività solo con enorme difficoltà potrebbero essere annoverate tra quelle “meramente informative”: e del resto sono le stesse parole dei presidenti, più sopra richiamate, che accreditano con evidenza interpretazioni differenti. Esse infatti appaiono piuttosto riconducibili a quella che potrebbe essere chiamata un’attività di pedagogia costituzionale, volta a diffondere nel grande pubblico la cultura della Costituzione, e in particolare dei suoi principi più importanti. E se in alcuni casi tale attività assume una caratterizzazione senz’altro monodirezionale (dai giudici al pubblico), in altri pare invece assumere un carattere bidirezionale. Per la prima ipotesi è possibile richiamare la già più volte citata Libreria dei podcast con le “piccole lezioni” dei giudici costituzionali. Per le seconde è invece d’obbligo un nuovo rinvio all’esperienza del Viaggio in Italia, e in particolare del Viaggio nelle carceri, nella quale i giudici che vi hanno preso parte non si limitano alla loro esposizione dei temi oggetto dell’incontro, ma entrano in una relazione dialogica con i partecipanti, ascoltando dunque e non solo parlando. Questo aspetto è stato particolarmente enfatizzato, del resto, dalle stesse testimonianze dei protagonisti: negli incontri, del tutto «centrale» è apparsa «l’interlocuzione con i detenuti, che si sono preparati all’incontro e hanno rivolto ai giudici numerose domande»; e questi incontri, «non artificiosamente costruiti», «hanno coinvolto, anche emotivamente, chiunque vi ha partecipato e hanno consentito a noi giudici di conoscere più a fondo la realtà del carcere»[49]. Questa acquisizione di consapevolezza – di cui il Viaggio rappresenta probabilmente lo strumento più “potente” che la Corte ha ritenuto di sperimentare – è volta, come si evidenziava più sopra, a rendere migliore la giustizia costituzionale, consentendo alla Corte di «cogliere nelle dinamiche, in senso lato, “pubbliche” (non limitate, cioè, ai “poteri pubblici” ma estese alla vita della comunità e delle persone che la compongono) i segnali del mutamento e della continuità, sapendoli opportunamente travasare ed elaborare nei suoi giudizii, nella vigile coscienza del tempo che fluisce e delle generazioni che si sovrappongono e si succedono»: ciò al fine di «convogliare nell’alveo della legislazione, le istanze» sociali, perfino quelle «ancora inespresse»[50].
Pare difficile negare la “novità” di tutto questo, del resto, come si ricordava, espressamente rivendicata dai presidenti che se ne sono resi portatori. Oggi la Corte che “parla solo con le sue sentenze” non esiste più. La Corte ha consapevolmente cambiato «il suo modo di essere»[51]. C’è dunque tanto di nuovo che, a fianco di condivisibili apprezzamenti, può forse in taluno suscitare una sensazione di spiazzamento, e che merita di essere studiato, capito e valutato.
5. Il rapporto con i media e la posizione della Corte nel sistema
Al fine di procedere in tal senso è in effetti opportuno guardare più da vicino proprio l’interpretazione che del fenomeno oggetto di queste note forniscono i suoi protagonisti più autorevoli. Come già si accennava più sopra, esiste una “parola chiave” che – per questi ultimi – segna la presente stagione e le sue novità: “apertura”[52]. La Corte si apre nei confronti della comunità cui appartiene. Scendendo più nel dettaglio, è possibile provare a delineare i caratteri di questa “apertura”, chiedendosi come e a beneficio di chi questa avvenga.
Il primo carattere da cui conviene partire è probabilmente la già richiamata “bidirezionalità” dell’attività comunicativa[53]. La Corte invita a “entrare”, accoglie, e al contempo si propone all’esterno. A tale riguardo è peraltro necessariamente da menzionare – a fianco degli aspetti su cui più sopra ci si è soffermati – l’aperura della Corte “nel processo”, soprattutto tramite la notissima modifica delle «Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale», avvenuta nel gennaio 2020, che ha disciplinato l’intervento di terzi in giudizio, le «opinioni» degli amici curiae e l’ascolto di esperti di chiara fama in camera di consiglio. Quella praticata in questi anni è dunque un’apertura dialogica, in cui la Corte intende “dare” e “ricevere”. L’output della Corte è senza dubbio costituito da informazioni, ma soprattutto, come si è visto, da ben precise letture della nostra esperienza e cultura costituzionale. È quella che più sopra si è provato a definire pedagogia costituzionale. Gli input accolti o comunque auspicati dai giudici costituzionali consistono invece in “conoscenze” delle situazioni di fatto, “emozioni” connesse alle medesime e informazioni sul “sentire” della collettività. L’output serve per diffondere la conoscenza dell’attività della Corte e la cultura costituzionale; l’input, invece – come emerge con chiarezza dalle dichiarazioni dei protagonisti sopra richiamate –, per migliorare gli esiti dell’attività istituzionale della Corte, per aiutare il Giudice costituzionale a far meglio il proprio mestiere. Insomma, per scrivere le sentenze e dunque per l’opera di interpretazione costituzionale.
Le finalità appena messe in luce, tratte dalla viva vox della Corte, appaiono particolarmente significative ai fini del presente contributo. Traspare infatti dalle stesse l’intenzione del nostro Giudice costituzionale di intervenire, anche tramite gli strumenti indicati, sulla sua complessiva posizione nel sistema in generale e sul modo di risolvere i problemi del diritto costituzionale in particolare. Non si tratta dunque di questioni che attengono semplicemente alle sue “relazioni con il pubblico”, ma di uno strumento che la Corte ritiene essenziale al fine di svolgere al meglio la propria attività istituzionale. E non è un caso, infatti, che le “aperture” specificamente prese in considerazione in questo contributo si affianchino, come evidenziato, a quelle più specificamene “processuali” derivanti dalla recente riforma delle Norme integrative.
Come si vedrà, peraltro, non è implausibile ritenere che, a sua volta, quello inerente la generale “apertura” verso l’esterno sia un tassello di un più ampio disegno di riassestamento del ruolo della Corte e delle sue relazioni con il legislatore e la comunità cui appartiene. Tuttavia è necessario chiedersi – e qui andiamo davvero al cuore delle questioni affrontate in queste sede – perché la Corte ritiene che lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, il “rendere giustizia costituzionale”[54], abbia bisogno di questo rapporto comunicativo bidirezionale, che non rinuncia neanche al piano delle emozioni[55]. Ed è qui che torna utile spendere qualche parola ulteriore sul classico tema, già più sopra evocato della “doppia anima” della Corte.
6. Le “due anime” della Corte e la comunicazione istituzionale
Il nodo che al riguardo merita di essere preliminarmente affrontato concerne la messa a fuoco del senso, tra i vari possibili, in cui in questa sede è utile parlare della “doppia anima” della Corte, e in particolare di quella che si suole definire la sua anima “politica”. Di recente Roberto Romboli ha utilmente provveduto a una “mappatura” degli usi linguistici che si sono sviluppati sul punto[56], evidenziando come il carattere “politico” della Corte in generale, o di alcune sue decisioni in particolare, venga desunto in dottrina da indici parecchio diversificati, quali il carattere “politico” degli oggetti del suo giudizio, la “deferenza” verso il legislatore, il ricorso a elementi extratestuali[57]. Quello che in questa sede interessa maggiormente è, però, il senso più pregnante in cui si discorre di “politicità” del nostro Giudice costituzionale, ossia quello che allude alla circostanza secondo la quale quest’ultimo sovente ricorrerebbe, nei frangenti decisivi delle proprie argomentazioni, a elementi valutativi a carattere spiccatamente politico[58]: un numero significativo di casi sarebbe dunque risolto dalla Corte tramite operazioni propriamente ascrivibili alla dimensione della discrezionalità politica piuttosto che a quella del ragionamento giuridico[59]. In tale ottica è stato da più di un autore posto il tema della “legittimazione democratica” della Corte costituzionale[60]. Risuona, in questo tema, l’eco delle note pagine che Carlo Mezzanotte scriveva nel 1984, secondo le quali – abbandonata la fase della “demolizione” della legislazione prerepubblicana, per la quale risultava sufficiente una legittimazione di tipo trascendente a forti venature simboliche – la Corte doveva allora ricercare la propria legittimazione anche nella dimensione immanente legata alla «valutazione del risultato»: una valutazione «molto più aleatoria» di quella direttamente fondata sulla evocazione dei principi primi della Costituzione, caratterizzata da «un alfabeto completamente diverso», rispetto al quale lo stesso Mezzanotte riteneva che lo sbocco naturale fosse quel – più volte auspicato – controllo dell’opinione pubblica sulla giurisprudenza costituzionale tale da costituire adeguati meccanismi di “responsabilità politica diffusa” connessi alla stessa[61].
Ebbene, si può forse ritenere che l’uso che la Corte ha fatto dei media in questi anni sia in effetti coerente con gli sviluppi preconizzati da Mezzanotte. E ciò probabilmente può essere ritenuto connesso con le recenti tendenze della giurisprudenza costituzionale, la quale – come risulta del resto anche dalla più autorevole voce “extra-giurisdizionale” che possa provenire dalla Corte[62] – pare procedere verso una progressiva estensione dei limiti di operatività entro i quali i giudici costituzionali ritengono di potersi muovere, sia con riferimento ai margini del proprio giudizio che alle tecniche processuali[63]. Non pare in effetti una coincidenza che, proprio nel periodo in cui considera necessario, per assolvere al proprio compito istituzionale, passare dalle «rime obbligate» alle «rime possibili»[64] o alle «rime libere»[65] – al fine di porre in essere quel “momento ricostruttivo” che talvolta reputa necessario a evitare che il “momento demolitorio” derivante dal suo intervento sia a sua volta produttivo di una situazione di illegittimità costituzionale[66] –, la Corte ritenga altresì necessario “potenziare” e rimodulare i suoi strumenti di comunicazione istituzionale per entrare in una comunicazione più immediata con l’opinione pubblica, tramite la quale illustrare e spiegare le proprie decisioni[67].
È forse inquadrabile nel medesimo contesto anche il flusso comunicativo che segue la direzione opposta, che va dall’esterno verso Palazzo della Consulta. Proprio in ragione dei maggiori ambiti di discrezionalità che tende a riconoscersi in questi anni, il nostro Giudice costituzionale ritiene di dover non solo “render conto” in modo più trasparente e diffuso del proprio lavoro, ma anche attingere maggiormente e in modo più diretto possibile alla “coscienza sociale” per riempire di contenuto le anfibologiche formule costituzionali[68], in modo tale da rafforzare la propria sintonia con la collettività cui appartiene pur senza spingersi sino a seguire gli «umori del momento, diffusi nell’opinione pubblica»[69]. Bisogna certo guardarsi da conclusioni avventate. Quanto appena accennato non può, tuttavia, non richiamare alla mente i meccanismi del circuito dell’indirizzo politico, con le sue fasi di input e output, rispettivamente individuabili negli istituti della rappresentanza e della responsabilità politica. Si potrebbe forse ritenere che la Corte, scegliendo consapevolmente di andare oltre le “rime obbligate”, provi a individuare strumenti in qualche modo analoghi per il proprio operato, che siano ovviamente calibrati in modo adeguato alla peculiarità che la contraddistinguono: strumenti che si aggiungono alla sua “classica” composizione ibrida, parzialmente debitrice delle istituzioni titolari della funzione di indirizzo politico[70]. E vengono, al riguardo, alla mente le considerazioni che anni fa proponeva Stefano Rodotà, il quale riteneva che proprio potenziando gli input e gli output della Corte, garantendone l’apertura e il massimo controllo diffuso, potessero realizzarsi forme di «legittimazione democratica» non derivanti dal voto popolare[71].
7. Alcuni profili problematici della “Corte mediatica”
7.1. La “pedagogia costituzionale” e i disaccordi interpretativi
Il quadro che sin qui si è provato a tratteggiare, dunque, non è privo di una sua coerenza interna. Presenta però alcuni profili problematici, con i quali è necessario confrontarsi.
Proviamo ad esempio a osservare più da vicino la “pedagogia costituzionale” che la Corte si è intestata negli ultimi tempi. Si tratta di un’attività che consiste nella diffusione di interpretazioni di principi e momenti costituzionalmente rilevanti, tali da fornire quella che si potrebbe definire – riprendendo un’espressione che si deve a Massimo Luciani[72] – una lettura irenica e progressiva della nostra storia costituzionale, del processo di costituzionalizzazione che l’ha caratterizzata, e del ruolo che in questo processo ha giocato (e gioca) la Corte costituzionale. Ovviamente si tratta di interpretazioni del tutto legittime, ben più che plausibili e spesso anche pienamente condivisibili (almeno a parere di chi scrive). Il punto, però, è che l’interpretazione dei principi costituzionali – al netto dell’esistenza di un nucleo di consenso indispensabile anche solo perché i diversi interlocutori capiscano di parlare del medesimo argomento – è ormai notoriamente un ambito caratterizzato da intensi disaccordi[73].
Di recente è stata elaborata la categoria dei disaccordi interpretativi profondi (DIP) per spiegare questa importante caratteristica dell’interpretazione giuridica e costituzionale in particolare[74]. Per Vittorio Villa i DIP consisterebbero in «divergenze particolarmente radicali» concernenti l’interpretazione di clausole costituzionali a carattere valutativo, tra le quali si collocano proprio quelle contenute nei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale[75]. In particolare, i disaccordi che caratterizzerebbero i percorsi interpretativi di queste importanti clausole costituzionali sarebbero genuini (in quanto non nascondono alcun vizio logico nel ragionamento che li produce), senza colpa (perché non sono frutto di impostazioni errate in modo evidente) e soprattutto irrisolvibili (nel senso che non possono essere risolti da una singola interpretazione o decisione giurisdizionale in grado di essere oggettivamente considerata “vera” o “corretta”)[76]. Tralasciando le complesse questioni legate alla epistemologia e alla filosofia del linguaggio sottese a questa interessante impostazione, è qui utile precisare che i caratteri appena richiamati sono desunti dall’osservazione di importanti casi paradigmatici di disaccordo sui principi costituzionali[77]: il che equivale a dire che i medesimi ricorrono solitamente nelle vicende dell’interpretazione costituzionale.
La teorizzazione dei DIP rinvia evidentemente ad altri percorsi, ben noti alla dottrina giusfilosofica, come quelli che conducono agli «essentially contested concepts»[78], ai «concetti interpretativi» di Dworkin[79] e alla ormai ben nota differenza tra concetti e concezioni, in base alla quale si usa designare con il primo termine il nucleo semantico condiviso di un sintagma, una clausola o un principio costituzionale, e con il secondo le diverse articolate teorie volte a interpretarlo e a svilupparlo in tutti i suoi aspetti[80]. I risultati di tali percorsi – al netto delle pur sussistenti differenze – sono accomunati dalla evidenziazione della necessità di far ricorso a elaborazioni complesse, articolate e soprattutto a carattere valutativo al fine di individuare la portata concreta di diritti e clausole costituzionali. Si tratta sovente di elaborazioni in competizione tra loro e anche molto distanti quanto a premesse e risultati, che rinviano a complessi e alternativi sistemi di valore, e talvolta anche a diverse premesse di carattere metaetico. Basti pensare, a questo riguardo, alla centrale clausola della dignità umana, interpretata in modo decisamente divergente dalla tradizione cattolica e da quella laica, tanto da rinviare al valore oggettivo dell’essere umano in quanto tale nel primo caso, e alla centralità dell’autodeterminazione personale nel secondo[81]. In questo quadro si è efficacemente messo in luce come i diritti fondamentali – il cuore del nostro sistema di valori costituzionali – siano oggetto di una forte e lacerante contesa: tra Corti, tra istituzioni, tra comunità di cittadini, tra legislatore e giudici[82]. E lo stesso periodico riaffiorare del dibattito sulla introduzione dell’opinione dissenziente nel nostro ordinamento può essere visto anche come una manifestazione di consapevolezza di tale nodo[83].
L’approccio che sembra sotteso alla fitta dinamica bidirezionale della comunicazione istituzionale posta in essere dalla Corte si inserisce in questo contesto altamente problematico. Da un lato, la pedagogia costituzionale mira a veicolare una lettura del tessuto costituzionale nel quale viviamo in grado di sostenere la legittimazione della Corte. Dall’altro, gli “input” che quest’ultima riceve dall’esterno contribuiscono a costruire il modo in cui essa interpreta il diritto costituzionale nella propria giurisprudenza, o almeno così sembra sulla base delle dichiarazioni dei presidenti sopra richiamate. In tal modo, la Corte ritiene dunque di potere (o, forse, di dovere) fare riferimento alle percezioni della “coscienza sociale” – pur manifestando l’intenzione di non farsi fuorviare dalle continue e umorali oscillazioni dell’opinione pubblica – per sciogliere la naturale molteplicità delle possibili concezioni delle clausole costituzionali che si contendono legittimamente il campo.
Alla luce di quanto fino ad ora notato, è possibile provare a individuare alcuni profili di debolezza del progetto comunicativo predisposto e attuato dal Giudice costituzionale negli ultimi anni.
Risulta innanzi tutto evidente come la Corte non possa essere assimilata agli altri attori della quotidiana conversazione costituzionale sui diritti e sui principi della Costituzione. È vero che essa fa certamente parte della “comunità aperta degli interpreti di quest’ultima”, rappresentando anzi il più autorevole di questi interpreti. Tuttavia, le diverse prospettive che in questa arena si contendono il campo possono contare, per così dire, solo sulle proprie forze, sui buoni argomenti che possono mettere in campo per guadagnare consensi. La Corte ha certo un “privilegio” quando parla come giudice, che è quello di arrestare il flusso del discorso su un determinato tema a un determinato momento, sia pure soltanto con riferimento a una specifica vicenda[84]. E va da sé l’ovvia autorevolezza e la connessa capacità attrattiva nei confronti degli altri interpreti della Costituzione che ciò comporta. Tutto questo, però, ha probabilmente un prezzo da pagare, che è quello se non di un’astensione almeno di un forte self restraint con riferimento ai suoi interventi nel dibattito pubblico mediante strumenti che non siano quelli istituzionali, poiché si potrebbe dubitare dell’opportunità che le pur legittime e spesso anche convincenti ricostruzioni di principi e clausole costituzionali che la Corte ritiene di dover veicolare siano assistite dalla posizione di privilegio che inevitabilmente deriva dalla sua situazione.
La figura tradizionale della Corte che “parla solo con le proprie sentenze” ha – tra l’altro – anche questo fondamento: il fondamento di evitare che della deferenza che naturalmente assiste la parola della Consulta si giovino anche le parole che sono pronunciate in sedi diverse da quelle a cui la deferenza è connessa. Colgono con efficacia questo nodo le critiche che, anch’esse dall’interno della Corte, ha rivolto alle recenti tendenze l’autorevole voce di Nicolò Zanon. Quest’ultimo ha infatti notato come difficilmente la «responsabilità di essere giudici della coerenza tra le leggi e la Costituzione possa tranquillamente accompagnarsi al compito di essere “educatori della Costituzione”». Ciò in quanto «individuare modi, strumenti e argomenti attraverso cui la Costituzione è giudizialmente da custodire, salvo casi-limite in cui tutto è chiarissimo, è delicata questione di interpretazione, e questa interpretazione non può che essere il faticoso risultato di decisioni su questioni concrete, all’esito, appunto, di una elaborazione giurisprudenziale». La eventuale individuazione di «messaggi» tratti da coerenti percorsi della giurisprudenza costituzionale non dovrebbe invece competere alla Corte, quanto piuttosto alla dottrina: è invece «discutibile» che «essi siano oggetto di “predicazione” da parte di giudici costituzionali che escono dal palazzo, “si aprono” alla società civile e diffondono il “verbo” (ma quale?)». Per Zanon si tratta «di una minimale applicazione del principio della separazione dei poteri»[85].
7.2. A proposito dei comunicati stampa
I profili problematici sopra segnalati, in effetti, paiono rilevare un po’ per tutti gli output comunicativi della Corte che siano caratterizzati da significativi apporti interpretativi, proponendosi con maggior importanza all’aumentare di questi. La valutazione, evidentemente, deve esser compiuta caso per caso, investendo peraltro sia gli aspetti contenutistici che quelli formali, inerenti – per così dire – ai “generi” di comunicazione. Da tale punto di vista è infatti possibile affermare che la Corte si esponga maggiormente in quelle attività che si è provato a qualificare di “pedagogia costituzionale”, e soprattutto in quei casi in cui si allontana dal “nucleo minimo condiviso” dalle diverse concezioni di clausole e diritti costituzionali che si contendono il campo[86]. Minore, invece, appare il rischio nel caso dei comunicati stampa, nonostante anche in questo caso aspetti problematici possano sorgere quanto più la Corte si allontani dalla mera “rendicontazione” della propria attività.
Con specifico riferimento ai comunicati stampa, va in particolare osservato come anche in questi ultimi l’urgenza di “entrare in sintonia” con il vasto pubblico possa creare qualche problema. Al netto di alcuni evidenti errori che talora contraddistinguono questa forma di comunicazione, e che francamente lasciano un po’ sconcertati[87], i comunicati sulle decisioni adottate inevitabilmente comportano reinterpretazioni e rimodulazioni delle complesse e sfaccettate conclusioni nelle stesse raggiunte. Siamo qui di fronte a un dilemma, che è stato efficacemente messo in luce da Giacomo D’Amico: il Giudice costituzionale «per un verso, è naturaliter portato a spiegare le ragioni delle decisioni attraverso un’opera di semplificazione e di chiarificazione dei “tecnicismi” delle pronunzie, che renda comprensibile anche ai non giuristi la portata dei propri decisa; per altro verso, però, non può prescindere dagli stessi “tecnicismi”, quanto meno nella misura in cui questi sono necessari per la stesura della motivazione»[88]. Per di più, se le reinterpretazioni delle decisioni contenute nei comunicati sono sovente “in levare”, la dottrina ha evidenziato come talvolta esse si siano spinte anche ad “aggiungere” qualcosa rispetto alla decisione cui si riferivano[89].
Si può ritenere che il “genere” in questione si esponga meno al rischio sopra illustrato, a patto però di mantenere il più possibile uno stile meramente espositivo che provi a render conto nel modo più fedele possibile della decisione che è stata adottata dalla Corte. La prassi degli ultimi anni sembra tuttavia andare in una direzione diversa, caratterizzata dalla ricerca di una comunicazione più diretta e meno paludata con il grande pubblico. Si tratta di una strada certo apprezzabile nelle intenzioni, che però deve essere percorsa con cautela, proprio perché in grado di aumentare il rischio di quelle “rimodulazioni interpretative” cui prima si faceva riferimento.
C’è un ultimo aspetto concernente i comunicati stampa al quale è opportuno far cenno, che riguarda l’intestazione degli stessi. Oggi i comunicati appaiono tutti intestati all’Ufficio stampa della Corte costituzionale. Se è chiaro che, di tale comunicazione, sia in definitiva comunque la stessa Corte a portare la responsabilità, nel caso dei comunicati inerenti alle “pronunce anticipate” tale intestazione potrebbe destare qualche perplessità. La scelta di anticipare la decisione rispetto alla stesura della motivazione (e ancor prima rispetto alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta ufficiale), come si sa, è motivata dalla comprensibile esigenza di evitare “fughe di notizie” incontrollate. Tuttavia, si tratta pur sempre di divulgazione di notizie coperte dal segreto della camera di consiglio, di cui solo quest’ultima può dirsi “padrona”. Parrebbe dunque quantomeno opportuno chiarire – proprio a partire dall’intestazione dei comunicati – che non solo la decisione di pubblicare un comunicato, ma il suo stesso contenuto sono stati deliberati dalla camera di consiglio. Secondo le testimonianze che provengono dall’interno degli uffici della Corte, del resto, è esattamente così che accade[90]. Parrebbe quindi opportuno dare evidenza a questa prassi, e anzi non sarebbe male provare a disciplinare, tramite lo strumento delle norme integrative, i casi e i modi in cui divulgare comunicazioni preventive delle decisioni adottate, come accade in altre esperienze processuali per la stesura e la lettura in udienza del dispositivo[91].
7.3. Input comunicativi e interpretazione della Costituzione
Un discorso a parte merita il capitolo degli input comunicativi che, come si è visto, la Corte ritiene di poter ricevere. Come si ricorderà, si tratta della conoscenza delle “situazioni di fatto” e delle “emozioni” connesse alle stesse, dalle quali la Corte ritiene di potere o dovere farsi guidare anche nella propria opera di interpretazione della Costituzione.
Ebbene, a questo riguardo non si può innanzi tutto fare a meno di notare, ancora una volta seguendo Nicolò Zanon, come un primo problema sia legato alla stessa inevitabile selezione delle situazioni di fatto con le quali “entrare in contatto”. Sul punto mi pare necessario essere particolarmente chiaro. La scelta operata dal Viaggio nelle carceri, per certi versi, non può che colpire in positivo. Non può che colpire l’idea che la Corte costituzionale come istituzione presti la sua attenzione a soggetti che senza dubbio sono da annoverarsi tra gli “ultimi” del consorzio civile, non solo per visitarli ma addirittura per ascoltare le loro voci. Non è difficile scorgere in questo anche un forte valore simbolico: la Costituzione è di tutti, difende tutti, e anzi in primo luogo chi non può difendersi da solo. Tuttavia Zanon solleva un problema al quale è difficile sottrarsi: perché quegli ultimi e non altri? E perché se la «distanza» dall’ambiente del carcere viene ridotta ciò non dovrebbe accadere per altri settori, come quello dei familiari delle vittime di particolari reati, dei migranti, degli ospedali, e via dicendo? E perché solo gli “ultimi” e non anche le diverse categorie di soggetti inevitabilmente incisi dalle decisioni della Corte? Se “ascoltare” è necessario per migliorare la “prestazione” di interpretazione costituzionale, perché solo alcune categorie possono beneficiare di prestazioni migliori? E tale interrogativo è ancor più importante ove si consideri che i soggetti portatori di interesse che non vengono “ascoltati” dalla Corte ben possono collocarsi in una dimensione dialettica o, addirittura, senz’altro oppositiva rispetto a quelli che vengono ascoltati.
Rileva qui nuovamente il tema dei disaccordi interpretativi, più sopra evocato. Dai discorsi dei presidenti sul tema, come si è visto, sembra legittimo desumere che il pluralismo delle interpretazioni che possono essere proposte per i più importanti diritti e clausole costituzionali possa essere sciolto anche attingendo alle sollecitazioni che la Corte ricava da queste esperienze comunicative. L’approccio pare ricordare, per certi versi, alcune versioni delle cd. teorie dei valori, secondo le quali la particolare versione di queste ultime, tra le molte possibili, andrebbe individuata innanzi tutto facendo riferimento alla “visione del mondo” radicata presso la coscienza sociale[92]. Si potrebbe forse ritenere che gli input teorizzati dalla Corte siano volti proprio in tale direzione. E tuttavia ci si deve chiedere se essi rappresentino lo strumento adatto, se la Corte possa farsi “levatrice” delle istanze presenti nella coscienza sociale in tal modo, ovvero se – a voler prendere sul serio il metodo sopra richiamato – non sarebbe più corretto dotarsi di strumenti scientifici adatti all’indagine sociologica[93].
Il punto è che qui si tocca con mano quello che è probabilmente uno dei maggiori problemi del costituzionalismo di oggi (e non solo…): se, cioè, debbano essere corti prive di legittimazione democratica anziché le assemblee elettive a riempire di significato clausole costituzionali vaghe e anfibologiche, e se la dimensione valutativa cui è inevitabile attingere per compiere questa operazione debba essere quella di soggetti che – per quanto si sforzino di “entrare in connessione” con l’opinione pubblica e la coscienza sociale – sono privi di una effettiva funzione rappresentativa. La questione non è certo nuova, ed echeggiava ad esempio nel noto dibattito tra Modugno e Zagrebelsky raccolto negli atti del convegno fiorentino del 1982[94]. Si tratta di quella che è nota, a partire dal fondamentale contributo di Alexander Bickel[95], con il nome di “difficoltà contromaggioritaria”, e rispetto alla quale negli Stati Uniti si è sviluppato un dibattito molto acceso e articolato[96]. Le posizioni critiche nei confronti del judicial activism spaziano da chi ritiene necessario minimizzare l’apporto “creativo” dei giudici adottando uno dei possibili approcci originalisti, fino ai sostenitori del popular constitutionalism, che invece ritengono necessario abbandonare del tutto il judicial review of legislation, transitando per tutta una serie di posizioni intermedie che non è possibile richiamare in questa sede neanche per cenni[97]. In Italia questo dibattito non è certo così fiorente, anche se negli ultimi anni non sono mancati alcuni importanti contributi sul tema[98]. È però utile farvi riferimento per evidenziare come la “politicità” della Corte sia più un problema che una risorsa[99], e che – come già evidenziava Vezio Crisafulli – il problema dell’invasione del campo del legislatore non si pone nella misura in cui il Giudice costituzionale estenda o espliciti «qualcosa che, seppure allo stato latente, [è] compreso nel sistema normativo in vigore»[100]. Risulta però ovvio che, se invece la Corte ritiene di potere andare oltre le “rime obbligate” esercitando una vera e propria funzione “creatrice” del diritto, i problemi accennati più sopra riesplodono in tutta la loro complessità, diventando così decisamente più difficile dar torto a chi accusa la giurisprudenza costituzionale di esondare in un ambito di stretta pertinenza della rappresentanza politica democratica[101]. E questi problemi non possono ovviamente essere risolti dalla per certi versi meritevole “apertura” comunicativa operata dalla Corte in questi anni, con i suoi input e i suoi output e il tentativo di collocarla in circuiti para-rappresentativi, la cui leggibilità in chiave di legittimazione democratica dell’organo, nonostante come si è visto in tal senso sia invocabile l’autorevole voce di Stefano Rodotà, pare francamente ardua[102].
Se la strada intrapresa dalla Corte non sembra promettente, rimangono però certamente numerosi e importanti problemi sul tappeto, poiché proprio per la natura “anfibologica” e polisemica delle clausole costituzionali più importanti non è affatto facile, in astratto, seguire le indicazioni di Crisafulli, individuando ciò che è compreso allo stato latente nel sistema costituzionale in vigore. Resta sempre, in particolare, il nodo di come evitare che il ricorso a quella dimensione valutativa, indispensabile per interpretare tali clausole e risolvere in base a queste specifici problemi di diritto costituzionale, si traduca nell’abdicazione all’intuizione etica dei singoli giudici anziché nell’applicazione di un “diritto” che, in qualche modo e in qualche senso, esiste al di fuori della loro dimensione soggettiva. E il modo più credibile che la riflessione teorica ha individuato per minimizzare questo rischio è, probabilmente, quello che punta a rinvenire gli elementi per procedere a tali giudizi nelle articolate trame dell’esperienza giuridica considerata nel suo complesso, comprensiva di tutti i discorsi e i comportamenti dei protagonisti della vita del diritto: i tribunali, i giuristi, gli amministratori pubblici, le persone che ricoprono cariche istituzionali, gli avvocati, gli studiosi, ma anche le persone comuni[103]. Le versioni più moderne di questo approccio guardano, dunque, alla «Constitution-in-practice»[104], concependo l’esperienza giuridica come una pratica sociale da proiettare verso il futuro, in modo da perseguire i fini ultimi della pratica stessa in una relazione di massima coerenza possibile con la storia della pratica[105]. Ed è probabilmente in questa chiave che può essere interpretata la tendenza delle Corti ad assecondare l’evoluzione sociale e politica piuttosto che a contrastarla[106].
Certo, si tratta solo di una tra le possibili chiavi di lettura che sono state proposte. Ma qui devono necessariamente entrare in gioco quelle che – per vero con toni alquanto irridenti – sono state chiamate “teorie costituzionali cosmiche”[107]: teorie che offrono letture comprensive della Costituzione e del diritto costituzionale in grado di prospettare le vie per risolvere i problemi giuridici che quotidianamente le Corti devono affrontare senza affidarli senz’altro al loro buon senso e al loro prudente apprezzamento. Queste teorie sono ovviamente in diuturna competizione tra loro, e anche l’individuazione di una che si ritenga preferibile potrà al massimo fornire un ideale regolativo[108] rispetto al quale calibrare la propria concreta attività interpretativa, sempre comunque limitata e fallibile. L’impresa è ardua, ma non pare che la dottrina costituzionalistica vi si possa sottrarre.
1. Si vedano, ad esempio, tra i contributi recenti a carattere più generale, P. Costanzo, La Corte costituzionale come “nodo” della rete, in Aa.Vv., Scritti in onore di Gaetano Silvestri, Giappichelli, Torino, 2016, vol. I, pp. 658 ss.; D. Chinni, La comunicazione della Corte costituzionale: risvolti giuridici e legittimazione politica, in Diritto e società, n. 2/2018, pp. 255 ss.; M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative e ricorso al web, in D. Chinni (a cura di), Potere e opinione pubblica. Gli organi costituzionali dinanzi alle sfide del web, Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, pp. 77 ss.; G. Sobrino, «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo? E in che modo? La “rivoluzione comunicativa” della Corte nell’attuale fase della giustizia costituzionale, in Federalismi, n. 15/2020, pp. 172 ss. Un quadro interessante dei temi e dei problemi, sia pure collocato nel contesto di una riflessione più generale sul momento che vive attualmente la Corte costituzionale, è reperibile in A. Morrone, Suprematismo giudiziario. Su sconfinamenti e legittimazione politica della Corte costituzionale, in Quaderni costituzionali, n. 2/2019, pp. 251 ss., part. pp. 268 ss.
2. Cfr., ad esempio, A. Gragnani, Comunicati-stampa dal Palazzo della consulta anziché provvedimenti cautelari della Corte costituzionale? Sugli «effetti preliminari» della dichiarazione d’incostituzionalità, in Rivista AIC, n. 2/2013 (www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/2_Gragnani_2013.pdf); G. D’Amico, Comunicazione e persuasione a Palazzo della Consulta: i comunicati stampa e le «voci di dentro» tra tradizione e innovazione, in Diritto e società, n. 2/2018, pp. 237 ss.; A. Vaccari, Il ruolo dei comunicati stampa nel recente ‘caso Cappato’, in D. Chinni (a cura di), Potere e opinione pubblica, op. cit., pp. 185 ss. Per una prospettiva che abbraccia varie esperienze costituzionali (anche se dedicata in particolare a quella tedesca) vds. P. Meyer, Judicial Public Relations: Determinants of press release publication by constitutional courts, in Politics, vol. 40, n. 4/2020 (prima uscita online: 26 novembre 2019), pp. 477 ss.
3. Cfr., ad esempio, L. D’Andrea, La Corte costituzionale commenta se stessa (attraverso le conferenze stampa del sui Presidente), in A. Ruggeri (a cura di), La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Giappichelli, Torino, 1994, pp. 377 ss.
4. A. Sofri, Una Corte senza mondanità. Lettera a Cartabia, Il Foglio, 2 giugno 2020, www.ilfoglio.it/giustizia/2020/06/02/news/lettera-a-cartabia-320428/.
5. Ciò anche nella convinzione che siano altri, diversi da quello del diritto costituzionale, i settori disciplinari dotati degli strumenti migliori per studiare la comunicazione della Corte in quanto tale, ossia come attività comunicativa da parte di un’istituzione pubblica tramite media tradizionali e nuovi media.
6. Cfr., ad esempio, D. Chinni, La comunicazione della Corte costituzionale, op. cit., p. 256; M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., 77 ss.; G. Sobrino, «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo?, op. cit., p. 177.
7. Cfr. ad esempio, G. Sobrino, op. ult. cit., pp. 206 ss.
8. Di “ibridazione” discorre E. Cheli, Il giudice delle leggi, Il Mulino, Bologna, 1996, p. 30.
Non è possibile qui ripercorrere le tappe del percorso di riflessione sulle “due anime” della Corte costituzionale, che si snoda nell’esperienza repubblicana sin dall’inizio, ben prima che quest’ultima cominciasse a operare, risalendo anzi ad alcune posizioni manifestate in Assemblea costituente in connessione con il tema della “politicità” dei principi costituzionali “programmatici” (cfr. al riguardo C. Mezzanotte, Il giudizio sulle leggi. I. Le ideologie del Costituente, Giuffrè, Milano, 1979, pp. 180 ss.). In tema si rinvia, per tutti, a R. Romboli, Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”. Una tavola rotonda per ricordare Alessandro Pizzorusso ad un anno dalla sua scomparsa, in Id. (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte. Le oscillazioni della Corte costituzionale tra l’anima “politica” e quella “giurisdizionale”, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 1 ss., nel quale sono peraltro accuratamente “censiti” i diversi modi nei quali la distinzione tra le due “anime” viene tematizzata (cfr. part. pp. 6 ss.).
9. Il riferimento è ovviamente al notissimo Corte costituzionale e legittimazione politica, Tipografia Veneziana, Roma, 1984. Nella elaborazione di Carlo Mezzanotte l’esigenza di legittimazione politica discende dalla circostanza secondo la quale il Giudice costituzionale si trova a offrire una prestazione di unità in base al valore, inevitabilmente caratterizzata da astrattezza e non priva di venature puramente simboliche, che però – proprio in ragione dei compiti istituzionali della Corte – non può limitarsi a questa sola dimensione. La Corte non può infatti offrire una prestazione “meramente trascendente”, dovendo viceversa tale prestazione «orientarsi verso la realtà» e assumere una dimensione di concretezza, senza però cadere nel rischio che il singolo intervento tradisca una «scelta definitiva tra aspettative diverse che godono tutte di eguale legittimazione formale». Tale attività, tuttavia, secondo Mezzanotte rifugge da qualunque automatismo, e si connota come inevitabilmente politica – anche se in senso necessariamente diverso rispetto a Parlamento e Governo – e necessita di una valutazione orientata al risultato, nella quale assume particolare importanza la congruenza rispetto al fatto, in relazione alla quale il Giudice costituzionale gioca – in una misura non indifferente, e secondo Mezzanotte probabilmente destinato a crescere nel tempo – la partita della propria legittimazione (C. Mezzanotte, Corte costituzionale e legittimazione politica, op. cit., pp. 131 ss.).
10. Al riguardo si vedano, ad esempio, M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, in V. Tondi della Mura - M. Carducci - R.G. Rodio (a cura di), Corte costituzionale e processi di decisione politica, Giappichelli, Torino, 2005, pp. 90 ss.; D. Chinni, Prime considerazioni su Corte costituzionale e opinione pubblica, in P. Carrozza - V. Messerini - R. Romboli - E. Rossi - A. Sperti - R. Tarchi (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. La Corte costituzionale di fronte alle sfide del futuro, Pisa University Press, Pisa, 2018, pp. 281 ss. Con particolare riguardo al rapporto tra indirizzi giurisprudenziali e opinione pubblica, cfr. inoltre O. Chessa, I giudici del diritto. Problemi teorici della giustizia costituzionale, Franco Angeli, Milano, 2014, pp. 254 ss.
È bene, peraltro, precisare come il tema merita di essere indagato anche con analisi quantitative che evidentemente sono al di là della portata del giurista, ma che a quest’ultimo potrebbero comunque giovare non poco. Vds., ad esempio, con specifico riguardo alla Corte suprema degli Stati Uniti, W.F. Murphy e J. Tanenhaus, Public Opinion and the United States Supreme Court: Mapping of Some Prerequisites for Court Legitimation of Regime Changes, in Law & Society Review, vol. 2, n. 3/1968, pp. 357-384.
11. Si vedano, ad esempio, oltre a P. Meyer, Judicial Public Relations, op. cit., i contributi raccolti in R. Davis e D. Taras (a cura di), Justices and Journalists. The Global Perspective, Cambridge Universty Press, Cambridge, 2017, ove si mettono in luce – pur tra le differenze, anche notevoli, che separano le esperienze considerate – i denominatori comuni di queste ultime, rappresentati dalla sempre maggiore apertura delle Corti supreme rispetto all’opinione pubblica, il crescente ricorso a figure professionali del settore e l’incremento dell’utilizzazione delle tecnologie offerte dal web (cfr. part. D. Taras, Introduction. Judges and Journalists and the Spaces in Between, ivi, pp. 1-13).
12. Questo il celebre passo, contenuto nel par. 78 del Federalista: «Il giudiziario (…) non può influire né sulla spada né sulla borsa, non può dirigere né la forza né la ricchezza della società e non può addivenire ad alcuna decisione veramente risolutiva. Si può, a ragione, dire che esso non ha forza né volontà, ma soltanto giudizio e dovrà ricorrere all’aiuto del governo perfino per dare esecuzione ai propri giudizi» (A. Hamilton - J. Madison - J. Jay, Il Federalista, Il Mulino, Bologna, 1997, p. 623).
13. A.M. Bickel, The Least Dangerous Branch. The Supreme Court at the Bar of Politics, Yale University Press, New Haven-Londra, 1986, p. 204. Si tratta di “luoghi” ormai classici, ripresi ad esempio anche da A. Barak, La discrezionalità del giudice, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 210 ss.
14. J. Rawls, Liberalismo politico, Edizioni di Comunità, Milano, 1999, p. 202.
15. Il riferimento qui è ovviamente alla notissima tesi di Herbert Hart sulla rule of recognition (H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, Einaudi, Torino, 2002).
16. Ci si riferisce qui, in particolare, alla elaborazione di Neil MacCormick, il quale, nella sua particolare rilettura del pensiero hartiano, evidenzia l’importanza della “volontà” di una parte del gruppo sociale considerato che la norma di riconoscimento venga osservata e sulla minaccia in grado di assicurare che questa volontà si tramuti in realtà (N. MacCormick, Ragionamento giuridico e teoria del diritto, Giappichelli, Torino, 2001, part. p. 73).
17. I rapporti tra costituzione scritta e norma di riconoscimento sono in effetti problematici. Secondo Hart, negli ordinamenti dotati di costituzione scritta è quest’ultima ad essere la norma di riconoscimento. Non si afferma l’esistenza di una ulteriore norma di riconoscimento sulla cui base affermare la validità della Costituzione. Questa idea è invece sostenuta – per restare alla dottrina costituzionalistica –, ad esempio, da O. Chessa, Cos’è la Costituzione? La vita del testo, in Quaderni costituzionali, n. 1/2008, pp. 41 ss., part. pp. 44 ss., e M. Dogliani, Diritto costituzionale e scrittura, in Ars interpretandi, n. 2/1997, pp. 103 ss., part. p. 112.
18. Cfr. M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, op. cit., p. 115.
Sul punto rimane ancora di grande attualità la riflessione che Crisafulli dedica al tema, quando osserva come la «mancanza di legittimazione democratica» della Corte costituzionale sia in qualche modo «inevitabile ed anzi in qualche misura necessaria per assicurare l’effettiva estraneità del “controllore” al “controllato”», poiché se Camere e Corte «derivassero egualmente dall’investitura popolare» si configurerebbe «un alto grado di omogeneità politica e quasi un continuum tra i due poteri, ma a prezzo di un affievolimento del controllo, che finirebbe per rassomigliare ad un autocontrollo»: vds. V. Crisafulli, La Corte costituzionale ha vent’anni, in N. Occhiocupo (a cura di), La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale. Bilancio di vent’anni di attività, Il Mulino, Bologna, 1978, pp. 69 ss., part. p. 74.
19. Non può non venire in rilievo la ormai nota ricostruzione proposta da Gustavo Zagrebelsky con riguardo all’ambivalente rapporto tra la Corte e la “politica”, descritto efficacemente dalla formula della Corte in-politica. Secondo l’illustre studioso, questo rapporto è di estraneità – e dunque la Corte è non-politica – «se per politica si intende competizione tra parti per l’assunzione e la gestione del potere». Viceversa, il rapporto è di implicazione – con la Corte che dunque sta dentro la politica – «se per politica si intende l’attività finalizzata alla convivenza»: vds. G. Zagrebelsky, Principi e voti. La Corte costituzionale e la politica, Einaudi, Torino, 2005, p. 39; cfr. anche Id., Corte in-politica, in Aa.Vv., 1956-2006. Cinquant’anni di Corte costituzionale, vol. III, Corte costituzionale, Roma, 2006, pp. 1789 ss.
20. In tal senso, almeno in parte, sembra ad esempio essere orientato un autore del calibro di R. Dworkin, secondo il quale l’equità politica (fairness) è tanto più rispettata quanto più la decisione si avvicina alle convinzioni più diffuse nell’opinione pubblica (cfr. R. Dworkin, Law’s Empire, Fontana Paperbacks, Londra, 1986, pp. 340 ss. e 365 ss.). Il suo notissimo giudice Hercules deve dunque tenerne conto. Tuttavia, la fairness è solo uno dei principi di moralità politica che Hercules si trova a dover considerare, dovendosi ricercare una composizione ragionevole con le istanze della justice, ossia con i principi sostantivi che Hercules ritiene dovrebbero determinare la decisione concreta. Il conflitto tra fairness e justice, talvolta, deve dunque essere risolto a beneficio della prima, ma talaltra a beneficio della seconda, in base alle circostanze. E queste circostanze dipendono dalla concezione che Hercules matura circa i diritti da aggiudicare e le previsioni da interpretare (cfr., ad esempio, ivi, pp. 397-398). Decisamente nel senso della necessità di tener conto del «consenso sociale» al fine di definire le decisioni giurisdizionali è, inoltre, A. Barak, La discrezionalità del giudice, op. cit., pp. 208 ss.
21. La relazione del presidente Lattanzi è reperibile online alla pagina: www.cortecostituzionale.it/documenti/news/CC_NW_20190902.pdf.
22. Da segnalare senz’altro per la loro importanza, dal punto di vista considerato in questa sede, le presidenze Sandulli, Branca e Bonifacio, che imprimono svolte significative nel modo di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per entrare in contatto con la pubblica opinione. Cfr. M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, op. cit., p. 126. L’esistenza di una “vocazione originaria” della Corte costituzionale alla comunicazione diretta nei confronti dell’opinione pubblica è stata di recente particolarmente enfatizzata da D. Stasio, Il senso della Corte per la comunicazione, pubblicato in anteprima in questa Rivista online il 30 settembre 2020 (www.questionegiustizia.it/articolo/il-senso-della-corte-per-la-comunicazione), ora ricompreso nel presente fascicolo.
23. Per una ricostruzione, vds. M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, op. cit., pp. 145 ss., al quale si rinvia anche per ulteriori riferimenti bibliografici sul tema.
24. Cfr. ancora M. Fiorillo, op. ult. cit., p. 145.
25. In tema si vedano, tra gli altri, S. Aloisio, Alcuni cenni sull’evoluzione delle esternazioni del Presidente della Corte costituzionale e sulle prospettive del fenomeno; G. Azzariti, Il ruolo del Presidente della Corte costituzionale nella dinamica del sistema costituzionale italiano; G. Gemma, Alcune osservazioni sul potere di esternazione del Presidente della Corte costituzionale, tutti reperibili in P. Costanzo (a cura di), L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, Giappichelli, Torino, 1996, rispettivamente alle pp. 169 ss., 182 ss. e 201 ss.
26. In tema, vds. C. Rodotà, Storia della Corte costituzionale, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 121 ss.
27. Riporta l’episodio C. Rodotà, op. ult. cit., p. 124.
28. M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, op. cit., 145, che evidenzia ad esempio come si sia creata, attorno al Giudice costituzionale, una «atmosfera da mistero eleusino» con riguardo alle decisioni di ammissibilità delle richieste referendarie (p. 132). Le note contestazioni di Marco Pannella al riguardo sono efficacemente richiamate da C. Rodotà, Storia della Corte costituzionale, op. cit., pp. 101 e 137.
29. M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., p. 83. In tal senso cfr. anche M. Fiorillo, Corte costituzionale e opinione pubblica, op. cit., p. 147. Per una lettura differente vds., invece, D. Stasio, Il senso della Corte, op. cit. Sul tema si tornerà comunque nelle pagine che seguono.
30. Tra i molti che al riguardo si potrebbero citare, vds. il notissimo contributo di F. Modugno, Corte costituzionale e potere legislativo, in P. Barile - E. Cheli - S. Grassi (a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, Il Mulino, Bologna, 1982, pp. 19 ss., part. pp. 25 ss.
31. Cfr., ad esempio, A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., pp. 251 ss., part. pp. 268 ss.; D. Chinni, La comunicazione della Corte costituzionale, op. cit., pp. 260 ss.; M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., pp. 84 ss.; G. Sobrino, «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo?, op. cit., pp. 175 ss.
32. Vds. P. Costanzo, La Corte costituzionale come “nodo” della rete, op. cit.
33. Questa, ad esempio, la posizione che emerge dalle pagine di D. Stasio, Il senso della Corte, op. cit.
34. In tema, cfr. M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., p. 84.
35. Cfr. ancora M. Nisticò, op. ult. cit., pp. 84 ss.
36. M. Nisticò, op. ult. cit., p. 87.
37. Sul primo vds., ad esempio, F. Covino, Corte costituzionale e carcere. Un dialogo attraverso la Costituzione, in D. Chinni (a cura di), Potere e opinione pubblica, op. cit., pp. 107 ss.
38. Una prima indagine di questo tipo è già reperibile in M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., pp. 84 ss.
39. Come si accennava, questi ultimi possono esser visti come strumenti rivolti in primo luogo al pubblico generale, ma non c’è dubbio che – ad esempio, per chi svolga la professione forense, magari proprio presso la Corte costituzionale – l’immediata informazione concernente le decisioni adottate da quest’ultima rappresenta un ausilio non da poco per il proprio lavoro.
40. Così G. D’Amico, Comunicazione e persuasione, op. cit., p. 253; M. Nisticò, Corte costituzionale, strategie comunicative, op. cit., p. 102.
41. Cfr., ad esempio, la Relazione del Presidente Giorgio Lattanzi sull’attività svolta nell’anno 2018 e la Relazione della Presidente Marta Cartabia sull’attività del 2019, ambedue reperibili online all’indirizzo: www.cortecostituzionale.it/actionRelazioniPresidenti.do. Nella prima, ad esempio, si afferma che la Corte «ha maturato la consapevolezza che deve uscire dal Palazzo, deve farsi conoscere e deve conoscere, deve farsi capire e deve capire», e che «si è resa conto che per comunicare con il Paese non è sufficiente rendere note le proprie sentenze, pubblicarle nelle forme consuete e affidarle alla lettura degli esperti»; la seconda è forse ancora più esplicita, individuando nel 2019 «l’anno della grande apertura della Corte costituzionale alla società civile e alla dimensione internazionale».
42. Vds. il primo paragrafo della citata Relazione della Presidente Marta Cartabia sull’attività del 2019.
43. D. Stasio, Il senso della Corte, op. cit.
44. Con riferimento al Viaggio nelle carceri, in dottrina si è correttamente evidenziato come quest’ultimo non possa senz’altro essere ritenuto una mera applicazione dell’art. 67 l. n. 354/1975, che prevede la possibilità, per i giudici costituzionali, di visitare gli istituti penitenziari. Ciò in quanto l’iniziativa – a prescindere dal numero dei giudici costituzionali di volta in volta recatisi nel singolo istituto – è frutto di una iniziativa collegiale dell’intero organo (così D. Chinni, La comunicazione della Corte costituzionale, op. cit., p. 263).
45. Cfr. A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., p. 276; G. Sobrino, «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo?, op. cit., p. 183. Un interessante studio quantitativo sulla selezione dei casi oggetto di comunicazione, con specifico riferimento al Tribunale costituzionale federale tedesco, è contenuto in P. Meyer, Judicial Public Relations, op. cit., part. pp. 7 ss.
46. Coglie efficacemente questo punto A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., pp. 274 ss. In tema cfr., inoltre – con riferimento non solo alla Corte costituzionale –, G. Serges, Internet quale strumento di propaganda e organi costituzionali. Primi appunti sparsi, in D. Chinni (a cura di), Potere e opinione pubblica, op. cit., pp. 141 ss., part. pp. 154 ss.
47. Relazione del Presidente Giorgio Lattanzi sull’attività svolta nell’anno 2018, op. cit., par. 1.
48. Relazione della Presidente Marta Cartabia sull’attività del 2019, op. cit., par. 1.
49. Relazione del Presidente Giorgio Lattanzi sull’attività svolta nell’anno 2018, op. cit., par. 1. Si sofferma su questo aspetto F. Covino, Corte costituzionale e carcere, op. cit., p. 111.
50. Così la Relazione del Presidente Paolo Grossi sulla giurisprudenza costituzionale del 2017, par. 6, reperibile online sul sito istituzionale della Corte all’indirizzo: www.cortecostituzionale.it/actionRelazioniPresidenti.do.
51. Relazione del Presidente Giorgio Lattanzi sull’attività svolta nell’anno 2018, op. cit., par. 1.
52. Il principio della open justice è del resto individuato quale guida dell’apertura comunicativa delle Corti da alcuni studi che si sono sviluppati sul tema. Cfr. ancora P. Meyer, Judicial Public Relations, op. cit., p. 5.
53. Pare dunque sussistere la tendenza ad andare oltre alla one way communication che le Corti tendono solitamente a preferire (cfr. P. Meyer, op. ult. cit., ibid.), anche se ovviamente entro limiti rigorosamente circoscritti e con strumenti che la Corte stessa definisce.
54. Cfr. G. Silvestri, Del rendere giustizia costituzionale, in questo fascicolo (pubblicato in anteprima in questa Rivista online il 13 novembre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/del-rendere-giustizia-costituzionale).
55. L’aspetto “emozionale” è particolarmente enfatizzato nella Relazione del Presidente Giorgio Lattanzi sull’attività svolta nell’anno 2018, op. cit., par. 1.
56. Cfr. R. Romboli, Le oscillazioni della Corte, op. cit., part. pp. 6 ss.
57. Circa i possibili modi di intendere la “politicità” della Corte e delle sue decisioni, vds. anche G. Serges e C. Tomba, Dossier sulla giurisprudenza costituzionale, in R. Romboli (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte, op. cit., pp. 535 ss.
58. Cfr. R. Romboli, Le oscillazioni della Corte, op. cit., pp. 8-9.
59. Questo rilievo talvolta assume le vesti di un disvelamento, sostenendosi ad esempio che il disconoscimento della necessaria creatività con la quale vengono riempite di senso le clausole costituzionali valutativamente orientate rappresenterebbe «la più presuntuosa delle fictiones iuris». Così A. Spadaro, Sulla intrinseca “politicità” delle decisioni “giudiziarie” dei tribunali costituzionali contemporanei, in R. Romboli (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. Il pendolo della Corte, op. cit., pp. 117 ss., part. p. 121.
60. Di recente, vds. ad esempio M. Dogliani, La sovranità (perduta?) del Parlamento e la sovranità (usurpata?) della Corte costituzionale, in R. Romboli (a cura di), op. ult. cit., pp. 75 ss.
61. Cfr. C. Mezzanotte, Corte costituzionale e legittimazione politica, op. cit., pp. 140 ss.
Per l’auspicio del controllo dell’opinione pubblica sulla Corte e dei connessi meccanismi di controllo diffuso, vds. S. Rodotà, La Corte, la politica, l’organizzazione sociale, in P. Barile - E. Cheli - S. Grassi (a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, op. cit., pp. 489 ss., part. p. 507.
62. Si veda, in particolare, la Relazione della Presidente Marta Cartabia sull’attività del 2019, op. cit., parr. 3.2 ss.
63. Il punto è stato rilevato da autorevoli commentatori. Si vedano, ad esempio, con varietà di accenti, G. Silvestri, Del rendere giustizia costituzionale, op. cit.; A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., pp. 251 ss.; M. Ruotolo, L’evoluzione delle tecniche decisorie della Corte costituzionale nel giudizio in via incidentale. Per un inquadramento dell’ord. n. 207 del 2018 in un nuovo contesto giurisprudenziale, in Rivista AIC, n. 2/2019, pp. 644 ss.
Tra le decisioni in cui questo recente approccio ha preso corpo si devono segnalare – oltre a quelle concernenti il notissimo “caso Cappato”, ossia la sent. n. 242/2019 e l’ord. n. 207/2018 – le sentt. n. 40/2019 (in tema di sanzioni penali per la detenzione di stupefacenti), 236/2016 (in tema di sanzioni penali per l’alterazione dello stato civile di un neonato), 222/2018 (in tema di bancarotta fraudolenta), 249/2018 (in tema di accesso ai benefici penitenziari). Con riferimento alle tecniche processuali – ancora una volta oltre alla vicenda del leading case “Cappato” – vds. invece la recente ord. n. 242/2020, concernente il trattamento sanzionatorio della diffamazione a mezzo stampa, che rinvia a una successiva udienza la trattazione del merito della questione, al fine di «consentire al legislatore di approvare nel frattempo una nuova disciplina» coerente con i principi individuati nella medesima ordinanza. Questi orientamenti giurisprudenziali – quello di merito e quello processuale –, pur accomunati dalla “espansione” dei margini di manovra che la Corte si riconosce, sono ovviamente differenti tra loro, anche se talvolta possono combinarsi insieme. Ciascuno di essi meriterebbe dunque un’analisi apposita, che ovviamente non può essere proposta in questa sede.
64. S. Leone, La Corte costituzionale censura la pena accessoria fissa per il reato di bancarotta fraudolenta. Una decisione a «rime possibili», in Quaderni costituzionali, n. 1/2019, pp. 183 ss.; S. Catalano, La sentenza 242 del 2019: una pronuncia additiva molto particolare senza ‘rime obbligate’, in Osservatorio AIC, n. 2/2020.
65. Cfr. A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., part. par. 5 (Dalla ragionevolezza a rime obbligate alla proporzionalità a rime libere).
66. Così E. Grosso, Il rinvio a data fissa nell’ord. n. 207/2018. Originale condotta processuale, nuova regola processuale o innovativa tecnica di giudizio, in Quaderni costituzionali, n. 3/2019, p. 531.
67. Attira l’attenzione alla «ricerca di un consenso intorno alle decisioni prese», con riferimento proprio ad alcune sentenze in cui la Corte avrebbe riconfigurato i propri limiti, A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., p. 258. L’enfasi sulla relazione tra il “momento” della giustizia costituzionale e la «rivoluzione comunicativa» della Corte è reperibile anche in G. Sobrino, «Uscire dal Palazzo della Consulta»: ma a che scopo?, op. cit., pp. 172 ss.
68. Si richiama qui la nota espressione di Paolo Barile, secondo il quale la Costituzione contiene norme «anfibologiche», in quanto «interpretabili in vario senso a seconda delle forze politiche dominanti» (P. Barile, Costituzione italiana, in Novissimo Digesto Italiano, vol. IV, Utet, Torino, 1959, p. 1058).
69. Vds. Le funzioni (del Giudice costituzionale), reperibile nel sito istituzionale della Corte: www.cortecostituzionale.it/jsp/consulta/istituzioni/le_funzioni.do.
70. Non a caso F. Modugno, La giurisprudenza costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1978, I, p. 1251, discorreva al riguardo di composizione «parzialmente» o «diversamente» rappresentativa.
71. S. Rodotà, La Corte, la politica, l’organizzazione sociale, op. cit., pp. 505 ss.
72. M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giurisprudenza costituzionale, n. 2/2006, pp. 1643 ss.
73. Sul complesso problema dei disaccordi nel diritto, in grado di porre da più di un punto di vista questioni teoriche non di poco momento, si vedano ad esempio gli scritti raccolti in P. Luque Sánchez e G.B. Ratti (a cura di), Acordes y desacuerdos. Cómo y porqué los juristan discrepan, Marcial Pons, Madrid, 2012.
74. Cfr. V. Villa, Disaccordi interpretativi profondi. Saggio di metagiurisprudenza ricostruttiva, Giappichelli, Torino, 2017; Id., Disaccordi interpretativi profondi, Mucchi, Modena, 2016.
75. V. Villa, Disaccordi interpretativi profondi. Saggio di metagiurisprudenza ricostruttiva, op. cit., pp. 4-5.
76. Ivi, pp. 84 ss.
77. Ivi, p. 23.
78. Ossia nozioni che, pur avendo una comune base concettuale, sono caratterizzate da interpretazioni e valutazioni che le declinano in modo diverso, senza che sia possibile sbarazzarsi sbrigativamente di tali differenti interpretazioni: così V. Villa, Conoscenza giuridica e concetto di diritto positivo. Lezioni di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 1993, p. 12. La formula «essentially contested concepts» si deve, come è noto, a W.B. Gallie, Essentially Contested Concepts, in Proceedings of the Aristotelian Society, vol. LVI (1955-1956), pp. 167 ss.
79. Cfr., ad esempio, R. Dworkin, La giustizia in toga, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 13.
80. Cfr., al riguardo, H.L.A. Hart, Il concetto di diritto, op. cit., pp. 185 ss. Alla elaborazione hartiana fa esplicito riferimento J. Rawls, Una teoria della giustizia, op. cit., pp. 23 ss. Lo stesso Dworkin, del resto, utilizza ampiamente la distinzione tra concetto e concezioni in passi importanti del suo Law’s Empire, op. cit., pp. 90 ss.
81. Pure in questo caso si può rinviare a V. Villa, Disaccordi interpretativi profondi. Saggio di metagiurisprudenza ricostruttiva, op. cit., pp. 58 ss. e 102 ss., anche per ampi riferimenti bibliografici su un tema così complesso e articolato.
82. M. D’Amico, I diritti contesi. Problematiche attuali del costituzionalismo, Franco Angeli, Milano, pp. 19 ss. Ma i riferimenti bibliografici si potrebbero moltiplicare.
83. Cfr., di recente, l’intervista rilasciata dal giudice costituzionale Nicolò Zanon: A. Fabozzi, Zanon: «È tempo che la Corte faccia conoscere l’opinione dissenziente», Il Manifesto, 29 dicembre 2020, https://ilmanifesto.it/e-tempo-che-la-corte-costituzionale-faccia-conoscere-lopinione-dissenziente/.
84. Così, efficacemente, J.J. Moreso, La doctrina Julia Roberts y la objectividad del dercho, in Id., La Constitución: modelo para armar, Marcial Pons, Madrid, 2009, pp. 175 ss.
85. N. Zanon, Su alcune questioni e tendenze attuali intorno alla motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, tra forma e sostanza, in V. Marcenò e M. Losana (a cura di), Come decide la Corte dinanzi a “questioni tecniche”. Incontri sulla giurisprudenza costituzionale, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ), 2020, pp. 25 ss., part. pp. 27-28.
86. Al riguardo è di nuovo possibile richiamare N. Zanon, Su alcune questioni, op. cit., pp. 27-28, che condivisibilmente evidenzia come ben pochi problemi possano sorgere per le visite nelle scuole, ove ci si limiti «a diffondere un’informazione sulla Corte, in una forma un poco più raffinata e solenne di quella che avveniva o avviene tramite la tradizionale educazione civica».
87. Ci si riferisce in particolare ai casi, piuttosto numerosi, in cui si annuncia la “legittimità” delle previsioni normative di volta in volta sottoposte al giudizio della Corte. Tra i più recenti si vedano, ad esempio, i comunicati del 9 ottobre 2020 («Legittima l’istituzione da parte dello Stato dell’autorità portuale dello stretto di Messina») e del 24 luglio 2020 («Legittime le POER delle agenzie fiscali: sono incarichi temporanei e non hanno natura dirigenziale»). Ora, al di là della semplificazione – già di per se stessa probabilmente eccessiva – che conduce a discorrere di “legittimità” anziché di “legittimità costituzionale”, colpisce come la Corte induca a ritenere senz’altro come “conformi a Costituzione” le norme scrutinate, quando è noto che, come si usa dire, nei casi in cui si addivenga al rigetto della questione non viene rilasciata alcuna “patente di legittimità costituzionale” alla norma oggetto del dubbio sollevato dal rimettente, ben potendosi successivamente giungere alla declaratoria di incostituzionalità della stessa, pure per violazione degli stessi parametri individuati da quest’ultimo. Ecco, proprio l’obiettivo di diffondere la cultura della Costituzione dovrebbe indurre a sorvegliare maggiormente questi aspetti tecnici, ma importanti, dei comunicati stampa, anche al fine di non ingenerare false aspettative in quel pubblico generale con il quale la Corte intende interloquire.
88. G. D’Amico, Comunicazione e persuasione, op. cit., p. 239.
89. Cfr. part. A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., p. 278, il quale evidenzia come i comunicati inerenti al “caso Cappato” e il ricorso del gruppo parlamentare del Pd in relazione alla procedura di approvazione delle legge di bilancio per il 2019 dichiaravano «cose che solo in minima parte (erano) contenute nelle motivazioni» dei relativi provvedimenti.
90. Cfr. D. Stasio, Il senso della Corte, op. cit., par. 6.
91. Cfr., ad esempio, gli artt. 544 e 545 cpp.
92. Cfr., ad esempio, L. D’Andrea, Ragionevolezza e legittimazione del sistema, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 277 ss.
93. La difficoltà di rilevare in concreto quale possa essere la “coscienza sociale” su una determinata questione è sollevata da A. Barak, La discrezionalità del giudice, op. cit., p. 209, il quale però ritiene che, ove risulti difficile identificare il «consenso sociale» su una determinata questione od ove lo stesso debba ritenersi non sussistente, «non necessariamente l’esigenza di tenerne conto deve influenzare la discrezionalità del giudice».
94. Cfr. F. Modugno, Corte costituzionale e potere legislativo, e G. Zagrebelsky, La Corte costituzionale e il legislatore, entrambi in P. Barile - E. Cheli - S. Grassi (a cura di), Corte costituzionale e sviluppo della forma di governo in Italia, op. cit., rispettivamente alle pp. 19 ss. e 103 ss.
95. A. Bickel, The Least Dangerous Branch, op. cit.
96. Si tratterebbe addirittura di una “ossessione accademica”, secondo B. Friedman, The Birth of an Academic Obsession: The History of the Countermajoritan Difficulty, Part Five, in The Yale Law Journal, vol. 112, n. 2/2002, pp. 153 ss.
97. In tema, nella dottrina italiana, cfr. diffusamente O. Chessa, I giudici del diritto, op. cit., pp. 103 ss.; C. Valentini, Le ragioni della Costituzione. La Corte suprema americana, i diritti e le regole della democrazia, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 143 ss. A questi contributi si rinvia anche per le approfondite indicazioni bibliografiche ivi reperibili. Per un inquadramento del tema anche alla luce della più generale questione filosofica della legittimità delle decisioni politiche, cfr. S. Linares, La (i)legitimidad democrática del control judicial de las leyes, Marcial Pons, Madrid, 2008.
98. Con toni fortemente critici nei confronti delle tendenze attuali del controllo di costituzionalità si vedano, soprattutto, A. Pintore, I diritti della democrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003, e A. Carrino, La Costituzione come decisione. Contro i giusmoralisti, Mimesis, Milano-Udine, 2019. Punta invece a «sdrammatizzare» la difficoltà contromaggioritaria O. Chessa, I giudici del diritto, op. cit., p. 241 ss., evidenziando da un lato il carattere «interstiziale» ed «episodico» del diritto giurisprudenziale frutto del judicial review of legislation (p. 253), e dall’altro la generale tendenza delle Corti ad assecondare, più che a contrastare, i grandi movimenti della politica e dell’opinione pubblica (pp. 254 ss.).
99. Si può peraltro evidenziare come la riproposizione della natura (anche) politica della giustizia costituzionale rischi di riproporre l’antico adagio della Corte “vestale della Costituzione” a fianco della magistratura “vestale della legge” (E. De Nicola, La Corte inizia la sua attività, discorso pronunciato nella udienza inaugurale del 23 aprile 1956 alla presenza del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, adesso in Aa. Vv., 1956-2006. Cinquant’anni di Corte costituzionale, vol. I, Corte costituzionale, Roma, 2006, pp. 13 ss.): il che appare non pienamente coerente con la tendenza, che ormai da tempo la dottrina individua, a una sempre maggiore “diffusione” del giudizio di costituzionalità (cfr., ad esempio, i contributi raccolti in E. Malfatti - R. Romboli - E. Rossi (a cura di), Il giudizio sulle leggi e la sua “diffusione”, Giappichelli, Torino, 2001; ma di recente, sul tema, vds. l’interessante contributo di C. Padula, Le “spinte centripete” nel giudizio incidentale di costituzionalità, in questo fascicolo, pubblicato in anteprima in questa Rivista online il 23 ottobre 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/le-spinte-centripete-nel-giudizio-incidentale-di-costituzionalita).
100. V. Crisafulli, La Corte costituzionale ha vent’anni, op. cit., pp. 69 ss., part. p. 84.
101. Evidenzia efficacemente questo punto A. Morrone, Suprematismo giudiziario, op. cit., p. 268.
102. Di recente, forti dubbi sono stati espressi, ad esempio, da A. Morrone, op. ult. cit., pp. 283 ss.
103. Il riferimento evidente è a R. Orestano, Della “esperienza giuridica” vista da un giurista, in Id., “Diritto”. Incontri e scontri, Il Mulino, Bologna, 1981, pp. 505 ss.; vds., inoltre, Id., Introduzione allo studio del diritto romano, Il Mulino, Bologna, 1987, pp. 343 ss.
104. Per questa espressione cfr. J.M. Balkin, Living Originalism, Harvard University Press, Cambridge (MA)/Londra, pp. 69 ss., il quale, però, la riferisce specificamente all’attività volta a calibrare (e ri-calibrare) nel corso del tempo il significato delle disposizioni costituzionali di principio, per il cui sviluppo i costituenti – nella prospettiva accolta dall’originalismo vivente – hanno incaricato le generazioni successive.
105. La più nota elaborazione della teoria del diritto come pratica sociale si deve, come è risaputo, a R. Dworkin, Law’s Empire, op. cit., pp. 45 ss. In tema, vds. anche F. Viola, Il diritto come pratica sociale, Jaca Book, Milano, 1990.
La “storia della pratica”, peraltro, deve a sua volta essere interpretata alla luce di una concezione delle finalità fondamentali della pratica medesima. In tal modo, devono essere selezionate e adeguatamente distinte le istanze della stessa la cui logica meriti di essere perpetuata per il futuro rispetto a quelle che, al contrario, sia preferibile abbandonare: e nel far ciò è possibile che ci si debba impegnare anche in una argomentazione morale. È questo lo spazio della «moral reading of the Constitution» (R. Dworkin, Freedom’s Law: The Moral Reading of the American Constitution, Oxford University Press, Oxford, 1996), che occorre accettare se ci si vuole cimentare nell’argomentazione per principi. Questo vuol dire, dunque, che la “storia della pratica” non deve sempre vincolare i percorsi interpretativi. Anzi, secondo Dworkin, un’utile concezione dell’interpretazione presuppone sempre una teoria dell’errore, che la rende capace di riconoscere alcuni dei comportamenti precedenti come errori, alla luce della complessiva interpretazione della pratica di volta in volta proposta (R. Dworkin, A Matter of Principle, Harvard University Press, Cambridge (MA)/Londra, 1985, p. 161).
106. Efficacissimo sul tema B. Friedman, The Will of the People: How Public Opinion Has Influenced the Supreme Court and Shaped the Meaning of the Constitution, Farrar, Straus & Giroux, New York, 2009. Al riguardo, si rinvia anche a O. Chessa, I giudici del diritto, op. cit., pp. 254 ss.
107. J.H. Wilkinson, Cosmic constitutional Theory. Why Americans Are Losing Their Inalienable Right to Self-Governance, Oxford University Press, Oxford, 2012.
108. Nel senso kantiano illustrato efficacemente da J.L. Martì, La nozione di ideale regolativo: note preliminari per una teoria degli ideali regolativi nel diritto, in Ragion pratica, n. 2/2005, pp. 381 ss.