Commento a Cassazione, sezione II penale, 17 maggio 2013, RG 51570/2012, ric. Caldarelli e altri
Il ricorso alla base della pronuncia in commento si articola su due livelli: il primo concerne l'applicazione nel settore delle misure di prevenzione dell'art. 14 par. 1 della Convenzione europea d'estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata dall'Italia con l. 30 gennaio 1963, n. 300 (d'ora in avanti: la Convenzione); l'altro investe invece il controllo di legittimità sulla motivazione attraverso la quale il giudice di merito ha accertato la pericolosità sociale del proposto e l'intestazione fittizia in capo a terzi dei beni confiscati.
Misure di prevenzione e principio di specialità in materia di estradizione dall'estero
Per quanto attiene all'aspetto più strettamente processuale, la Corte di cassazione, disattendendo le doglianze dei ricorrenti, afferma che l'applicazione di un'eventuale misura di prevenzione prescinde dal fatto per cui è stata avviata la procedura di cui agli artt. 720 e ss. c.p.p., in questo modo allineandosi ad un precedente orientamento, fatto proprio dalle Sezioni Unite (cfr. Cassazione, SS. UU., 25 ottobre 2007, n. 18281, Rv. 238657).
Il riferimento esplicito, negli artt. 721 c.p.p. e 14 par. 1 della Convenzione, è infatti soltanto alla pena, alla misura di sicurezza e ad altre misure restrittive della libertà personale. Le misure di prevenzione esulano da queste tre categorie, non essendo possibile definire come restrizioni della libertà personale né, come è ovvio, le misure patrimoniali né quelle personali, in quanto queste ultime costituiscono piuttosto ipotesi di limitazione della libertà personale.
Da tutto ciò discende che il Paese richiedente non è tenuto, affinché sia legittimamente applicata all'estradato la misura di prevenzione, a presentare un'ulteriore domanda di estradizione, secondo quanto previsto dall'art. 14 par. 1 lett. a) della Convenzione.
A quest'argomentazione di natura testuale segue, nella sentenza analizzata, una ragione ulteriore che spiega l'inapplicabilità degli artt. 721 c.p.p. e 14 par. 1 della Convenzione al caso di specie.
Queste due disposizioni intendono limitare il potere dello Stato richiedente di restringere la libertà personale dell'estradato al fatto di cui alla domanda d'estradizione. Ora, le misure di prevenzione non orbitano su di un fatto, a differenza della pena e delle stesse misure di sicurezza, come dimostra l'art. 202 c.p..
Il fatto esprime, rispetto alla pena, il disvalore tipico che legittima questa sanzione, mentre rispetto alle misure di prevenzione esso degrada a fattore sintomatico di pericolosità del proposto, al punto che l'insussistenza del fatto, se ovviamente esclude l'applicazione della pena e delle misure di sicurezza, non è ostativa rispetto ai provvedimenti non a caso definiti praeter delictum.
Anche una lettura fugace dell'art. 4 d. lgs. 159/2011 dimostra che il riferimento ivi contenuto a fatti di reato è sempre in termini di indizio o di atto preparatorio. Apparentemente sussistono delle eccezioni, come le lettere e) e g), in cui si presuppone una condotta tipica: nel primo caso, l'aver fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della l. 20 giugno 1952, n. 645, nell'altro l'aver commesso uno dei delitti di cui alla l. 2 ottobre 1967, n. 895 e agli artt. 8 e ss. l. 14 ottobre 1974, n. 497. Tuttavia si resta pur sempre nella logica indiziaria, perché, pur ammettendo che in questi due casi sia necessario l'accertamento definitivo di una precedente responsabilità penale – ma questa conclusione potrebbe non valere per la lettera e), in cui non si fa menzione, come invece nella lettera g), di una precedente condanna – le disposizioni in parola richiedono comunque che ad esso si aggiunga, relativamente al comportamento tenuto dal proposto dopo la pregressa condotta delittuosa, una valutazione – o di continuazione della precedente attività criminale o di propensione alla commissione di delitti di una certa specie - che si pone necessariamente in termini ipotetici.
Per quanto concerne invece la lettera h), in cui sembrano essere menzionate delle vere e proprie condotte tipicamente concorsuali, non si può comunque postulare, per l'applicazione delle misure di prevenzione, lo stesso standard probatorio di cui all'art. 533 comma 1 c.p.p. e quindi anche in tal caso in realtà il riferimento è ad un accertamento sommario di tipo indiziario.
Da quest'assetto normativo discende, secondo la giurisprudenza di legittimità, un'incompatibilità strutturale tra le misure di prevenzione e il principio di specialità di cui agli artt. 14 par. 1 della Convenzione e 721 c.p.p.: il riferimento al fatto anteriore e diverso sarebbe inestensibile alle misure di prevenzione, le quali, per l'appunto, non contemplano tra i loro presupposti un fatto di reato.
Questa conclusione non convince pienamente, in quanto il richiamo al fatto nelle disposizioni menzionate potrebbe essere inteso semplicemente come un riferimento al presupposto oggettivo per l'applicazione della pena o della misura e, sebbene definito nei termini necessariamente più sfumati dell'indizio o dell'atto preparatorio, tale presupposto oggettivo sussiste comunque anche in relazione alle misure di prevenzione.
In ogni caso quest'argomento è superato – come si è già osservato – dal tenore testuale delle disposizioni, che menzionano esclusivamente le pene e le misure di sicurezza. Queste ultime, inoltre, non sono suscettibili di un'interpretazione estensiva, atta a ricomprendere in tale categoria – in virtù della logica specialpreventiva sottesa ad entrambe - anche le misure di prevenzione: quest'operazione ermeneutica trova un ostacolo insormontabile nell'art. 25 della Convenzione, perché i provvedimenti di cui al d. lgs. 159/2011 non possono dirsi adottati “in aggiunta o in sostituzione di una pena”.
La conclusione sarebbe ovviamente diversa se il riferimento alla restrizione della libertà personale fosse inteso come comprensivo anche della limitazione della libertà personale: in questo caso le misure di prevenzione personali potrebbero essere attratte nell'orbita degli artt. 721 c.p.p. e 14 par. 1 della Convenzione. Lo stesso non può dirsi a proposito delle misure di prevenzione patrimoniali, in quanto esse non possono non subire la stessa sorte delle misure di sicurezza patrimoniali, escluse in virtù dell'art. 25 della Convenzione dal raggio applicativo delle disposizioni in materia di estradizione.
L'accertamento della pericolosità sociale e dell'intestazione fittizia al vaglio della Cassazione
La Corte di cassazione ha ritenuto di non dover censurare sotto il profilo motivazionale la decisione impugnata, in quanto la pericolosità concreta e attuale del ricorrente sarebbe stata ricostruita dal giudice di merito con un'argomentazione “esaustiva, logica e non contraddittoria”. Essa poggia sostanzialmente sui procedimenti penali riguardanti il ricorrente, che hanno condotto ad una condanna irrevocabile per il delitto di cui all'art. 416 bis c.p..
La Corte va oltre e ribadisce un suo consolidato orientamento, secondo cui non solo i procedimenti penali possono fornire materiale valutabile nel procedimento di prevenzione ai fini dell'accertamento della pericolosità del proposto, ma ciò avviene a prescindere dalla formula con cui essi sono stati definiti (cfr. Cassazione, SS. UU., 25 marzo 2010, n. 13426, ric. Cagnazzo e altri; Cassazione, sezione V penale, 18 settembre 1997, Rv. 208716, ric. Iovine e altri).
Quest'impostazione in astratto è condivisibile, perché il giudizio diagnostico di responsabilità penale e quello prognostico di pericolosità sociale si muovono su sentieri certamente connessi l'uno all'altro, ma comunque sostanzialmente differenti. Tuttavia la sentenza di assoluzione può incidere radicalmente sul presupposto oggettivo di applicazione della misura di prevenzione, come dimostra pacificamente l'art. 28 comma 1 lett. b) d. lgs. 159/2011: ne consegue che l'esclusione della responsabilità dell'imputato all'esito di un procedimento penale prevale necessariamente sull'accertamento sommario degli indizi e degli atti preparatori di cui all'art. 4 d. lgs. 159/2011.
Per quanto riguarda invece il sequestro e la successiva confisca di beni formalmente intestati a terzi, la Corte ritiene che sia esente da vizi logici la motivazione che ne sostiene la disponibilità di fatto in capo al soggetto proposto sulla base di due circostanze: gli intestatari sono, in primo luogo, familiari – moglie e fratello - conviventi del proposto e, in secondo luogo, non godono di un autonomo reddito proveniente da attività lecita.
Si tratta, pertanto, della cosiddetta intestazione fittizia, cui è dedicato l'art. 26 d. lgs. 159/2011. Questa disposizione fa gravare sul terzo intestatario l'onere di provare che alla disponibilità de jure corrisponde anche una disponibilità de facto, purché però il trasferimento o l'intestazione si siano verificati nei due anni precedenti la proposta della misura di prevenzione. Quando - come nel caso di specie – l'intestatario è persona stabilmente convivente con il proposto o gli è legato da un vincolo di coniugio, di parentela o di affinità entro un certo grado, rileva soltanto questo dato cronologico e non anche la natura onerosa o gratuita dell'atto traslativo o dell'intestazione.
Di conseguenza, allorché la titolarità formale in capo al terzo preceda di più di due anni la proposta della misura di prevenzione, il fatto che questi sia il coniuge, il fratello o comunque un convivente stabile del proposto non autorizza di per sé a ritenere che l'intestazione sia fittizia. La circostanza che il terzo non sia titolare di un reddito autonomo derivante da un'attività lecita può far pensare che egli non abbia potuto acquistare il bene, ma che l'abbia ottenuto gratuitamente.
In questo modo, tuttavia, non si è andati oltre i requisiti di cui all'art. 26 comma 2 lett. a) d. lgs. 159/2011, che per l'appunto contempla il caso del trasferimento e dell'intestazione, eventualmente gratuiti, insieme ad un certo legame tra il proposto e il terzo. Poiché il legislatore ha aggiunto espressamente a questi due requisiti quello relativo al lasso di tempo che intercorre tra l'acquisizione della titolarità formale e la proposta della misura di prevenzione, ne consegue che, quando siano accertati soltanto i primi due, non si sia ancora raggiunto quel livello che la legge esige perché si abbia l'inversione dell'onere probatorio.
In altre parole, il fatto che il terzo sia un parente o il coniuge del proposto e che abbia ottenuto gratuitamente la titolarità del bene non può legittimare la confisca sol perché l'intestatario non ha presentato una prova di segno contrario, a meno che non si rientri nel lasso cronologico di due anni indicato dal legislatore.