È un cazzotto nello stomaco, una tortura che inizia dalla prima pagina e finisce solo quando chiudi il libro e piangi per i fatti tuoi, senza farti vedere perché chi non ha letto il libro non capirebbe. Come d’Aria di Ada d’Adamo non è solo uno dei finalisti del premio Strega 2023, è la radiocronaca di una donna che ha dato alla luce una bambina gravemente disabile, e se ne prende cura con corpo ed anima, ri-creando attorno alla figlia il ventre materno che l’aveva ospitata per nove mesi. Una campana di vetro, un utero amplificato e protettivo in cui nuotano Daria, Ada e il babbo: la mamma conduce la figlia nel girone infernale delle cure mediche, day hospital, ricoveri, e nel frattempo vede altre mamme, intente anche loro a fiutare i bisogni di bimbi che possono chiedere solo con gli occhi o con le scariche cloniche dei loro corpicini privi di coordinazione motoria. Un’assurda beffa del destino per una ballerina affermata come Ada: amante del corpo umano, appassionata di teatro e di danza, scrittrice di testi specializzati; leggera come la carezza di una mano innamorata, quando camminava Ada seguiva una sua melodia interiore, mimava spontaneamente il flusso della vita con armonia ed eleganza. Una Nike di Samotracia con tanto di ali invisibili a tutti noi, umani distratti e inautentici, più indifferenti di quanto Alberto Moravia abbia saputo cogliere e raccontare. Come i medici e le infermiere che, dopo la diagnosi e i primi accertamenti, confezionano la loro distanza dal dolore esternandola con frasi di convenienza oppure con veri e propri capolavori di affermazioni insensate e finanche discriminatorie.
Purtroppo, Ada ora non c’è più, è finita in un buco nero del destino: da tempo un vortice galattico l’aveva risucchiata nella malattia, a causa di controlli senologici di prevenzione saltati per stare vicino alla figlia, che le assorbiva tutte le energie fisiche e mentali. La grande Mietitrice se l’è portata via con calma, lasciandole anche il tempo per qualche inutile speranza. Ma quella ballerina dai capelli corti e labbra strette (mi sono sempre chiesta perché, ora l’ho capito) ha saputo danzare sull’orlo del baratro fino all’ultimo momento, accumulando pensieri e riflessioni di valore universale, disseminati nel libro con sapienza ed eleganza. Molte delle sollecitazioni contenute nel testo di Ada richiamano alla mente questioni giuridiche complesse, come quella del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, introdotto con la legge n. 194 del 22 maggio 1978 da un legislatore animato da grande spirito democratico e rispetto della Costituzione, ma pur sempre capace di inserire nelle pieghe della normativa la bomba a frammentazione dell’obiezione di coscienza[1]. Il tema della colpa medica, recentemente “risistemato” dalla legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (cd. Gelli – Bianco) è condensato nell’errore di valutazione dell’ecografia, e nel contrasto tra due vite, quella di Ada e quella dell’amica che ha praticato l’aborto terapeutico. Come pure l’enorme problema del “dopo di noi”: la legge n. 112 del 22 giugno 2016 recante Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento specifiche tutele per le persone con gravi disabilità, in special modo per il tempo in cui viene meno il sostegno dei genitori e dei parenti della persona diversamente abile. Le disposizioni di cui all’art. 1 prevedono che la legge «in attuazione dei principi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dagli articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a),della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità». Ed ancora, al secondo comma si stabilisce che «la presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire l'adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l'esistenza in vita dei genitori». Il presupposto è che ci si trovi di fronte a «persone con disabilità grave prive del sostegno familiare»: in tal caso si può accedere alle risorse di cui al Fondo istituito con l’art. 2, per il quale sono stati originariamente stanziati 90 milioni di euro e poi 56,1 milioni di euro a partire dal 2018, con un aumento stabilito per l’anno 2020 in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid – 19. Il Fondo è destinato a finanziare programmi di residenzialità delle persone con disabilità grave (art. 4), ed in definitiva a individuare percorsi di accrescimento della consapevolezza e di sviluppo delle competenze, per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile delle persone con disabilità grave prive di assistenza familiare. Seguono una serie di misure di natura economica, come l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni con riferimento ai beni conferiti in trust o nei fondi speciali previsti dalla medesima legge nell’art. 3, comma 1, nonché la disciplina minuziosa delle modalità di costituzione dei trust, il ruolo del trustee o del fiduciario o del gestore: invero, l’art. 6 stabilisce che la destinazione di tali trust o fondi possa essere rappresentata unicamente dalla necessità di fornire sostegno alle persone con disabilità grave. Dopo tanti secoli, lo strumento del trust si carica di un senso nobile, conforme alla tutela di diritti fondamentali, ed è accompagnato dal particolare regime di trascrizione e di conseguente opponibilità a terzi della destinazione di beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri previsto dall’art. 2645ter del codice civile; quest’ultima norma è stata introdotta con Decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con modificazioni dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51 (art. 39 novies). Luigi Gorla detto Gino[2], studioso di diritto comparato, al quale assegnava non soltanto una finalità di conoscenza del common law ma soprattutto quella, a carattere sostanzialmente politico, di “comunicazione” tra ordinamenti giuridici e quindi di costituzione di «ambienti omeostatici» di produzione normativa, sarebbe probabilmente felice di sapere che il diritto delle trascrizioni immobiliari si è arricchito di norme ispirate a finalità umanitarie. E risulta emozionante il richiamo all’art. 1322, secondo comma, cod. civ., nel testo dell’art. 2645 ter del medesimo codice, laddove si consideri che a dispetto della matrice fascista della norma, la sua formulazione aperta ha consentito agli interpreti di scoprirne la valenza di strumento attuativo dei principi di uguaglianza e solidarietà sociale di cui agli artt. 3, secondo comma, e 2 della Costituzione repubblicana[3].
Ovviamente il ventaglio normativo a disposizione delle persone con disabilità gravi e dei loro genitori rappresenta per Ada solo una minima rassicurazione a fronte dell’angoscia materna ed esistenziale che si è impossessata di lei sin dalla nascita di Daria, e che trasuda dalle pagine del libro. La madre di un bambino disabile è menomata quanto suo figlio; subisce in prima battuta l’irritazione, il rifiuto e l’orrore che trapela dai volti delle persone “normali”; è colpevole di mostrare al mondo il frutto del suo concepimento, come se a livello inconscio vigesse ancora la regola del diritto romano secondo cui i monstra et prodigia non hanno la capacità giuridica e devono essere eliminati: cito necatus insignis ad deformitatem puer esto[4].
Ma vi è di più: nel confronto con gli altri, la mamma di un disabile viene talvolta (spesso?) percepita in modo distorto, come se volesse approfittare degli strumenti giuridici a sua disposizione per ottenere agevolazioni o privilegi. Il dramma della donna avvolge il libro di Ada come una sinfonia che sin dall’ouverture scandisce il ritmo di una sofferenza sussurrata con la dignità di un’abruzzese “forte e gentile”, come si usa dire da quelle parti. Ada sa bene che anche la puntuale applicazione di norme protettive e la corretta interpretazione di regole e codicilli non è sufficiente se non è accompagnata dall’umana comprensione delle enormi difficoltà avute in sorte dalla madre e dal figlio con disabilità. Come nel recente caso di un’avvocata, che si è vista negare un rinvio di udienza chiesto allo scopo di accompagnare il figlio in tenera età, affetto da una patologia in corso di accertamento, presso un Ospedale romano per il periodico ricovero in day hospital per «risonanza magnetica dell’encefalo».
Con l’ordinanza, formalmente legittima in quanto puntualmente rispettosa dell’art. 486, comma quinto, cod. proc. pen., il Tribunale di Roma in composizione collegiale[5] ha respinto l’istanza di rinvio dell’udienza presentata da un’avvocata, difensore di fiducia dell’imputato, perché il legittimo impedimento non era stato comunicato tempestivamente all’organo giudicante; e inoltre perché il minore, che doveva essere sottoposto ad un delicato accertamento diagnostico da effettuarsi in day hospital, poteva essere accompagnato dal padre, così che la presenza della madre non risultava indispensabile. La Camera Penale di Roma ha diffuso un duro comunicato, sotto forma di istanza agli organi titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei magistrati, e al Presidente del Tribunale. Al di là delle sollecitazioni all’organo disciplinare, e al netto delle non positive reazioni all’uso dei social media da parte dell’avvocata[6], l’episodio appare come emblematico del contrasto tra “diritto” e “giustizia”: l’ordinanza del Tribunale è formalmente corretta, ma produttiva di un’ingiustizia sostanziale la cui portata non è stata forse presa in considerazione dal Collegio giudicante al momento della decisione. Molte volte il giudice, con quella sapienza figlia del senso di umanità, ma pur sempre senza oltrepassare il limite dell’obbligo costituzionale di soggezione alla legge, corregge situazioni in cui la formalistica applicazione delle norme condurrebbe a soluzioni sostanzialmente ingiuste, e magari anche del tutto fuori asse rispetto ai valori che le disposizioni da applicare intendono tutelare. L’antitesi tra “diritto” e “giustizia” è ben rappresentata nell’Antigone di Sofocle, in cui la contrapposizione tra la protagonista e il re Creonte rappresentano il perno dell’azione tragica e sono ancor oggi espressione di un dilemma che occupa, da sempre, la mente dei giuristi. In proposito, Gustavo Zagrebelsky ha più volte imperniato le sue riflessioni sulle figure archetipiche di Creonte ed Antigone[7]: se si vuole azzardare una non-conclusione, l’equilibrio tra diritto e giustizia rappresenta per il giurista un’aspirazione al pari dell’equilibrio costantemente ricercato da una ballerina nel suo danzare. Nel caso dell’avvocata e delle giudici del Tribunale di Roma[8], forse il demone della produttività a tutti i costi e dell’efficientismo figlio del PNRR hanno impedito alla Presidente del collegio giudicante, anche lei donna, di sfoderare quel senso di umanità che a nostro avviso deve accompagnare l’esercizio consapevole dell’attività giurisdizionale. In tale contesto, il libro di Ada sveglia le coscienze e interroga anche la comunità dei giuristi, dimostrando ancora una volta come la letteratura, e più in generale la cultura umanistica, possa fornire punti di orientamento persino nell’esercizio della giurisdizione.
Tanti anni fa un Maestro del diritto diceva: «non dimenticate mai la gente. Il diritto è vita, è la vita delle persone, dalla nascita alla morte. Non mi importa della professione che sceglierete, giudice, notaio o avvocato: mi interessa che non perdiate mai di vista il vero senso di un ordinamento giuridico, quello di provare a mettere ordine nel caos delle vicende umane». Ora quel Maestro[9], orgoglioso di avere il suo studio notarile nel palazzo in cui nacque il Comitato di Liberazione Nazionale[10], sta giocando a golf tra le verdi colline dell’infinito, e magari ha già incontrato quella ballerina scrittrice ormai tutta d’Aria.
[1] Sul punto, si veda l’articolo di Luca Tremolada, pubblicato sul Sole 24 ore del 16 giugno 2022 (www.infodata.ilsole24ore.com/2022/06/16/come-sta-andando-la-194-i-risultati-dellindagine-mai-dati/): nel commentare il libro di Chiara Lalli e Sonia Montegiove dal titolo Mai Dati, Dati aperti (sulla 194) – Perché ci servono e perché ci servono per scegliere, edito da Fandango Libri, Tremolada evidenzia che all’esito dell’ultima rilevazione, effettuata dalle Autrici mediante accesso civico generalizzato, erano ben 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza tra ginecologi, anestesisti, infermieri e operatori socio-sanitari; quasi 50 quelli con una percentuale di obiettori superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.
[2] Per una scheda sintetica sull’Autore, si veda la voce Gorla, Luigi (Gino) in Enciclopedia giuridica Treccani: www.treccani.it/enciclopedia/luigi-gorla_%28Dizionario-Biografico%29/. È stato titolare della cattedra di diritto comparato all’Università di Pavia e poi a “La Sapienza” di Roma.
[3] Si vedano, sul punto, le sempre attuali argomentazioni esposte da Michele Giorgianni nella voce Causa in Enciclopedia del diritto; cfr. anche F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane 2001, pagg. 796-798.
[4] «Sii veloce ad uccidere un bambino notevolmente deforme»: la prescrizione appare nelle XII Tavole, Tab. IV, e riecheggia l’usanza spartana di abbandonare i neonati deformi sul Monte Taigeto.
[5] Dalla composizione collegiale dell’organo giudicante si desume che il reato oggetto del processo rientrava nella competenza stabilita dall’art. 33 bis cod. proc. pen.
[6] L’avv. Ilaria Salamandra ha registrato un video nell’ospedale, inquadrando anche il figlio minore che dormiva, e il 14 aprile scorso lo ha postato su Facebook.
[7] Si veda, in proposito, la lectio magistralis di Gustavo Zagrebelsky, tenuta il 26 novembre 2015 nella sala Aldo Moro di Palazzo Montecitorio. La lectio è visibile su YouTube al link https://www.youtube.com/watch?v=Gxc1hQcyTPA
[8] L’ordinanza di rigetto dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento è del 14 aprile 2023; il processo è proseguito con l’audizione di un teste, alla cui escussione l’avvocata voleva essere presente per svolgere il suo compito di difensore dell’imputato.
[9] Il riferimento è a Fabrizio Kustermann, Notaio in Roma, scomparso nel dicembre 2003; oltre alla professione notarile, è stato autore di numerosi scritti, in particolare in materia di diritto societario, tra cui un commentario al V libro del Codice civile edito da Ipsoa. Aveva l’abilitazione all’insegnamento e teneva regolarmente lezione presso la Scuola Notarile “Anselmo Anselmi” di Roma; è stato allievo di Gino Gorla.
[10] La targa sull’edificio di Piazza della Libertà a Roma recita così: «In questo palazzo il 9 settembre 1943 veniva costituito il Comitato di Liberazione Nazionale sotto la Presidenza di Ivanhoe Bonomi, per incitare gli italiani alla lotta e alla resistenza contro il tedesco invasore e l’alleato fascista. Il Comune di Roma, auspice la XVII Circoscrizione, nella ricorrenza del 25 aprile 1976 pose».