1. Con decisione depositata il 29.10.2013, la Seconda Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel caso VARVARA c. ITALIA, ha dichiarato la violazione da parte dello stato italiano dell’art. 7 della Convenzione e dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione stessa. La decisione, seppur allo stato non definitiva e suscettibile di impugnazione da parte dell’Italia di fronte alla Grande Chambre, ha conseguenze rilevanti sul diritto interno. Per comprendere come il caso VARVARA abbia comportato una condanna da parte della Corte di Strasburgo è necessario ripercorrere rapidamente le vicende del processo italiano.
2. Il procedimento penale per lottizzazione abusiva iniziava nel 1997 con il sequestro dei terreni abusivamente lottizzati, sequestro finalizzato alla esecuzione della confisca obbligatoria prevista dall’art. 19 L. 47/1985 (ora art. 44 co. 2 del DPR 380/2001: “La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite”). Il 1 giugno 1998 l’imputato veniva condannato per lottizzazione abusiva e veniva disposta la confisca dei terreni e degli edifici. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione dell’imputato che veniva così assolto il 22 gennaio 2001 con la formula “perché il fatto non sussiste”. La confisca veniva revocata e i beni restituiti. Il Pubblico Ministero presentava ricorso per Cassazione e la Corte, il 17 maggio 2002, annullava la sentenza con rinvio. La Corte d’Appello in sede di rinvio dichiarava l’imputato colpevole, lo condannava e disponeva nuova confisca dei terreni lottizzati e degli immobili. L’imputato ricorreva in Cassazione e otteneva un nuovo annullamento con rinvio. Dunque, pur trattandosi di una contravvenzione, con una prescrizione massima di 4 anni e 6 mesi, il processo affrontava indenne da prescrizione non solo i tre gradi di giudizio, ma finanche un nuovo giudizio d’appello e un nuovo giudizio di cassazione. Come noto però nell’ordinamento italiano, anche qualora l’autorità giudiziaria sia assolutamente sollecita nella trattazione del processo, la prescrizione continua a decorrere per cui inevitabilmente la Corte d’Appello, nel nuovo giudizio rescissorio del 23.3.2006, era costretta a dichiarare il non doversi procedere per tutti i reati per intervenuta prescrizione, confermando però la statuizione della confisca. Infine la Corte di Cassazione, di nuovo adita dall’imputato, confermava in data 11.6.2008 sia la sentenza di estinzione dei reati per prescrizione che la confisca.
3. Nell’ordinamento italiano è principio assolutamente pacifico quello secondo cui la confisca prevista dal T.U. urbanistica ha natura di sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale e si applica - con esclusione della sola ipotesi di assoluzione per insussistenza del fatto - indipendentemente da una sentenza di condanna, sulla base della accertata effettiva esistenza della lottizzazione abusiva (Cassazione Penale Sez. 3 Sentenza n. 12471 del 16.11.1995 Besana; successivamente Sez. 3 Sentenza n. 331 del 31.1.1997 Sucato; Sez. 3, Sentenza n. 3900 del 18.11.1997 Farano; Sez. 3 Sentenza n. 777 del 24.2.1999 Iacoangeli; non si discosta C. Cost ordinanza n. 187 del 20-26 maggio 1998).
4. Tale orientamento era già stato messo profondamente in discussione dalla decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 20.1.2009, la ben nota Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia. In tale decisione la Corte di Strasburgo, sempre trattando dell’art. 7 della Convenzione, aveva affrontato una serie di argomentazioni attinenti strettamente l’elemento psicologico del reato, affermando che non era conforme ai principi CEDU dichiarare da una parte l’imputato non colpevole in ragione della carenza dell’elemento soggettivo e della sussistenza di un errore inevitabile e scusabile sulla legge penale, e dall’altro sanzionarlo in ogni caso con la confisca dei terreni e degli immobili. La giurisprudenza italiana, dopo la decisione Sud Fondi, mutava quindi indirizzo, non ritenendo più possibile disporre la confisca ex art. 44 co. 2 T.U. urbanistica nel caso in cui non fosse stata riconosciuta la sussistenza dell’elemento psicologico del reato in capo all’imputato. In particolare in più occasioni la Corte di Cassazione affermava che, nell’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, il Giudice, per disporre legittimamente la confisca, deve svolgere tutti gli accertamenti necessari per la configurazione sia della oggettiva esistenza di una illecita vicenda lottizzatoria sia di una partecipazione psicologica quanto meno colpevole dell’imputato. La Corte di legittimità ribadiva in ogni caso che la confisca era una sanzione amministrativa, seppur disposta dal Giudice penale, e quindi confermava la sua applicabilità anche in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. La sez. 3 con sentenza n. 36844 del 9.7.2009 Contò, pur tenendo nel debito conto la decisione Sud Fondi della Corte di Strasburgo, ribadiva esplicitamente che “la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa … che viene emessa dal giudice penale in via di supplenza, sia pur autonomamente, rispetto all’analoga misura emessa dall'autorità amministrativa e ne condivide la natura… il che non ne esclude, però, il carattere sanzionatorio”. Le successive pronunce, fino alla recente Sez. 3 Sentenza n. 17066 del 4.2.2013 Volpe e altri, hanno sempre disatteso le doglianze di violazione dell’art. 7 della CEDU e ribadito la correttezza del consolidato orientamento. Si è così creato un contrasto esplicito con la posizione della Corte europea che ha sempre, con chiarezza, ricondotto la confisca nell’ambito delle sanzioni penali. Nella decisione sulla ricevibilità del ricorso Sud Fondi del 30.8.2007 la Corte aveva infatti affermato che “la confisca è una sanzione penale” sulla base di una serie di argomentazioni: la lottizzazione abusiva è un reato, viene accertata e dichiarata nell’ambito della giurisdizione penale, ha finalità punitiva e repressiva, e non riparatoria, tanto che colpisce anche i terreni su cui non si è costruito a prescindere da ogni lesione all’ambiente. Necessariamente, concludeva il Giudice europeo, la confisca è quindi una “pena” ai sensi dell’art. 7 della Convenzione.
5. Del resto, che la confisca pronunciata dal Giudice penale all’esito di un processo abbia natura di “sanzione penale” è affermazione che la Corte di Strasburgo ha reso in modo costante quantomeno fin dal caso n. 307-A/1995 Welch c. Regno Unito Grand Chambre 9.2.1995 (…the confiscation order amounted, in the circumstances of the present case, to a penalty…), e che ha trovato ampi riscontri nel diritto interno, sia nelle pronunce della Corte Costituzionale (si vedano C. Cost. Sentenza n. 196/2010 sulla confisca del Codice della Strada; C. Cost. ordinanza n. 97/2009 sulla confisca per equivalente nei reati tributari) che in quelle della Corte di Cassazione (tra le tante, Sez. U Sentenza n. 18374 del 31.1.2013 Adami, sulla confisca per equivalente nei reati tributari; Sez. 2 Sentenza n. 21027 del 13.5.2010 Ferretti, sulla confisca nei reati contro la Pubblica Amministrazione; Sez. F Sentenza n. 33409 del 28.7.2009 Alloum sulla confisca per equivalente per riciclaggio).
6. Con tali premesse, la decisione della Seconda Sezione sul caso VARVARA era probabilmente in qualche modo segnata. Nella consolidata tradizione del principio di effettività della tutela, la Corte (§ 35, 60) ha osservato che, nonostante secondo il diritto interno la confisca “da lottizzazione abusiva” sia costantemente considerata sanzione amministrativa, tale sanzione non può essere valutata né vagliata da un Giudice amministrativo e che la competenza in materia è esclusiva del Giudice penale. La confisca ha dunque natura giuridica di sanzione penale e ciò comporta che è soggetta ai principi della Convenzione, ma anche della Costituzione (art. 25 e 27), del codice penale (artt. 1, 42 e 5 c.p.) e di procedura penale (artt. 129, 530, 533 c.p.p.) italiani, tra cui vi è quello del divieto di applicazione della pena se non a seguito di una sentenza di condanna e il divieto di irrogazione di sanzione ove il reato sia estinto per prescrizione (C. Cost. sentenza 85/2008).
7. La Corte non ha dunque riconosciuto lo sforzo interpretativo effettuato dalla giurisprudenza di legittimità dopo la decisione Sud Fondi. In particolare non è stata recepita come equivalente a una piena affermazione di responsabilità penale l’affermazione, resa più volte dalla Corte di Cassazione dopo il 20 gennaio 2009, secondo cui qualora sia necessario applicare la confisca in un processo in cui il reato sia già estinto per prescrizione, il Giudice è tenuto ad effettuare un accertamento sostanzialmente equivalente a quello dell’accertamento della piena responsabilità penale, sia in ordine alla oggettiva sussistenza di una illecita vicenda lottizzatoria, sia in ordine all’elemento psicologico, negli stessi termini in cui tale valutazione viene svolta nei confronti di soggetti che vengono condannati. La Corte di Strasburgo ha infatti osservato come nel caso di prescrizione il Giudice nazionale sia tenuto ad applicare l’art. 129 co. 2 c.p.p. che, in caso di estinzione del reato, prevede che l'imputato debba essere assolto nel merito solo nel caso in cui “dagli atti risulta evidente” la sussistenza di una causa di assoluzione nel merito (§ 39. e 42.). La Corte di Strasburgo quindi considera il giudizio ex art. 129 co. 2 c.p.p. alla stregua di un giudizio sommario, in cui l’assoluzione deve risultare in modo manifesto e dagli atti (s’il ressort de manière manifeste du dossier…). Non rilevanti sono state considerate le argomentazioni del Governo italiano in ordine al fatto che l’imputato avrebbe comunque potuto rinunciare alla prescrizione (§ 49.).
8. La confisca “urbanistica” ex art. 44 co. 2 T.U. non è riconducibile alle figure di “confisca senza condanna” adottate in alcuni paesi europei. In questi casi infatti l’obiettivo è quello dell’aggressione ai patrimoni di origine illecita che non è stato possibile aggredire nell’ambito del processo penale. La confisca opera in ragione della natura e della provenienza illecita dei beni che vengono aggrediti, illiceità che viene accertata sulla base di una serie di elementi, anche indiziari o presuntivi ma comunque specificamente previsti dalla legge, elementi che si riferiscono sia ai beni in sé che al loro proprietario. In tali casi è possibile sottoporre a confisca tali beni anche al di fuori del processo penale e quindi “senza condanna”: così si sviluppa la actio in rem del sistema britannico che conduce alla applicazione del “civil forfeiture”, e così è strutturato il procedimento delle misure di prevenzione patrimoniali italiano di cui al D.L.vo 159/2011. Anche la proposta di Direttiva della Commissione UE sulla confisca (tuttora in discussione) ha lo stesso obiettivo: la proposta disegna una confisca che può operare solo in limitate situazioni in cui non è possibile procedere all’interno del processo (morte del reato, malattia permanente, o quando la fuga o la malattia non consente di agire in tempi ragionevoli), ma è comunque necessario che il proprietario dei beni sia sospettato o accusato, e il Giudice che procede deve ritenere che, se l’indagato o imputato avesse potuto essere processato, il procedimento avrebbe potuto portare ad una condanna penale. In ogni caso la Corte di Strasburgo ha già riconosciuto la conformità alla CEDU del sistema delle misure di prevenzione italiano proprio in ragione del fatto che non si tratta di una sanzione penale bensì di uno strumento che ha natura preventiva e non punitiva, da cui consegue la mancata violazione del diritto di proprietà (art. 1 del 1° protocollo addizionale della CEDU), della presunzione d’innocenza (art. 6, § 2) e del principio di legalità (art. 7) (Commissione 15 aprile 1991 Marandino, n. 12386/86; Corte EDU 22 febbraio 1994 Raimondo v. Italy; Corte aedu 15 giugno 1999, Prisco c. Italia, decisione sulla ricevibilità del ricorso n. 38662/97; Corte EDU 25 marzo 2003 Madonia c. Italia, n. 55927/00; Corte EDU 5 luglio 2001 Arcuri e altri c. Italia, n. 52024/99; Corte EDU 4 settembre 2001 Riela c. Italia, n. 52439/99; Corte EDU Bocellari e Rizza c. Italia, n. 399/02). Differentemente, come visto, la confisca urbanistica del sistema italiano ha indubbiamente natura sanzionatoria.
9. Stante la natura penale della sanzione e l’assenza di una sentenza di condanna, la Corte nel caso VARVARA ha concluso affermando che vi è stata violazione del principio di legalità, che non è ammissibile un sistema in cui una persona che non è stata dichiarata colpevole in sede penale possa subire una pena (§ 67.) e che la confisca prevista dal T.U. urbanistica, così come interpretata nel diritto interno, è sanzione non conforme alla legge ai sensi dell’art. 7 della Convenzione ed è arbitraria.
10. Con tale decisione la Corte pone in discussione non solo una interpretazione giurisprudenziale “domestica” consolidata, ma anche istituti processuali e penali, per cui appaiono indispensabili adeguamenti interni ai sensi dell’art. 46 della Convenzione. La natura giuridica di sanzione penale della confisca sarà presumibilmente accolta nel diritto interno, o quantomeno la interpretazione della confisca quale “sanzione amministrativa accessoria” sarà equiparata a quella della demolizione delle opere abusive ex art. 31 co. 9 T.U. Urbanistica. Anche la demolizione è infatti costantemente ritenuta una sanzione amministrativa accessoria disposta dal Giudice penale solo che, a differenza della confisca, la demolizione è ritenuta una sanzione amministrativa di tipo ablatorio che trova la propria giustificazione giuridica nella sua accessività alla sentenza di condanna e che quindi viene travolta, ex lege, dalla dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione (così Sez. 3 Sentenza n. 756 del 2.12.2010 Sicignano; allo stesso modo numerose altre precedenti fin da Sez. U. Sentenza n. 15 del 19.6.1996 Monterisi).
11. In qualche modo però la Corte pone in discussione anche il contenuto e i limiti della sentenza di estinzione del reato così come disciplinata dall’art. 129 co. 2 c.p.p.. Qualora infatti anche tale sentenza comporti l’irrogazione di una sanzione per l’imputato, la valutazione sommaria ivi prevista non appare adeguata a soddisfare esigenze di tutela effettiva. La situazione è di tutta evidenza nel caso di confisca da lottizzazione abusiva, posto che tale sanzione ha certamente un significativo contenuto afflittivo, finanche più incisivo della pena detentiva e di quella pecuniaria. Va peraltro ricordato che la Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 85/2008 evidenziava come la sentenza di prescrizione sia idonea “arrecare all’imputato significativi pregiudizi, sia di ordine morale che di ordine giuridico”, anche se in realtà ai fini del rispetto dell’art. 7 della CEDU tali pregiudizi rilevano solo nel caso in cui si traducano in una sanzione che, secondo la interpretazione della Corte, ha natura penale.
12. L’analisi del caso VARVARA mette in risalto la straordinaria irrazionalità della disciplina della prescrizione del reato, istituto che è stato oggetto negli ultimi anni di numerosi interventi dettati da esigenze estemporanee, logiche emergenziali, spinte e pressioni particolaristiche. I termini base per la prescrizione dei reati nel sistema italiano non appaiono particolarmente diversi rispetto a quelli di altri paesi europei. Ciò che differisce profondamente è però la disciplina del c.d. “tetto massimo” nel caso in cui intervengano atti interruttivi e quella della sospensione della prescrizione. Qualora la pubblica accusa abbia esercitato l’azione penale in tempi ragionevoli rispetto alla commissione del reato, la pendenza del processo penale e il progredire delle relative scansioni processuali impediscono, nei sistemi giuridici degli altri paesi europei, che la prescrizione continui a decorrere ininterrottamente, e che il reato si estingua in un termine di poco superiore a quello massimo previsto dalla ipotesi base. Il risultato è raggiunto con diverse modalità. In Spagna la prescrizione del reato è impensabile durante il processo: il sistema prevede un meccanismo generale di interruzione dei termini per effetto del quale la prescrizione viene congelata durante tutta la durata del processo fino alla sentenza di condanna. In Francia vi è un “sistema di interruzioni” in cui ogni atto dell’autorità giudiziaria fa ripartire la prescrizione che interviene solamente dopo 10 anni dal compimento dell'ultimo atto, con un evidente e consistente allungamento dei termini svincolato dalla gravità dei reato, perché vale per tutte le tipologie di reato. In Germania i termini di prescrizione sono collegati alla gravità dei reati, ogni volta che vengono interrotti da attività giudiziaria ricominciano da capo e il reato si prescrive decorso un periodo di tempo pari al doppio del termine ordinario. Nei paesi di common law in linea di massima non esiste la prescrizione del reato, ma il Giudice può estinguere il processo se i fatti sono molto vecchi e ove ritenga ingiustificati i ritardi dell’ufficio dell’accusa e del sistema giudiziario in genere. La linea comune delle normative degli altri paesi europei in materia di prescrizione è evidente: una volta formalizzata l’azione penale, se il processo procede il reato tendenzialmente non può estinguersi. Lo Stato non ha più interesse a perseguire il reato soltanto in caso di inerzia della macchina giudiziaria o di particolare ritardo ingiustificato. Il caso VARVARA è emblematico in tal senso perché, come visto sopra, il processo è stato condotto celermente e, in ragione dei due annullamenti con rinvio della Corte di Cassazione, si sono avuti ben 7 “gradi di giudizio”.
13. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dunque condanna l’Italia perché esegue confische per un reato estinto per prescrizione ma, d’altra parte, condanna l’Italia anche per il suo sistema di prescrizione dei reati. Si richiama qui la decisione della Seconda Sezione, Alikaj e altri v. Italia n. 47357/08 del 29.3.2011 (caso di omicidio con reato estinto per prescrizione) in cui la Corte di Strasburgo, agendo a tutela delle vittime del reato, ha sottolineato come il sistema italiano della prescrizione sia contrario ai doveri di celerità e alle obbligazioni che gravano sulle autorità pubbliche e che l’applicazione della prescrizione nel caso di specie sia stata una “misura” inammissibile secondo la giurisprudenza della Corte, perché ha avuto come effetto quello di impedire la condanna, in sede penale ma anche in sede amministrativa e disciplinare (imputati erano soggetti appartenenti a forze di Polizia). In tale decisione la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso affermando che il sistema della prescrizione dei reati nel sistema italiano “ben lontano dall’essere rigoroso, non può esercitare alcun effetto dissuasivo e deterrente idoneo ad assicurare una prevenzione efficace delle condotte illegittime”.